Lopez – Tradizioni (italiano)

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Lopez – Tradizioni (italiano)
associazione culturale Larici – http://www.larici.it
José Ignacio López Fernández
Tradizioni slave precristiane intorno
al ciclo di Pentecoste1
1. Introduzione. Distribuzione delle feste comprese nel ciclo di Pentecoste
Nelle celebrazioni del ciclo di Pentecoste si frammezzavano i riti agrari con il
culto dei morti. Le tradizioni giudeo-cristiane si basavano su quelle slave e si
fondevano, in modo tale che, parallelamente alle feste cristiane che si
celebravano in quel periodo dell’anno, avevano luogo altre pratiche che
furono oggetto, dal Medio Evo e in tutto il territorio slavo, sia della dura
persecuzione da parte del clero, sia del divieto da parte delle autorità civili.
Nella prospettiva attuale, tali celebrazioni, essendo assimilate a una festa
cristiana di carattere mobile, possono variare notevolmente di data. Il
giorno di Pentecoste si celebra la domenica della settima settimana dopo la
Settimana Santa, cosicché la festa può cadere tra il 10 maggio e il 13
1 J.I. López Fernández, Tradiciones eslavas precristianas en torno al ciclo de Pentecostes, in
“Eslavística Complutense”, Madrid, n. 6, 2006, pp. 217-227. Traduzione dallo spagnolo e
note (N.d.T.): © associazione culturale Larici, 2012. Illustrazione: A. Gračev, Semik a
Mar’ina Rošča, 1845.
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giugno, come previsto dal Concilio di Nicea nel 325, che fissò la data delle
Pasqua e delle altre feste mobili a essa correlate. Nella tradizione cristiana si
commemora la discesa dello Spirito Santo sugli Apostoli e coincide con la
festa ebraica delle settimane o delle primizie che aveva luogo il 6 di Sivan,
secondo il calendario ebraico basato sull’anno embolismico2.
In ambito slavo, la celebrazione della Pentecoste si inserisce in un ciclo
che comprende altre feste3. Sebbene i dettagli cambino da un territorio
all’altro, l’espressione del culto per la natura e per i morti hanno elementi
comuni.
Nella tradizione slava orientale il ciclo comincia il giovedì della settima
settimana dopo Pasqua, che in russo si chiama Семик4. La successiva festa
rinomata è il sabato, vigilia della domenica di Pentecoste, considerato dagli
Slavi orientali come uno dei principali giorni commemorativi dell’anno (detto
anche задушная суббота, родительская суббота, троицкие деды5).
La domenica è il giorno di Pentecoste ed è comunemente chiamata della
Trinità (in russo, Троица). In alcune regioni la si conosce anche come
Русалии (in serbo, Русаље) e ciò porta al fatto che, in diversi territori
ortodossi, il nome Русальная неделя (in bulgaro, Русалска неделя)6 sia
dato sia alla settimana che termina in quel giorno che a quella successiva.
In quest’ultima settimana emergono due date: il lunedì, giorno dello Spirito
Santo (in russo, Духов день; in bulgaro Духовден), e il giovedì, detto nelle
regioni meridionali della Russia e in Polesia Навская троица, Трийца
умэрлых, Сухой день, Кривой четверг7. In polacco il periodo che copre gli
ultimi tre giorni della settimana di Pentecoste e i primi tre della seguente è
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Sulla festa ebraica nella Bibbia, cfr. Esodo 23,16, 34,22; Levitico 23,15-21; Numeri 28,2631 e Deuteronomio 16,9-12. La discesa dello Spirito Santo sui discepoli di Gesù nel I
secolo è nel capitolo 2 degli Atti. – La festa “delle settimane” era anche detta “della
mietitura”, durante la quale venivano offerte le primizie del frumento e dei frutti della
terra. Embolismico è il calendario pagano che adotta tredici mesi lunari. (N.d.T.)
In senso più ampio occorrerebbe collocarlo nel ciclo rituale di primavera-estate, le cui
celebrazioni comportavano alcune manifestazioni: il fuoco, i morti, i travestimenti, l’albero
ecc. Affermando questo, ho in mente alcune delle tesi esposte da Frazer (2005) ed Eliade
(2000).
Semik è una parola antico-slava che significa “sette”, perché cade nella settima settimana
dopo Pasqua. (N.d.T.)
Zadušnaja subbota, roditel’skaja subbota, troickie dedy: le prime due locuzioni sono
traducibili con “sabato delle anime” o “sabato dei morti”, la terza con “Trinità degli
antenati”. (N.d.T.)
