Ges insegnava in parabole
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Ges insegnava in parabole
F.I.S.M. di VENEZIA - INCONTRI di SPIRITUALITA’ 2010 LAVORO O MISSIONE? L’evangelista Giovanni all’inizio del suo Vangelo ci racconta che il primo segno compiuto da Gesù davanti ai suoi discepoli è stato quello di cambiare l’acqua in vino a Cana (Gv. 2,1-11). Proviamo solo a immaginare il dramma e l’imbarazzo degli sposi e la delusione degli invitati. La festa era davvero finita, e male! Cosa c’entra il racconto di questo miracolo con la vita delle nostre scuole, vi chiederete? Il mio pensiero è andato alle tante educatrici e insegnanti che svolgono il loro servizio nella scuola dell’infanzia e nel nido: per tante c’è ancora l’entusiasmo, c’è la voglia di apprendere e trovare forme nuove di comunicare coi bambini e con i genitori, c’è il coraggio di mettersi in gioco ogni giorno di nuovo, per loro insegnare è ancora una “festa”; per altre, invece, le attese e l’entusiasmo iniziali sembrano finiti in una forma di stanchezza, di disillusione, di scoraggiamento e di rassegnazione, per loro la “festa” è veramente finita! E qui mi sono tornate in mente le parole di Pietro a Gesù, sulle rive del lago di Gennèsaret, dopo aver ricevuto l’invito a gettare le reti in mare in pieno giorno: “ Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla …” (Lc. 5,5). Abbiamo faticato tanto … abbiamo “perso” tanti sabati per l’aggiornamento, ci prepariamo ogni giorno … le proviamo tutte … e i risultati? Allora sorge una domanda: Per chi? Per chi insegno? Per chi sono in questa scuola? Nella risposta a questa domanda troviamo la sostanziale differenza tra la scuola statale e le nostre scuole paritarie di ispirazione cristiana e il motivo per cui esistono le nostre scuole. In quella festa finita a Cana, Maria rivolgendosi ai servi, dice: “Qualsiasi cosa vi dica, fatela”. Cosa avranno pensato quei servi quando si sono sentiti invitare a riempire le anfore di acqua? E Pietro cosa avrà pensato dopo essere stato invitato a gettare le reti in mare in pieno giorno, in un’ora in cui nessun pescatore esperto lo avrebbe fatto? Eppure questo pescatore esperto si fida di questo giovane maestro che non dà risposte, ma invita a fidarsi, e risponde: “Sulla tua parola getterò le reti”. L’essersi affidati ha permesso loro di vedere: l’acqua cambiata in vino e la rete piena di pesci. Il Signore non ha risposte per le nostre delusioni o stanchezze, solo ci invita a mettere “la nostra acqua” nelle sue mani e di gettare le reti nel suo nome: solo allora le nostre delusioni, i nostri scoraggiamenti potrebbero cambiarsi in motivazioni nuove, fondate su una speranza e di una fiducia nuove, capaci di andare oltre le fatiche, le stanchezze e le delusioni. Solo così la festa può ricominciare! Ecco allora tornare insistente la domanda: Per chi insegno? Per chi sono qui? Solo avendo il coraggio di dare una risposta sincera potremo trovare le ragioni vere che ci danno la forza di guardare oltre le apparenze e le delusioni e scoprire che il vero motivo è Cristo Risorto. E che se io sono in questa scuola, con questi bambini e questi genitori è perché il mio non è un semplice lavoro, un lavoro tra i tanti, ma la risposta a una chiamata: la mia è una missione. 1 Perché come insegnanti ed educatrici non siamo chiamate a trasmettere solo delle nozioni, ma a far emergere quel capolavoro che ogni bambino può diventare … ogni bambino, ogni famiglia aiutati possono diventare un capolavoro, se noi umilmente sappiamo farci collaboratrici di Dio, sappiamo essere il suo cuore e le sue mani e se lasciamo che Lui per primo faccia emergere il capolavoro che noi possiamo diventare se ci fidiamo di Lui (Salmo 8). Ma per riuscire ad individuare il capolavoro che ogni bambino può diventare, occorre che noi abbiamo davanti “il modello”: Cristo Risorto. Siamo chiamati a stare con Lui, a diventare “esperti” di Lui (Gv. 1,35-39), per poterlo vedere nei bambini, nei genitori, nelle colleghe, nel servizio che sto vivendo. Diceva santa Giuseppina Bakita: “Quando sono con Lui e dove vuole Lui, io sto bene dappertutto”. Se vogliamo guidare i bambini verso l’incontro con Cristo, noi dobbiamo rispondere per primi alla sua chiamata: “Venite e vedrete” (Gv. 1,39). Papa Benedetto XVI, si è fatto una domanda durante l’omelia nel giorno dell’Epifania: “Qual è la ragione per cui alcuni vedono e trovano e altri no?”