Il ruolo del settore pubblico nel pensiero di Minsky

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Il ruolo del settore pubblico nel pensiero di Minsky
Economic Growth: Institutional and Social Dynamics
PROGRAMMI DI RICERCA SCIENTIFICA DI RILEVANTE INTERESSE NAZIONALE 2005
WORKING PAPER SERIES
Il ruolo del settore pubblico nel pensiero di Minsky
Giuseppe Mastromatteo
Università Cattolica del Sacro Cuore
Milano
Working Paper 035
March 2008
This Working Papers Series aims to facilitate the dissemination of the research conducted by the members of the
research group "Economic Growth: Institutional and Social Dynamics", financed by the Italian Ministry of Education,
University and Research in 2005. The series proposes to focus on the complex interplay of institutional and social
dynamics as a key to understand the process of economic growth on both theoretical and empirical grounds, and to
represent a forum for constructive confrontation of different schools of thought on these topics.
1. Introduzione Nell’affrontare il ruolo del settore pubblico nell’economia e la società, le teorie economiche hanno proposto interpretazioni alternative e fra loro divergenti. Soprattutto le teorie keynesiane e post­key­
nesiane, che giustificano politiche di deficit di bilancio anche per la realizzazione di importanti obiettivi sul piano sociale, hanno affermato la funzione decisiva di tale intervento anche se hanno dovuto misurarsi con il non indifferente problema dei vincoli istituzionali, finanziari e di opportuni­
tà che tale azione comporta.
Minsky è stato uno degli economisti post­keynesiani che meglio ha aiutato a comprendere il ruolo e i limiti dello Stato nell’ambito dell’evoluzione di un’economia contemporanea, complessa e artico­
lata dove i vincoli finanziari sono predominanti nella definizione dei comportamenti di ogni unità economica. Nonostante la rilevanza delle sue analisi sul settore pubblico, esse sono state complessi­
vamente trascurate e il contributo minskiano è stato prevalentemente collegato all’operare del setto­
re privato e all’analisi degli effetti macroeconomici delle scelte di investimento1. Solo di recente al­
cuni importanti lavori hanno iniziato a riflettere su aspetti particolari delle posizioni di Minsky, qua­
li le politiche fiscali come strumento di intervento macroeconomico (Arestis e De Antoni, 2007), i problemi della fragilità finanziaria dello Stato e l’ambito di economie aperte integrate a livello inter­
nazionale (Wray, 2006; Wray, 2007a), le politiche per l’impiego e per il contrasto della povertà al fine di raggiungere una società equa (Wray, 2007b).
Obiettivo di questo saggio è fornire un’interpretazione del ruolo del settore pubblico negli scritti di Minsky, che, muovendo dal tentativo di individuare un elemento analitico unificante nella sua trat­
tazione, sottolinea l’originalità del suo pensiero in materia2 sia rispetto alla letteratura oggi più dif­
fusamente accettata (vedi Barro e Sala­i­Martin,1995), sia rispetto alla tradizione di pensiero post­
keynesiana a lui più prossima.
Per l’analisi metodologica delle basi microeconomiche del pensiero di Minsky si rimanda a Toporoswski, 2006; per l’analisi orientata alla Financial Instability Hypothesis, si vedano Wray, 1992, Lavoie,1986 e 1997, Lavoie e Seccare­
cia, 2001, Vercelli, 2001, De Antoni, 2007; per i modelli del sistema minskiano si rimanda a Tymoigne, 2006a,b,c; Nasica e Raybaut, 2005.
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Il rinnovato interesse per le opere di Minsky è sviluppato, in particolare, da parte de The Levy Economic Institute of Bard College presieduto da Dimitri B. Papadimitriou, che si concretizzando nella programmata edizione de The Collected Economic Papers of Hyman P. Minsky e nell’impegno alla riflessione su specifici aspetti del suo contributo in materia economica. 1
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L’elemento unificante è identificato nel metodo analitico usato da Minsky che descrive le scelte in­
dividuali e collettive come condizionate dai problemi di cash flow che le unità economiche devono affrontare. Questo metodo analitico, introdotto prima per le scelte del settore privato, è esteso anche a quelle del settore pubblico. Esso consente di evidenziare che gli interventi di questo settore gene­
rano effetti reali complessi, ossia mediati da effetti finanziari, che incidono sui bilanci delle singole unità economiche, modificando i surplus e i deficit di cassa, e sulle scelte di portafoglio attraverso l’emissione di strumenti finanziari vecchi e nuovi, volti a soddisfare le esigenze di liquidità della pubblica amministrazione. Questi effetti, che si ripercuotono sul comportamento dell’economia e della società e sulla possibilità di crescita e di stabilizzazione del reddito, sono risultati particolar­
mente rilevanti ed efficaci nei decenni immediatamente successivi alla crisi del 1929, nei quali si è assistito alla crescita dimensionale del settore pubblico. Per Minsky la presenza del settore pubblico incide sulla stabilità delle istituzioni finanziarie, in vari modi: sia attraverso la creazione delle riserve di seconda linea che queste istituzioni utilizzano per incrementare la propria liquidità; sia agendo sulla composizione delle strutture finanziarie, da un lato modificandone la dotazione di strumenti, e dall’altro portando alla formazione di mercati, che tendono ad adattarsi alle necessità di un operatore di grandi dimensioni quale è la pubblica ammini­
strazione. Minsky in particolare enfatizza la peculiare posizione del settore pubblico su questi mer­
cati, che consente una stabilizzazione del rapporto debito/PIL verso valori positivi, giungendo anche a sostenere la possibilità di una durevole posizione speculativa da parte dello Stato, tuttavia senza mai perdere di vista l’importanza di avere un settore pubblico con una posizione finanziaria solida e solvente.
Al riguardo si può considerare che la prospettiva minskiana si caratterizzi in modo peculiare ri­
spetto a quelle di stampo neoclassico3. La sua analisi non implica il pareggio del bilancio dello Sta­
to. Non di meno egli non manca mai di prestare attenzione alla necessità di garantire condizioni di sostenibilità finanziaria, giungendo a richiamare al riguardo l’esigenza di futuri surplus di bilancio posti per garantire la di credibilità delle istituzioni che governano la finanza pubblica. Un’approfondita disamina dei problemi di sostenibilità finanziaria delle unità economiche è affrontata in Afonso A. e Rault C. (2007) e in Bagliano e Bertola (1999).
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Attraverso il suo metodo Minsky ottiene una periodizzazione della storia moderna dell’eco­
nomia USA e del ruolo attribuibile al settore pubblico nelle diverse epoche.
Infine, lo stesso metodo analitico consente a Minsky di giustificare alcune opzioni di politica economica e sociale che egli propone per il periodo più recente della storia dell’economia degli USA, ossia quella della integrazione finanziaria globale. Il favore attribuito da Minsky alle politiche che favoriscono le fasce di reddito più basse e i consumi sociali è legato non solo alle maggiori pos­
sibilità di stabilizzazione e crescita economica che tali politiche consentono grazie alla stabilizza­
zione dei flussi di cassa delle unità economiche, ma anche alla necessità di raggiungere condizioni di vita sociale più eque e gratificanti.
Il lavoro è così organizzato. Il secondo paragrafo approfondisce l’evoluzione del pensiero di Minsky in tema di settore pubblico fino alla maturazione della sua analisi sul Big Government, che rileva anche i limiti dell’intervento dello Stato nell’assicurare stabilità e crescita. Nel terzo para­
grafo, si collega la comprensione dei passaggi storici e istituzionali dei cambiamenti del settore pubblico, all’equilibrio/squilibrio delle posizioni finanziarie dei soggetti economici rilevanti (fami­
glie, imprese, pubblica amministrazione), con i relativi effetti sulla produzione (formazione e cre­
scita dei profitti; composizione della domanda finanziaria) e sulla finanza. Il quarto paragrafo si incentra sulle politiche più opportune per consolidare la prospettiva di una crescita duratura e di una società equa. Tali prospettive, secondo Minsky, sono maggiormente garantite dal rafforzamento del­
la copertura finanziaria delle unità economiche tramite la stabilità del pieno impiego della forza la­
voro e un’equilibrata distribuzione del reddito. Nelle conclusioni si evidenzieranno gli aspetti di più rilevante interesse e i limiti di una costruzione teorica “aperta”, così come è concepita da Minsky, per offrire interpretazioni ed indicazioni utili alla più recente evoluzione dell’economia contempo­
ranea nei paesi più sviluppati. 2. Il metodo del cash flow applicato allo Stato nell’evoluzione del pensiero di Minsky 2.1 Tappe evolutive fondamentali del pensiero minskiano 3
Sin dalla stesura della sua tesi di dottorato (vedasi Minsky, [1954], 2004), l’economista americano pose al centro della sua attenzione l’analisi delle posizioni finanziarie delle singole unità economi­
che (si veda Toporowsky, 2006) da cui egli faceva dipendere le scelte individuali di spesa.
Tale metodo, introdotto per analizzare le scelte del settore privato, fu poi esteso a quelle del settore pubblico e ai suoi effetti. Benché per tutti gli anni sessanta e settanta, Minsky abbia sempre considerato l’esistenza del settore pubblico, la completa sistematizzazione del suo metodo di analisi allo studio di questo settore è nel­
la raccolta Can “It” Happen Again? del 1982 e in Stabilizing an Unstable Economy del 1986. Il passaggio temporale tra l’applicazione del metodo all’economia privata negli anni sessanta e la sua compiuta applicazione allo Stato negli anni ottanta è attribuibile all’itinerario intellettuale del­
l’autore, le cui scelte di approfondimento analitico furono influenzate dalla rilevanza che egli attri­
buiva ai problemi di policy prevalenti. I suoi interessi di ricerca furono così orientati. Nella prima fase della lunga carriera accademica, Minsky condivise il pensiero di Abba Lerner (vedasi Wray, 2007a, p.4): analizzando manoscritti minskiani redatti nei primi anni sessanta (Adelman e Minsky,1960), emerge che l’autore non ravvi­
sava problemi di sorta per la sostenibilità del debito pubblico emesso in valuta sovrana e per deficit fiscali cronici delle principali economie Ocse. Il debito statale rappresentava, in un’economia chiu­
sa, ricchezza finanziaria netta per il settore privato e una percentuale significativa di debito pubblico nei portafogli privati contribuiva a rendere più sicuro l’assetto delle loro attività e passività. Minsky argomentava quindi che questa situazione normalmente stimolava la spesa dei privati e, in una eco­
nomia stabilmente in crescita, come quella degli anni sessanta negli Stati Uniti, il disavanzo pubbli­
co consentiva di mantenere il pieno impiego4. Veniva invece già sottolineato, in un lavoro del 1963, ristampato poi in Can “It” Happen Again? (si veda Minsky, [1963a], 1982b, pp.31­33), che l’evoluzione positiva delle posizioni delle singole unità economiche (famiglie e imprese) in contesti macroeconomici critici potesse essere spiegata con l’accresciuto peso dell’intervento pubblico, evi­
denziando le conseguenze meno drammatiche della crisi finanziaria del 1962 rispetto a quella del 1929. I problemi dell’instabilità finanziaria del settore privato in contrapposizione agli effetti positi­
vi dell’intervento pubblico erano sottolineati in Minsky (1963b), secondo il quale una espansione 4
Questi interessanti riferimenti sono ripresi da un manoscritto di Adelman e Minsky (1960).