Rusalii e rusal’naja nedelja (settimana delle rusalke), la quale, nella letteratura corrente,
è spesso equivalente a Semik, Zelënaja nedelja (settimana verde) e Rusaloč’ja nedelja
(settimana delle rusalke). (N.d.T.)
Duchov den’ significa letteralmente “giorno dello Spirito (Santo)” che nel linguaggio
comune equivale al Lunedì di Pentecoste. Le locuzioni Navskaja troica, Trijca umerlych,
Suchoij den’, Krivoj četverg significano, anch’esse letteralmente, Trinità di Nav' (o Navka:
incarnazione della morte), Trinità dei morti, Giorno a secco (senza alcol), Giovedì
particolare. La Polesia è una delle vallate paludose più estese d’Europa, è compresa tra gli
spartiacque dei fiumi Bug Occidentale e Pripjat’ (Bielorussia meridionale, Ucraina
settentrionale e, parzialmente, Polonia e Russia). (N.d.T.)
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chiamato Zielone Świątki8.
Lo spostamento di data tra calendario gregoriano e calendario giuliano,
ossia il ritardo di tredici giorni che caratterizza il calendario liturgico
ortodosso, fa sì che nei Paesi slavi queste feste spesso cadano nel mese di
giugno. Di conseguenza, è molto frequente che i ricercatori di tradizioni
situino tali celebrazioni all’interno delle feste estive, ma ciò è valido solo per
alcuni Paesi. Inoltre, esso deriva da uno sviluppo secondario che non teneva
conto del calendario.
Per superare il problema della mobilità delle feste e lo sfasamento del
calendario liturgico ortodosso, bisogna ricorrere alla nozione di codice
anteriore, cioè alla prima data possibile di una celebrazione variabile9, che
porta alla metà del mese di maggio: la loro origine si dovrebbe quindi
relazionare con le feste primaverili che si svolgono in quel mese, piuttosto
che con quelle estive di giugno.
2. Erbe, alberi e re
Il nucleo comune che univa i riti della Pentecoste era costituito dalle usanze
associate al culto agrario. In primo luogo, si preparava la vegetazione che
sarebbe stata usata: si raccoglievano erbe e fiori selvatici (già dal Семик nel
caso dei Russi), con i quali si intrecciavano corone da porre sul capo il
giorno della Trinità e in altre date festive, si decoravano l’interno e l’esterno
della casa con fronde, si coprivano le porte e i pozzi, si ponevano ghirlande
sulle corna delle vacche, si gettavano rami nell’orto, si bagnavano gli alberi
giovani del cortile di casa, sotto le finestre, accanto all’ingresso, negli angoli
dell’abitazione e così via. Inoltre, durante le feste si organizzavano banchetti
e danze, si intonavano canti e si incendiavano falò, caricando tutte queste
azioni di un importante significato rituale.
Nel XVIII secolo, le varie usanze e manifestazioni della religiosità
popolare richiamavano con forza l’attenzione dei viaggiatori diplomatici che
attraversavano le terre russe ai tempi di Pietro I, perciò era frequente che
essi dedicassero qualche capitolo, o almeno qualche passaggio, a questi fatti
per loro pittoreschi: ciò costituisce un documento etnografico di enorme
valore. Così, lo svedese Henrik Sederberg, nel capitolo XI delle sue
annotazioni stilate durante il soggiorno in Russia negli anni 1709-1718, ha
raccontato che i Russi celebravano il 21 maggio (si tratta, pensiamo, di una
data occasionale) accorrendo nei boschi, dove intrecciavano corone di erba
o rami verdi attraverso i quali si baciavano, senza che nessuno potesse
rifiutarsi di farlo10.
Sull’usanza, aggiunse maggiori particolari il danese Just Juel nel suo En
Rejse til Rusland under Tsar Peter (1709-1711), in cui spiega come il 31
8 Afanas’ev 1995: III, 346; Georgieva 1983: 121; Gal’kovskij 1916: 94-95; Ogrodowska
2001: 271-275.
