Fani MALLOUCHOU-TUFANO, Interventi di restauro sull

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Fani MALLOUCHOU-TUFANO, Interventi di restauro sull
INTERVENTI
DI RESTAURO SULL’ACROPOLI DI
ATENE
DAL 1975 AD OGGI
Il vasto programma di restauro che dal 1975 ha cominciato a realizzarsi sui monumenti dell’Acropoli di Atene segue una tradizione di 150
anni. Infatti col riconoscimento dell’Indipendenza dello Stato Greco avvenuto nel 1830 e soprattutto durante il regno del suo primo re Ottone,
figlio del re Ludovico di Baviera, le contemporanee correnti europee penetrano nel mondo Greco. È allora che iniziano i primi sforzi sistematici
per la difesa e la rivalorizzazione delle antichità classiche ed in modo particolare dei monumenti dell’Acropoli, simbolo tangibile dell’ideale di bellezza classica. Nella coscienza dei Greci questi sforzi di rivalorizzazione
dell’Acropoli vengono ad identificarsi col rinascimento della nazione.
Tra i principali esponenti del classicismo europeo Leo von Klenze,
architetto della corte di Monaco, traccerà, nel suo breve soggiorno in Atene, l’estate del 1834, le linee direttrici degli interventi sull’Acropoli per
tutto il 19° secolo:
— sistemazione dell’Acropoli come spazio archeologico con l’allontanamento di ogni altra funzione incompatibile;
— allontanamento dai monumenti dei resti di fasi posteriori, resti che
vengono giudicati come arte di decadenza, creazioni di epoca barbara;
— fondazione del museo;
— realizzazione di scavi archeologici e di interventi di restauro sui
monumenti.
Questi interventi, giudicati con gli attuali criteri possono essere classificati come empirici, mal realizzati ed abbastanza dannosi per il materiale
antico, ma pur sempre in accordo con lo spirito di un’epoca ancora priva
di principi teorici in questo campo, con la conseguenza che l’esito dell’opera dipendeva principalmente dalla sensibilità e dalla cultura di chi la
realizzava.
In questa fase si possono inserire il primo restauro del Tempio di Ate205
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na-Nike, realizzato da L. Ross, Ed. Schaubert e Chr. Hansen nel 1835-36,
i lavori di restauro degli archeologi greci K. Pittakis e A. Rizos-Rangavis
all’Eretteo dal 1837 al 1840 e al Partenone dal 1842 al 1845, l’intervento
dell’architetto francese A. Paccard sul Portico delle Cariatidi nel 1846-47
e gli interventi di sostegno e di manutenzione della porta e del fregio occidentali del Partenone realizzati dall’archeologo greco P. Eustratiadis e lo
scultore italiano Martinelli dal 1870 al 1872.
Gli interventi di questa prima fase avevano indubbiamente modificato
e riplasmato notevolmente l’aspetto dell’Acropoli, senza però darle ancora la forma attuale. L’Acropoli, così come si presenta oggi ai milioni di
visitatori, con i suoi monumenti ormai in gran parte restaurati, che si innalzano sulla roccia nuda, cominciò a crearsi alla fine del secolo, con gli
estesi scavi sistematici di P. Kavvadias e di G. Kawerau (1885-1890), per
completarsi nel primo trentennio del XX secolo con gli interventi di restauro dell’ingegnere N. Balanos.
Gli interventi di N. Balanos rappresentano il primo programma completo di restauro di monumenti in Grecia:
— Partenone: 1898-1902, 1911, 1913: lavori statici e di manutenzione sulla trabeazione dei lati occidentali e orientali del tempio; 1923-1933:
restauro di tutto il colonnato nord e parte di quello sud, intervento sui
muri lunghi della cella e sulla porta occidentale.
— Eretteo: 1902-1909: restauro del soffitto a cassettoni dei Portici
nord e sud, restauro della trabeazione del muro occidentale, innalzamento
dei muri laterali sud e nord e dell’anta nordorientale.
— Propilei: 1909-1917: restauro parziale del soffitto a cassettoni del
Portico orientale e di quello della parte centrale del monumento.