. Risponde il Papa: “Gli studiosi della Scrittura del tempo di Gesù conoscevano perfettamente la Parola di Dio. Erano in grado di dire senza alcuna difficoltà che cosa si poteva trovare in essa circa il luogo in cui il Messia sarebbe nato, ma come dice S. Agostino: ‘è successo loro come le pietre miliari (che indicano la strada): mentre hanno dato indicazioni ai viandanti in cammino, loro sono rimasti inerti e immobili’. Cosa apre gli occhi e il cuore? Che cosa manca a coloro che restano indifferenti, a coloro che indicano la strada ma non si muovono? Possiamo rispondere: la troppa sicurezza in se stessi, la pretesa di conoscere perfettamente la realtà, la presunzione di avere già formulato un giudizio definitivo sulle cose rendono chiusi ed insensibili i loro cuori alla novità di Dio. Sono sicuri dell’idea che si sono fatti del mondo e non si lasciano più sconvolgere nell’intimo dall’avventura di un Dio che li vuole incontrare. Ripongono la loro fiducia più in sé stessi che in Lui e non ritengono possibile che Dio sia tanto grande da potersi fare piccolo, da potersi avvicinare a noi. Alla fine, quello che manca è l’umiltà autentica, che sa sottomettersi a ciò che è più grande, ma anche il coraggio autentico, che porta a credere a ciò che è veramente grande, anche se si manifesta in un Bambino. Manca la capacità evangelica di essere bambini nel cuore, di stupirsi, e di uscire da sé per incamminarsi sulla strada che indica la stella, la strada di Dio …” (Omelia dell’Epifania, 2010). Queste parole ci devono far riflettere come insegnanti ed educatrici, ma ancora prima come persone credenti o in ricerca. Perché può accadere anche a noi di assomigliare alle “pietre miliari” di Agostino, bravi e preparati a indicare la strada che porta a Gesù e poi restare fermi nelle nostre convinzioni e forti dei nostri giudizi, senza lasciarci interrogare e sconvolgere nell’intimo dall’Evento di un Dio “così grande da farsi Bambino”. E se ci fossimo sbagliati su Dio? Se avessimo cercato con domande giuste, nel posto sbagliato? La fretta, la superficialità, i pregiudizi possono farci tirare conclusioni sbagliate. Il religioso e poeta David Maria Turoldo, scriveva: “Sbagliarsi su Dio è un dramma, è la cosa peggiore che possa capitarci, perché poi ci sbagliamo sul mondo, sulla storia, sugli uomini, su noi stessi. Sbagliamo la vita!”. “Cadere nelle sue braccia … la mia dolce rovina” (Turoldo) L’AMORE ASPETTA UNA RISPOSTA: “ANCH’IO TI AMO” (Abbè Pierre) La stella e le Scritture sono state le due luci che hanno guidato i Magi nella loro ricerca. Erano dei sapienti venuti dall’Oriente, erano uomini di scienza e avrebbero potuto dire: 2 facciamo da soli, non abbiamo bisogno di nessuno. Invece, i Magi con grande umiltà si mettono in ascolto delle Scritture. Anche noi, se vogliamo incontrare Cristo, il Vivente, dobbiamo liberarci dall’idea di voler far da soli o dall’idea dell’autosufficienza: solo mettendoci in ascolto della Parola possiamo incontrare Colui che ha posto la sua dimora in mezzo a noi (Gv. 1,14). L’incontro con Gesù di Nazaret è un incontro che cattura, che capovolge radicalmente la vita: è un incontro indimenticabile, è lasciarsi colpire dalla “malattia dell’innamorato”, perché questo è la fede: un rapporto d’amore con Cristo, un seguirlo, un mettere i nostri passi sulle sue orme. Con il suo calore ed entusiasmo, così si esprime il Card. Ersilio Tonini: “ ben venga il momento in cui si è costretti a capire che nostro Signore Gesù Cristo non lo si può accettare così come si accetta il cognome di tuo padre e di tua madre e le usanze del tuo paese. È un rapporto d’amore! Ci si fidanza per amore, mica per tradizione; ci si fidanza per conoscenza personale, perché hai soppesato che quello è fatto per te … per innamoramento. Finisce il cristianesimo dell’abitudine e incomincia il cristianesimo per innamoramento, ammirazione e stupore per Cristo, che quando ti ha preso ti ha cambiato la vita”. È la stessa esperienza urlata tanti secoli fa dal giovane Geremia, un profeta ferito a morte dall’amore di Dio: “Tu mi hai sedotto e io mi sono lasciato sedurre” (Ger. 20,7). Se lo