9 Gaignebet 1984: 7.
10 Mansikka 1922: 376.
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maggio, giorno di Pentecoste in quell’anno, installò la sua tenda da
campeggio lungo il fiume Nara vicino alla chiesa del luogo, e fu testimone
delle usanze locali. Secondo la sua esposizione, nella chiesa si celebrava un
servizio per la Pentecoste, durante il quale il sacerdote distribuiva a tutti i
presenti in chiesa, uomini e donne, mazzi di fogliame verde. A conclusione
del servizio, a mezzogiorno, le ragazze del villaggio, cantando e incoronate
con ghirlande verdi, si raccoglievano su un ponte che attraversava il fiume
Nara. Da lì, con grida e urla, gettavano le corone nel fiume e ritornavano al
villaggio intonando altre canzoni. In risposta alla curiosità del viaggiatore, le
ragazze spiegarono che la loro era una superstizione che si ripeteva ogni
domenica, fintanto che la vegetazione rimaneva verde, per presagire quale
ragazza sarebbe stata la prima ad ammalarsi, morire o soffrire una
disgrazia: la calamità avrebbe dovuto succedere a colei la cui corona
sprofondava in acqua per prima11. Tale modo di indovinare il futuro,
lanciando ghirlande di fiori o erbe nella corrente, è una pratica tuttora ben
conosciuta su tutto il territorio slavo ed è molto popolare tra i giovani in
diversi momenti della primavera e dell’estate12.
L’albero occupa un posto preminente nei festeggiamenti. Esso è collegato
a tutta la tradizione europea degli alberi di maggio e ha lo scopo di
stimolare le forze della natura e garantire prosperità. In molti luoghi si usa
ancora recarsi in un bosco in primavera per scegliere un albero e collocarlo
nel centro del villaggio13. Nelle feste russe è molto comune la betulla, ma la
popolarità dei riti è tale che si estende su tutto il territorio slavo e un albero
vale un altro14.
In molte regioni queste usanze erano unite all’elezione di un re o di una
regina di Pentecoste, o di maggio, mediante prove di abilità il cui
superamento ne rivelava il vigore e la destrezza. Quasi tutte le tradizioni
popolari europee conservano, con nomi diversi, la coppia primordiale: re e
regina, padrone e padrona, sposo e sposa, fidanzati ecc. In Slesia si nomina
il vincitore di una corsa di cavalli “re di Pentecoste” e la sua dama “regina di
Pentecoste”15. In Cuiavia, Polonia, si elegge “re dei pastori” chi per primo
porta a pascolare il proprio bestiame16. In Slovacchia sono registrati i riti dei
re di Pentecoste nei divieti sinodali del 1585 e del 1591 e nell’opera Notitia
Hungariae novae historico geografica (1735-1742) dello storico ed
enciclopedista slovacco Matej Bel z Očovej (1684-1749). Apparentemente,
tali riti scomparvero tra gli Slovacchi nel XVIII secolo17. Eliade ha sostenuto
che la coppia reale rappresenti un’immagine alterata della giovane coppia
che anticamente stimolava le forze creatrici della natura unendosi
11 Mansikka 1922: 375-376.
12 Afanas’ev 1995: III. 346.
13 Eliade 2000: 448-452.
14 Afanas’ev 1995: III. 344-345.
15 Eliade 2000: 453-454.
16 Kolberg 1978: 241-243. – La Cuiavia (o Cuyavia o Kuiavia) è una regione settentrionale
della Grande Polonia. (N.d.T)
17 Niederle 1924: 56; Valencova 1996: 256.
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ritualmente sopra i solchi e ripetendo così la ierogamia cosmica del cielo e
della terra18, da qui deriva lo svolgimento di gare per determinare la coppia
più vigorosa, cioè più feconda. In alcuni luoghi, le celebrazioni includevano
una decapitazione o un’esecuzione simulate del “re”, che nascondeva un
importante significato rituale. A Semič, Boemia, l’usanza di decapitare il re,
si compiva il lunedì di Pentecoste19. Frazer ha interpretato questo tipo di
sacrifici simulati come un modo per promuovere e incoraggiare la fecondità
della natura20.
Nell’ultima fase di questo ciclo festivo si distruggeva tutta la vegetazione
utilizzata: la si bruciava, la si abbandonava in siti appartati o la si gettava in
acqua. Tuttavia, i rami secchi di Pentecoste si utilizzavano come difesa
contro gli spiriti maligni, i fulmini, gli incendi, o per trarre auspici, magia
curativa ecc. Nella Polonia meridionale i rami per i falò di Pentecoste si
chiamavano sobótka, termine che deriva da Sabbat, che è una parola usata
per la prima volta in Francia nel XIV secolo nei processi dell’Inquisizione
contro le streghe facendo riferimento alle loro riunioni, in cui l’elemento
igneo e orgiastico occupava una posizione fondamentale21. In poco tempo il
suo impiego si estese in altri Paesi e, come abbiamo scritto, si condannò la
sua pratica nei sermoni polacchi dal XV secolo in poi. In molte regioni della
Polonia, il termine sobótka si riferisce alle celebrazioni della notte di San
Giovanni, ma in Malopolska riguarda quelle di Pentecoste22.