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guidata dagli investimenti privati tendeva a incrementare l’indebitamento e la fragilità finanziaria, mentre uno sviluppo sostenuto da investimenti pubblici poteva rafforzare la stabilità macroecono­
mica con la fornitura di assets più sicuri (governments bond emessi per far fronte al deficit). Anche in un saggio pubblicato nel 1964 (vedasi Minsky, 1964) emergevano idee sistematizzate successivamente in Can “It” Happen Again? (Minsky, 1982b) in base alle quali l’analisi dei flussi di cassa dei singoli operatori e quella dell’evoluzione del loro complesso sistema di debiti e crediti fossero cruciali per l’interpretazione della stabilità e della crescita del sistema economico.
Tra la seconda metà degli anni sessanta e la prima metà degli anni settanta la sua attenzione nel di­
battito sul rapporto tra economia privata e sistema pubblico fu assorbita dalla questione della stabi­
lizzazione della crescita in condizioni vicine alla piena occupazione che culminò nella sua interpre­
tazione alternativa di Keynes (Minsky,1975a) e degli avvenimenti conseguenti alla strategia econo­
mica dell’era Kennedy­Johnson basata su alti investimenti, elevati profitti e massicce spese militari. In questa fase apparivano evidenti per Minsky “chiari e scuri” delle politiche pubbliche allora rea­
lizzate: la funzione di stabilizzazione anticiclica era stata infatti tradizionalmente concretizzata, dopo la grande depressione del 1929, con le politiche di Big Government, mediante le leve del disa­
vanzo pubblico5 e della creazione di debito. Il Big Government si affermò e si consolidò nel tempo e specialmente nel secondo dopoguerra; Minsky riconosceva che la politica di espansione della spesa pubblica aveva risollevato la domanda globale e aveva impedito il riproporsi di profonde depressio­
ni senza tuttavia sanare l’intrinseca instabilità del sistema economico. Questa politica portava inevi­
tabilmente a inflazione e continue minacce di crisi finanziaria, se non si controllavano i meccanismi di finanziamento degli investimenti e senza una politica di alti consumi e di bassi investimenti pri­
vati (vedasi Minsky, 1975a, p.167).
Secondo Minsky (1986, p. 26­27), “a fundamental proposition in economics is that the sum of realized financial surplus (+) and deficits (­) over all units must equal zero.” L’interpretazione che ne dà Wray (2006,p. 9) è che “the no­
tion of a “government budget constraint” only applies ex post, as a statement of an identity rather than as an econom­
ic constraint in today’s floating rate system”. A parere di chi scrive, invece, Minsky anticipa sostanzialmente l’approc­
cio di Godley (2005), che considera l’economia composta di tre settori: settore privato interno, settore pubblico e resto del mondo e, dunque, avrebbe voluto sottolineare l’impossibilità di reggere a lungo situazioni di sbilancio, soprattutto con riferimento alla posizione finanziaria sull’estero, senza compromettere le situazioni debitorie interne. 5
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Dalla metà degli anni settanta in poi, la prospettiva dell’analisi teorica di Minsky mutò significati­
vamente e fu segnata dall’importante passaggio dell’abbandono del dollar­exchange­standard e del Bretton Woods System e dai cambiamenti, nelle economie aperte contemporanee, derivanti dal­
la fluttuazione nei sistemi di cambi tra le principali divise, dove la nozione di limite ai budget go­
vernativi costituì sempre di più un vincolo da rispettare. Tali cambiamenti hanno reso più fragile la posizione dello Stato, richiedendo una più attenta valutazione della posizione del settore pubblico sui mercati finanziari. Minsky ricordava, con preoccupazione, il rischio che, soprattutto in un siste­
ma a cambi flessibili, “the structure of the balance of payments of the banking center of the Bretton Woods system, the United States, became that of an impoverished economy…; with this impoverish­
ment, demand liabilities denominated in dollars lost some of their attractiveness”(Minsky, 1979, p.103)6. E, specificando che “standard economic theory ( which is used by the advisers to U.S. policymakers)
ignores the financial aspect of their economies” (Minsky, 1979, p.1047), evidenziava che “the technique of managing the net foreign acquisition of international money by influencing private investment abroad requires that the basic balance – the sum of Tier I (current im­
ports and exports of goods and services, including remittances and other invisibles) and Tier II (receipts and expenditures due to income from capital assets owned abroad) be in surplus (Minsky, 1979, p.117; per le sue definizioni di Tier 1 e Tier2, p.111).8 Di conseguenza, “for the international banks that acquired dollar­denominated assets as they emitted dollar­
denominated liabilities, a run on the dollar means that they cannot sell new dollar liabilities as such liabilities mature”(Minsky, 1979, pp.117­118).
Come ha evidenziato anche Wray, 2006, p.15, Minsky, 1979, p.111, esamina gli effetti che influenzano la bilancia dei pagamenti con un dettaglio specifico per le diverse componenti.
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La standard economic theory, cui accenna Minsky, viene definita nel medesimo contesto come price­specie­flow analysis.
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Ciò comporta, per Minsky, 1979, p.110, che “the financial environment hospitable to operations designed to resist ef­
forts to switch is one that makes the reserve currency scarcer, and thus more valuable, whenever switches are attemp­
ted”.
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Diventava pertanto fortemente condizionante anche per una economia whose currency is functioning as a key or riserve currency in international monetary relations (Minsky, 1979, p.119), come gli USA, la posizione finanziaria internazionale deficitaria (almeno a livello del ricordato basic balance) che evi­
denziava il rischio di compromettere seriamente anche quella dei “richiedenti prestiti”, in primis lo Stato, costretto a rifinanziarsi a condizioni più onerose e a vedere indebolita la sua capacità di sta­
bilizzazione in presenza di dinamiche recessive. Negli anni ottanta, a fronte dell’impatto della supply side economics, basato sul taglio delle tasse e sull’incremento delle spese per la difesa, Minsky si preoccupò dei problemi di sostenibilità finan­
ziaria dello Stato portando a compimento l’ipotesi di instabilità finanziaria in Can “It” Happen
Again? (Minsky, 1982b,9) e avanzando la propria critica serrata del Big Government in Stabilizing an Unstable Economy (Minsky, 1986). In questi fondamentali contributi teorici Minsky richiamò la necessità di costruire un sistema di istituzioni “robusto” e di interventi in grado di contrastare l’in­
stabilità endogena del sistema, contenendo da un lato gli effetti prodotti dalla propagazione di crolli finanziari con le conseguenti pressioni recessive e deflazionistiche, ed evitando al contempo l’intro­
duzione di misure foriere di un processo di inflazione cronica. 2.2 Il ruolo del Settore Pubblico nell’Ipotesi di Instabilità Finanziaria
La notorietà di Minsky è essenzialmente legata alla Financial Instability Hypothesis che deriva dal­
l’analisi dei comportamenti finanziari delle singole unità individuali, estendendosi alle economie nel loro complesso. La visione di Minsky, alimentata da una profonda conoscenza del funzionamen­
to delle istituzioni, sia dal punto di vista pragmatico che da quello storico, implica un rapporto in­
scindibile fra la dimensione reale e quella finanziaria dei sistemi capitalistici moderni. Essa fonde l’elemento essenziale della convalida delle aspettative (aspetto reale determinante per la spiegazio­
ne della dinamica economica) con l’osservazione del ruolo della liquidità nei bilanci individuali, analizzandone le interrelazioni e le simmetrie a livello sistemico (dal momento che ciascuna passi­
vità di bilancio individuale si rispecchia nelle attività di almeno un altro agente, creando quella rete Occorre ricordare che Can “It” Happen Again? è il frutto di una raccolta ripensata di una pluralità di interventi svi­
luppati da Minsky a partire dalla metà degli anni cinquanta fino agli inizi degli anni ottanta.
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di relazioni finanziarie, che in ultima analisi sono responsabili dell’intensità della dinamica econo­
mica). In estrema sintesi, Minsky fa propria l’idea keynesiana dell’esistenza di incertezza fonda­
mentale, a cui si associa una intrinseca instabilità delle aspettative, ma la estende, rendendo evidenti non solo le ragioni endogene (ed eminentemente finanziarie) alla base delle fluttuazioni cicliche, ma anche la natura evolutiva, storicamente dipendente, di tutte le istituzioni, mostrando con questo l’e­
clettica del suo approccio. In particolare nell’introduzione di Can “It” Happen Again? (Minsky, 1982b) e nei capitoli V, VI e X10, Minsky completa la sua visione macroeconomica, integrando nel quadro il ruolo cruciale, ma non necessariamente positivo (in quanto potenzialmente destabilizzante), dello Stato. In tale analisi, come noto, la relazione tra i flussi di cassa determinati dalla scansione di incassi e pagamenti può collocare ogni unità economica in una posizione finanziaria “coperta”, ossia con una previsione di incassi in ogni periodo di tempo futuro superiore agli impegni di pagamento; oppure in una posizio­
ne finanziaria “speculativa”, ossia con periodi di tempo, di norma in un arco breve, in cui gli impe­
gni di pagamento superano gli incassi; o infine in una posizione ultraspeculativa (o Ponzi) quando ci si attende che, per molti periodi futuri, il servizio del debito sarà superiore ai ricavi netti dell’uni­
tà economica e quindi sarà necessaria e richiesta l’accensione di nuovi debiti e/o la vendita di attivi­
tà.
Le famiglie, le imprese e le unità del settore pubblico, mediante il rapporto tra gli impegni contrat­
tuali di pagamento delle passività e i flussi di entrata, si possono posizionare in ciascuna delle tre si­
tuazioni finanziarie descritte (Minsky, 1982b, pp.22­23) e il passaggio da una all’altra di queste po­
sizioni incide sull’evoluzione delle relazioni di credito, delle strutture finanziarie e conseguente­
mente sulla dinamica dell’intero sistema economico.
La fragilità di quest’ultimo, definita dalla verosimiglianza del verificarsi di una repentina inversione del ciclo economico, prodotta dalla revisione in senso pessimistico di aspettative precedentemente positive, se non addirittura euforiche, nonché dalla gravità degli effetti innescati da tale mutamento, dipende dalla presenza relativa di posizioni di tipo speculativo e/o ultraspeculativo, rispetto a quelle I menzionati capitoli sono riproposizioni di lavori precedenti. Nello specifico: Capitolo V The financial Instability Hypothesis: A Restatement, in Thames Paper in Political Economy, 1978; Capitolo VI Financial Instability Revisited: The Economics of Disaster – riduzione della versione originale che è stata scritta nel 1966, rivista nel gennaio 1970, poi pubblicata in Minsky,1972b; Capitolo X An exposition of a Keynesian Theory of Investment, Minsky, 1972a.
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coperte: maggiore è il peso relativo delle unità che operano in posizione finanziaria “speculativa” o ultraspeculativa, maggiore è la fragilità del sistema, ossia più elevato è il rischio di instabilità.
Nella interpretazione minskiana, lo Stato è per sua natura in posizione finanziaria non coperta, ma deve orientare la gestione di tale posizione per assicurare le condizioni finanziarie necessarie a ri­
manere protagonista, sia nel fornire il sostegno al capitale privato in funzione anticiclica, sia nel­
l’attivare interventi utili sul piano sociale e occupazionale.
