Piccoli Amici, il calcio comincia da qui

Transcript

Piccoli Amici, il calcio comincia da qui
Piccoli Amici, il calcio comincia da qui
di Sergio Roticiani
“Questa denominazione racchiude in sé una
filosofia che vuole porre particolare attenzione ad
un tipo di attività sempre più a misura di bambino,
piena di grandi esperienze sotto il profilo motorio,
emozionale e sociale per un fanciullo che si
avvicina al calcio e che, attraverso il calcio, vuole
conoscere, imparare, giocare”. Ci è sembrato
interessante esordire attraverso un incipit preso
dalla Guida Tecnica per le Scuole di Calcio,
realizzato dal Settore Giovanile e Scolastico,
strumento didattico straordinario a disposizione di
tutti coloro che si interessano di calcio giovanile.
Di fronte a una dimensione che crea passione,
interesse, partecipazione verso uno straordinario
strumento educativo quale è il pallone, osserviamo
spesso strutture didattiche dedicate a bambini di
cinque-sei anni caratterizzate da una logica
pedagogica tipica dello sport di alta
specializzazione. Imparare a giocare al calcio è uno
strumento formativo potentissimo che favorisce e
accompagna naturalmente quel processo di accesso
al mondo che è rappresentato dal superamento
dell’egocentrismo.
fig. 1
fig. 2
Il bambino che si appresta a entrare nel mondo
organizzato (scuola dell’obbligo, scuola di calcio,
gruppo scout ecc.) inizialmente prova un certo
disagio, che viene fortemente accentuato da
insegnanti che pongono l’attenzione sul
rendimento, sulla riuscita, sul risultato, svilendo la
natura ludica prorompente del “giuoco calcio”. A
volte si pongono problematiche sull’opportunità di
suggerire alle famiglie di far cambiare sport al
fig. 3
proprio figlio, sulla scorta di scarse attitudini al
calcio: riteniamo questo folle e aberrante, il calcio
è uno sport meraviglioso che accoglie tutti coloro
che hanno entusiasmo e il percorso di crescita
sportiva deve fare leva sulle motivazioni dei
bambini che scelgono di giocare a pallone per pura
passione. La libera esplorazione del mondo
circostante, attraverso un dinamismo che la palla
rende sempre più affascinante, favorisce processi di
natura coordinativa che sollecitano le strutture
fig. 4
nervose a produrre adattamenti e presupposti che in
futuro potranno favorire l’acquisizione di tecniche specifiche.
Il rapporto costante col pallone favorisce adattamenti spaziotemporali che all’inizio potranno
sembrare grossolani. Immaginiamo un bambino di sei anni che conduce il pallone in uno spazio
definito: più che guidare la palla, la insegue. Allo stesso modo, quando lo osserviamo evitare
ostacoli posti sul campo, pensate a uno slalom, questo richiede un’attenzione psicomotoria che
insieme a un costante miglioramento senso-percettivo determinerà nel tempo una sempre migliore
qualità del gesto. In altre parole, non dobbiamo mostrare troppa attenzione alla qualità esecutiva,
ma valutare l’impegno, lo sforzo del bambino proteso a plasmare il proprio movimento su di un
pallone ancora non sufficientemente addomesticato. Osservandolo mentre gioca, notiamo come il
suo modo di muoversi è antieconomico, è poco coordinato, la capacità di combinare movimenti
risulta frammentaria, l’equilibrio è instabile. Il pallone, pur rappresentando spesso un ostacolo,
rappresenta tuttavia per il bambino un costante punto di riferimento, un oggetto da gestire, da
possedere, che in modo bizzarro rimbalza e rotola sul campo, spingendolo a mettere in atto tutte le
procedure utili per domarlo.
Sin dall’inizio il contatto col pallone
migliora il comportamento tecnico
dei giovani calciatori.
Un piccolo portiere: il suo ruolo è
determinante nel coordinare la
squadra.
La spinta egocentrica che si manifesta in tutte le attività che
il bambino svolge si palesa in una evidente incapacità
collaborativa: i piccoli vogliono appropriarsi della palla e
con grande difficoltà se ne liberano. Sicuramente, fra le
pratiche da proporre, organizzare attività di gioco 3vs3 o
4vs4 in spazi ridotti rappresenta la scelta più adeguata:
alternare fasi di gioco libero ad altre in cui l’istruttore
differenzia le posizioni per “imporre” delle regole
comportamentali può avere una sua utilità. Il
comportamento tecnico si migliora attraverso il contatto
continuo col pallone e un approccio imitativo favorisce
l’acquisizione di un’immagine più stabile del movimento da
eseguire. I circuiti motori sono dei modelli didattici
largamente utilizzati e, se ben definiti, rappresentano una
efficace proposta come nella (fig. 1), dove ritmo, equilibrio,
combinazione dei movimenti, differenziazione e
orientamento spaziotemporale sono gli elementi
coordinativi maggiormente sollecitati.
Alternare l’esecuzione tecnica in un ambiente stabile, non
disturbato per esempio da avversari (fig. 2), a giochi tecnici
dove viene richiesto un adattamento del gesto in funzione di
sollecitazioni spaziotemporali imposte da un avversario più
o meno attivo (figg. 3-4), sono le altre opportunità da
utilizzare per una corretta formazione. L’esempio proposto
fa riferimento alla guida della palla. Parlare di ruoli è
inopportuno, le fasi di gioco che i bambini di questa età
riconoscono, come accennato, sono rappresentate dal
possesso palla individuale proteso più verso la proprietà che
inteso come condizione per poter fare goal e dalla fase in
cui la palla non è posseduta e individualmente si mira a
riaverla.
Le posizioni e gli spazi occupati all’interno del gioco debbono essere vissuti da tutti e quindi la
rotazione è un principio da mettere in pratica, così come verso i sette-otto anni si può introdurre la
funzione arbitrale, per cui tutti i bambini si trovano a dover fungere da giudici.
Come abbiamo già detto, e non ci stancheremo di ripetere, la pazienza e la lungimiranza, l’idea di
arricchire, di creare opportunità, di favorire esperienze motorie sono obiettivi assoluti per chi opera
sportivamente con bambini. L’istruttore deve proporre e stimolare comportamenti, non deve essere
prescrittivo e direttivo, deve essere accettato per la sua spontaneità e il suo atteggiamento sereno e
garbato. Se il percorso costruito si basa sui presupposti pedagogici suggeriti, avremo la
consapevolezza di aver operato al meglio, dando ai bambini l’opportunità di vivere un’esperienza
esaltante che, se non li condurrà a diventare campioni, potrà, e non è poco, far loro amare per
sempre questo gioco.
- Sergio Roticiani, membro della Commissione nazionale attività di base del Settore giovanile
e scolastico della Figc.