seminario 8 maggio 2012
Transcript
seminario 8 maggio 2012
Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma Centro Studi Codice di Procedura Penale Preg.mo Signor Consigliere Avv. Aldo Minghelli Relazione a corredo del seminario svoltosi in data 08.05.2012: Le tecniche d’intercettazione: dal sistema MITO al sistema DAEMON, incidenza sull’utilizzabilità dei risultati della captazione. **** La presente relazione è stata redatta con la collaborazione e a cura di: Avv. Massimo Biffa, coordinatore responsabile del Progetto di Procedura Penale; Responsabili e componenti della III e IV Sottocommissioni Scientifiche: Prof. Avv. Filippo Dinacci Avv. Carlo Bonzano Avv. Irma Conti Avv. Giuseppe Lombardi Avv. Stefano Pasquetti Avv. Rita Sbardellati Avv. Lucio Sgroi Avv. Ida Blasi Avv. Andrea Borgheresi Avv. Daniela De Zordo Avv. Gloria Testa Avv. Luciano Moneta Caglio Avv. Alessandro Pietrini Avv. Loradana Vivolo **** 1 Cenni introduttivi La materia delle intercettazioni è particolarmente complessa e numerose questioni sono state trattate dal momento dell’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale ad oggi, soprattutto ad opera della giurisprudenza della Suprema Corte, che più volte è intervenuta anche a Sezioni Unite. Non si vuole in questa sede ripercorrere l’intera materia, ma esclusivamente svolgere qualche riflessione sul tema specifico delle “tecniche di intercettazione”. In altri termini, la disciplina delle intercettazioni fissa per le modalità autorizzative ed esecutive delle stesse una serie di criteri di carattere generale, i quali dovrebbero conservare piena validità, nell’ottica della loro incidenza anche sul regime di legittimità ed utilizzabilità dei risultati della captazione, pur a fronte della progressiva e crescente evoluzione dei sistemi tecnologici adoperati dagli investigatori. Si tratta cioè di comprendere se, determinate tecnologie oggi in uso, rispettino i parametri generali che definiscono innanzitutto il concetto di “intercettazione”, se richiedano procedimenti autorizzativi particolari, se possano costituire validi strumenti di acquisizione legittima ed utilizzabile di conversazioni tra soggetti interessati dalle indagini. **** La definizione legale e giurisprudenziale del concetto di “intercettazione”. Principio di contestualità della captazione. Prima di entrare nel merito delle “tecniche” alle quali si intende fare riferimento per le loro peculiarità, pare necessario ricordare cosa debba intendersi per “intercettazione”. Secondo la definizione offerta dalla giurisprudenza di legittimità “… le intercettazioni regolate dagli artt. 266 e ss. c.p.p., consistono nella captazione occulta e contestuale di una comunicazione o conversazione tra due o più soggetti che agiscano con l’intenzione di escludere altri con modalità oggettivamente idonee allo scopo …” (cfr. SU., n. 36747 del 28.05.2003, Torcasio). 2 Da tale definizione si estrae un concetto che deve ritenersi particolarmente rilevante e significativo e cioè quello della “contestualità”. Sembra, infatti, doversi desumere che, ai fini della ritualità dell’intercettazione debba sussistere una effettiva “contestualità” tra captazione della conversazione, registrazione e trasmissione del dato fonico oggetto di registrazione. Il principio della contestualità parrebbe rivestire centrale importanza nel sistema e nell’assetto normativo attuale, nell’ottica della possibilità di assicurare pieno controllo da parte dell’Autorità Giudiziaria in ordine alla piena legittimità dell’attività di intercettazione rispetto al diritto costituzionalmente tutelato della riservatezza delle private comunicazioni. L’esperienza ormai quotidiana di procedimenti penali basati quasi esclusivamente sull’attività di captazione e sui suoi risultati, mediante tecnologie in continua evoluzione, denota tuttavia che il principio della “contestualità” subisce continue progressive erosioni, soprattutto con riferimento alle vicende dell’intercettazione che attengono alle fasi della trasmissione della registrazione