A PIÙ VOCI
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A PIÙ VOCI
A PIÙ VOCI (Risposta provocatoria ad alcune riflessioni degli amici di “Esodo”) Ça, je l’aurai jamais cru. (Edith Piaf) Come si presentano i grandi avvenimenti della Storia? In maniera inaspettata e improvvisa. Ma una volta accaduto, ci rendiamo conto di non essere sorpresi. (Milena Jesenská, destinataria delle Lettere a Milena di Kafka, morta nel lager di Ravensbrück. Lei, non ebrea, girava per le strade di Praga con la stella gialla sul cappotto.) Certe idee il cui valore prima era insignificante avevano prevalso, certi personaggi che prima nessuno avrebbe assolutamente presi sul serio, ora mietevano allori. (…) Le convinzioni di cui si era certi erano travolte dall’incertezza. (Robert Musil) L’estate del 2014 resterà probabilmente nei libri di storia: una di quelle date un po’ artificiali ma utili come segnavia. Tutta la storia del Novecento sarà forse vista come l’apogeo dell’Occidente e l’inizio del suo tramonto, il trionfo tardivo, e in un altro senso, della profezia reazionaria di Spengler. In ogni caso, e abbandonando il terreno delle visioni apocalittiche, forse solo in questi ultimi mesi ci siamo davvero resi conto delle conseguenze del crollo del Muro di Berlino. Ricordo che allora mi commossi, pervaso da un senso di liberazione. Il mio ex professore di storia e filosofia al liceo, un sacerdote barnabita di rara intelligenza e di grande umanità, mi ammonì: “Adesso tutto andrà ancor peggio di prima.” Come notò De Certeau, con la caduta dell’Urss cadeva il mito del miglioramento della storia. Dalle mappe sparivano i luoghi utopici. E si vaneggiò di fine della storia. In realtà si cominciò ad annullare tutto quello che si era costruito nel secondo dopoguerra: le parole che risuonano così bene nella nostra Costituzione, quelle grazie alle quali si era costruita l’Europa postbellica, la famosa economia di mercato sociale, modello delle sinistre democratiche e del cristianesimo sociale, quelle parole sembrano ora obsolete, vuota retorica. Il solo evocarle suona patetico. Un capolavoro del pensiero unico. Hanno ragione le agenzie alla Morgan Stanley: le nostre costituzioni non sono fatte per gli appetiti del capitalismo nella sua declinazione finanziaria. Il capitale finanziario che circola nel mondo è di cinque volte superiore al capitale produttivo (255 miliardi di dollari in moneta rispetto a 55 miliardi di dollari in beni materiali). (Dai giornali) 85 miliardari possiedono da soli il reddito di 3 miliardi e mezzo di poveri. (Dai giornali) L’Occidente (17% dell’umanità) consuma l’80% delle risorse mondiali. (Dai giornali) Ommini da venì, sséte futtuti. (Giuseppe Gioachino Belli) È prevedibile un grande futuro per un mondo così? O il problema è solo quello di sapere quando si andrà a schiantare? In Italia, dal 1956 in poi, si sono consumati 8 mq di suolo al secondo. Dagli anni ’90 in poi (ventennio berlusconiano) 10 mq al secondo. E oggi abbiamo 20 milioni di stanze vuote e più di 1 miliardo di metri cubi di edifici industriali e commerciali inutilizzati. (Dati Ispra) A Milano 900.000 mq di uffici vuoti. E 90.000 mq di abitazioni sfitte o invendute. (Dati Stefano Boeri) A Roma 150.000 mq di abitazioni invendute o sfitte. (Dai giornali) 70.000 passeggeri al giorno sull’alta velocità. 