L’approccio di Minsky consente di comprendere che il ruolo dell’intervento pubblico è eminente­
mente dinamico, nel senso che esso è essenziale al contenimento dell’instabilità e della fragilità pro­
dotta da un processo di crescita trainato dall’evoluzione degli investimenti, a loro volta radicati nel­
la complessa interazione fra aspettative e pressione dei vincoli finanziari, ossia risultato della rela­
zione fra istanze di profitto e liquidità (Minsky, 1986, p.197). Esso inoltre, permette di approfondire i meccanismi che determinano la posizione finanziaria del settore pubblico e le problematiche che ne limitano possibilità di intervento ed efficacia.
La catena causale minskiana procede da un aumento degli investimenti che, secondo l’autore, incre­
menta il reddito nazionale e i profitti. L’analisi della dinamica ciclica parte convenzionalmente dal termine di una recessione che ha condotto il sistema, da un lato a sperimentare una contrazione del­
la produzione, con conseguente aumento della disoccupazione e della capacità produttiva inutilizza­
ta, una caduta dei redditi, della spesa e dei risparmi .….; ma dall’altro ha implicato una diminuzione della fragilità (ed in definitiva una stabilizzazione delle aspettative)11, a causa del fallimento, e con­
seguente sostanziale sparizione, delle unità ultraspeculative e speculative. In questo contesto, un aumento della domanda potenziale si traduce in aumento della domanda effettiva, senza produrre tensioni inflazionistiche, dunque le aspettative vengono realizzate e addirittura possono essere supe­
rate dai risultati. Diventa generale l’orientamento a rivedere al rialzo le aspettative sui ricavi futuri e sui profitti; si abbassa inoltre la percezione del rischio di fallimento da parte delle istituzioni finan­
ziarie con l’effetto di diminuire gli spread applicati per tener conto dei rischi finanziari. I profitti realizzati consentono di aumentare le risorse a disposizione delle imprese e alimentano la spinta a nuovi investimenti che sono programmati sulla base di un profilo di rendimento (e ovviamente di ri­
La spiegazione dell’esistenza di un limite alla caduta del sistema costituisce uno dei punti più controversi dell’inter­
pretazione del contributo di Minsky. Si rinvia a titolo esemplificativo a Dymski e Pollin, 1992. 11
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schio) in linea con il passato o più probabilmente crescente. La combinazione di una valutazione più ottimistica dei margini attesi per il futuro e una comune e più lieve percezione del rischio, anch’essa effetto di una revisione delle aspettative in senso migliorativo, incrementa i livelli di indebitamento e diffonde investimenti finanziari meno liquidi, portando al riemergere di posizioni speculative o ul­
tra­speculative. In questa prospettiva il legame tra domanda effettiva e profittabilità assume un ruolo cruciale. Min­
sky adotta al riguardo l’impostazione di Kalecki: “Profit are not the result of the technical productivity of capital but are due to the types and sources of financed demand. The great insight into the determination of profits in our economy that is associated with Kalecki­ is that profits arise out of the impact of the accumulation process on prices”.
(Minsky, 1982b, Introduction, pp.xix.).
Seguendo Kalecki nell’analizzare la distribuzione del reddito, Minsky attribuisce anche alla do­
manda di beni e servizi provenienti dal settore pubblico un ruolo positivo (Minsky, 1986, pp.
144­170) nella determinazione del livello dei profitti. Ed anche su questo punto la trattazione di Minsky non prescinde dalla valutazione del contesto storico­istituzionale:
“Whereas in the small government economy of the 1920s profits were well nigh exclusively depend­
ent on the pace of investment, the increase in direct and indirect state employment along with the ex­
plosion of transfer payments since World War II means that the dependence of profits on investment has been greatly reduced. With the rise of big government, the reaction of tax receipts and transfer payments to income changes implies that any decline in income will lead to an explosion of the government deficit. Since it can be shown that profits are equal to investment plus the government’s deficit, profit flows are sustained whenever a fall in investment leads to a rise in the government’s deficit. A cumulative debt deflation process that depends on a fall of profits for its
realization is quickly halted when government is so big that the deficit explodes when income falls.” (Minsky, 1982b, Introduction, pp.xix­xx).
Dunque, l’analisi di Minsky dell’evoluzione delle posizioni finanziarie delle singole unità economi­
che non può prescindere dall’esame di “any given regime of financial institutions and government interventions” (Minsky, 1982b, p. 22), tanto più, stante l’esistenza di un settore pubblico che per la sua ri­
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levanza e dimensione incide profondamente sull’organizzazione dei mercati finanziari e sugli stru­
menti in essi usati. D’altro canto, anche in presenza dell’intervento pubblico “the performance of the economy depends upon the satisfaction of financial as well as income production criteria” (Minsky, 1982b, p.22), quanto a dire che la dimensione finanziaria non è solo è condizionata, ma altresì agisce sullo Stato. Una via alternativa per esprimere la catena causale nella teoria di Minsky può essere così esposta: il tasso di crescita di lungo periodo è determinato dalle vendite e dai profitti,12 le cui oscillazioni sono a loro volta legate a quelle degli investimenti che insieme alla spesa pubblica determinano il livello del reddito, la distribuzione dello stesso, quello della ricchezza e l’evoluzione dell’economia. Inte­
ragendo con le decisioni di investimento e influenzando le politiche di government spending, il cre­
dito e la finanza diventano il motore dello sviluppo. La spinta propulsiva dell’economia deriva dal­
le aspettative sui profitti che si traducono in progetti concreti di investimento. Uno strumento di ma­
novra, in caso di rallentamento della spinta propulsiva, è senz’altro la politica monetaria (Minsky, 1986, p.303­304), che influenza l’andamento del reddito e dell’occupazione agendo sia sul valore delle attività possedute sia sugli aspetti finanziari (solvibilità e liquidabilità di imprese, famiglie e istituzioni finanziarie). L’efficacia della politica monetaria è tuttavia limitata in quanto, se i profitti correnti e attesi sono contenuti, essa non riesce a stimolare gli investimenti, a differenza della politi­
ca fiscale che sostiene direttamente il livello della domanda, dei redditi e dei profitti.
Il rifinanziamento mediante gli interventi del prestatore di ultima istanza diviene efficace solo se abbinato all’effetto stabilizzante sui profitti esercitato dai disavanzi del settore pubblico.
Infine, la necessità di finanziamento del settore pubblico, specie quando questo aumenta di dimensione, finisce con l’incidere sugli strumenti e sull’organizzazione dei mercati finanziari, gene­
rando un nuovo contesto operativo dal quale ogni unità economica non può prescindere nel prende­
re le sue decisioni. L’intervento pubblico pertanto incide sull’andamento dell’economia sia perché sostiene la domanda, re­distribuendo ad esempio reddito a favore dei ceti sociali meno abbienti, sia perché trasforma la struttura finanziaria, facendola adeguare alla soddisfazione delle proprie neces­
sità di finanziamento. Ma, mentre l’effetto del deficit pubblico sul reddito, che opera attraverso la domanda di beni e servizi, è stato ampiamente analizzato dalla letteratura macroeconomica, gli ef­
Testualmente “business profits are the key element in determining how well a capitalist economy works” in Minsky, 1986, p.303.
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fetti finanziari evidenziati da Minsky (1986, pp. 26­33) sono stati spesso trascurati. Si tratta dell’ef­
fetto sui bilanci delle singole unità economiche, che opera attraverso la generazione di surplus e de­
ficit di cassa, e dell’effetto sulle scelte di portafoglio individuali e, di conseguenza, sulle strutture fi­
nanziarie, che dipendono dall’emissione di strumenti vecchi e nuovi per soddisfare le esigenze del settore pubblico. Esaminando il caso della recessione del 1975 negli USA, Minsky (1986, p. 35) ricorda che il finanziamento del disavanzo pubblico è avvenuto attraverso l’acquisto dei titoli di debito da parte delle istituzioni finanziarie, a fronte delle passività delle stesse in depositi di risparmio ed altre for­
me tecniche in campo assicurativo e previdenziale verso le famiglie. Viene così chiaramente sottoli­
neato che negli Stati Uniti, in contesti recessivi, il collocamento rilevante di titoli di debito pubbli­
co presso le istituzioni bancarie e finanziarie consente la creazione delle riserve di seconda linea che queste istituzioni usano per ridurre la loro esposizione al rischio verso l’economia privata e per migliorare la struttura finanziaria del loro bilancio, tanto che “the huge acquisition of government debt by commercial banks and other financial organizations thus financed the government debt, and in the process, the balance sheets of acquiring organizations were markedly changed. Government debt is free of default risk: whatever the government debt con­
tract says will be forthcoming will, in fact, be forthcoming” ( Minsky, 1986, p. 35). Lo strumento del debito incide anche sulla formazione, strutturazione ed evoluzione dei mercati fi­
nanziari, che sono resi più liquidi e consistenti e tendono ad adattarsi alle necessità di un operatore di grandi dimensioni quale è la pubblica amministrazione. Lo Stato certamente può più di altre unità emettere debiti per far fronte ai suoi impegni e questa natura dell’intervento pubblico contribuisce a creare una gerarchia (o una piramide di operatori) con diverse possibilità o strumenti di incasso e di esborso finanziario. Nel caso del settore pubblico la affidabilità e la credibilità delle istituzioni che gestiscono la politica economica garantisce la so­
stenibilità del debito: “government debt is marketable, and its marketability is ultimately guaran­
teed by the Federal Reserve System” (Minsky, 1986, p.35). Inoltre, il settore pubblico può cambiare la struttura delle scadenze del suo debito, anche adattandola alle necessità del settore privato di in­
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vestire in attività a lungo termine a basso contenuto di rischio13: al riguardo Minsky chiarisce che il debito pubblico ha anche una funzione di stabilizzatore finanziario, ossia di “magazzino di potere finanziario” dove poter destinare, anche provvisoriamente, le risorse con un predefinito rendimento in attesa che si verifichino scenari più favorevoli per l’investimento privato, (Minsky, 1986, p. 37). L’effetto di stabilizzazione del Big Government nelle fasi recessive, derivante dalla possibilità da parte delle istituzioni finanziarie e dei privati di acquisire attività sicure e garantite tramite l’acqui­
sto di titoli di debito pubblico, si lega al miglioramento della liquidità dei portafogli finanziari, an­
che se il reddito aggregato e l’occupazione sono in flessione. Pertanto la ricomposizione delle posi­
zioni finanziarie in modo più favorevole alle famiglie e alle imprese finanziarie e industriali ha un effetto tanto più positivo, quanto più è rilevante il ruolo dello Stato e l’impatto finanziario del debi­
to pubblico (Minsky,1986, pp. 36­37).
Gli effetti di stabilizzazione dei profitti e dei portafogli e delle strutture finanziarie sono per Minsky (1986, pp.33­37) risultati cruciali della formazione del Big Government, il quale tuttavia ha anche generato i presupposti per nuove forme di instabilità del sistema economico. In Stabilizing an Un­
stable Economy, Minsky spiega perché l’economia statunitense risultava negli anni settanta e ottan­
ta del XX secolo più instabile che nel trentennio precedente e perchè questa instabilità non ha tutta­
via portato a una depressione analoga a quella del 1929.