conosci non puoi più fare a meno di lui e se scappi lontano … sei obbligato a ritornare sui tuoi passi ancora più sedotto di prima. Dio è “prigioniero” della libertà dell’uomo perché è Amore e l’Amore aspetta una risposta. L’Eterno che rispetta pienamente l’uomo gli dice semplicemente: “Se vuoi …”. A Gesù, però, non basta una risposta che si basa solo sul sentito dire … la gente dice, la Chiesa dice; da chi ha accettato di lasciarsi coinvolgere personalmente con Lui vuole una presa di posizione personale: “Tu cosa dici di me?” (Mc. 8,27-30)… Ecco le parabole di Gesù … Le parabole “costituiscono senza dubbio il cuore della predicazione di Gesù. Al di là del mutare delle civiltà esse ci toccano ogni volta di nuovo per la loro freschezza e umanità …” (Benedetto XVI, Gesù di Nazaret). Le parabole, appartengono al modo di esprimersi tipico della cultura orientale ed erano già in uso nell’Antico Testamento e nelle scuole rabbiniche al tempo di Gesù. Tanto che il giovane maestro di Nazaret non ha fatto altro che prendere questo tipo di linguaggio, e usandolo con grande maestria, con un’immediatezza, una vivacità, una semplicità, un’efficacia assolutamente uniche, ha dato alle parabole un’impronta tutta personale. Le parabole di Gesù sono comprensibili solo alla luce del suo insegnamento e del suo comportamento. Alcuni esempi di parabole: Parabole del Regno (Mt. 13, 1-50), il seminatore; la zizzania; il granello di senape; il lievito; il tesoro e la perla; la rete; il seme che cresce spontaneamente (Mc. 4, 26-29). Parabole della misericordia (Lc. 15, 1-37), la pecora ritrovata; la moneta ritrovata; il padre misericordioso e il figlio ritrovato; il buon samaritano. Per contrasto: la parabola del debitore spietato (Mt 18, 23-35). Parabole dell’invito e del rifiuto: i due figli (Mt. 21, 28-32); gli invitati al banchetto (Lc. 14, 15-24) o alle nozze (Mt. 22, 1-14); la porta chiusa (Lc. 13, 22-30); i mezzadri rivoltosi ( Mt. 21, 33-41). Parabole dell’attesa e del giudizio: gli operai dell’ultima ora (Mt. 20,1-16); il servo fidato (Mt. 24, 45-51); i talenti (Mt. 25, 14-30) o le mine (Lc. 19, 12-27); le dieci vergini (Mt. 25, 1-13); il ladro di notte (Mt. 24, 4244); il ricco stolto (Lc. 12, 16-21); il ritorno del padrone (Lc. 12, 35-40); l’amministratore disonesto (Lc. 16, 1-8). Parabole della preghiera: il giudice che si fa insistentemente pregare (Lc. 18, 1-8); il fariseo e il pubblicano (Lc. 18, 9-14); l’amico che si lascia piegare (Lc, 11. 5-8). 3 Le parabole sono storie più o meno sviluppate, inventate o prese dalla realtà di tutti i giorni e rispecchiano l’ambiente palestinese della vita dei villaggi; da fatti e avvenimenti del suo tempo conosciuti dai suoi ascoltatori; da situazioni sociali ed economiche: inviti, banchetto, tesoro nascosto, pesca, matrimoni. In queste storie si trovano comportamenti che il più delle volte sono sorprendenti e qualche volta sconcertanti, e sono accompagnati spesso da reazioni altrettanto inaspettate: il condono di grossi debiti, rifiuto di un invito, durezza del cuore, eccesso di pagamento del salario. Non dobbiamo dimenticare che Gesù è ebreo e si rivolge al suo popolo, e lo mette a confronto con il suo Dio, creatore e salvatore. Le parabole servono per avvicinare Dio al suo popolo attraverso l’azione di Gesù e per trasmettere il suo insegnamento in modo che sia meglio compreso e più facilmente ricordato pensando in termini di immagini e per portare vicino a chi ascolta ciò che era sconosciuto o pensato lontano. Questo insegnamento si ricava dall’insieme della storia non dai singoli particolari che possono risultare insignificanti. Le caratteristiche delle parabole, le possiamo riassumere così, Gesù: 1. esorta alla fiducia e indica la strada verso Dio; 2. intende far capire che vale la pena fidarsi dell’azione salvifica di Dio, accoglierla con gioia e donarsi a lui con tutta la vita; 3. manifesta la bontà misericordiosa di Dio: Dio non ci ama perché siamo buoni, ma amandoci ci rende buoni (questa pedagogia di Dio deve diventare la caratteristica delle nostre scuole: coi bambini, coi genitori, tra colleghe); 4. invita alla vigilanza. Le parabole di Gesù non sono delle semplici “storielle” per bambini, ma provocazioni per noi adulti e restano sempre “aperte”, perché esigono