3. La Pentecoste e i defunti
Il culto dei morti occupava una posizione fondamentale in tutto il periodo di
Pentecoste. La relazione tra defunti e ciclo agrario è un fenomeno molto
diffuso in ogni cultura e ben comprensibile in virtù del carattere ctonico di
entrambi.
Nelle credenze degli Slavi si distinguevano chiaramente due tipi di
decessi. Da un lato c’erano coloro il cui decesso era avvenuto in circostanze
normali, avevano goduto di un degno funerale e potevano arrivare a
convertirsi in spiriti protettori del focolare. Dall’altro lato, c’erano i periti per
morte violenta, prematura o in strane circostanze. Tra essi si contavano le
18 Eliade 2000: 454, 504-506. – La ierogamia è un “matrimonio sacro”, ossia tra due
divinità o tra un dio e un mortale,[solitamente celebrato in primavera dal monarca e dalla
personalità che guidava la religione dominante. I partecipanti assumevano le
caratteristiche delle divinità e con la loro unione garantivano fertilità a loro stessi, alla
terra e al popolo. (N.d.T.)
19 Ancora oggi nella città boema di Semič si usa che, durante la domenica di Pentecoste, i
giovani maschi rechino una cintura di corteccia, una spada di legno e una tromba di
corteccia di salice. Il re indossa un manto di corteccia d’albero adorno di fiori, ha in testa
una corona di corteccia coperta di fiori e foglie ed i piedi avvolti di felci; una maschera gli
nasconde il viso e per scettro ha una bacchetta di biancospino. (N.d.T.)
20 Frazer 2005: 348-350.
21 Caro Baroja 2003: 123-127.
22 Kolberg 1976: 294-296. – La regione Malopolska, o Piccola Polonia, si estende tra
Cracovia e Kiev. (N.d.T.)
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ragazze morte prima del matrimonio, gli annegati, i bambini spirati prima
del battesimo, i suicidi e così via, ossia coloro che non avevano ottenuto
quel rito di passaggio che si supponeva desse un vero funerale. Questi
ultimi si convertivano in spiriti pericolosi, con caratteristiche e nomi diversi:
senza dubbio, il più famoso e universale diffuso è il vampiro.
Il rapporto degli Slavi con i morti comprendeva una serie di prassi
apotropaiche per proteggersi dai loro pericolo e di cerimonie
commemorative disposte lungo l’anno e, tra le date, si incontra il ciclo di
Pentecoste. Anche quando si era ufficialmente accettato il cristianesimo nei
territori slavi, il clero e le autorità civili continuarono a essere preoccupati
per la sopravvivenza di molte usanze e antiche credenze. Tale è il caso delle
disposizioni legislative di Břetislav II, contenute nella Chronica Boemorum
(III,1) di Cosma di Praga (c. 1045-1125) dove si vietavano, tra l’altro, le
usanze pagane che avevano luogo a Pentecoste, le libagioni alle fonti, il
sacrificio ai demoni e le sepolture in boschi e campi, così come le scenas e
gli iocos profanos relazionati con i morti23.
Nel folklore degli Slavi orientali la русалка24 è un personaggio
fondamentale. Comunemente si crede che sia lo spirito di una giovane
morta in modo innaturale, in particolare annegata o deceduta prima del
matrimonio. La parola è un’innovazione tardiva, formata basandosi sul
termine rosalia, che era un’antica festa del culto dei morti. La festa delle
rose, Rosalia o Rosaria (a Roma dies rosationis, in Grecia ροδισμός) è
registrata per la prima volta in Italia nel I secolo. Negli statuti del Collegium
Silvani del tempo dell’imperatore Domiziano (81-96), la festa si colloca al
livello di altre due molto popolari: Capodanno e il giorno dell’imperatore. Nel
più antico calendario cristiano, dell’anno 354, al 23 maggio vi è una
notazione che recita: «Il mercato coperto è ornato di rose».