Le ragioni, secondo Minsky (1986, pp.14­15), vanno ritrovate nel ruolo sinergico del Big
Government e del Federal Reserve System. L’analisi delle crisi del 1975 e del 1982 e delle diffi­
coltà sorte in misura più contenuta nel 1966, 1970 e 1979 mostra con chiarezza il positivo impatto del coordinamento tra l’azione di sostegno fiscale del Big Government e quello del pronto interven­
to assicurato dal lender­of­last­resort (o di garante della solvibilità dei mercati monetari e finanzia­
ri) per la prevenzione delle depressioni e per la stabilizzazione:
Va ricordato che Minsky riferisce la sua teoria allo specifico dell’economia americana; per analisi di situazioni diverse, come nel caso italiano del secondo dopoguerra, si rinvia a titolo esemplificativo a Balducci, 1979, pp.357­404. Il presup­
posto del basso contenuto di rischio dei titoli emessi dallo Stato non si verifica tuttavia in molti casi: per esempio, quando le emissioni siano in valuta estera, oppure sia promessa una conversione dei titoli in altre attività che lo Stato stesso non può creare (tipico è il caso dell’oro). Nel contesto statunitense, Minsky non rileva effetti di spiazzamento (crowding out) degli investimenti privati da parte dell’intervento pubblico, ed al contrario ritiene preminente l’ipotesi di Kalecki che la spesa pubblica, anche se finanziata in disavanzo e con emissione di titoli di debito, favorisca la realizzazione dei profitti e pertanto il credito all’economia privata.
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“Big Government stabilizes not only employment and income but also business cash flows (profits) and as a result asset values (e Minsky inserisce in nota: This is a proposition derived from the work of Kalecki)”; “the Federal Reserve System, in cooperation with other government agencies and private financial institutions, acts as a lender of last resort. It will be argued that the combined behavior of the government and of the central bank, in the face of finan­
cial disarray and declining income, non only prevents deep depressions but also sets the stage for a serious and accel­
erating inflation to follow. The institutions and usages that currently rule have not prevented disequilibrating forces from operating. What has happened is that the shape of the business cycle has been changed: inflation has replaced the deep and wide trough of depressions.” (Minsky, 1986, pp.14­15).
Il Big Government (Minsky, 1986, p.19) riveste quindi un ruolo determinante, nel bene e nel male, per l’economia contemporanea. Secondo Minsky (1986, pp. 13­37), l’esperienza storica mostra sia la capacità complessiva del sistema di deficit spending pubblico di contrastare la recessione, sia la presenza di effetti collaterali negativi generati dall’intervento pubblico; primo fra tutti l’inflazione, che porta all’inefficienza nelle decisioni di investimento e costituisce una tassa ingiusta, se attuato in fasi non recessive (Minsky, 1986, p. 283­284). Richiamando gli schemi di trasferimento/pagamento pubblico, che, a suo parere, “have become so large a part of government since World War II that the cyclical impact of government spend­
ing is now largely determined by their impact”, Minsky (1986, p.19)
indica un altro effetto collaterale negativo dell’intervento pubblico. Secondo l’autore, questi schemi rappresentano un riferimento per i salari monetari minimi, e dunque potenzialmente incidono sulle condizioni alle quali i lavoratori sono disposti ad accettare una proposta di occupazione, implicando una diminuzione della partecipazione al lavoro e una riduzione della capacità produttiva dell’econo­
mia (Minsky, 1986, p.26).
La preoccupazione è poi che l’intervento statale possa essere reso inefficace nel suo ruolo di stabi­
lizzazione macroeconomica se viene guidato verso scenari di crisi fiscale da politiche poco accorte (Minsky, 1982a, 1996). Infatti, la stabilità finanziaria del settore pubblico, come equilibrio struttu­
rale tra entrate e uscite (in termini di cash flow), pur tenendo conto della gerarchia tra gli operatori dei mercati finanziari, non può prescindere, come osservato in precedenza, dal rispetto degli stessi principi che riguardano le altre unità economiche e che si evolvono nel tempo in relazione alle tra­
sformazioni storiche e istituzionali.
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Il deterioramento degli equilibri finanziari dello Stato ha effetto sia nel caso di debito emesso in va­
luta e detenuto all’estero, perché porta inevitabilmente ad una svalutazione del cambio, sia nel caso di debito interno che determina inflazione e crescente onerosità nel pagamento degli interessi, così come è espresso in Stabilizing an Unstable Economy:
“ A government can run a deficit during a recession without suffering a deterioration of its credit­
worthiness if there is a tax and spending regime in place that would yield a favourable cash flow (a surplus) under reasonable and attainable circumstances.
There is nothing special about government debt, and a flight from government debt can occur. For a foreign­held debt such a flight will lead to a deterioration of currency on the exchanges; for a do­
mestic debt the flight can lead to inflation and a need to pay ever higher interest rates to have the debt held. (Minsky, 1986, p.302).
Ancora, Minsky richiama insistentemente l’importanza di avere un settore pubblico dotato di una struttura finanziaria solida e solvente, con un sistema fiscale efficace nel generare in futuro surplus per evitare il deterioramento della qualità del debito: “Incidently, if the central bank – the Federal Reserve – monetizes government debts in order to maintain its nominal price in the face of a deteriorating willingness to hold such debt, there can be a run from the Federal Reserve as well as from commercial bank liabilities. Just as private debts have to be validated by profits, as bank liabilities by receipts from assets, as a foreign debt by an export surplus, so government debt has to be validated by an excess of tax receipts over current expendit­
ures. These validating cash flows need to be forthcoming at every moment of time; it is sufficient that reasonable circumstances exist in which a positive cash flow is generated. (…)”
Proseguendo l’analisi su questo punto, Minsky ripropose il tema della credibilità delle isti­
tuzioni che governano la finanza pubblica, concretamente realizzata nell’impegno alla marketability del debito14, così come negli U.S.A. era garantita dalla Fed. Ribadì inoltre la necessità che fosse concreta almeno la promessa di surplus primari positivi del bilancio pubblico:
“Any organization with large debts outstanding cannot deviate by very much or for very long from at least the promise of a cash flow surplus without having the quality of the debt deterior­
ate. Any deviation from a government budget that is balanced or in surplus must be understood as Come già evidenziato in precedenza, Minsky (1986, p.35) sottolinea che “its marketability is ultimately guaranteed by Federal Reserve System, a guarantee that does not necessarily extend to other debt”.
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transitory – the war will be over, the resource­development program will be finished, or income will be at the full­employment level.” (Minsky, 1986, pp.302­303, grassetto aggiunto)
Un sistema fiscale efficace è una condizione fondamentale per mantenere la qualità del debito, an­
che perché, in condizioni macroeconomiche soddisfacenti sul versante reddituale e occupazionale, consente di frenare i rischi e gli impatti inflazionistici:
“from a theoretical analysis, it is evident that policy should aim at achieving and sustaining a robust financial structure. A key element in the robustness is the quality of the best available short­term as­
set – short term government debt. An in­place tax structure that yields a surplus when the economy either does well on the income and employment front or poorly on the inflation front is a necessary condition for maintaining the quality of government debt.”( Minsky, 1986, p.305).
Una struttura finanziaria robusta è necessaria anche per la pubblica amministrazione, anche se non implica di avere sempre cash flow positivi, ma è il risultato di una posizione finanziaria sostenibile nel tempo da parte di ogni unità economica . Con riferimento proprio al bilancio pubblico, Minsky rimarca:
“Debts embody payment commitments, promises to make payments. For these promises to have value any debtor has to be able to generate a positive cash flow in its favour. It achieves this by op­
erating in the various markets where it buys and sells so as to achieve a cash flow net of operating costs that exceeds the commitments to pay on account of debt. “Has to be able” does not means does. A unit may have negative cash flows for a considerable period and its liabilities would still be of value because it is accepted that the negative cash flows are transitory. The unit will have a posit­
ive cash flow in circumstances that it is reasonable to expect will occur. “ (Minsky, 1986, p.302, grassetto aggiunto)
A questo proposito, nel caso del deficit strutturale statunitense provocato dalla politica fiscale e dal­
le spese per armamenti di Reagan, Minsky ricorda gli effetti negativi sul cambio o per l’inflazione: “there will either be a run from the dollar or a substantial debt repudiation through inflation. Either way, interest rate will rise to new higs as markets react and as the Federal Reserve either moves to protect the dollar or stop inflation”. (Minsky, 1986, p.303)
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Le conseguenze sulla struttura finanziaria (sia in termini di cash flow che di attività/passività delle unità economiche) del settore pubblico sono un elemento decisivo nel determinare l’evoluzione del rapporto tra tipologia e caratteristiche dell’intervento statale e sviluppo dell’economia. L’attenzione di Minsky alla relazione tra sviluppo e sostenibilità del debito/disavanzo pub­
blico appare in consonanza con le nuove teorie della crescita, da un lato, e le moderne teorie del commercio internazionale, dall’altro, che sottolineano l’importanza, per lo sviluppo economico, dei vantaggi comparati dinamici (sviluppo tecnologico; investimenti in capitale umano, ricerca scienti­
fica e infrastrutture) e della competizione “sistemica” fra regioni e nazioni, oltre che fra singole im­
prese. Poiché il mercato tende a investire meno di quanto sia socialmente ottimale in questi che sono essenzialmente public goods, implicitamente la moderna teoria sottolinea l’importanza dell’in­
tervento dello stato, sia nel produrre direttamente questi fattori cruciali per lo sviluppo, sia per lo stimolo e il coordinamento che può offrire al settore privato in questa direzione (Barro e Sala­i­
Martin, 1995). Facendo riferimento alla tripartizione delle funzioni dello Stato proposta da Musgra­
ve, 1959 (stabilizzazione macroeconomica, ridistribuzione del reddito e allocazione delle risorse), Minsky ha sviluppato un concetto particolarmente ampio di public goods in quanto il ruolo di sta­
bilizzazione macroeconomica e di ridistribuzione del reddito dell’intervento statale, tramite l’offerta di lavoro, a reddito adeguato, alle componenti più povere della società, diventa nella sua visione teorica anche uno strumento di allocazione efficiente delle risorse15. Nello stesso tempo, la critica del Big Government di Minsky assorbe le osservazioni della scuola della Public Choice (Buchanan, 1986 e Buchanan e Wagner,1977), facendo indirettamente propria l’idea secondo la quale al “fallimento del mercato” nel produrre l’ottimo livello di public goods si associa il fallimento del sistema politico, che è inefficiente nel sostenere o garantire investimenti privati e genera l’accumulo di debito pubblico ben oltre l’ottimo sociale16. Questa impostazione cri­
Già in Minsky (1965, p.200; 1975a, p.166) sono individuate nelle leve della ridistribuzione del reddito, attraverso l’offerta di lavoro, e nelle policy di stabilizzazione le basi per una efficiente allocazione delle risorse. In particolare, Minsky, 1975a, p.166 ricorda che “Taxes and a distribution of the benefits of government intervention that are deemed to be fair or equitable are necessary for any economy, but especially for a controlled economy, to be robust. In a sense, the measures undertaken to prevent unemployment and sustain output “fix” the game that is economic life; if such a system is to survive, there must be a consensus that the game has not been unfairly fixed”. Anche in Minsky, 1986, p. 296, riafferma che “a system that promotes allocational efficency may be stability inefficent”.