3 milioni di pendolari che quotidianamente viaggiano in condizioni precarie e disagiate, su treni sgangherati, perennemente in ritardo, e stazioni cadenti. Il Meridione abbandonato a se stesso. (È cronaca quotidiana, ed esperienza vissuta.) Però si continua a pensare che l’incremento dell’edilizia sia la panacea per uscire dalla stagnazione. Il sedulo ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, per fortuna rimasto quasi senza risorse economiche, continua a progettare e sostenere alte velocità, scavi petroliferi e via appaltando, nonostante gli scandali e la comprovata perversione del sistema. Mentre il territorio va in malora, mancano le carceri, molte scuole sono pericolanti. E, per restare nell’ambito delle parole-mantra, che dire delle taumaturgiche “privatizzazioni”? Le vuole l’Europa, si dice. Ma abbiamo presente che ne è stato, in Italia, della maggior parte delle privatizzazioni già avviate, a partire dall’ Ilva? O delle autostrade? O del tanto amato project financing, la realizzazione di opere pubbliche teoricamente senza oneri finanziari per la pubblica amministrazione? Quasi tutte in rosso pochi giorni dopo l’inaugurazione (quando vengono concluse e non abbandonate a metà o strascinate in cantieri senza tempo): e lo Stato a ripianar le perdite. Certo, le partecipazioni statali son diventate carrozzoni clientelari (ma non sempre) e gli enti pubblici si sono buttati in attività inconsulte. È evidente che il sistema va rivisto. Ma senza dimenticare che furono create, le famose partecipazioni, per risanare i fallimenti dei privati. E la vecchia DC le incrementò ben conoscendo, per antica saggezza cattolica, la storica inconsistenza inprenditoriale della borghesia italica. C’è uno strano legame fra crisi e riforme. Da un lato si dice che senza riforme non si esce dalla crisi. Dall’altro i cittadini sanno che tutto ciò che accade, appena si presenta una “riforma”, è una detrazione di qualcosa. (Furio Colombo) E noi sappiamo che il governo del denaro organizzato è pericoloso esattamente quanto quello del crimine organizzato. (Franklin D. Roosvelt) Niente di ciò che concorre a formare il PIL ha a che fare con la vostra felicità. (Robert F. Kennedy) Non siamo più, e da tempo, cittadini italiani; siamo sudditi di un “sovrano” che si chiama governance europea: un’entità mai eletta, che risponde solo al “voto” dei mercati. È un governo di fatto che definisce le politiche dei paesi dell’ UE che gli hanno ceduto la loro sovranità, fino a concedere (…) un controllo preventivo sui propri bilanci. (Guido Viale) Eppure la crescita è il vitello d’oro davanti al quale si sacrificano interi paesi. Siamo disposti a tutto, a ogni tipo di efferatezza e di menzogna collettiva per crescere. Siccis oculis abbiamo assistito alla catastrofe greca. Per evitare la nostra, di catastrofe, abbiamo sospeso, nella sostanziale apatia generale, ogni regola democratica e stiamo subendo il terzo governo non eletto ma imposto dal peggior Presidente della nostra storia repubblicana. (Grazie a lui, con un Parlamento delegittimato da una sentenza della Corte Costituzionale, un governo non eletto, ma insediato dal Colle per prendere alcuni indispensabili provvedimenti economici, restaurare la precedente legge elettorale e andare in pochi mesi a nuove elezioni, si è invece incaponito, non richiesto, in una demenziale riforma costituzionale.) Siccis oculis vediamo l’umanità intera subordinata a istituzioni anonime e totalitarie, in vista del nuovo assetto geopolitico che si sta preparando. Lo Stato cambia forma e funzione e aspira a uniformarsi al modello dell’impresa. Solo il vescovo di Roma, Papa Francesco, sembra comprendere la gravità del momento. Consapevole della necessità di liberare la Chiesa dal fardello di una storia secolare piena di ombre e di predecessori mediocri o medievaleggianti, è lasciato sostanzialmente solo, al di là dei provvisori consensi mediatici. “Vai avanti tu che a me vien da ridere” sembrano dirgli da quel Vaticano dove non ama stare. Come nel presago Habemus papam di Nanni Moretti. Prima del 2008 gli Stati Uniti erano il principale partner commerciale di 127 paesi del mondo, la Cina lo era solo per un po’ meno di 70 paesi. Oggi Pechino è diventato il principale partner commerciale di 124 stati mentre Washington lo è solo di circa 70 paesi. (Alfonso Gianni, Il manifesto, 28.VIII.2014) Per non parlare della lungimirante politica cinese in Africa. Dei nostri politici solo Prodi aveva colto il cambio