Balanos nei completamenti e nelle sostituzioni dei pezzi originali usò
lo stesso tipo di marmo, cioè Pentelico, tranne che nei colonnati nord e
sud del Partenone, nei quali usò cemento armato. Per legare insieme elementi fratturati o per crearne di nuovi componendo insieme frammenti
antichi usò giunti di ferro solo parzialmente o per nulla protetti da piombo o coperti da malta di cemento. Lì dove era indispensabile per motivi
statici incorporò travi di ferro di notevoli dimensioni negli elementi architettonici antichi.
Balanos lavorò in un’epoca nella quale sorgeva in Europa una nuova
problematica nel campo del restauro, grazie ai principi che per primo aveva fissato C. Boito. Queste nuove idee emersero nelle discussioni che precedettero i due programmi di restauro del Partenone e soprattutto quello
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che si riferiva all’innalzamento del colonnato nord. Emersero inoltre prima dell’intervento, nella formulazione dello stesso Balanos, alcuni principi teorici: raccolta e collocazione nel loro posto originario degli antichi
elementi architettonici ritrovati salvi e intatti, o dopo un’adeguata ricomposizione o completamento: limitazione dell’uso del materiale nuovo solo
lì dove fosse strettamente necessario. In pratica Balanos procedette nel
restauro di grandi parti dei monumenti con tutto il materiale originale a
disposizione, ma senza troppo curarsi di accertare l’effettiva posizione originaria dei vari elementi. In questi lavori usò elementi architettonici (soprattutto capitelli e cassettoni) che creò componendo tra loro frammenti
antichi di varia e dubbia provenienza, ai quali non esitò a tagliar via le
superfici di frattura per creare superfici di appoggio lisce, mostrando in
questo modo una catastrofica trascuratezza nei confronti del materiale
originario. E la stessa mancanza di rispetto per il materiale antico la si
trova negli innumerevoli fori aperti o nella quantità di materiale estratto
dagli elementi architettonici antichi per inserire in essi nuove grappe o
intere armature in ferro.
Oggi ogni critica contro l’opera di Balanos sottolinea in modo particolare l’abbondante uso fatto del ferro che portò in breve, con l’aggravarsi
delle condizioni atmosferiche, all’ossidazione ed al rigonfiamento delle aggiunte in ferro con la conseguente fratturazione dei marmi e con un danno
incalcolabile ai monumenti. Ma al suo tempo la sua opera incontrò sempre
critiche favorevoli. Nel congresso di Atene del 1931 fu generale il riconoscimento per il risultato estetico, per l’indubbio raggiungimento della magnificenza dei monumenti con l’aggiunta relativamente limitata di materiale nuovo,
pur conservando contemporaneamente il loro carattere di rudere. Il termine “anastilosi” viene allora consacrato internazionalmente per il metodo
seguito da Balanos e tutti confermano la loro fede nell’impiego nel restauro
dei monumenti della nuova tecnica del cemento armato.
Negli anni successivi il solo intervento di grande scala sui monumenti
dell’Acropoli fu il secondo restauro, dal 1935 al 1940, del tempio di Atena-Nike. Responsabile dei lavori fu fino al 1939 Balanos che continuò ad
usare anche qui gli stessi metodi usati sugli altri monumenti dell’Acropoli.
Il suo successore, A. Orlandos, fondatore dello studio della storia dell’architettura in Grecia, durante la definitiva ricomposizione del monumento
corresse gli errori dei restauri precedenti.
Fu Orlandos a dirigere i lavori sull’Acropoli nel ventennio successivo.
Sotto la sua direzione fu restaurata l’ala nord-ovest dei Propilei (dal 1947
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al 1957), si effettuarono lavori di manutenzione, dal 1960 al 1964, sui
muri della cella, sulla pavimentazione e sul basamento del Partenone.
Ma già negli anni ’40 cominciò ad apparire evidente l’influenza catastrofica del ferro così largamente impiegato negli interventi di Balanos. Negli anni successivi si aggiunsero ancora altri problemi derivanti principalmente dal rapidissimo mutamento dell’ambiente circostante i monumenti.
Lo sviluppo gigantesco di Atene e la sua trasformazione in metropoli moderna e il raggruppamento di grandi complessi industriali nella pianura attica ebbero come risultato l’improvviso aumento dell’inquinamento atmosferico che favorì in modo drammatico il processo di ossidazione del ferro.