e dell’ascolto della stessa. **** Erosione progressiva del principio di “contestualità”. E’ sufficiente porre mente al principio di diritto espresso dalla Suprema Corte con una delle notissime pronunce a Sezioni Unite, n. 36359 del 26.06.2008, Carli, secondo cui “… condizione necessaria per l’utilizzabilità delle intercettazioni è che la registrazione – che consiste nella immissione nella memoria informativa centralizzata (server) dei dati captati nella centrale dell’operatore telefonico – sia avvenuta per mezzo degli impianti installati in Procura, anche se le operazioni di <<ascolto>>, verbalizzazione e riproduzione dei dati registrati siano eseguite negli uffici di polizia giudiziaria …”. Sebbene anche da tale pronuncia possa apparire il riferimento ad un principio di contestualità esso appare delimitato al solo ambito del segmento del procedimento intercettivo concernente la “captazione” e “registrazione” dei dati. Oggetto dell’esame della pronuncia era la legittimità (e conseguente utilizzabilità) del sistema di intercettazione mediante “remotizzazione”. 3 Tale sistema, oggi quotidianamente adoperato, essenzialmente in materia di intercettazioni telefoniche, consente l’intercettazione mediante la “duplicazione” delle linee telefoniche obiettivo dell'indagine verso il Centro Intercettazioni Telefoniche (CIT) situato presso la Procura della Repubblica da cui è partita la richiesta, e gli operatori possono ascoltare e registrare la conversazione captata in tempo reale. Nonostante l’impiego di un metodo “peculiare” rappresentato dalla duplicazione delle linee telefoniche si è ritenuto che il sistema fosse pienamente legittimo e rispondente tanto alle esigenze di contestualità quanto di controllo delle modalità di esecuzione delle operazioni ad opera dell’Autorità Giudiziaria, segmentando le fasi esecutive dell’intercettazione come momenti autonomi, rispetto ai quali, la trasmissione o trasferimento dati si differenzia decisivamente rispetto al momento genetico della captazione. Quando ormai sembrava a tutti gli operatori del processi penali acquisito il dato della piena legittimità di tale tecnologia intercettiva, ci si è trovati innanzi ad ulteriori evoluzioni che per lo più attengono alle attività di captazione di conversazioni ambientali. **** L’evoluzione tecnologica in materia di intercettazioni ambientali in funzione delle crescenti esigenze di segretezza delle investigazioni. Le intercettazioni ambientali, come è noto, sono realizzate principalmente con l'impiego di microspie e/o di telecamere nascoste. Ciò che - in linea di principio e secondo le disposizioni codicistiche di riferimento - dovrebbe accomunare l’intercettazione telefonica a quella ambientale, è che la captazione delle conversazioni dovrebbe avvenire contestualmente all’ascolto delle medesime. Questo è ciò che, come detto, sembrerebbe imporre il codice di rito secondo una interpretazione anch’essa in costante cambiamento. Nondimeno, l’evoluzione tecnologica, spinta da esigenze di segretezza delle indagini, ha consentito lo sviluppo di tecniche che consentono l’ascolto differito e che rendono di fatto obsoleti i “vecchi” sistemi. 4 In linea generale, i comuni sistemi di intercettazione ambientale consentivano, una volta installata la microspia in un determinato ambiente, di captare tutto ciò che veniva detto in tale ambiente e contestualmente trasmetterlo agli investigatori in ascolto. Si trattava, in buona sostanza, di sistemi centralizzati, costituiti da computer di grandi capacità di archiviazione posizionati in Procura - in ossequio al disposto dell’art. 268 comma III c.p.p., a garanzia dell’immodificabilità del dato intercettato – che consentivano anche l’ascolto da altre postazioni situate fuori i locali della Procura (si badi bene: consentivano solo l’ascolto, e non anche la memorizzazione del dato captato, che avveniva comunque ed incondizionatamente sul server presso la Procura). In altri termini si trattava di una forma di intercettazione, in tutto e per tutto simile a