di paradigma. E infatti ce ne siamo liberati al più presto, con una delle tante pagine vergognose della nostra storia parlamentare. Una pagina che nello stesso tempo annunciava anche la morte del PD, prima ancora che il bulletto fiorentino gli assestasse il colpo di grazia. Tramonta l’egemonia americana (ma non la sua potenza militare) e l’intero pianeta cerca di rimettersi in asse secondo nuove linee di forza. L’Europa, abbandonata la sua vocazione continentale, keynesiana e riformista, ormai completamente americanizzata, è destinata a diventare una colonia degli Stati Uniti declinanti. (Il famigerato TTIP, il partenariato transatlantico per il commercio e l’investimento di cui in gran segreto si discute a Bruxelles, a questo serve: a rimpolpare l’economia americana e a subordinarle il mercato europeo. E a esautorare ulteriormente l’autonomia residua dei singoli stati). Solo in questo quadro si capisce anche come si è sviluppato il pasticcio ucraino. E sì che bastava leggere i grandi russi dell’Ottocento, a partire da Tolstoi... E smettere di inchiodare al solo periodo sovietico la Russia, paese da sempre a vocazione imperiale, con la Matuška Rossija nel cuore del più solitario mugicco siberiano. La politica dell’Occidente in Medio Oriente ricorda sempre più la filastrocca di Branduardi Alla fiera dell’Est. E venne l’acqua che spense il fuoco che bruciò il bastone che picchiò il cane che morse il gatto che si mangiò il topo che al mercato mio padre comprò. (Marco Travaglio) E davanti a una foto tremenda, non solo perché “barbara” ma soprattutto perché mostrava quello che di solito a noi si nasconde, cioè che cosa succede in una guerra, in un sol botto si sono buttati a mare Braudel, Le Goff, Duby, “Les Annales”, migliaia di pagine sulla lunga durata, gli studi sulla mentalità, le diverse cronologie ecc. E un coro unanime a evocare i conflitti di civiltà, il raccogliersi sotto le bandiere dell’Occidente in pericolo, Lepanto, mamma li turchi, il Feroce Saladino… I commentatori si son messi l’elmetto. E sì che bastava leggere Il grande gioco di Peter Hopkirk (Adelphi), avvincente come un romanzo di Kipling o di Graham Greene… E ricordare come in certe contrade la pratica dello sgozzamento sia adottata anche in altre circostanze, a esempio per uccidere pubblicamente una giovane coppia sposatasi contro la volontà dei genitori. Come da noi, fino a pochi secoli fa, i supplizi in piazza o ancor oggi, in Sicilia, lo strangolamento e poi lo scioglimento nell’acido di un ragazzino colpevole solo di essere figlio di suo padre o negli USA due ore di dolorosissima agonia per giustiziare un condannato a morte. E solo nel 1981, anni dopo il referendum sul divorzio (1974), in Italia venne abrogata la rilevanza penale della “causa d’onore”. Il genere umano non può sopportare troppa realtà. (Thomas S. Eliot). Le nuove generazioni assoggettate a un’idea pubblicitaria di normalità della vita. (Gianni Celati) La protezione dalla tirannide non è sufficiente: è necessario anche proteggersi dalla tirannia dell’opinione e del sentimento predominanti, dalla tendenza della società a imporre come norme di condotta e con mezzi diversi dalle pene legali le proprie idee e usanze a chi dissente... a costringere tutti i caratteri a conformarsi al suo modello. (John S. Mill) Sì, la realtà è intollerabile. Finché c’eran soldi ci si salvava col consumismo; poi con l’evasione spiritualeggiante (ma se si toglie al cristianesimo la sua originaria carica di eversione sociale resta un linimento per anime belle); soprattutto con l’ottundimento mediatico e pubblicitario e con la finzione generalizzata. (Quante narrazioni stereotipate e quanto poca esperienza! Mentre l’industria dell’intrattenimento ha sostituito la cultura.) A mia memoria, mai vista un’informazione così servile col potere come quella di questi ultimi anni, con una compattezza melassosa e allarmante a