La festa era al di fuori del culto ufficiale e, dal punto di vista religioso,
rimaneva indifferente, perciò pagani e cristiani la celebravano insieme. La
sua data non era fissata rigorosamente e nei diversi territori del Paese
variava da maggio a giugno secondo la fioritura della rosa: agli inizi di
maggio in Campania, a metà maggio a Roma, a metà giugno sugli
Appennini, nel mese di luglio in Alta Italia. All’inizio non aveva alcun legame
con il culto dei morti, si trattava semplicemente di una festa legata alla
fioritura delle rose, tuttavia l’abitudine di mettere rose sulle tombe nuove,
come offerta ai morti, provocò la trasformazione della festa delle rose in una
commemorazione dei defunti25. Nel II secolo la celebrazione delle rosalie si
estese nella Penisola balcanica e nei territori limitrofi del nord dell’Asia
Minore, dove incontrò un terreno fertile. Più tardi, in epoca cristiana, la
festa di Pentecoste, che cadeva nel mese di maggio-giugno, diventò l’erede
23 Meyer 1931: 20. Sulla questione di interpretare, in questo testo, scenas come
“rappresentazione teatrale” o come “capanno per il riposo degli spiriti”, si veda Urbańczyk
1991: 171-175. L’autore propende per la seconda possibilità.
24 Rusalka. (N.d.T.)
25 Arnaudov 1972: 129-130.
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delle rosalie26.
La parola ‘Ρουσάλια si registra per la prima volta in Teodoro Balsamon
alla fine del XII secolo, nel suo commentario al canone 62 del IV concilio
ecumenico, quando si criticano le sagre popolari che si organizzano dopo
Pasqua27. Un paio di secoli più tardi, Dimitar Homatijan, arcivescovo di
Ohrid, che visse agli inizi del XIII secolo, scrisse De rusaliis, in cui si
scandalizzava dei giochi svergognati che si celebravano la settimana
seguente la Pentecoste, avendo davanti agli occhi gli abitanti della antica
Moliska, in Macedonia28.
Dal greco, forse più che dal latino, il termine passò alle lingue slave. Così,
in antico bulgaro
acquistò il significato di Pentecoste. In serbo lo si
incontra in un manoscritto del XVII secolo
Dai Balcani, il vocabolo si inserì nel russo nei secoli XI-XII29.
A poco a poco la parola acquisì nuovi significati: dalla festa dei morti
relazionata con le rose e assimilata alla Pentecoste passò a riferirsi ai suoi
festeggianti, che spesso la celebravano in forma di mascherata (la prima in
quel periodo e poi, per estensione, in altre epoche dell’anno, come San
Giovanni o Natale), e che sogliono apparire nei testi a fianco degli
скоморохи30. Più tardi, si cominciarono a chiamare in Russia con la forma
del diminutivo femminile русалка gli spiriti delle ragazze morte in modo
innaturale summenzionate. Anche se il nome risulta un prestito, la credenza
in questi spiriti è un patrimonio antico: si è avuto semplicemente un
processo di sostituzione lessicale. Forse sono gli stessi spiriti che nel VI
secolo Procopio di Cesarea (De bello Gothico III,14) identificava come ninfe
oppure le берегини che appaiono nei sermoni russi medioevali insieme agli
упыри, i vampiri31. In altre regioni del territorio slavo li si può relazionare
con le мавки o навки ucraine, le boginki polacche e le вили у самодиви
meridionali32. Tuttavia si considerano semplicemente delle ninfe33.
26 Arnaudov 1972: 132.
27 Arnaudov 1972: 135; Meyer 1931: 82; Niederle 1924: 54.
28 Arnaudov 1972: 135; Meyer 1931: 59-60; Niederle 1924: 55.
29 Fasmer 1987: t. 3, p. 520; Arnaudov 1972: 135.
30 Gli skomorochi erano artisti popolari – menestrelli, attori, ballerini, acrobati, clown... –
presenti in ogni festa e celebrazione pagana e spesso mascherati. (N.d.T.)
31 Le beregini (da bereg, riva) erano originariamente gli spiriti femminili della natura e dei
luoghi montani, ma furono poi associate ai fiumi. Gli upyri, i vampiri, erano venerati dagli
slavi orientali e settentrionali che vi tributavano sacrifici. (N.d.T.)
32 Le mavki, o navki, ucraine erano una varietà di rusalke con i capelli molto lunghi e biondi;
avevano corpo, ma non si riflettevano nell’acqua e non avevano ombra. Le polacche
boginki (piccole dee), forse precorritrici delle rusalke, erano spiriti femminili delle acque
che si credeva rapissero i bambini e li sostituissero con esseri mutati. Le vili erano spiriti
femminili dei boschi e degli stagni, presenti nel folclore russo, jugoslavo e bulgaro, ed
erano talvolta ritenute le anime dei bambini morti senza il battesimo o delle fanciulle
annegate. In Grecia, nei Balcani e in Russia, le samovidi (o samovili, o samodivi) erano
bellissime fate dei boschi, talvolta alate, che danzavano e cantavano di notte vicino alle
fonti dove si bagnavano; generalmente benevole, erano capaci di provocare la siccità e
comandare i venti. (N.d.T.)