quella telefonica più diffusa, con la sola differenza che il dato captato dalla microspia e poi inviato al server situato presso la Procura viaggiava via radio (ossia sulle frequenze della radio vera e propria). La registrazione della captazione, di fatto, avveniva direttamente e per la prima volta in Procura, sicché non si rendeva necessario il ricorso a decreti motivati tesi a legittimare il ricorso ad apparecchiature esterne alla Procura. Tuttavia, esigenze di segretezza delle investigazioni hanno indotto, anche per il diffondersi di sistemi di “bonifica” ambientale idonei a consentire da parte dei soggetti intercettati di individuare l’eventuale presenza di microspie, i produttori dei sistemi tecnologici a creare microspie che si avvalgono della trasmissione del segnale GSM. Tipico esempio di queste ultime è il sistema Daemon, denominazione che si identifica con un determinato produttore, ma che è solo uno dei tanti tra i più recenti e diffusi. Al riguardo deve osservarsi che sino alla creazione ed introduzione delle microspie ambientali GSM, le microspie ambientali inviavano la captazione attraverso le onde radio normali; poiché si trattava di apparati di piccole dimensioni, essi non possedevano una particolare potenza idonea a trasmettere il segnale radio oltre determinate distanze, fino addirittura ai servers delle Procure. Ciò obbligava gli operatori di PG a svolgere lunghi servizi di OCP e, nel caso in cui, per avventura, la microspia fosse installata su mezzi in movimento, ad esempio, un’autovettura, essa doveva essere costantemente seguita a breve 5 distanza, per evitare la dispersione del segnale e l’impossibilità di procedere all’ascolto. L’avvento della microspia GSM consente invece di trasmettere la captazione in tempo reale, mediante la rete di cui si avvalgono le schede normalmente in uso per i telefoni cellulari. La microspia, dunque, funziona come un telefono, quindi ovunque si spostava la persona poteva essere ugualmente intercettata. Anche tale sistema presenta, per le finalità perseguite dagli investigatori, alcune insufficienze, rendendo agevole l’individuazione della microspia. Per ovviare ai problemi di individuazione del segnale GSM e, dunque, delle microspie, sono state concepite microspie in grado di registrare e memorizzare il dato captato, per trasmetterlo in un momento successivo al server della Procura. La trasmissione, successiva al momento della registrazione e memorizzazione, è determinata dall’invio di un “comando” che si sostanzia nell’invio di un semplice sms. Di fatto la microspia funziona come una scheda telefonica. L’evoluzione di tale sistema ha consentito di sviluppare microspie che permettono la trasmissione dei dati via internet, con costi modestissimi. La pur affascinante tecnologia pone una significativa serie di questioni di carattere giuridico. In primo luogo se è vero che l’intercettazione dovrebbe perfezionarsi per la prima volta nel momento in cui entra nel server della Procura, con questo sistema, a ben vedere, si perfeziona per la prima volta nella memoria di massa della microspia, ove si materializza e “staziona” fino a che l’operatore non le dà il comando di trasmettere quanto captato. In altri termini, poiché la memorizzazione avviene per la prima volta all’interno della microspia posizionata nel luogo in cui si trovano gli interlocutori, la prima archiviazione del dato avviene all’esterno dei locali della Procura. Ciò comporta, da un lato, che il Pubblico Ministero dovrebbe adottare un decreto motivato che preveda l’utilizzo di apparati fuori dalla Procura per una delle ragioni individuate dal medesimo art. 268 co. III c.p.p. (insufficienza o inidoneità degli apparecchi in Procura ovvero eccezionali ragioni di urgenza) proprio perché la prima “intercettazione” avviene fuori dalla Procura, ossia nella microspia. 