partire dal terzo governo non eletto, quello del protervo di Pontassieve. Il populista democratico rimasto bloccato alla fase prepuberale, quella del “vediamo chi ce l’ha più lungo” e del “vince chi la fa più lontano”. Il risultato è un’assoluta mancanza di risultati (salvo quello, sintetizzato da Giorgio Airaudo, di avere la più alta età pensionabile d’Europa accoppiata alla più alta disoccupazione giovanile della storia italiana: bingo!). I ripetuti annunci meramente propagandistici hanno la stessa funzione, si parva licet, delle parate fasciste nei Fori imperiali. E una società ormai amorfa, senza capacità di reazione, chiusa nel suo “particulare”, giulivamente disposta a lasciarsi distruggere sotto il naso la carta costituzionale, l’unica “tavola dei valori” che, mai realizzata compiutamente, era comunque riuscita, per breve tempo, a trasformare il popolo italiano in uno stato. Per la prima volta nella sua storia bimillenaria. Ma questo esige la legge del capitalismo finanziario, in evidente ed ormai dichiarato conflitto con la democrazia. E nella complicità di tutti i governanti, e naturalmente della informazione più pensosa. Da quando il passato non getta più la sua luce sul futuro, lo spirito dell’uomo vaga nelle tenebre. (Alexis de Tocqueville) Ciò che la specie è per gli animali e le piante, per gli esseri umani è la storia. (Johann Gustav Droysen) E quale sarebbe l’utilità dell’utilità? (Gotthold Ephraim Lessing) Il mondo globalizzato e mediatico vorrebbe essere un mondo senza storia. Viviamo in un eterno presente, onirico. In questa nuvola senza tempo anche gli incubi vengono neutralizzati. Sono apocalissi di sabbia. I morti viventi che sgusciano dagli inferni che circondano l’Occidente ci passano accanto senza sfiorarci, se non per scandalizzarci. Tutt’al più ci imbarazzano. Contraddicono, con la loro sola presenza, la nostra enfasi sulla mitica crescita. Ce ne difendiamo criminalizzandoli. Dimentichiamo che li abbiamo colonizzati, sfruttati, massacrati. Disegnato nuove mappe, separando chi conviveva da secoli e unendo nemici secolari. Battezzandoli prima di sterminarli. O ingannandoli, chiudendoli in riserve, abbrutendoli con l’alcol, infettandoli ad arte,come gli esuli e i perseguitati europei fuggiti in America fecero coi nativi, nel tragico connubio di Bibbia e revolver, il peccato originale di quel grande paese. E per quanto riguarda la nostra cultura ne abbiamo reciso le radici. Ci interessa il conseguimento di scopi, la realizzazione di fini, non il senso generale, l’emergere del significato. L’utilitarismo e quella ragione che la Scuola di Francoforte chiamava “strumentale” hanno soffocato il pensiero. Non ci sgomenta più la mancanza di senso. E quindi non avvertiamo più la necessità di nutrire speranze. Il supremo passo della ragione sta nel riconoscere che c’è un’infinità di cose che la sorpassano. È ben debole, se non giunge a riconoscerlo. (Blaise Pascal) Il cuore, e non la ragione, sente Dio. Ecco che cos’è la fede: Dio sensibile al cuore, e non alla ragione. (Blaise Pascal) Se Dio tenesse nella Sua mano destra tutta la verità e nella mano sinistra il solo tendere verso la verità seppure con la condizione di dover andare eternamente smarrito e mi dicesse: “Scegli”, io mi precipiterei umilmente alla sua sinistra e direi: ”Concedimi questa, o Padre; la verità pura è soltanto per Te.” (Gotthold Ephraim Lessing) L’intera storia della Chiesa è un miscuglio di errore e violenza. (Johann Wolfgang Goethe) Si deve concedere a ognuno il diritto di credersi cristia no (…). Ciò che importa è il modo in cui uno legge la Bibbia e quel che così egli diventa. (Karl Jaspers) La religione crede di possedere la verità, la Verità Totale, la Verità Eterna e Immutabile: la Verità Divina. Crede anche di possederla non come frutto di un lavoro di ricerca e di sviluppo umano, ma come un dono ricevuto dall’Alto, dalla Rivelazione. (…) Per