Burdov c. Russia

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Burdov c. Russia
© Traduzione eseguita da Eduardo De Cunto
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Burdov c. Russia
L’art. 6 § 1 della Cedu (diritto all’equo processo) è posto a garanzia, oltre che del
corretto svolgimento del processo, anche dell’effettività della sua fase esecutiva.
Qualora non fosse data concreta attuazione alle sentenze rese dai tribunali degli
Stati membri, infatti, verrebbero poste nel vuoto anche le garanzie predisposte per
l’equo svolgimento del processo.
La spettanza di un indennizzo, qualora sia suscettibile di esecuzione, costituisce un
"bene" ai sensi dell'art. 1 del Protocollo I della Convenzione.
Fatto:
Il 1 ottobre 1986 il cittadino russo Anatoliy Tikhonovich Burdov (il ricorrente), fu chiamato a prendere parte alle
operazioni di emergenza per far fronte al disastro nell’impianto nucleare di Chernobyl dalle autorità militari. Nel corso di
tali operazioni, nelle quali fu occupato fino all’11 gennaio 1987, il sig. Burdov subì un’eccessiva esposizione ad emissioni
radioattive; per tale motivo si ammalò e, nel 1991, fu riconosciuto beneficiario di un indennizzo.
Nel 1997 il ricorrente agì contro il Servizio di Sicurezza Sociale di Shakhty perché l’indennizzo spettantegli non era stato
pagato. Il 3 Marzo 1997 il Tribunale di Shakhty decise in favore del ricorrente stabilendo che gli spettassero 23.786,567
rubli russi (RUR) per l’indennizzo non pagato e un’ulteriore somma del medesimo importo a titolo di penale.
Il 9 Aprile 1999 fu avviata una serie di procedimenti esecutivi al fine di recuperare la penale concessa nel marzo del
1997. Ciononostante, a causa della carenza di fondi del Servizio di Sicurezza Sociale di Shakhty, il ricorrente si vide
negare di anno in anno il pagamento delle somme a lui dovute (che furono, pertanto, nuovamente ricalcolate in via
giudiziale tenendo conto delle more e sottoposte a rivalutazione monetaria). Solo nel marzo 2001 (quando intanto il sig.
Burdov aveva già esperito ricorso innanzi alla Cedu) il Servizio di Sicurezza Sociale di Shakhty, in seguito ad una
decisione presa dal Ministero delle Finanze, pagò al ricorrente il debito di RUR 113.040,38.
Diritto:
Nel 2000 il sig. Burdov si rivolge alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sostenendo che i considerevoli ed ingiustificati
ritardi nell’esecuzione delle sentenze emesse in suo favore abbiano violato alcuni dei diritti protetti dalla Convenzione,
per la precisione quelli di cui agli artt. 6 § 1 (diritto all’equo processo) e 1 Prot. 1. (protezione della proprietà).
In tale sede il convenuto Governo russo eccepisce che in seguito al pagamento del debito, avvenuto il 5 Marzo 2001, il
ricorrente abbia cessato di essere vittima della asserita violazione della Convenzione. La tesi del Governo è insomma la
seguente: dal momento che le intere pretese del ricorrente sono state soddisfatte, il danno pecuniario verificatosi nei
suoi confronti è stato pienamente riparato. Il Governo sottolinea inoltre che la somma di RUR 113.040,38 pagata il
5 Marzo 2001 è comprensiva anche della riparazione per il ritardo nell’esecuzione, poiché il debito originario ammontava
a una cifra inferiore rispetto a quella corrisposta. Il Governo infine sostiene che il ricorrente, se solo avesse voluto,
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avrebbe potuto agire in giudizio per vie interne al fine di ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale subito a
partire dal momento in cui le sentenze sono divenute esecutive. Di qui la non configurabilità di una violazione dell’art. 6 §
1.
Il ricorrente non condivide le affermazioni del Governo russo, dal momento che, a suo parere, gli è stata corrisposta una
somma molto inferiore a quella che gli sarebbe spettata.