Così negli anni ’70, oltre allo sfogliamento delle superfici e delle fratture, sui
monumenti dell’Acropoli comparvero anche fessure di grande estensione.
L’inquinamento atmosferico ha agito inoltre nel modo più grave sulla
superficie dei monumenti; gli acidi inquinanti contenuti nell’acqua piovana hanno corroso le splendide superfici del marmo pentelico trasformandolo in gesso. Il gesso si è poi sciolto con l’acqua piovana mentre il processo di corrosione continua sulla superficie sottostante. L’attacco acido è
stato eccezionalmente rovinoso per la decorazione plastica dei monumenti, perché come immediato risultato ha portato alla perdita dei particolari
nelle sculture.
Con l’ossidazione delle grappe di ferro, le fessurazioni e le fratture dei
marmi e in generale con la rovina dei monumenti si collega anche il problema statico dei monumenti, perché il loro equilibrio statico è stato notevolmente modificato. La resistenza degli edifici o delle parti di essi che si
salvano risulta largamente diminuita e il semplice modello statico della
costruzione iniziale si presenta straordinariamente confuso a causa delle
diverse trasformazioni che ha subito.
Inoltre, l’esplosione del turismo degli anni ’60, i milioni di turisti che
senza interruzione visitano l’Acropoli, hanno portato inevitabilmente all’usura dei pavimenti dei monumenti, ma anche della Roccia stessa dell’Acropoli, monumento anch’essa, che reca le tracce preziose di una storia
plurisecolare.
In tutti questi anni l’Eforia (Soprintendenza) responsabile per la protezione dell’Acropoli ha cercato, con i limitati fondi e mezzi tecnici a sua
disposizione, di affrontare la situazione, con opere continue di manutenzione, come il reincollaggio di pezzi fratturati, l’otturazione di fessure, la
sostituzione di grappe di ferro con altre di bronzo, e opere di drenaggio in
tutti i monumenti.
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Relazioni successive, tra cui quelle degli esperti dell’UNESCO (1968,
1971) hanno evidenziato l’insufficienza di queste misure e la necessità di
interventi drastici per la salvaguardia dei monumenti. Per questo motivo
fin dal 1975 è stata istituita dal Ministero della Cultura una commissione
di esperti: archeologici, architetti, ingegneri e chimici: la « Commissione
per il Restauro dei Monumenti dell’Acropoli », che ha come compito lo
studio, la programmazione, la supervisione e l’esecuzione di tutte le opere
necessarie al completamento del restauro dell’Acropoli. La molteplicità
delle specializzazioni rappresentate dai membri della Commissione e soprattutto la loro autorità scientifica permette una visione globale dei problemi. La partecipazione di tutti alla decisione e l’istituzione di una procedura di molteplice controllo delle proposte di restauro dei monumenti
della stessa Commissione, attraverso incontri scientifici internazionali specializzati e con la supervisione del Consiglio Centrale di Antichità (il massimo organo consultivo del Ministero di Cultura e responsabile per la decisione finale), assicurano la massima oggettività possibile nelle decisioni
per gli interventi sui monumenti. Per l’esecuzione dei lavori si è creato,
sotto la supervisione della Commissione, un Ufficio Tecnico che attualmente comprende architetti, ingegneri, chimici, disegnatori, conservatrici,
un Centro di Documentazione ed una Segreteria con archeologi. Soprattutto si è assunto personale tecnico specializzato, lavoratori del marmo, la
maggior parte del quale proviene dall’isola di Tino, legata per tradizione
alla lavorazione del marmo.