6 Dall’altro lato, ciò dovrebbe comportare, a fini di garanzia della genuinità della registrazione, che nel momento in cui il file memorizzato nella microspia viene trasmesso in Procura, esso si “cancelli” automaticamente dalla microspia, al fine di garantire che quello oggetto di trasmissione resti l’unico. Diversamente, la registrazione inoltrata al server della Procura costituirebbe un mero duplicato, e non il documento fonico originale. In secondo luogo, il sistema tecnologico in discussione non sembra allo stato poter garantire che la captazione ed il trasferimento dei dati siano avvenuti in un solo momento storico perfettamente individuabile e non, ad esempio, in momenti diversi o più volte. Ciò che si vuole dire è che, in mancanza di un sistema idoneo ad attestare con certezza giorno ed ora della captazione, nonché giorno ed ora della tramissione del dato, esiste il rischio che le registrazioni e le trasmissioni al server possano superare i limiti temporali di intercettazione previsti dall’art. 267 co. III c.p.p. (15 gg rinnovabili ovvero 40 gg rinnovabili). In altri termini, potrebbe accadere che, seppur la conversazione venga registrata entro i limiti temporali autorizzati, il suo trasferimento in Procura (e dunque il suo perfezionamento) avvenga oltre siffatti termini, ponendo ugualmente dubbi in ordine all’utilizzabilità. Infine, ulteriore problematica innescata da siffatte modalità di intercettazione “differita” attiene al tema della necessità di introdurre garanzie idonee ad impedire che la registrazione non subisca alterazioni, soprattutto nell’ipotesi in cui la sua trasmissione avvenga via internet. In buona sostanza, il dubbio generato dal sistema di cui si tratta risiede nella ipotesi, affatto inverosimile, che “taluno” possa inserirsi nella trasmissione dati, apportare modifiche alla conversazione registrata, per poi reinserire il file modificato nella memoria della microspia. In altri termini, allo stato attuale manca una garanzia o meglio una valida certificazione, che attesti la genuinità e l’assenza di alterazioni del documento fonico oggetto di trasferimento. ****** 7 Le prime pronunce di merito e di legittimità sulle più recenti tecniche d’intercettazione ambientale. Sulla materia di cui si è trattato, pare rinvenirsi un unico precedente giurisprudenziale. La questione proposta all’esame, prima dei giudici di merito, poi della Suprema Corte di Cassazione riguardava l’utilizzo del citato e descritto sistema, nella fattispecie denominato Daemon. I termini nei quali la questione era stata sollevata attenevano alla non riferibilità di tale tipo di tecnologia alla definizione legale (e giurisprudenziale) di “intercettazione”, sotto il profilo dell’assenza del requisito della contestualità di cui si è trattato in premessa. I giudici di merito investiti dell’eccezione, nell’ambito di procedimento de libertate ex art. 309 c.p.p., tuttavia, si esprimevano nei seguenti termini “… premesso che il mezzo di ricerca della prova è costituito esclusivamente dalla registrazione delle conversazioni e non dall’ascolto delle stesse (Cass. III sent. 4111 del 28.01.2008) ne consegue che è del tutto irrilevante il fatto che l’ascolto avvenga successivamente al momento della registrazione, come può avvenire nel caso del Demon, o anche in luogo diverso da quello ove la registrazione avviene, così come accade nel caso in cui la registrazione avvenga per mezzo degli impianti della Procura, ma l’ascolto avvenga <<in sede remota>> da parte degli organi di p.g. così come avviene con il sistema MITO (sulla cui legittimità la S.C. si è costantemente pronunciata, cfr. ex multis Cass. I sent. 35643/2008 Cass. VI sent. 2755 del 02.11.2009).” (Tribunale Riesame Napoli). Nella medesima decisione il giudice di merito adito affermava ancora che “il legislatore ha solo indicato il principio generale secondo cui le registrazioni devono avvenire mediante impianti in dotazione all’Ufficio della Procura, senza peraltro indicarne le caratteristiche tecniche, non tipizzabili a priori per il continuo sviluppo tecnologico degli strumenti tecnici, ed ha previsto che nel caso fossero utilizzati strumenti diversi da questi, le registrazioni dovevano essere precedute da provvedimento autorizzativo che contenesse insufficienza o inidoneità degli impianti della stessa Procura”. Sulla questione si pronunciava, infine, la Suprema Corte di Cassazione, I Sezione Penale, con sentenza n. 16289/2012, ric. Garofalo ed altro. 