La Corte Europea stabilsce preliminarmente che, pur ammettendo, per pura ipotesi, che al ricorrente sia stato ormai
effettivamente pagato per intero il debito arretrato in conformità con le sentenze dei tribunali interni, tale pagamento
(intervenuto solo a seguito dell’instaurazione del ricorso alla Cedu e della sua comunicazione al Governo russo) non ha
comportato nessun riconoscimento delle violazioni allegate né ha fornito al ricorrente un’adeguata riparazione. In base a
queste circostanze, pertanto, la Corte sostiene che il ricorrente possa ancora lamentare di essere vittima di una
violazione dell’art. 6 § 1 della Convenzione e dell’art. 1 Prot. 1 della stessa.
La Corte procede quindi a stabilire, all’unanimità, che vi è stata effettiva violazione dell’art. 6 § 1 («Ogni persona ha
diritto a che la sua causa sia esaminata equamente […] da un tribunale […] il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle
controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile […]»). Tale articolo, nell’interpretazione della Corte, è infatti volto a
garantire un’equa ed effettiva tutela giurisdizionale non soltanto per quanto riguarda la fase dell’instaurazione e della
trattazione del processo, ma anche per ciò che concerne l’effettiva traduzione in pratica delle decisioni dei giudici, ovvero
la fase esecutiva del processo. La ragion d’essere delle garanzie alla base del corretto svolgimento del processo,
insomma, verrebbe mortificata nel momento in cui il sistema legale di uno Stato contraente permettesse che una
sentenza definitiva e vincolante rimanga non operante a detrimento di una parte. Venendo al caso di specie, non è
permesso ad un’autorità statale di usare la mancanza di fondi come scusa per non onorare l’obbligo di una sentenza.
Pur riconoscendo che un ritardo nell’esecuzione di una sentenza potrebbe essere giustificato in circostanze particolari, i
giudici della Cedu affermano che tale ritardo non può essere tale da danneggiare l’essenza del diritto protetto dall’art. 6
§ 1. Al ricorrente non si sarebbe dovuto impedire, sulla base di allegate difficoltà finanziarie vissute dallo Stato,
l’ottenimento del vantaggio derivante dal successo nella causa, che concerneva un indennizzo per il danno alla salute
causato da una partecipazione obbligatoria ad una operazione in una situazione di emergenza. Venendo meno per anni
all’obbligo di prendere le misure necessarie per conformarsi alle decisioni giudiziarie, nel caso in esame, le autorità russe
hanno privato di ogni effetto utile le previsioni dell’art. 6 § 1 della Convenzione. Di conseguenza viene dichiarata la
sussistenza di una violazione di questo articolo.
Riguardo all’art. 1 prot. 1, la Corte ribadisce che la spettanza di un indennizzo può equivalere al “possesso” di un “bene”
nel significato dell’art. 1 Prot. 1 della Convenzione qualora sia suscettibile di esecuzione. Le sentenze del Tribunale di
Shakhty, emanate il 3 Marzo 1997, il 21 Maggio 1999 e il 9 Marzo 2000 e divenute poi esecutive, riconoscono al
ricorrente indennizzi suscettibili di esecuzione e non semplicemente un generale diritto di ricevere un aiuto dallo Stato.
Ne consegue che l’impossibilità per il ricorrente di ottenere l’esecuzione delle suddette sentenze, almeno fino al 5 Marzo
2001, ha costituito una interferenza nel suo diritto al rispetto dei suoi beni, come disposto nella prime frase del
primo paragrafo art. 1 Prot. 1. Pertanto si è verificata una violazione anche di tale articolo.
È interessante notare che in tale occasione la Corte Europea emette, per la prima volta, una sentenza riguardante la
Russia, dopo oltre sei anni dall'adesione di questo paese al Consiglio d'Europa.
Equa soddisfazione:
Sulla base dell’ art. 41 Cedu, la Corte ha condannato il governo russo a corrispondere al ricorrente la somma di € 3.000
a titolo di equa riparazione del danno non patrimoniale da questi sofferto.
Informazioni aggiuntive
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Tipo di decisione:Sentenza (Merito ed Equa Soddisfazione)
Emessa da:Camera
Stato convenuto:Russia
Numero ricorso:59498/00
Data:07.05.2002
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Articoli:6-1 ; 34 ; 41 ; P1-1
Op. separate:No
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