La Commissione dell’Acropoli, fin dall’inizio, ha dato particolare peso
alla completa documentazione dello stato di conservazione dei monumenti,
come base indispensabile per ogni intervento di restauro. Così immediatamente sono cominciati meticolosi ed esaurienti rilievi dei monumenti. Su
ogni disegno è stata riportata nei particolari ogni alterazione dei marmi ed
ogni traccia di precedenti interventi. Nel rilievo di alcune zone dell’Eretteo,
facciate interne dei muri sud e ovest, è stato adottato il metodo fotogrammetrico. Nel Partenone per il rilievo dei punti più complessi sono stati adottati metodi diversi e in modo particolare quello basato su un meccanismo
originale, lo steropantografo, ideato appositamente dall’architetto responsabile dei lavori M. Korres. Questo strumento consente il rapido rilievo a
qualsiasi scala non solo dei contorni ma anche di tutte le curve della stessa
profondità. L’uso di carta da lucido particolare, indeformabile e impermeabile, l’impiego di scale grandi, di solito 1:10, per il rilievo delle parti del
monumento soggette ad intervento, 1:1 per i dettagli, e infine la misurazio209
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ne all’ombra ed il contemporaneo disegno a matita direttamente sul posto
garantiscono un’altissimo grado di precisione nei rilievi.
Contemporaneamente ai rilievi, in collaborazione con altri enti scientifici, sono stati effettuati controlli statici dei monumenti per determinare
la resistenza delle strutture portanti e la stabilità degli edifici. Per l’analisi
del comportamento interno delle strutture e l’individuazione degli elementi in ferro incorporati in esse e delle lesioni interne sono stati usati, in
collaborazione con il Centro Nucleare di ricerca « Democritos » ed il Laboratorio di Statica del Politecnico di Atene, i metodi della gammagrafia e
degli ultrasuoni, non dannosi per i monumenti.
Parallelamente nei laboratori di Fisicochimica del Politecnico di Atene
è stato studiato dal Prof. Skoulikides ed i chimici N. Beloyannis, D.
Charalambous, E. Papakonstantinou il meccanismo della corrosione del
ferro e della trasformazione in gesso della superficie di marmo, arrivando
alla scoperta del metodo teorico di ritrasformazione in calcite delle superficie ridotte a gesso. Contemporaneamente sono stati controllati ad intervalli regolari il pericolo del distacco dei marmi e del deposito di croste
nere sulle superfici dei monumenti.
Fig. 1 — La facciata est del Partenone nell’aprile 1986 (prima dell’intervento).
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Fig. 2 — La prima operazione di smontaggio sul Partenone (primavera 1986).
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La documentazione è stata estesa anche alla roccia dell’Acropoli con
un particolare studio idrogeologico, effettuato dal Centro di Ricerche Geologiche e Mineraleologiche, mentre tutta la collina è stata rilevata topograficamente e mediante aerofotografia (lavoro eseguito dal laboratori di
Topografia del Politecnico di Atene).
Nello stesso periodo è iniziata anche la sistemazione e l’identificazione del materiale antico sparso sulla roccia: frammenti di elementi architettonici talvolta appartenenti agli stessi monumenti, resti delle innumerevoli
dediche che un tempo decoravano l’Acropoli, oppure testimonianze di fasi
più recenti. Tutti questi elementi vengono numerati, fotografati, disegnati
e schedati sistematicamente. Questo lavoro, iniziato dagli architetti T.
Tanoulas e D. Ziro e eseguito tuttora dall’architetto Th. Tsitroulis si è
rivelato prezioso rendendo possibili numerose identificazioni, che in molti
casi hanno consentito il reinserimento degli elementi sui monumenti dai
quali derivavano. Tutta la documentazione viene raccolta nel Centro di
documentazione. Si prevede che alla fine delle opere saranno riuniti 70.000
documenti, comprendendo in essi disegni, fotografie, schede di inventario
di elementi architettonici sparsi sulla roccia e di quelli che sono stati smontati dai monumenti, restaurati e ricollocati, diapositive. Inoltre nell’archivio vengono raccolti schizzi, giornali di lavoro, films cinematografici e
videocassette. L’archivio comprende anche l’inventario sistematico delle
fonti e della bibliografia riguardante la storia, l’architettura ed i restauri
precedenti dei monumenti. Entro la fine di questo anno si prevede l’inizio
della computerizzazione del materiale raccolto nell’archivio, programma
che si spera possa facilitare in futuro, con il confronto dei diversi dati, la
ricerca e lo studio dei monumenti, l’esecuzione dei lavori e la loro pubblicazione finale.