sua tradizionale natura, la religione non è amica di conoscenze dubbie, discutibili, non definitive, né di ristrutturazioni o cambiamenti di paradigma. (José Maria Vigil) La fede è un atto del cuore, non della ragione. La Tradizione ha inventato la verità, soppiantando la testimonianza. Una cosa è testimoniare la fiducia in una persona storica, altra cosa è proclamare una verità astratta. La misericordia del Samaritano (un infedele!) è degenerata nella proclamazione dogmatica. Nelle verità non negoziabili: quel tipo di convinzioni che rinfacciamo agli integralisti di altre tradizioni religiose e in nome delle quali siamo disposti a fare la guerra. Se non è pervertimento questo, non so che cosa lo sia: Illich l’aveva capito. In un mondo pluralista non è concepibile un’etica basata su principi assoluti. Solo la riapertura di uno spazio sociale e la disponibiltà a compromessi ragionevoli e provvisori possono portare a regole condivise, a un accordo intersoggettivo. Sforzandosi sempre di mettersi anche dal punto di vista degli altri e astraendo, per quanto possibile, dal proprio giudizio, come voleva Kant, che di giudizi si intendeva. Memori, anche nella più viva contrapposizione, di quella comunanza di destino cui tutti, in quanto uomini, siamo vocati. Nessuno, in nome di una supposta verità o di princìpi astratti, può negare la libertà legittima, cioè non prevaricatrice, dell’altro uomo. Una libertà libera anche dalla religione. E chi si professa cristiano dovrebbe avere a cuore più ancora di altri la pienezza del prossimo. Del resto i fondamenti metafisici non hanno nulla a che vedere con la fede biblica, che è storica, basata su degli eventi, non su degli enunciati e nemmeno su delle verità morali. La storia è opera dell’uomo, e la politica ne è lo strumento: l’azione politica è lotta e compromesso, valutazione e scelta (laica), trasformazione della realtà. Oggi invece la si è impoverita a ipocrita unanimismo, a pura tecnica di conservazione dell’esistente, mentre i proclami di un fantasmagorico cambiamento nascondono quanto spazio si lasci in realtà ai grandi interessi occulti e alla discriminazione. Occorre unire di nuovo pubblico e sociale, creare nuove radici: in sostanza riappropriarsi dello spazio che la globalizzazione ha appaltato al sistema dei media, alla rete, ai grandi gruppi economici che controllano l’informazione. Come ciò sia concretamente possibile non lo so; certo non riesumando vecchie parole d’ordine, usurate dal tempo e incapaci, temo, di interpretare e intercettare le nuove sensibilità, là dove ci sono, o di vincere un giustificato scetticismo. Guardandomi in giro vedo energie potenziali o trattenute, specie nella generazione più giovane; voglia di fare cose insieme, ma senza riuscire ad organizzarsi. Manca quella rete che una volta era costituita dai partiti, dai sindacati, dagli oratori (che tuttora sono spesso l’unico polo di aggregazione) e che non è pensabile si possa ritessere secondo il medesimo modello. Forse occorre la pazienza, quel “raccogliersi continuo verso la possibilità dell’ora”, secondo la splendida definizione di un Guardini dal timbro heideggeriano. Ma ci sarà tempo a sufficienza? There is a crack in everything / That’s how the light gets in. (Leonard Cohen) Post Scriptum. Tanto è tutta roba che, lo so, non serve a niente, ma se dovessimo buttare via tutto quello che, tutto quello che non serve a niente, non si può, neanche a volere, non si può, uno sguardo, per dire, incontri una bella ragazza, la guardi, a cosa serve? Alla televisione, stai a vedere i campionati europei d’atletica, i cento metri, i duecento metri, i quattrocento a ostacoli, il salto in alto, a cosa serve? O quando vengo giù dalla Marecchia, che è già notte, vedo San Marino e Verrucchio che è tutta una luce, delle volte mi fermo, si sentono tanti di quei grilli, a cosa serve? (Raffaello Baldini) Gianandrea Piccioli .