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La rilettura dell’ultimo capitolo di Stabilizing an Unstable Economy, intitolato da Minsky An Agenda for Reform (Minsky, 1986, pp. 294­333) chiarisce i termini essenziali della sua interpretazione dei casi di fallimento rispettivamen­
te di stato e mercato: “because of limitations of the capacity of government to administer, decentralized market are a 15
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tica è vista da Minsky in un’ottica storica ed evolutiva e non implica cedimenti sulla sua convinzio­
ne della necessità di un Government efficace e focalizzato su specifici obiettivi di rilevante interes­
se sociale; così come è in grado di dimostrare attraverso la sua lettura del ruolo dello Stato nelle diverse fasi del capitalismo statunitense. 3. La lettura del ruolo dello Stato nella periodizzazione storica dell’economia americana
Con l’ausilio del metodo del cash flow Minsky formula una periodizzazione delle diverse fasi stori­
che del capitalismo USA che permette di delineare come lo Stato ha influenzato (e ne è allo stesso tempo condizionato) l’evoluzione storica e istituzionale di quella economia e il ruolo del settore pubblico. Minsky individua schematicamente cinque fasi dello sviluppo capitalistico americano: (i) quella del capitalismo mercantile o commerciale (1607­1813); (ii)quella del capitalismo indu­
striale (1813­1890); (iii) quella del capitalismo bancario o finanziario, tra il 1890 e il 1933; (iv) quella del capitalismo manageriale (dal New Deal agli inizi degli anni ottanta, con la seconda crisi petrolifera e la svolta neoliberista della presidenza Reagan) e infine (v) quella del capitalismo gui­
dato dagli investitori istituzionali (dagli anni ottanta ad oggi). Le ultime due fasi sono le più adatte a far emergere il ruolo peculiare che il settore pubblico può svolgere nell’economia e gli effetti che determina sulle posizioni finanziarie delle altre unità economiche. Dalla crisi del 1929 (con la svolta verso quello che Minsky, 1993a, [1990], pp.109­111, defi­
nisce il capitalismo manageriale) si va organizzando un tipo di sistema economico con un settore pubblico esteso in modo tale che le variazioni del disavanzo possano controbilanciare gli effetti di oscillazioni dell’investimento sui profitti (Minsky, 1982b, p. 42). Questa estensione della funzione pubblica ha, per Minsky, origini storiche precise: la depressione del 1929 rese manifesta la necessità preferred mechanism for coordination and control” (Minsky, 1986, p.296). Tuttavia osserva che “The market is an ad­
equate regolator of products and processes except when market power or externalities exist” (Minsky, 1986, p.329) e aggiunge “in a world where profits are cyclically unstable, market power can arise from the banker’s requirement that unfavourable outcomes must be constrained before capital­intensive production techniques are financed.”
(Minsky, 1986, p.329) … “Once Big Government stabilizes aggregate profits, the banker’s reasons for mar­
ket power loses its force”.(Minsky, 1986, p.330). E in tema di esternalità ricorda il caso delle ferrovie e dell’energia nucleare: “Both are industries combining capital intensity with enormous externalities, Although even the suggestion raises difficult political questions, public ownership should be tried; where these industries work well in other ad­
vanced economies they are almost always publicly owned.” (Minsky, 1986, p.331). 1
dell’intervento pubblico per stabilizzare l’attività economica a fronte di gravi crisi. I rimedi tradizio­
nalmente utilizzati a livello di ogni banca, impresa o realtà affaristica per superare le congiunture avverse (riduzione dei prestiti, diminuzione dei prezzi, contrazione della produzione e dell’occupa­
zione) producevano, a livello aggregato, conseguenze negative ancora più devastanti per l’anda­
mento dell’economia. Minsky (1986, p. 121; 1996, p. 361, par. 4) nota che la risposta di F. D. Roosvelt fu il New Deal, una serie di politiche e di riforme che aprirono la strada a questa nuova fase del capitalismo. Con il sostegno dei profitti da parte del disavanzo del settore pubblico, anche le altre singole unità economiche ottengono benefici, evitando il rischio presente in condizioni di recessione dello spostamento verso posizioni non coperte (speculative o ultraspeculative): la spesa pubblica genera domanda aggiuntiva, contribuendo a migliorare le aspettative e a ridurre gli spread relativi alla valutazione del rischio che viene percepito come più contenuto; si creano le condizioni per attivare nuovi programmi di investimento e il sistema tende a muoversi cumulativamente verso l’alto. L’estensione del settore pubblico e del relativo disavanzo ha un effetto di stabilizzazione del­
l’economia poiché con il consolidamento dei flussi di profitto le aspettative vengono convalidate.
I meccanismi che portano alla stabilizzazione e alla crescita economica creano tuttavia an­
che – e questo è tipicamente un risultato originale dell’approccio di analisi di Minsky (1982b, pp. 65­66) – i presupposti per il verificarsi di una successiva fase di crisi: se l’instabilità dei profitti verso il basso diminuisce per gli effetti dell’intervento di un settore pubblico ampio, con esso il fi­
nanziamento mediante debito viene incoraggiato e l’economia privata, per motivi diversi da quelli precedenti la crisi del 192917, diventa più fragile. Le posizioni non coperte diventano prevalenti in quanto con la crescita si riduce la percezione del rischio connesso alla realizzazione di nuovi programmi di investimento ed il sistema economico rimane per sua natura intrinsecamente in­
stabile (Minsky , 1986, p.143). Nel lavoro del 1986, Minsky nota che questa fase di “capitalismo In questo caso non sono soltanto la contrazione della domanda di beni e dei servizi e quindi gli effetti di riduzione dei prezzi e dei profitti ad innescare la crisi, ma anche la facilità con cui si concedono prestiti in condizione di abbondante liquidità che porta a far aumentare i rischi finanziari e a far prevalere le posizioni non coperte. Questa situazione che è stata definita “upward instability, naturally inclined to overinvestment and overindebtment” (De Antoni E. (2005), p.26) è alla base della financial instability hypothesis che è stata contestata per le sue incongruenze teoriche, in par­
ticolare con riferimento alla teoria dei profitti di Kalecki che sostanzialmente Minsky ha accettato. Per approfondimenti sulla questione si rinvia a Toporowski (2006) p. 14. 17
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manageriale” si caratterizzò per un forte coinvolgimento dell’azione pubblica nell’ambito delle po­
litiche monetarie e bancarie. Mediante l’Emergency Banking Act si intervenne proponendo una poli­
tica monetaria accomodante, la riorganizzazione delle banche e riforme istituzionali che includeva­
no sistemi di garanzia dei depositi, regolazione dell’attività mobiliare e specializzazione delle istitu­
zioni finanziarie (separazione tra le banche d’affari e le banche commerciali; divieto allo sviluppo di strutture bancarie operative in più stati). Questo complesso intervento di normazione pubblica fu combinato con politiche fiscali anti­cicliche, manovre di sostegno all’agricoltura e regolazione del mercato del lavoro, aiutando così l’economia ad imboccare un sentiero di stabilità e di crescita che si realizzò nel periodo successivo alla conclusione del secondo conflitto mondiale e contribuì a raf­
forzare la copertura delle posizioni finanziarie delle principali unità economiche. L’intervento pubblico, massicciamente rivolto a sostenere gli investimenti, fu sviluppato nel conte­
sto post­bellico in una situazione caratterizzata da mercati oligopolistici, concorrenza estera poco si­
gnificativa e controllo macroeconomico da parte delle autorità statali: i manager delle società americane ebbero un elevato grado di indipendenza dalle pressioni delle banche e degli azionisti e, a lungo andare, si registrò un progressivo adattamento delle imprese al clima instaurato, che appe­
santì le gestioni e le rese impreparate ad affrontare l’inflazione derivante dalla crisi petrolifera e una più intensa competizione estera. Inoltre la prosperità economica e la garanzia offerta dagli interventi monetari della Fed quale prestatore di ultima istanza incoraggiarono la riduzione dei margini di si­
curezza nel credito, una più diffusa fiducia nella capacità di rimborso dei debiti e l’orientamento crescente verso i finanziamenti a breve termine. Nel lavoro del 1992, The capital development of the economy and the structure of financial institutions, Minsky notò che dagli anni settanta, con il superamento degli equilibri economici e finanziari fissati dagli accordi di Bretton Woods e l’impatto inflazionistico in conseguenza del rialzo dei costi energetici, ai turbolenti anni ottanta peggiorarono i cash flow e le posizioni finanziarie di imprese e di famiglie:
“The financial structure is significantly more fragile now, in early 1992, that it was earlier in the post world war II epoch. The leveraged buy out movement of the 1980’s led to the growth in highly leverage firms. The growth in the money market mutuals in the 1980’s led to a large demand for shorth term marketable corporate liabilities. The combinate effect of these two developments 2
was the growth in speculative financing. Leverage buy outs often included “payment in kind” bonds, i.e. the capitalization of interest (Ponzi finance)” (Minsky, 1992b, p. 19).
Gli effetti di questa evoluzione, sul versante dell’economia privata, portarono all’espansione delle istituzioni finanziarie non bancarie, con forti spinte a innovazioni quali la securitization dei prestiti e l’utilizzo di garanzie e impegni off­balance sheet. Nel settore delle famiglie, l’esigenza di ottimiz­
zare il rapporto tra rischi e rendimenti portò a spostare i risparmi individuali dalle banche a gestioni professionalizzate, tanto che la ricchezza individuale assunse progressivamente la forma della pro­
prietà dei fondi di investimento piuttosto che del passivo delle singole imprese (Minsky, 1993a, [1990], pp. 110­111). Un ulteriore importante campo di sviluppo dell’innovazione finanziaria fu legato al ruolo crescente degli investitori istituzionali, quali gestori di tesoreria, fondi pensioni, gestioni fiduciarie e via di­
cendo. Queste imprese finanziarie traevano fonti di domanda e di profitti non tanto dal settore pub­
blico quanto dal progressivo ed ingente incremento delle transazioni finanziarie che crescevano principalmente per i processi di liberalizzazione internazionali.
Negli anni ottanta prese il via un processo di integrazione internazionale degli scambi, ma soprattutto della finanza, che generò una fonte stabile e crescente di domanda di servizi finanziari. Al tempo stesso si mise in moto un processo di trasformazione del ruolo dello Stato. Il passaggio al capitalismo guidato dagli investitori istituzionali (Minsky e Whalen, 1996­97, pp. 158­159) sancisce l’apertura di una neoliberal era, ben descritta da Dymski (2002) e Kregel (1998), che comporta il restringimento delle funzioni dello Stato. Partendo dai fatti, così come appena tratteggiati, Minsky mostrò di essere consapevole che, in condizioni di integrazione dei mercati, il modello di Big Government in posizione finanziaria non coperta, poteva comportare un rischio crescente. In alcuni scritti egli rilevò gli effetti negativi di elevati disavanzi e di un crescente debito del settore pubblico sull’efficacia del sostegno all’e­
conomia privata in caso di recessione e sottolineò la difficoltà di utilizzo di tale leva nelle condi­
zioni deficitarie raggiunte: “The United States economy is burdened by a deadweight government debt (deadweight govern­
ment debt is debt that is not the result of government resource creating activity) accumulated as a result of the dreadful abuse of the government budget during the 1980’s, an abuse which is continu­
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ing today. These conditions mean that a recovery from the current recession will not be accompan­
ied by buoyant private demand. A deliberate move of the government towards a significantly larger deficit at the current level of income and structure of spending and taxes is not available (Minsky, 1992b, p.20).
Minsky si rese conto che nelle condizioni sopra indicate poteva essere ragionevole avanzare richie­
ste di riduzione della dimensione dell’intervento pubblico (richieste e propositi a suo parere falliti nell’era Reagan), esprimendo tuttavia preoccupazione che tale contrazione potesse “make our eco­
nomy more susceptible to downside instability” (Minsky, 1986, p. 22). Al contempo sottolineò la non equivalenza fra riduzione delle imposte ed aumento della spesa pubblica, ritenendo il primo strumento in realtà un ostacolo per la realizzazione delle policy (Minsky, 1992b, p.20).