Durante questa prima fase dei lavori sono state prese da parte della
Commissione dell’Acropoli alcune misure provvisorie di protezione: il
Portico delle Cariatidi, quello dell’Eretteo ed il fregio ovest ancora in
situ sul Partenone sono stati coperti con tettoie provvisorie come protezione contro la pioggia acida. Parti dei monumenti pericolanti, in particolare l’angolo nord-est della trabeazione del Partenone ed i soffitti a
cassettoni del Portico orientale e della parte centrale dei Propilei, sono
sorretti da appositi ponteggi. Per proteggere la superficie della roccia
dall’usura di migliaia di passi è stato creato, dall’indimenticabile I. Travlos
in collaborazione con l’architetto T. Tanoulas, un percorso per la circolazione dei turisti dai Propilei fino al Partenone. Poiché l’uso di materiali
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protettivi coprenti la superficie dei marmi è stato escluso dalla Commissione, si è reso inevitabile l’allontanamento, nel 1977, delle ultime statue, le figure B e C rimaste in situ sul frontone ovest del Partenone. Le
statue sono state inscatolate in una grossa cassa di legno, riempita con
sacchi di cemento e trasportata nel Museo dell’Acropoli dove sono state
esposte dentro una vetrina con azoto. Sul monumento sono state sostituite da copie fatte dal Museo Britannico.
Le prime ricerche hanno dimostrato chiaramente come si fossero ormai resi inevitabili interventi radicali sui monumenti dell’Acropoli. La consapevolezza della grande responsabilità di fronte a decisioni che implicavano interventi drastici sui monumenti di tale valore ha condotto la Commissione ad approfondire la problematica riguardante gli scopi ed i metodi di restauro, al fine di ricercare quelle soluzioni che limitassero al massimo le possibilità di errore.
I principi della Carta di Venezia, accettata universalmente, sono stati
adottati negli interventi sull’Acropoli: l’auspicata collaborazione tra studiosi (art. 2) viene assicurata dalle molteplici specializzazioni rappresentate dagli studiosi che eseguono le ricerche e da coloro che le esaminano.
Inoltre è stata assicurata la conservazione dei monumenti intesi come testimonianza storica, scientifica e come opera d’arte (art. 3) e la conservazione dell’ambiente circostante (art. 6). Il rispetto dell’autenticità del monumento e la redazione di uno studio archeologico prima di un qualsiasi
intervento (art. 9), l’uso di nuove tecnologie parallelamente a metodi tradizionali (art. 10), il rispetto di tutte le fasi del monumento (art. 11), l’inserimento armonico degli elementi nuovi e la loro riconoscibilità rispetto
a quelli originali (art. 12), il reinserimento degli elementi fuori posto (art.
15), la meticolosa documentazione prima e durante l’intervento, la pubblicazione dei lavori una volta terminati (art. 16) sono i principi fondamentali adottati sia nello studio sia nell’esecuzione dei lavori di restauro
che sono stati eseguiti all’Eretteo ed ai Propilei.
La pluriennale esperienza raggiunta dalla Grecia nel campo del restauro dei monumenti classici ha portato alla definizione di altri principi
complementari, che indirettamente derivano dalla Carta di Venezia, ma
che sono strettamente legati al carattere dell’architettura classica Greca,
che compone a secco elementi architettonici autonomi:
— la reversibilità, la possibilità cioè di riportare il monumento alla
condizione nella quale si trovava prima dell’intervento di restauro, che si
ottiene riducendo al minimo gli interventi sugli elementi originali e con la
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meticolosa documentazione prima di ogni spostamento;
— il mantenimento dell’autonomia dei singoli elementi architettonici
nel pieno rispetto del loro essenziale funzionamento statico;
— la limitazione al massimo degli interventi sulle parti del monumento già precedentemente restaurate in modo da non pregiudicare le sue
parti autentiche (rispetto all’autenticità del monumento);
— garanzia dell’autonomia statica dei monumenti con il recupero e
ricollocamento di elementi antichi (aumento della autosufficienza statica
dei monumenti).
Lo Studio per il Restauro dell’Eretteo basato sui principi sopra riportati è stato pubblicato alla fine del 1977 e nello stesso anno è stato sottoposto alla critica internazionale in un incontro di specialisti avvenuto ad Atene; in quell’occasione fu accettato all’unanimità. L’installazione del cantiere intorno al monumento è stato completato nei primi mesi del 1979.
