Malattie metaboliche ereditarie

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Malattie metaboliche ereditarie
Malattie metaboliche ereditarie
La dizione “malattie metaboliche” può risultare spesso equivoca. Il medico dell’adulto pensa al diabete, alle dislipidemie, all’aterosclerosi,
all’iperuricemia. Il pediatra, invece, pensa subito a quelli che una volta erano chiamati “errori congeniti del metabolismo” (Inborn errors of
metabolism). Oggi quest’ultima definizione non è considerata “politicamente corretta”, in quanto etichettare un bambino con una malattia
metabolica congenita come un “errore” non è più accettabile (uno scrittore francese, Michel Quoist, diceva che “ogni bambino è una parola
che esce dalla bocca di Dio…e Dio non dice parolacce)”. È meglio, quindi, indicare questo gruppo di patologie genetiche come “Malattie
metaboliche ereditarie”(MME).
Di queste, in realtà, si sono da sempre occupati soprattutto i pediatri. Infatti esse esordiscono nella maggior parte dei casi alla nascita o nei
primi anni di vita: perciò in tutto il mondo sono state sempre curate da specialisti, chiamati “pediatri metabolisti”. D’altra parte i nuovi programmi di screening neonatale allargato, grazie all’uso di tecnologie come la spettrometria di massa in tandem, stanno progressivamente
aumentando il numero di malattie che possono essere identificate nei primi giorni di vita: la maggior parte di esse sono appunto Malattie
metaboliche ereditarie. Un problema da risolvere nella formazione medica specialistica è oggi quello di addestrare medici dell’adulto che
abbiano competenza nella diagnosi e cura delle Malattie metaboliche ereditarie, analogamente a quanto avviene per tutta una serie di
patologie croniche che, pur esordendo nell’età pediatrica, trovano, dopo la pubertà, centri specialistici competenti nell’area della medicina
interna (ad esempio per diabetologia, reumatologia, epilettologia, cardiologia, gastroenterologia, etc.).
Non è da sottovalutare il fatto che le Malattie metaboliche ereditarie, tra tutte le malattie genetiche, siano quelle che hanno messo a punto
approcci terapeutici efficaci, sulla base dei quali, tra l’altro, sono stati estesi i programmi di screening neonatale. Per questo il medico deve
avvertire la responsabilità di riconoscere in tempo utile pazienti di qualunque fascia di età, se pur rari, che possono essere sottratti con
opportuni trattamenti a un destino di malattia e di disabilità.
Non dimentichiamo,infine, che le Malattie metaboliche ereditarie hanno rappresentato e ancora rappresentano un modello di studio estremamente interessante nel campo della genetica: sono state, infatti, un primo esempio di ricerca proteomica, in un’epoca in cui la genomica
era ancora in fase di sviluppo. È importante, quindi, che un aggiornamento sulle malattie metaboliche ereditarie sia periodicamente presente
nel curriculum formativo del pediatra, non solo per le ricadute in campo assistenziale, cioè diagnostico e terapeutico, ma anche per la loro
valenza educativa, in quanto modello per approfondire le basi genetiche e molecolari della medicina.
La sezione sulle Malattie metaboliche ereditarie di questo numero di Prospettive in Pediatria comprende, come di consueto, tre articoli.
L’articolo di Roberto Cerone e collaboratori riporta i progressi più recenti nel settore, anzitutto per discutere le problematiche circa l’allargamento del panel di malattie che oggi sono sottoposte a screening nei vari paesi del mondo. Vengono, poi, presentati alcuni esempi di malattie metaboliche con interessamento neurologico di recente individuazione e viene fatto il punto sui differenti approcci terapeutici, già in atto
o in corso di sperimentazione, per le iperfenilalaninemie, prototipo delle malattie metaboliche identificabili mediante screening neonatale.
Il secondo articolo di Daria Diodato e collaboratori presenta il capitolo delle encefalopatie mitocondriali pediatriche, a cui il gruppo che fa
capo a Massimo Zeviani ha contribuito in maniera determinante negli ultimi anni con ricerche all’avanguardia, che hanno permesso di chiarire la patogenesi di molte entità nosografiche, la loro storia naturale e la possibilità di applicare interventi terapeutici innovativi.
Infine il contributo di Giancarlo Parenti e collaboratori costituisce un’aggiornata revisione circa le nuove terapie oggi disponibili per le malattie da accumulo lisosomiale. Anche in questo caso le ricerche del gruppo di Parenti sono risultate di grande interesse per identificare in
vitro e poi in modelli animali nuove possibilità di trattamento, con piccole molecole, tipo chaperone, che stanno oggi per essere trasferite al
campo clinico con trial sperimentali in pazienti.
Generoso Andria
Dipartimento di Pediatria, Università Federico II, Napoli
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