una risposta personale … la parabola si “chiude” non con la fine del racconto, ma con la tua risposta personale! Gesù entra nel mondo del suo ascoltatore e lo fa facendolo immedesimare nella storia della parabola che sta raccontando, fino a farlo diventarne una parte integrante: - Agiresti anche tu in questo modo, se ti venisse chiesto aiuto? - Anche tu non venderesti tutto? - Anche tu non lasceresti le cento pecore per cercarne una? - Anche tu non accoglieresti quel figlio tornato a casa? - Tu entreresti alla festa del fratello tornato dopo aver sperperato tutto? - Tu avresti accolto l’invito al banchetto di nozze? - Come avresti reagito se tu fossi stato l’operaio della prima ora? Le parabole impongono sempre una scelta: oltre che mezzo pedagogico, sono strumento di dialogo con gli ascoltatori che vengono provocati a prendere posizione, a ripensarci per convincersi, a schierarsi pro o contro il suo messaggio e la sua missione. “Si tratta di un duplice movimento: da un lato, la parabola trasporta la realtà lontana vicino a coloro che l’ascoltano e la meditano. Dall’altro, viene messo in cammino l’ascoltatore stesso. La dinamica interna della parabola … richiede la collaborazione di chi apprende, che non solo riceve un insegnamento, ma deve assumere lui stesso il movimento della parabola, mettersi in cammino con essa” (Benedetto XVI, id. p. 228). Nella interpretazione delle parabole occorre sempre ricercare il contesto originario in cui sono state narrate da Gesù, in modo che le immagini evocate non rimangano fine a se stesse, 4 ma siano portatrici dell’autentico messaggio di Gesù. Per questo: “ogni educatore, ogni maestro che vuole comunicare nuove conoscenze a chi lo ascolta si servirà sempre anche dell’esempio, della parabola. Per mezzo dell’esempio egli avvicina al pensiero di coloro a cui si rivolge una realtà che fino a quel momento si trovava al di fuori del loro campo visivo. Vuole mostrare come in una realtà che fa parte del loro campo di esperienza traspaia qualcosa che prima non avevano ancora percepito. Mediante la similitudine avvicina loro ciò che è lontano, di modo che, attraverso il ponte della parabola, giungano a ciò che fino a quel momento era loro sconosciuto” (Benedetto XVI, id. p. 228). SALE DELLA TERRA e LUCE DEL MONDO (Mt. 5,13-16). a. O il sale svolge il suo compito o viene trattato come rifiuto … non c’è niente di peggio dei cristiani di cui è rimasto solo il nome … sale in sé e per sé non è un alimento: la sua essenza è salare … cristiani esistono per gli altri … L’insegnante e l’educatrice cristiana non esiste per se stessa, è chiamata “sciogliersi” e ad esistere per i bambini, per i genitori, per le colleghe: la sua presenza, il suo modo di insegnare, il suo modo si stare con le persone deve “salare” … seguendo Cristo li aiuta a trovare il “sapore” vero della vita, degli affetti, del lavoro e dello stare insieme… b. Luce: non a causa delle opere di Dio si convertiranno gli uomini, ma a causa delle buone opere dei cristiani … Dio si è “consegnato” nelle nostre mani … quando saremo testimoni efficaci? Quando sapremo creare ponti di contatto, e sapremo mirare ad un agire che permetta agli altri di continuare … Possiamo dire che le parabole sono uno strumento che Gesù ha usato con grande maestria per guidare i suoi ascoltatori alla conoscenza della Verità. Queste hanno il compito di essere un annuncio iniziale che apre all’ascolto, suscitando il desiderio di chiedere. Le parabole sono come un enigma: questo ha il compito di smuovere chi ascolta e di metterlo nella prospettiva di una ricerca. È il primo passo verso la conversione: è una prima luce nella notte, è un invito a entrare nella casa dove la luce è piena, perché “veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo” (Gv. 1,9). Il senso della parabola è proprio suscitare la domanda. Essa mostrando senza far vedere e dicendo senza far capire, è particolarmente adatta ad aprire il desiderio di vedere e di ascoltare. Solo a chi domanda e ascolta con umiltà la risposta è concessa la conoscenza dei misteri del Regno di Dio. Il discepolo è colui che, rispondendo, interroga e lasciandosi interrogare dalla Parola si lascia coinvolgere personalmente divenendo così testimone della Parola stessa. Don Giuseppe Simoni 5