L’Eretteo è stato circondato da pesanti ponteggi metallici a sostegno di
quattro gru mobili a ponte. Questa soluzione è stata scelta a causa del
dislivello del terreno intorno all’Eretteo. Due capannoni in legno E e N-W
del monumento hanno ospitato i laboratori per la lavorazione della pietra
ed i depositi degli attrezzi e dei materiali. I lavori di restauro veri e propri
sull’Eretteo sono iniziati nel giugno del 1979 con responsabili l’architetto
A. Papanikolaou e l’ing. K. Zambas. Uno dei primi interventi è stato il
trasporto delle Cariatidi nel Museo dell’Acropoli. Le statue protette in
tutta la loro superficie con carta e con strati di gesso sono state inscatolate
in grosse casse di legno riempite di cemento e hanno percorso su rotaie i
cento metri che le dividevano dalla loro nuova sede. Nel Museo vengono
attualmente conservate dentro una vetrina con azoto.
Negli anni successivi tutte le parti del monumento restaurate da Balanos
sono state smontate: il muro sud fino al livello degli ortostati, il soffitto a
cassettoni e il coronamento del parapetto del Portico delle Cariatidi, il
muro ovest fino allo stilobate delle semicolonne, il soffitto a cassettoni, le
cornici e alcuni blocchi del fregio del portico nord, il muro nord e la sua
zona sopra il portale.
I blocchi di marmo e gli elementi architettonici smontati sono stati
restaurati al suolo intorno al monumento, dove operai specializzati hanno
tolto i ferri ossidati e li hanno sostituiti con titanio, un metallo praticamente inossidabile persino in ambiente marino, con caratteristiche meccaniche molto buone, che per la prima volta viene usato in campo internazionale per sostegno dei monumenti antichi. Con il titanio sono state so214
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Fig. 3 — L’Eretteo restaurato (1987)n visto da sud-ovest.
Fig. 4 — La facciata dell’Eretteo restaurato (1987)
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stituite anche le pesanti armature di ferro incorporate da Balanos all’interno delle architravi del Portico delle Cariatidi o utilizzate per sospendere le
travi in marmo del soffitto del Portico nord Lì dove è stato giudicato indispensabile, soprattutto per motivi statici, i blocchi di marmo sono stati
completati da nuovo marmo Pentelico. Il trasporto della forma dell’antica
superficie di frattura sul blocco del completamento è stato realizzato con
l’aiuto dello stesso strumento che gli scultori usano per il trasporto della
forma dei modelli sul marmo. In questo modo sono stati ridotti gli interventi sugli elementi originali del monumento mentre nello stesso tempo si
è assicurata la reversibilità dell’intervento. Con titanio sono stati collegati
fra di loro anche frammenti di uno stesso blocco antico mentre per l’incollaggio è stata usata una malta di cemento sotto pressione a base di cemento
bianco depurato da sostanze solforiche.
Durante l’intervento la ricerca è continuata. La resistenza degli incollaggi è stata controllata continuamente nei laboratori. Lo stesso è valso per
le sollecitazioni delle armature. La documentazione degli interventi è stata
tenuta meticolosamente aggiornata con fotografie, schede speciali dei blocchi smontati, restaurati e rimontati, giornale di lavoro.
Il restauro dell’Eretteo è stato completato quest’anno. Durante il rimontaggio delle diverse parti del monumento è stata possibile la correzione
di alcuni errori dei restauri precedenti soprattutto per quanto riguarda il
posizionamento dei blocchi antichi, come nel soffitto a cassettoni del portico nord. Nell’intervento sul muro sud dal quale sono stati smontati e restaurati 113 grandi blocchi, ci si è accorti che, grazie ad uno studio analitico
condotto con computer dall’ing. K. Zambas, 19 di essi appartenevano al
muro nord. Questo ha permesso il loro collocamento nella sede originale ed
il completamento dei vuoti creatisi nel muro sud con nuovi blocchi di marmo. Il Portico delle Cariatidi è migliorato esteticamente poiché anche se ha
perso le sculture originali conserva ora la stessa forma con copie fedeli in
cemento delle statue, eseguite dallo scultore St. Triandis, con il vantaggio
che le sculture ora si ergono libere come lo erano una volta quelle autentiche. Infatti i sostegni metallici che per necessità nei precedenti restauri erano stati inseriti tra le statue originarie sono stati ora eliminati e sostituiti da
sostegni invisibili in titanio incorporati all’interno delle copie. Naturalmente questa soluzione non sarebbe stata mai possibile senza l’allontanamento
delle Cariatidi autentiche. Infine l’intervento sull’Eretteo ha compreso anche il restauro dell’angolo nord-est, con il completamento con copie in ce-
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Fig. 5 — L’Eretteo restaurato (1987) visto da nord-est.