33 Urbańczyk 1991: 53; Gal’kovskij 1916: 60-71.
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Tradizionalmente, si credeva che le rusalke salissero dalle acque ai campi
e ai boschi durante la settimana chiamata русальная неделя, che a
seconda delle regioni si considerava ora i sette giorni antecedenti la
domenica di Pentecoste, ora i sette giorni seguenti, e rimanessero attive
finché finiva detta settimana, o anche fino a San Giovanni o San Pietro34. In
Bulgaria è chiamata Русалска неделя oppure Самодивска неделя, e si
relaziona con le самодиви35.
Spesso gli Slavi ritenevano che i morti impuri potessero essere la causa
del gelo, della siccità, delle inondazioni, delle pesti o dei cattivi raccolti. Da
qui nacque una pratica, diventata abituale, di lasciare senza sepoltura tali
defunti, arrivando persino a esumare i cadaveri, se sospettati di produrre
simili disgrazie. Contro quelle pratiche insorse, nel XIII secolo, Serapion di
Vladimir e, nel XVI secolo, Massimo il Greco36. Come si sa, in Russia, dal
XIII al XVIII secolo, funzionavano le cosiddette убогие дома, “case per
indigenti”, un eufemismo per indicare le fosse comuni, con una misera
capanna come cappella, nelle quali durante il Семик si svolgevano le
sepolture di massa di tutti i cadaveri di morti impuri che erano stati lasciati
dissotterrati37.
Su questa pratica ha scritto l’artista olandese Cornelis De Bruijn (16521727) nei suoi viaggi attraverso la Russia nel 1701-1703 e nel 1707-1708.
Nella sua opera Cornelis de Bruins Reizen over Moskovie, door Persie en
Indie (Amsterdam, 1711), ha raccontato che in quel giorno alcuni sacerdoti
accorrevano la mattina presto a un certo fosso o pozzo, dove si gettavano i
morti impuri, tra i quali c’erano anche i condannati a morte nei processi.
Quei pozzi, tre o quattro nei dintorni di Mosca, si coprivano con terra ogni
anno e nel seguente anno se ne scavavano di nuovi, generalmente alla
vigilia della festa38.
In una di quelle tombe fu gettato, nel maggio 1606, il cadavere del Falso
Demetrio. Quell’anno vi furono delle gelate eccezionalmente forti, e i
Moscoviti, per i quali il Falso Demetrio era sospettato di stregoneria,
attribuirono quel freddo alla sua nociva influenza. Il suo corpo fu riesumato
e cremato39.
34 Afanas’ev 1995: III. 74.
35 Georgieva 1983: 121-124.
36 Serapion, monaco di Kiev, fu vescovo di Vladimir dal 1274 al 1275, anno della sua morte,
e scrisse cinque sermoni si cui due dedicati alle abitudini pagane. Massimo detto il Greco
(1475?-1556), fu prima monaco del Monte Athos, e poi, trasferitosi in Russia su invito del
granduca Vasilij III, tradusse dal greco in latino e in slavo ecclesiastico alcun testi sacri,
ma per discordanze rispetto ai testi sino allora circolanti in Russia fu condannato per
eresia e rinchiuso in un monastero. (N.d.T.)
37 Gal’kovskij 1916: 197-201; Levkievskaja 2003: 191.
38 Mansikka 1922: 375.
39 Levkievskaja 2003: 191. – Il Falso Dimitrij (o Demetrio, 1581-1606) era colui che,
dichiarandosi il figlio di Ivan il Terribile scampato miracolosamente all’assassinio, regnò
sulla Moscovia dall’aprile 1605 al 17 maggio 1606, quando fu ucciso dai boiari. Il suo
corpo fu fatto a pezzi ed esposto, poi cremato e le ceneri mischiate a polvere da sparo e
sparate verso la Polonia. Il motivo principale, però, sembra da ricercare nella sua alleanza
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Fu nel 1771, quando Caterina II visitò una di quelle “case per indigenti”,
che furono proibite per decreto. Nelle città di provincia, tuttavia, si continuò
a seppellire in quel modo e la paura verso i morti impuri è restata tra la
gente quasi fino ai nostri giorni40.