8 In particolare, nel respingere il motivo di ricorso sul tema dell’illegittimità e conseguente inutilizzabilità dell’intercettazione acquisita con il sistema tecnologico abbondantemente descritto, affermava “… il primo motivo (…) è quello che denuncia l’inutilizzabilità delle conversazioni captate con l’applicazione del programma Daemon, che, a differenza della tecnica cosiddetta di remotizzazione, implicante il solo decentramento spaziale dell’ascolto delle comunicazioni registrate, comporta il differimento temporale dell’ascolto non contestuale alla registrazione, ciò che sarebbe in contrasto con le disposizioni esecutive in materia, la cui osservanza è prevista dall’art. 271, comma I, c.p.p., a pena di inutilizzabilità dei risultati dell’intercettazioni. Va invece affermato che il Daemon, programma emulatore che crea periferiche virtuali, consentendo di accantonare i dati registrati in memoria e di differirne l’ascolto, al fine di prevenire il rilevamento del segnale audio da parte dei soggetti controllati e la sua neutralizzazione con apposita strumentazione di bonifica delle captazioni, non viola alcuna delle disposizioni esecutive delle operazioni di intercettazione, prescritte a pena di inutilizzabilità. La giurisprudenza di questa corte, invero, ha già chiarito che condizione necessaria per l’utilizzabilità delle intercettazioni è che l’attività di registrazione – la quale, sulla base di tecnologie attualmente in uso, consiste nella immissione di dati captati in una memoria informatica centralizzata – avvenga nei locali della Procura della Repubblica mediante l’utilizzo di impianti ivi esistenti, mentre non rileva che negli stessi locali vengano successivamente svolte anche le ulteriori attività di ascolto, verbalizzazione ed eventuale riproduzione dei dati così registrati, che possono dunque essere eseguite <<in remoto>> presso gli uffici della Polizia Giudiziaria (S.U. n. 36359 del 26.06.2008, dep. 23.09.2008, Carli, rv. 240395). Se, dunque, la sola attività di registrazione delle comunicazioni telefoniche e tra presenti postula, a pena di inutilizzabilità, l’applicazione delle suddette modalità esecutive, a tutela del fondamentale diritto del cittadino alla riservatezza della propria corrispondenza ex art. 15 Cost., ne discende che tutte le altre operazioni di ascolto, verbalizzazione e riproduzione dei dati registrati non solo possono essere spazialmente decentrate ma anche temporalmente differite, senza che ciò implichi contraddizione con il requisito dell’urgenza dell’intercettazione che riguarda solo la sua esecuzione attraverso la registrazione e la memorizzazione delle comunicazioni, senza implicare il necessario ascolto immediato dei contenuti labiali captati …”. 9 Ebbene, la soluzione interpretativa proposta dalla Suprema Corte appare solo in minima parte soddisfare i dubbi che nascono dall’impiego della tecnologia di cui si è abbondantemente trattato. **** Riflessioni conclusive. Come evidenziato le perplessità sono numerose e di non agevole risoluzione. Certo è che, la richiamata decisione denota ulteriore passaggio di erosione dell’invocato principio di “contestualità”, che viene relegato ai soli momenti della captazione e registrazione, risultando invece irrilevante rispetto ad ogni successiva vicenda dell’intercettazione. Conclusivamente, pare potersi osservare che, in tema di intercettazioni, l’evoluzione tecnologica sia idonea a trasformare e riplasmare il dato normativo: la norma processuale disciplina una tecnica esecutiva sulla base delle conoscenze del tempo in cui essa è adottata; se la tecnica si evolve in maniera esponenziale il dato normativo diviene “preistorico”, con evidente rischio di pregiudizio per le garanzie astrattamente, ma doverosamente, poste a tutela dell’interessato. 10