Fig. 6 — L’Eretteo restaurato (1987) visto da sud-est.
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mento degli elementi architettonici (colonna ed architrave sovrastanti) conservati al Museo Britannico. Questo intervento fu giudicato indispensabile
per la protezione antisismica del monumento.
Un intervento di scala ridotta con tecnica e metodologia analoga è
stato effettuato, dall’arch. A. Tzakou e l’ing. M. Ioannidou, nel 1981-82
nei Propilei, dove fu consolidata la seconda architrave da sud della trabeazione del portico est e degli elementi ad esso adiacenti.
Nel 1983 è stato pubblicato Lo Studio per il Restauro del Partenone,
opera degli architetti M. Korres e Ch. Bouras. Si tratta di uno studio globale, che comprende una completa analisi storica, architettonica e tecnicocostruttiva del tempio con proposte di intervento suddivise in dodici programmi di lavoro riguardanti le diverse zone del monumento: le facciate,
i muri lunghi della cella, i porticati interni, il pronao e l’opistodomo, il
basamento ed i pavimenti. Lo studio è accompagnato da due fascicoli riguardanti i problemi della difesa antisismica del monumento e quelli
fisicochimici. Lo studio di massima per il restauro del Partenone comprende proposte di salvaguardia analoghe a quelle presentate per l’Eretteo:
smontaggio delle parti del monumento restaurate in precedenza, sostituzione dei ferri ossidati, sostituzione dei completamenti in cemento del restauro di Balanos con marmo Pentelico, corretto ricollocamento dei blocchi smontati e restaurati.
M. Korres nella sua ricerca ha identificato molti elementi del Partenone sparsi sull’Acropoli, sulle pendici della collina, nella città bassa. Di questi elementi, considerati come opere d’arte a sé stanti, preziose testimonianze del livello raggiunto dalla tecnica costruttiva dell’età classica, ripropone la collocazione in situ. Questo materiale originale identificato
permetterebbe, se ricollocato:
— il completamento della anastilosi dei muri lunghi della cella fino ad
una altezza da 4 a 5 metri.
— l’anastilosi dell’intero colonnato del pronao sulla base del 70% del
suo materiale originale.
— la ricollocazione di una grande parte delle antiche cornici dei colonnati nord e sud.
— il completamento parziale dei due frontoni.
Queste proposte, presentate in linea di massima al Congresso per il
Restauro del Partenone del 1983 in Atene, saranno definitivamente esaminate in un nuovo congresso insieme ad altri problemi relativi al restauro
del Partenone, come la tutela della decorazione plastica ancora in situ,
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l’eventuale ricostruzione del soffitto dell’ala occidentale per la protezione
del fregio, la difesa antisismica del monumento, tutti problemi per i quali
ancora non è stata presa una decisione finale. Indubbiamente i completamenti parziali proposti, se venissero attuati, darebbero un’immagine più
comprensibile del tempio per un pubblico più vasto.
Negli anni 1984-85 è stato istallato il cantiere. Nel Partenone come
principale sistema di sollevamento è stata usata una gru girevole di tipo
Stiffleg Derrick, con particolari modifiche per il più elevato grado di sicurezza richiesto dall’opera, scelta dopo uno studio comparato dei diversi
sistemi di elevazione. Infatti la gru situata all’interno del monumento è in
grado di coprire tutte le zone del Partenone nelle quali è previsto l’intervento, ha la possibilità di depositare carichi al di fuori del tempio, rimanendo tuttavia la soluzione che grava meno da punto di vista estetico sull’immagine dell’Acropoli e del Partenone, elementi essenziali del paesaggio di Atene. Nello spazio a sud del Partenone, lì dove vengono concentrati gli elementi sparsi del monumento, così come quelli che vengono smontati nel corso dei lavori, si è installata una bassa gru a ponte, l’ufficio tecnico, i laboratori della conservazione delle pietre, gli spazi di servizio per il
personale, un pantografo automatico per la copia dei marmi. Un’ altra gru
all’angolo sud-est dell’Acropoli consente l’innalzamento dei materiali su
di essa, per essere poi trasportati su rotaie al monumento.