4. Canti, dèi e un tocco di invenzione
La popolarità di cui godevano le celebrazioni di Pentecoste alla fine del
Medio Evo attrasse l’attenzione del clero, che a tutti i costi cercava di
eliminare ogni manifestazione di paganesimo. L’interpretazione che
facevano nei loro sermoni delle tradizioni che presenziavano, ma che non
sempre comprendevano, ebbe un risultato molto particolare: contribuì a
sviluppare quella che viene comunemente chiamata mitologia da ufficio41,
cioè un tentativo di erudita ricostruzione della religione slava i cui risultati si
sono rivelati piuttosto grezzi e sfocati.
Senza dubbio l’autore che ha influenzato la maggior parte degli storici
successivi è il polacco Jan Długosz (1415-1480). Nel Libro I dell’opera
Annales seu cronicae incliti Regni Poloniae descrive, a modo suo, le antiche
divinità dei Polacchi. Racconta che essi erano pagani e adoravano una serie
di divinità che il cronista dispone seguendo il modello romano. Giove era
chiamato Yesza, Marte Lyada, Venere Dzydzilelya, Plutone Nya, Diana
Dzewana, Cerere Marzyana, e aggiunge due personaggi senza parallelo
romano: Temperies, in polacco Pogoda, e un “deus vitae” chiamato Žywye.
Długosz non solo ha presentato un pantheon di “antichi” dèi polacchi, ma
ha anche registrato alcuni dettagli del culto e attribuito ai Polacchi l’uso di
templi, immagini, sacerdoti e sacrifici e celebrazioni in determinati periodi
dell’anno, durante le quali il popolo si riuniva, intonava canti amorosi e
osceni e invocava gli dèi. Ha riferito, inoltre, che alcuni resti di quelle feste
si erano conservati fino al suo tempo, nonostante il fatto che i Polacchi
avessero accettato il cristianesimo cinquecento anni prima (966), e ha
puntualizzato che ogni anno a Pentecoste si ripetevano tali festeggiamenti,
nei quali gli antichi idoli erano ricordati. Il cronista ha chiamato tale
celebrazione in polacco Stado e in latino grex, cioè “gregge, mandria”, dato
che le persone si riunivano tra loro in folle cariche di eccitazione ed
entusiasmo, per fare banchetti e cerimonie volti alla sfrenatezza e
all’ubriachezza42.
Per quanto ne sappiamo, Długosz è stato il primo a riferire celebrazioni
pagane svolte durante la Pentecoste con il nome di Stado, ma potrebbe
averlo inventato poiché non risulta in altra fonte (almeno, in quelle
pervenuteci), tuttavia gli storici posteriori (Miechowita, Kromer, Stryjkowski,
con la Polonia e nel suo annuncio di sposare una cattolica polacca che non aveva alcuna
intenzione di convertirsi alla religione ortodossa. (N.d.T.)
40 Gal’kovskij 1916: 200; Levkievskaja 2003: 191.
41 In spagnolo: mitologia de gabinete. (N.d.T.)
42 Dlugossius 1964: 106-108; Meyer 1931: 66-68.
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Bielski ecc.43) non esitarono a imitare il suo esempio.
Ma fu solo frutto dell’immaginazione o Długosz utilizzò qualche fonte per
documentarsi? In realtà, egli non fu il primo ad affrontare la questione,
perché l’informazione la si riscontra in diversi documenti ecclesiastici del XV
secolo. Negli Statuta diocesis Cracoviensis del 1408 si proibisce che durante
la Pentecoste abbiano luogo canti pagani nei quali si invochino gli idoli,
sebbene non si riveli quali siano i loro nomi.44 Negli Statuta provincialia
Polonica è conservato il riferimento più antico di supposti teonimi polacchi,
dal quale, secondo Brückner, sono partiti gli altri. Si tratta di un passaggio
di autore, data e luogo sconosciuti, ma si sa che alcuni frammenti del
manoscritto appartengono certamente agli anni 1415 e 1416. In esso si
esorta i cristiani ad allontanarsi da battimani e canti con i quali si invocano
gli idoli lado yleli yassa tya45 la cui celebrazione ha luogo a Pentecoste.
Brückner assicura che tutti i nomi delle divinità dei polacchi si potrebbero
trarre da questa unica fonte46.
Nei Sermones per circulum anni Cunradi, manoscritto copiato da Jan z.
Miechocina nel 1423, si condannano gli uomini e le donne anziani e le
ragazze che durante i tre giorni della Pentecoste si danno alle danze per
invocare il diavolo invece di Dio, agli idoli ysaya lado ylely ya ya, invece di
pregare per essere degni di ricevere lo Spirito Santo. Vi si segnala anche
che Cristo odia le loro celebrazioni e che se non si pentono andranno con
yassa lado alla dannazione eterna47.