Minsky notò pure che di fatto la dimensione dell’intervento pubblico non veniva ridotta. Si poneva invece in essere un processo di ridistribuzione dei benefici derivanti dell’intervento pubblico dai gruppi sociali più deboli a quelli più capaci di esercitare pressioni sulle istituzioni politiche (senza soluzioni di continuità rispetto a Minsky, 1986, p. 318 18). Questo processo ha visto la spesa pubblica dirigersi in maggior misura verso obiettivi specifici di difesa e sicurezza nazionale e, in minor misura, verso la spesa sociale (Minsky, 1986, p. 305). Per Minsky questo nuovo scenario rappresentava una alternativa possibile, ma non l’unica via percorri­
bile. Egli ne avvertì i pericoli e espresse le sue preoccupazioni ricordando che con la riduzione della spesa sociale veniva meno una fonte ampia e stabile di domanda, con conseguenze rischiose non solo per i flussi di cassa delle singole unità economiche ma anche per intere economie (Minsky, 1993a, [1990], p. 112­113 e Minsky, 1996, paragrafo 6).
Nell’economia privata, infatti gli obiettivi degli investitori istituzionali, che gestiscono una quota di risparmio nazionale prevalente e hanno esteso la loro influenza sui mercati finanziari e sulle attività delle imprese, insieme ai criteri in base ai quali sono giudicati, sono sempre più legati alla massi­
mizzazione dei rendimenti e del valore degli investimenti effettuati. Di conseguenza, i responsabili delle imprese diventano maggiormente sensibili ad obiettivi di profitto a breve termine e alla capita­
Minsky , 1986, p.318, evidenzia che: “Big or giants organizations carry an implied public guarantee (i.e., contingent liability) on their debts,. This introduces a financial bias favouring giant corporations and giant banks, for the implicit public liability leads to preferred market treatment. Government intervention to validate the cash flow commitments takes place even if investment are inept.”
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lizzazione delle imprese sui mercati borsistici. Il conseguimento degli obiettivi premia spesso trami­
te stock option l’azione dei manager e incoraggia la ricerca di soluzioni innovative sul piano produt­
tivo e finanziario per ridurre i costi e incrementare i ricavi. La disponibilità di numerose opportunità di creare strumenti finanziari innovativi per rispondere alle crescenti esigenze degli investitori isti­
tuzionali di diversificare il rischio e di allocare nuovo risparmio, offre continuamente il carburante necessario per operazioni di finanza straordinaria, quali fusioni, acquisizioni, divisione di imprese, leverage buy­out, capital management (cartolarizzazioni, prestiti subordinati e mezanine finance ecc.), buy back azionari. I gestori dei fondi (Minsky, 1996, p. 361, par. 4) hanno infatti un forte in­
teresse a sostenere le iniziative delle imprese che consentono di aumentare il valore degli investi­
menti in portafoglio e, nello stesso tempo, a fornire le risorse finanziarie per assicurare il successo di operazioni straordinarie per il controllo delle imprese (tramite fondi di private equity o venture capital), in quanto remunerati in relazione alla performance delle stesse. Questa fase, pur non essendo incappata in una profonda crisi e pur registrando rilevanti limiti di so­
stenibilità economica e finanziaria nel tempo, evidenzia implicazioni sempre più significative sul piano sociale, con riflessi negativi a medio­lungo termine sui consumi e sulla rischiosità del rispar­
mio previdenziale, oltre che sulle prospettive di stabilizzazione della crescita economica.
Come osservava Minsky (1995) sono maturati i tempi di passaggio ad una nuova era che dalla spinta alla ricerca di profitti del money manager capitalism, trova sbocco in una integrazio­
ne finanziaria globale che porta ad un ulteriore progressivo restringimento delle possibilità di in­
tervento dello Stato e va nella direzione opposta a quella del presidio offerto dal Government nel fronteggiare le crisi. Emerge sempre più rilevante la preoccupazione di come il controllo finanziario e fiscale e il supporto istituzionale finora offerto dai governi nazionali possa reggere le conseguenze della crescente fragilità finanziaria globale in situazioni internazionali di deflazione e di crisi debi­
toria (Minsky, 1995, p. 93) che può coinvolgere tanto singoli Stati, quanto aree economiche integra­
te19. Lo schema interpretativo proposto si presta efficacemente anche ad analisi specifiche sui paesi emergenti e in rapida crescita, in particolare con riferimento alle nuove “tigri” o motori dello sviluppo dell’economia mondiale (Cina, India, Brasile, Russia, Sud Africa). Altrettanto significativa è la questione della polarizzazione della ricchezza finanziaria che si realizza cross­section .
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Minsky pone al centro del dibattito economico la necessità di comprendere come le esigenze di profittabilità delle attività imprenditoriali possano essere compatibili nel tempo con i bisogni di sicurezza e di stabilità delle famiglie rispondendo tuttavia alla necessità, fondamentale per la cresci­
ta dell’economia, di sviluppo degli investimenti e del capitale.
La preoccupazione dell’autore è legata alle modalità di strutturazione del sistema finanziario globa­
le per sostenere la crescita e contenere l’instabilità, senza condurre a situazioni in cui l’unico stru­
mento che ha dimostrato di essere efficace in funzione anticiclica, ossia il sostegno della domanda da parte della pubblica amministrazione, sia reso inservibile o inefficace.
L’attualità del suo contributo è significativa a fronte dell’accresciuta fragilità finanziaria dell’econo­
mia americana di oggi (elevato debito pubblico e disavanzo governativo, disavanzo commerciale e debolezza valutaria). Rispetto alla fondamentale analisi del Big Government di Minsky del 1986, l’assetto istituzionale USA è profondamente cambiato negli ultimi vent’anni portando ad accumula­
re un trade deficit e un capital­account surplus in misura senza precedenti, creando una asimme­
tria fondamentale nella struttura economica globale e generando una domanda di dollari crescente che è stata sostenibile finanziariamente, economicamente e socialmente in un contesto dove Stati Uniti hanno attirato risorse in quanto protagonisti dinamici e innovativi dell’economia mondiale. Questa egemonia è stata caratterizzata dal passaggio da un regime con un dollaro sottovalutato negli anni settanta, al “high dollar” regime (vedasi Dymski, 2002, p. 8) dagli anni ottanta in avanti ed è stata determinata ­ in un contesto di integrazione finanziaria globale ­ dalla struttura di potere eco­
nomico (preminenza di Wall Street), industriale e militare degli Stati Uniti che ne hanno fatto una fonte di attrazione della ricchezza mondiale, alla ricerca di alta produttività e di elevata profittabili­
tà (vedasi Dymski, 2002, pp. 6­7).
Il venir meno di una o più condizioni favorevoli20 mette in rilievo le debolezze e le preoccupazioni di una downside instability che hanno portato Minsky ad individuare policy diverse e alternative, tempo per tempo più opportune al fine di assicurare relativa stabilità e crescita ad un sistema per sua natura instabile.
4.
20
Alternative di policy e nuovo ruolo dello Stato Il lettore interessato è rinviato per approfondimenti a Wray (2006) pp. 18­19.
2
L’instabilità del sistema economico rappresenta per Minsky un fenomeno che può avere effetti ne­
gativi tanto più dirompenti sul piano sociale, quanto più ridotta è la capacità dello Stato di interveni­
re in modo efficace con adeguate politiche di stabilizzazione macroeconomica a fronte di situazioni di crisi. L’esperienza delle politiche di contenimento dell’intervento pubblico in campo sociale ne­
gli U.S.A. a partire dagli anni ottanta del XXesimo secolo ha reso più fragile il sistema economico nel suo complesso: i cash­flow della middle class e delle famiglie più povere sono diventati più con­
tenuti e instabili21 ed è cresciuto il divario tra il numero sempre più ridotto di persone molto ricche e la grande maggioranza della popolazione, ma l’entità complessiva della spesa pubblica non è sta­
ta sensibilmente ridotta e solo diversamente incanalata verso trasferimenti a settori e gruppi di pres­
sione politicamente rilevanti22. Non si sono registrati benefici significativi per il cash flow delle fa­
miglie e delle imprese (in quest’ultimo caso per la ricordata elevata diffusione di high leverage firms e per l’instabilità delle vendite sui mercati di sbocco), né in quello pubblico. Il richiamo di Minsky alla solidità del bilancio dello Stato rafforza pertanto il nucleo sempre vivo delle policy da Lui suggerite, ossia la focalizzazione sugli interventi che, senza avere effetti negativi sui profitti, ri­
ducano la fragilità finanziaria dei soggetti economici (famiglie e imprese) e orientino, tramite l’in­
tervento pubblico, l’economia verso la piena occupazione ed una più equilibrata distribuzione dei redditi, quale condizione preliminare di crescita duratura e di contrasto alla instabilità.
Il ruolo dello Stato è importante ed è ribadito anche a fronte del prevalere, nella teoria economica più accreditata, di una critica radicale alla dimensione eccessiva e alla gestione inefficiente della funzione pubblica. Condividendo il pensiero di Henry Simons (1948) Minsky ritiene che l’efficien­
za economica non sia l’unico obiettivo dell’azione pubblica, ma le policy debbano assicurare gli standard civili propri di una società democratica e aperta (Minsky e Whalen, 1996­97, p. 162).
Il limite della teoria di Minsky, ossia la volontà di non rispondere alle evidenze del fallimento del­
lo Stato nella realizzazione di finalità di efficienza economica che meglio possono essere perseguiti In Minsky e Whalen, 1996­97, p. 159, si evidenzia che “Workers at nearly all levels are insecure, as entire divisions are bought and sold and as corporate boards exhibit a chronic need to downsize overhead and to seek out the least expensive set of variable inputs.” E a p.160: “Many families cannot distinguish recession from recovery”.
22
E’ feroce la critica di Minsky e Whalen, 1996­97, p.165 alle politiche della spesa pubblica negli Stati Uniti d’Ameri­
ca:a loro giudizio si applica “an approach to budgeting that treats biotechnology research no differently from a White House dinner party”. 21
2
dal settore privato, deriva dalla consapevolezza di quanto sia ancora più preoccupante per la stabili­
tà e lo sviluppo dell’economia contemporanea, la mancanza di strumenti adeguati per contrastare i fallimenti di mercato.
Minsky, ritenendo che l’economia si evolva e cresca sotto la spinta di meccanismi endogeni e stori­
camente determinati, tende con pragmatismo a superare i limiti della sua analisi constatando che non esiste una strumentazione di policy capace di offrire soluzioni efficaci sempre e in ogni conte­
sto a fronte di difficoltà economiche (Minsky, 1986, p. 333). Pertanto, le politiche che in passato hanno dimostrato di funzionare bene possono non essere adeguate per effetto delle innovazioni in­
trodotte nella finanza e nelle attività imprenditoriali o per l’emergere di nuovi problemi (Minsky, 1986, p. 293).
Negli anni settanta, ad esempio, prefigurava, in relazione ai cambiamenti ciclici e dei mutamenti so­
ciali, il succedersi di fasi dell’economia per le quali erano attivate strategie diverse: a periodi di ele­
vati investimenti e di alti profitti potevano seguirne altri nei quali più elevati livelli di consumo e distribuzioni più egalitarie dei redditi si rivelavano più adatti per offrire continuità e nuove opportu­
nità alla crescita (Minsky, 1975a, p. 168). Suggeriva una strategia di riduzione della dipendenza dei sistemi economici dagli investimenti privati, ossia una alterazione della distribuzione del reddito per far aumentare la propensione media al consumo attraverso programmi di consumi e investimenti sociali. Tuttavia si deve sottolineare che l’obiettivo di Minsky non mirava ad un semplicistico au­
mento della domanda effettiva tramite l’aumento dei consumi, quanto all’attuazione di una politica economica articolata ed in grado di ridurre le disparità di reddito, limitare la crescita delle passività delle famiglie, ostacolare i poteri oligopolistici e monopolistici e di stimolare l’imprenditorialità e la formazione individuale (Minsky, 1971a e 1975a, p.167;1981).