Dall’aprile del 1986 è iniziata la realizzazione del primo dei programmi di restauro approvato, quello della facciata est del monumento. Già i
due angoli nel frontone e la trabeazione angolare nord-est sono stati smontati e vengono restaurati ai piedi del monumento. Responsabili per l’opera, oltre M. Korres, sono l’arch. N. Toganidis e l’ing. K. Zambas, il quale
compie anche lo studio antisismico del monumento.
Il programma della Commissione dell’Acropoli comprende in futuro
interventi analoghi di salvaguardia ai Propilei e al Tempio di Atena-Nike,
dopo il completamento dei relativi studi di restauro per i quali lavorano
rispettivamente gli architetti T. Tanoulas e D. Ziro. Nel frattempo si è
deciso di intervenire al più presto sui Propilei per smontare le parti pericolanti dei soffitti a cassettoni del portico est e del corridoio centrale. Sono
già cominciati i lavori preparatori per l’installazione del cantiere sotto la
direzione dell’ing. M. Ionannidou. Per Atena-Nike lo studio di restauro,
che si sta ultimando, prevede lo smontaggio completo del tempio, il quale,
nonostante il suo ultimo restauro, e relativamente più recente di quelli
effettuati sugli altri monumenti, presenta gli stessi problemi di conserva219
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zione. Infine è stato cominciato dall’arch. Th. Tsitroulis un nuovo rilievo
architettonico-topografico della superficie della roccia dell’Acropoli, indispensabile per una proposta di sistemazione definitiva.
Gli interventi della Commissione non si sono limitati solo ai grandi
monumenti che si ergono sulla Roccia Sacra. Dal 1977 sono incominciati
lavori sistematici, sotto la direzione dell’ing. D. Monocroussos, per il consolidamento delle rocce sulle pendici della collina dell’Acropoli che presentano fenomeni di corrosione e di fessurazione notevoli, che conducono
allo slittamento e alla caduta di grandi blocchi. Le rocce pulite dalla terra
e dalle radici delle piante vengono trattenute temporaneamente con reti e
cavi di acciaio. Per il consolidamento definitivo si usano ancoraggi attuati
nella massa stessa della roccia calcarea, con aste in pretensione in un composto a base di acciaio inossidabile. Le fessure delle rocce vengono cementate con malta speciale. Finora sono state consolidate solo alcune parti
pericolanti delle pendici nord ed est. I lavori ad opera finita interesseranno ventidue zone della collina e si protrarranno per cinque anni.
L’opera della Commissione ha rinnovato l’interesse scientifico intorno
ai monumenti della Rocca Sacra. Durante la compilazione degli studi degli
interventi del restauro, la schedatura del materiale sparso sulla roccia, lo
smontaggio dei monumenti, è venuta alla luce una quantità importante di
nuovi elementi che hanno arricchito notevolmente le nostre cognizioni relative all’architettura, alla storia, alla decorazione plastica dei monumenti.
I lavori sull’Acropoli sono effettuati esclusivamente da studiosi e da
tecnici Greci. Lo Stato Greco dispone fin dal 1975 dei crediti indispensabili per il proseguimento dei lavori. Parallelamente l’interesse internazionale per un’opera così importante si è manifestato nel 1977 con l’ “Appello Internazionale per la Salvezza dell’Acropoli” dell’Unesco, con il finanziamento parziale delle opere da parte della Comunità Europea, dal 1983
in poi, e da quello ininterrotto da parte di privati. Effettivamente in questo
momento la Rocca dell’Acropoli sta vivendo una nuova fase della sua storia (1).
FANI MALLOUCHOU-TUFANO
(1) Per la bibliografia cfr. The Acropolis at Athens: conservation, restoration and research
1975-1983, Athens 1985 (con la principale bibliografia precedente).
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