Quasi contemporanea alle opere di Długosz appare la Postilla Husitae
Polonici, di autore anonimo, che racconta che, a Pentecoste, i polacchi
continuano a venerare gli idoli Alado Gardzyna Yesse48.
Del pantheon esposto da Długosz, possiamo intravedere Yesza, Lyada e
Dzydzilelya negli stornelli condannati dalla Chiesa. Questo tipo di canti ed
esclamazioni sono molto frequenti nella canzone tradizionale slava e non
possono riguardare esclusivamente un genere o una stagione: mancano di
significato pieno e il loro valore risiede nel piano ritmico, ludico ed
espressivo. D’altro canto, Dzewanna e Marzanna sono i nomi che si danno in
alcune regioni della Polonia alle bambole di paglia che vengono bruciate o
annegate in Quaresima, usanza che lo stesso Długosz ha descritto in un
passaggio posteriore, all’anno 965.49 Pogoda e Žywye ricordano certe
divinità adorate dalle tribù slave di Polabia50 menzionate nella Cronica
43 Maciej Miechowita (1457-1523), Marcin Kromer (1512-1589), Maciej Stryjkowski (1547?1593?), Marcin Bielski (1495-1575). (N.d.T.)
44 Meyer 1931: 65-66.
45 Sono i nomi degli idoli, scritti in minuscolo, dati da Długosz. (N.d.T.)
46 Brückner 1985: 222-235; Meyer 1931: 76.
47 Meyer 1931: 76-77. – I nomi Ysaya, Lado, Ylely e Yaya (o Nya) ricorrono nella letteratura
antica stilata da cattolici come nomi di idoli-diavoli che portano da Yassa (in purgatorio) o
da Lado (all’inferno). (N.d.T.)
48 Meyer 1931: 76.
49 Dlugossius 1964: 177-178; Meyer 1931: 68-69.
50 La Polabia era un feudo, con capoluogo Ratzeburg, nell’attuale Germania settentrionale,
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Slavorum (1,52; 1,84) di Helmold (XII secolo): Podaga (con la variante
Pogaga) a Plön e Siwa (o Siwe, Synna) a Ratzeburg. Nel caso di Długosz
non è del tutto chiaro da dove vengano questi dati, ma i suoi seguaci
conoscevano l’opera di Helmold, giacché la citarono apertamente. Tuttavia,
tra gli dèi menzionati dalla storico polacco si distacca il personaggio di Nya
(o Nyja, Nija), figura alla quale molti ricercatori concedono un certo grado di
autenticità, non tanto come una divinità autentica quanto come uno spirito
minore e così lo stesso Brückner l’ha segnalato51. Długosz ha equiparato
Nyja al Plutone romano “dio degli inferi e protettore delle anime”, e lo ha
riportato al verbo nyti, “decadere”, e alla radice del sostantivo нави, “morti,
cadaveri” in senso generale o come tipo specifico di “spiriti dei morti”, non
constatati in territorio polacco ma ben noti in ambito slavo, e con una
importanza molto speciale nei riti commemorativi annuali in onore dei
defunti52.
Nel corso dei secoli gli scrittori posteriori a Długosz continuarono ad
adornare e arricchire il pantheon della sua cronaca, spesso cambiando sesso
e ruolo delle divinità citate. Tuttavia, i suoi effetti arrivarono anche nelle
cronache ucraine del XVII secolo. Seguendo il meccanismo che si era
introdotto di prendere dati dal folklore ed elevarli alla categoria di divinità,
sorsero
nelle
cronache
ucraine
(accanto agli antichi dèi russi del pantheon che Vladimir eresse ufficialmente
nel 980) altri nuovi dèi come Купало, a partire dalla festa del solstizio
d’estate, trasformata nella notte in San Giovanni, o Коляда, sulla base della
festa del solstizio d’inverno, assimilata alla Natività53. Questa confusione
arrivò fino al secolo XIX, lasciando un segno indelebile nello spirito di artisti
e di intellettuali di gran prestigio. Il problema non fu impostato in modo più
rigoroso e scientifico fino alla fine del XIX secolo e inizio del XX, con la
pubblicazione e la critica delle fonti testuali antiche.
dove si parlava una lingua affine allo slavo estintasi nel XVIII secolo. (N.d.T.)
51 Brückner 1985: 226.
52 Agapkina 1999: 152-156; Georgieva 1983: 165-168.
53 Gal’kovskij 1916: 200. – Kupalo, patrono dell’amore e della fertilità, e Koljada, deamadre. (N.d.T.)
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