In primo luogo, egli si aspettava di eliminare la povertà risultante dalla mancanza di lavoro. Un pro­
gramma di questa natura aveva la caratteristica di “takes the unemployed as they are and tailor­ma­
kes jobs to their skills” (Minsky, 1972d, p. 6); secondariamente, un aumento dell’inserimento dei la­
voratori sul mercato del lavoro avrebbe contribuito ad incrementare il numero di occupati per fami­
glia, diminuendo il numero di quelle che erano in condizione di povertà o correvano il rischio di es­
2
serlo; in terzo luogo, l’ampliamento dell’occupazione avrebbe alzato i salari dei lavoratori a basso reddito più velocemente di quelli degli occupati a medio­alto reddito con significativi effetti redi­
stributivi (Minsky, 1972d, faceva riferimento all’analisi di Anderson, 1974, che sottolineava i più contenuti differenziali salariali in periodi di mercato del lavoro più robusto). Minsky riteneva poi possibile “decrease (labor­profit) inequality by decreasing capital’s share of income” (Minsky,
1973, p. 94). Per realizzare una stabile e piena occupazione senza effetti inflazionistici sui prezzi e sui salari, par­
ticolare importanza era data da Minsky (1972d, p. 5; 1986, pp.141­170) a limitazioni dei prezzi del­
le merci e dei servizi nelle imprese a più alto livello salariale volte a compensare gli incrementi su­
periori alla produttività della remunerazione dei lavoratori a basso salario (Minsky, 1965, p. 183)23. Anche negli anni ottanta e novanta, Minsky (1993a, [1990], pp. 106­107), nel tentativo di unire le intuizioni di Schumpeter e Keynes, definiva un sentiero di sviluppo dell’economia guidato da logi­
che alternative alle soluzioni neoliberiste, pur tenendo conto della evoluzione della struttura istitu­
zionale del sistema economico: le politiche economiche, per sostenere nel tempo la stabilità e lo sviluppo economico, avevano bisogno di strumenti (sia politiche fiscali attive che meccanismi di regolazione istituzionale) condizionanti l’andamento dei profitti, che rimanevano comunque l’ele­
mento fondamentale per la crescita.
In questa fase, le negative conseguenze sociali delle politiche attuate negli U.S.A., che han­
no portato ad una crescente concentrazione delle ricchezze, spingevano Minsky ad accentuare le sue critiche agli orientamenti prevalenti (Minsky, 1986, pp..287­333): egli riteneva infatti necessa­
rio invertire le impostazioni sostanzialmente pre­keynesiane basate sul rafforzamento dell’offerta e suggeriva che l’obiettivo della piena occupazione dovesse essere considerato sempre prioritario ri­
spetto a quello di una crescita accelerata. In questa prospettiva, si poneva il problema della struttura e dei limiti da porre per un Government efficace e utile alle esigenze di sviluppo in condizioni di piena occupazione, stabilità dei profitti e dei prezzi. In proposito suggeriva accordi sindacali affinché nelle imprese con alti salari, le remunerazioni si incrementassero meno degli incrementi nella produttività del loro lavoratori. Inoltre per evitare spinte inflazionistiche sui profitti deri­
vanti dai settori oligopolistici o meno esposti alla concorrenza, consigliava interventi diretti a favorire il trasferimento dei benefici di un decremento dei costi unitari sui consumatori (Minsky, 1965, p.183).
23
2
L’ammonimento ai fautori di politiche neoliberistiche era di non dimenticare che:
“Big Government is the most important reason why today’s capitalism is better than the capitalism which gave us the Great Depression” (Minsky, 1986, p.296).
I limiti al Government non sono tuttavia trascurati da Minsky e sono delineati sia in termini quantitativi che qualitativi. Sul piano quantitativo, ossia a livello dimensionale, Minsky considera­
va che l’ordine di grandezza ottimale del government spending fosse tale per cui la spesa pubblica potesse bilanciare, tramite interventi in disavanzo, le oscillazioni degli investimenti privati, mante­
nendo in tal modo la stabilità dei profitti (“large enough to offset on profits of a drop of investment”, Minsky, 1986, pp. 297­299). Sul piano qualitativo, un efficace Government per Minsky richiedeva riforme profonde che indi­
cava nella sostituzione di spese pubbliche per una moltitudine di trasferimenti e sussidi, con obietti­
vi focalizzati in programmi di assegni/indennità allo scopo di assicurare un reddito minimo dal la­
voro e di aiutare soprattutto i giovani a scongiurare la povertà che deriva, in caso di famiglie nume­
rose, dall’impossibilità di sostenerne gli oneri, anche quando si è occupati (Minsky, 1986, p. 301). La revisione del sistema di trasferimenti pubblici avrebbe dovuto essere mirata a non ostacolare la partecipazione al mercato del lavoro e non ad assecondare, come nel caso dei sussidi all’agricoltura, interventi di protezione del reddito attraverso il sostegno dei prezzi che inevitabilmente erano desti­
nati a diminuire per effetto dei continui incrementi di produttività del settore ( Minsky, 1986, pp.
299­302).
L’orientamento della politica economica verso l’obiettivo primario di una piena e consolidata occu­
pazione (Minsky, 1996, p. 368) si concretizzava nel suggerire che “the government become an em­
ployer of last resort” riprendendo proposte formulate in momenti precedenti (Minsky, 1968, p. 338). L’analogia è evidente rispetto al medesimo ruolo svolto dalla Banca Centrale, in qualità di garante della solvibilità dei mercati, per le istituzioni finanziarie e, indirettamente, per le imprese e le famiglie. La concreta possibilità di bilanciare il miglioramento dei cash flows delle famiglie e delle imprese senza eccessive conseguenze negative sugli equilibri del bilancio pubblico rappresenta un obiettivo che emerge costantemente nella lettura proposta delle policy suggerite da Minsky e che si rafforza 2
nella già sottolineata esigenza di riformare sostanzialmente gli indirizzi di Big Government basati sui trasferimenti. Perplessità, condivisibili con Wray (2006, p. 26) rispetto a questo obiettivo ri­
mangono con riferimento ai problemi di disavanzo sull’estero24.
Consapevole di queste obiezioni, negli anni novanta, l’economista pose al centro delle linee di poli­
cy il concetto di shared prosperity (Minsky e Whalen, 1996­97, pp. 166­167), che rappresenta una svolta moderna rispetto alle tendenze “riduzioniste” dell’intervento dello Stato nell’economia25 e ri­
spetto alle posizioni keynesiane focalizzate esclusivamente sulla domanda effettiva. L’impegno pubblico verso esigenze sociali e collettive è motivata non tanto e non solo dall’esigenza di assicu­
rare un sostegno ai consumi e alla domanda, ma è rivolto soprattutto sul versante dell’offerta, verso un sentiero competitivo basato sulla “high­performance” e non su “low­wage”. In tale ottica, è sot­
tolineata l’importanza degli investimenti pubblici nel capitale umano (educazione e formazione), nelle infrastrutture tecnologiche, scientifiche e materiali. La complementarità tra investimenti pub­
blici e privati deve essere diretta (i) a incoraggiare produttività individuale e collettiva per superare le carenze emergenti nella dotazione di capitale sociale dell’economia americana, (ii) nel valorizza­
re gli asset della nazione (rise of “brain­power” industries – industries such as microelectronics and biotechnology that can be located wherever the necessary talents are coordinated, Minsky e Whalen , 1996­97, p. 164) e (iii) nel migliorare l’occupabilità delle persone.
Queste nuove politiche richiedono elementi istituzionali addizionali rispetto alle tradizionali politi­
che macroeconomiche per lo sviluppo. Essi includono il rafforzamento dei minimi salariali, il coin­
volgimento più rilevante di sindacati e associazioni dei lavoratori nelle scelte macroeconomiche, Osserva Wray, 2006, p. 26: “Minsky’s call for a budget that can balance at high employment must be modified. To al­
low the private sector to strengthen it balances, the budget should be biased to run deficits somewhat larger than the trade deficit at full employment”.
25
Le linee di intervento suggerite presentano convergenze con l’interpretazione di Pasinetti (1995, p.155) secondo la quale “la proposta di Keynes perché lo Stato assumesse il compito di perseguire la piena occupazione era diretta ad eliminare gli sprechi della disoccupazione e l’inefficienza di una capacità produttiva che rimane inerte e inutilizzata. Era quindi diretta a generare aumenti della produzione, dei consumi e degli investimenti, cioè era diretta a far rag­
giungere al sistema economico posizioni più efficienti. Ciò non comporta necessariamente un aumento dell’imposizione fiscale (almeno relativa); potrebbe anzi – in varie circostanze – comportarne una diminuzione.
La chiave doveva essere il controllo, la supervisione intelligente e la manovra razionale della domanda effetti­
va globale, con tutti gli incentivi e disincentivi del caso o, se necessario, con interventi diretti di spesa pubblica, sia per investimenti che per consumi.”
24
2
l’offerta di benefits per un’occupazione più vicina alle esigenze della famiglia, oltre ad altre propo­
ste contro l’insicurezza diffusa che caratterizza l’evoluzione contemporanea dell’economia. L’orientamento di Minsky contro una eccessiva flessibilità del mercato del lavoro, già pre­
sente nei suoi lavori negli anni sessanta (Minsky, 1963b, pp.401­12), si rafforzava nel contesto de­
gli anni novanta per contrastare gli effetti generalizzati della precarizzazione delle condizioni di la­
voro e della destrutturazione delle politiche di welfare che, in passato, consentivano di ridurre i co­
sti e gli oneri sostenuti dalle famiglie a fronte di eventi imprevisti o naturali (infortuni, malattia, vecchiaia). E’ rilevata anche l’esposizione sempre più elevata, soprattutto delle famiglie, all’indebi­
tamento26, sia per effetto di politiche monetarie espansive27, sia per effetto della diffusione di nuovi modelli di consumo, sia per la tendenza alla riduzione delle possibilità e delle opportunità di accu­
mulazione individuale28.
Diventa pertanto importante l’obiettivo di contrastare la tendenza al peggioramento delle po­
sizioni finanziarie con interventi di sostegno alle famiglie nel campo dell’istruzione e della forma­
L’attenzione è anche posta alle difficoltà di offerta di servizi finanziari ad alcuni gruppi di consumatori più esposti (cittadini a basso reddito, minoranze etniche, imprenditori con attività modeste), alle piccole imprese e agli start­up di iniziative di business considerate non adatte ad attirare l’interesse delle banche commerciali e di investimento. In propo­
sito, Minsky, insieme ad altri economisti del The Levy Economics Institute of Bard College, svilupparono un progetto articolato di banche per lo sviluppo delle comunità locali, con la missione di fornire credito, servizi finanziari e di pa­
gamento ai gruppi sociali non adeguatamente supportati dal sistema finanziario (Minsky, 1993b, pp.33­41 e Minsky, Papadimitriou, Phillips R.J. e Wray, 1993).
27
Si tratta di una policy che è stata costantemente caldeggiata da Minsky fin dagli anni settanta: “A correct policy po­
sture in the current situation will not encourage private debt finance spending. Thus rather increase the investment tax credit, it should be repealed. (…) The Federal Reserve should once again be authorized to institute down payment and term to maturity regulations on mortgages and consumer credit, with the objective of cutting household debts. If ag­
gregate income is sustained the above policies in time will directly generate the need improved in corporate and house­
hold balance sheets and indirectly improve the balance sheets of banks and other financial institutions. The basic weapon to sustain income and employment should be a reinstitued and modernized W.P.A., C.C.C. and N.Y.A. (In or­
der to ease the inflationary burden of social security upon the economy, an older worker’s employment arm should be developed as a part of this effort.)” (Minsky, 1975b, pp.40­41; a pp.350­351, nel Compedium per il Committee). 28
“With the end of the managerial financial era, stability in U.S. industrial relations has also ended. Workers at nearly all levels are insecure, as entire divisions are bought and sold and as a corporate boards exhibit a chronic need to downsize overhead and to seek out the least expensive set of variable inputs….. Many families cannot distinguish reces­
sion from recovery….. income stagnation for many but also longer employment searches, increased family dependence on multiple job holdings, and an explosive growth in part­time and contingent work.” Minsky e Whalen (1996­97, pp. 159­160).
26
3
zione29 e nell’assistenza sociale e sanitaria30, sia come efficace rimedio antirecessivo, sia come ri­
sposta per migliorare la qualità del sistema economico e per rafforzarne la produttività e i risultati sul piano competitivo, ossia “federal, state, and local officials could easily design programs that would enable unemployed cit­
izens to support themselves by making useful contributions to their communities.” (Minsky e Whalen, 1996­97, pp. 163).
E’ significativo l’auspicio finale di Minsky e Whalen (1996­97, p. 161) appassionato e coerente a fronte dell’emergenza dei problemi economici e sociali, che il diritto di cittadinanza si traduca in opportunità di utilizzare e di sviluppare i propri talenti e in prospettive di miglioramento degli stan­
dard di vita per i lavoratori e per i loro figli31. L’ampliamento significativo dei bisogni che richiedono programmi articolati e onerosi di sostegno sociale e di contrasto della diffusione della povertà portano alla revisione delle strategie macroeco­
nomiche del Big Government per ancorarle ad una spesa pubblica orientata all’obiettivo occupazio­
nale e compatibile con la sostenibilità del disavanzo e del debito dello Stato.
Gli interventi utili a stabilizzare e migliorare le posizioni finanziarie delle unità economiche devo­
no essere realizzati in modo mirato, selezionato e rivolto alle componenti sociali più fragili e più esposte al rischio di cash flow negativi in modo da evitare che il deterioramento della posizione fi­
nanziaria dello Stato riduca l’efficacia delle policy verso i settori sociali che ne hanno più bisogno, soprattutto in momenti di debolezza dell’economia a livello interno e internazionale32. Il sistema di incentivazione fiscale, sempre secondo Minsky e Whalen, dovrebbe essere orientato a indurre le imprese a condividere con i lavoratori i guadagni ottenuti in termini di produttività e di profittabilità e prevedere una più ampia partecipazione dei rappresentanti dei lavoratori nei consigli di amministrazione
30
Con riferimento al caso statunitense, Minsky e Whalen evidenziano l’esigenza di un sistema sanitario che assicura as­
sistenza e cura di base a tutti i cittadini.
31
“In the current era, economic success requires more than economic growth, low unemployment, and minimal infla­
tion. In requires that every citizen have the opportunity to develop and utilize his or her talents and capacities, and that workers are rewarded with rising standards of living and the prospect of an even better life for their children. Il re­
quires that economic insecurity is diminished and that prosperity is available to the whole of society. Without these, American capitalism will non be successful by any measure for very long in the twenty­first century.” (Minsky e Whalen, 1996­97, p.161).
32
Vedasi Tymoigne E. (2006a, p. 44), come sintesi del pensiero di Minsky in materia: “a stable financial structure is needed for effective stabilization policy, and a good stabilization policy is needed for a stable financial structure”.
29
3
Minsky continua a ritenere che tempestive politiche fiscali anticicliche possano impedire e/o ostaco­
lare l’evoluzione delle situazioni verso crisi profonde (il valore della spesa pubblica come limite in­
feriore alla discesa del reddito e dei profitti, vedasi Minsky, 1982b, p.56), dal momento che contri­
buiscono a sostenere sia la domanda aggregata, sia i profitti delle imprese e pertanto, anche indiret­
tamente, a stimolare la ripresa degli investimenti. Altrettanto importante è il ruolo già accennato delle politiche monetarie, sia nel fissare i tassi di riferimento, sia nell’azione segnaletica di contrasto delle situazioni negative del ciclo, sia nel fornire liquidità per evitare crisi sistemiche, secondo la ti­
pica funzione di prestatore di ultima istanza svolto dalle Banche Centrali.
5. Cenni conclusivi: originalità e limiti del pensiero di Minsky
Il pensiero di Minsky sul ruolo dello Stato, analizzato come schema teorico compiuto e articolato, offre un solido approccio di riferimento sia sotto il profilo macroeconomico, sia perché chiarisce le basi microeconomiche dei comportamenti a livello aggregato. La lettura interpretativa di Minsky che si è proposta consente di evidenziare come, in tema di stabilizzazione e di crescita economica, l’efficacia del settore pubblico (che pure ha caratteristiche proprie ed esclusive in termini di gerar­
chia di solvibilità) sia sottoposto alle stesse condizioni che determinano le decisioni di investimento e di sviluppo di tutte le singole unità economiche, quali le imprese e le famiglie, anch’esse vincolate dall’esigenza di reperire fondi. L’attenzione al cash flow delle unità economiche porta al riconoscimento della necessità di una “economia mista” nella quale l’intervento pubblico a supporto del settore privato permette di co­
struire un solido assetto della economia contemporanea (Wray, 2007a) e di ottenere una robusta base economica e finanziaria per famiglie e imprese, in contesti che spingono a una crescente fragi­
lità e instabilità.
Il ruolo del settore pubblico è analizzato da Minsky nel concreto dipanarsi dello sviluppo storico dell’ economia contemporanea sia per l’impatto che determina sui profitti delle imprese e, più in ge­
nerale, sul settore privato, sia per la dimensione finanziaria assunta che rende sempre più rilevanti le sue scelte e i relativi orientamenti di policy. Dopo la grande crisi del 1929, per Minsky lo Stato ha svolto e continua a svolgere una funzione decisiva per la stabilizzazione macroeconomica e per 3
evitare che situazioni di fragilità finanziaria sfocino in crisi profonde, ma questo ruolo non deve e non può svincolarlo da una constante attenzione all’andamento del suo cash flow.
Le unità economiche rilevanti (Stato, imprese, banche e famiglie) hanno infatti nel metodo del cash flow un riferimento importante per determinare le scelte comportamentali sul piano finanziario e operativo (“the validation through cash flows of the liabilities of households and government is of great importance to the operation of today’s capitalist economies. Household and government financing relations affect the stability of the economy and the course through time of output, employment, and prices.” Minsky, 1982b, p.23), soprattutto in contesti nei quali l’instabilità rappresenta una caratteristica intrinseca della dinamica del sistema economico. Lo Stato deve affinare questa sensibilità proprio in quanto ha il delicato compito di sta­
bilizzare i flussi di cassa dei soggetti privati per assorbire le situazioni di fragilità economica ed evitare crisi sistemiche. Il mantenimento di una struttura finanziaria robusta dello Stato è quindi una condizione necessaria per poter essere in grado di svolgere appieno la fondamentale funzione di stabilizzazione macroeconomica, assorbendo con surplus di bilancio inflazione e redditi troppo ele­
vati e finanziando in deficit le fasi di recessione e di sottoccupazione. La solidità finanziaria dello Stato è altresì necessaria per un efficace ruolo redistributivo nel contrasto della povertà, per rimuo­
vere le barriere alla partecipazione al mercato del lavoro e per migliorare l’occupabilità delle perso­
ne (“enhance productivity through training and the upgrading of skills”, Minsky e Whalen, 1996­1997, p.163). Il saggio qui proposto, nell’offrire una lettura articolata del pensiero di Minsky sul ruolo del setto­
re pubblico, ha provato a far emergere la ricchezza della sua visione dello Stato come strumento di guida equilibrata verso una “new age of shared prosperity”33, non nascondendo tuttavia
i limiti riconosciuti dalla letteratura al suo percorso teorico e metodologico. Tali limiti possono essere correlati ad un presupposto della sua analisi: la prossimità intellettuale ad un filone di analisi economica post­keynesiana ed evoluzionista secondo il quale un robusto e attivo ruolo dello Stato è sempre un requisito fondamentale per la stabilità economica e sociale e per lo sviluppo (vedasi In Minsky e Whalen (1996­1997, p.162), si ricorda che “as Henry Simons suggested long ago, economic efficiency – even when considered from a dynamic perspective – should not to be the sole aim of economic policy. Rather, policy should strive to assure the civilized standards of an open and democratic society. A humane society should non be sacrificed on the altar of narrow efficency (Simons, 1948)”. E a conclusione del ricordo del cinquantenario del
Employment Act di Truman, le ultime parole del testo di Minsky e Whalen (1996­1997, p.168) rappresentano efficacemente la sintesi postuma (Hyman Minsky morì il 24 Ottobre 1996) dell’impegno di un grande economista, che ha prodotto un ricco e fecondo patrimonio di analisi e di proposte per una stabile e piena occupazione: “The goals of the Employment Act are best honored by working to achieve a new age of shared prosperity”.
33
3
Burlamaqui, 1998). Tuttavia, pur rimanendo coerente con un’impostazione analitica attenta alla legge di Wagner, alla lezione di Kalecki sulla funzione anticiclica della spesa pubblica che sottoli­
nea l’importanza dei deficit dello Stato per sostenere profitti e investimenti in caso di recessione, alle relazioni tra domanda per trasferimenti governativi e capacità di offerta, l’approccio minskiano si qualifica e si contraddistingue anche nel giudizio critico nei confronti di una tradizione keyne­
siana incapace di valutare appieno effetti negativi di un eccessivo intervento pubblico tramite trasfe­
rimenti per il sostegno degli investimenti e dei consumi. Le indicazioni di una profonda riorganizzazione dell’intervento pubblico formulate negli anni ottanta da Minsky consentono di far emergere la modernità del suo pensiero, nell’esigenza di consolidare nel tempo l’efficacia della funzione primaria dello Stato per rafforzare l’iniziativa pub­
blica verso fini e obiettivi socialmente rilevanti. L’enfasi posta sugli effetti della finanza pubblica sui cash flow delle imprese e delle famiglie e l’accento sulla importanza della solidità finanziaria dell’operatore pubblico nell’evoluzione della sua teoria, aprono gli spazi alla valutazione delle policy non solo sulla domanda, ma anche sull’offerta secondo un’impostazione di “full balance­
sheet approach” che è aperta alle politiche di incentivazione all’innovazione e della produttività tra­
mite la valorizzazione del capitale umano.
Nella lettura offerta del pensiero di Minsky, la lezione di modernità e di attualità del suo contributo appare significativa, nel momento in cui allarga (e non si restringe) le possibilità di indagine dei problemi della crescita, della distribuzione del reddito e della ricchezza, con le relative implicazioni tecniche, istituzionali e politiche di concreto indirizzo per il conseguimento della efficienza econo­
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