lo sguardo amorevole di padre puglisi, modello
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lo sguardo amorevole di padre puglisi, modello
www.andreagironda.it perché la vita merita di essere raccontata REGISTRO DELL’ INSEGNANTE PERDONARE, PERDONARE, PERDONARE 10/2/2010 - Qualunque persona si trovi nel mondo del lavoro sa bene che non sempre i rapporti tra colleghi sono idilliaci. Qualche volta si creano delle simpatie, delle valide collaborazioni, a volte invece c’è qualcuno con cui non si riesce proprio a legare. Figuriamoci per un insegnante che ha a che fare quotidianamente con molti ragazzi, con le famiglie, con i colleghi. Per un insegnante di religione poi, tutto è moltiplicato dal momento che i rapporti si incrociano con almeno 30-40 colleghi, circa 200 alunni (350 per le medie e superiori), centinaia di famiglie, collaboratori scolastici, dirigenti. Devo ammettere che in quasi tutte le scuole dove ho insegnato ho trovato un atteggiamento rispettoso nei miei confronti; capita tuttavia che qualcosa ogni tanto non funzioni. Chi insegna religione spesso si trova esposto su più fronti; sembra che nessuno si interessi del docente di religione quando invece gli occhi addosso sono molteplici. Capita anche di incontrare per la propria strada persone che si scontrano con l’insegnante di religione in quanto “figura” e non per una vera antipatia nei suoi confronti. Queste persone spesso creano i disagi maggiori, proprio perché mossi da una cattiva fede (non religiosa!) e da ideologie che provengono da svariate correnti di pensiero. La reazione in questi casi potrebbe essere quella di cominciare a fare la guerra, a scendere sul ring e cercare di far valere le proprie idee, il proprio pensiero, magari arrivando allo scontro verbale. Tutto questo è profondamente umano, ma non è consono al docente di religione. In questi casi si dovrebbe capire che proprio queste persone rappresentano il campo di sfida più ‘appetibile’: è anche lì la missione di educare. Educare gli educatori!!! I nazaretani volevano gettare Gesù dal burrone: molti vorrebbero gettare giù dalla Torre i docenti di religione. Perdonare, perdonare, perdonare sempre e magari anche sopportare silenziosamente e pazientemente: sarà solo la nostra comprensione, il nostro atteggiamento caritatevole a sconvolgere i cuori di chi ci è contrario. Non è facile, e queste parole vorrei ripetermele spesso anche a me stesso, soprattutto in questi ultimi tempi. Salire sul ring della battaglia verbale è facile, ma non è cristiano accettare la sfida. Tra le altre cose non è neanche conveniente: in certi casi il ‘quieto vivere’ deve essere superiore, anche quando vediamo che “l’avversario” non rispetta le regole e tira colpi proibiti. Accettare tutto con la determinazione di chi vuole diventare santo, crede nell’ultima beatitudine e vuole dare un messaggio di fede al mondo che ti circonda. COME LA METTIAMO CON I VOTI? 20/1/2010 - Inutile dirlo: per chi vive dentro la scuola, sia da studente, sia da docente, è tempo di voti. E così via alle fotocopiatrici impazzite nello sfornare prove di verifica di tutte le materie da somministrare ai ragazzi nella speranza che esse possano dare non solo un esito positivo, ma www.andreagironda.it perché la vita merita di essere raccontata possano togliere qualche dubbio agli insegnanti lì dove ci sono situazioni “incerte”. Me li ricordo bene da studente questi momenti: prove palpitanti, spesso tutte insieme, che mandano in tilt i cervelli affaticati dei ragazzi. Li sto vivendo ovviamente come insegnante: qualcuno sottovaluta il voto di religione. Quando è alto si pensa sia “normale”, quando è basso ci si chiede “come mai…”; probabilmente vige la consapevolezza che la religione sia una materia ‘facile’, la cenerentola della scuola, dove tutti devono andare per forza bene. Non sempre è così, non va dimenticato che la disciplina ha in sé molte difficoltà. Quest’anno però vivo questo momento anche da genitore, nel senso che tra poco mia figlia che frequenta la prima elementare riceverà la sua prima ‘scheda di valutazione’, la prima di una infinita serie. E qualche giorno fa mi ha chiesto: “Cosa sono i voti? Che cos’è la pagella?”. Non è stato facile rispondere, anche perché tutti sappiamo cosa siano i voti e le pagelle, solo che è stato difficile impostare questo discorso con una bambina di 6 anni. Non bisogna assolutamente trasmettere angoscia o ansia per la scheda; è sbagliato pensare di chiedere ai bambini solo il rendimento e basta. L’importante è anche mettere gioia in tutto ciò che si fa. Quante volte mi è capitato di vedere bambini ‘stressati’ dall’ansia di prestazione, da genitori che vedono la scuola solo come un luogo dove si prendono i voti (quasi fossimo in un monastero di suore di clausura!). È per questo che poi, fondamentalmente, li ritengo sbagliati soprattutto nella scuola elementare: ai bambini con il voto trasmettiamo il concetto che la scuola è il luogo della competizione. Chissà quante volte i nostri alunni e i nostri figli si troveranno a competere con il mondo! L’augurio è che ogni insegnante in questo momento possa essere illuminato dalla prudenza e dal buon senso, e possa essere sempre serenamente obiettivo anche quando c’è da ammettere un fallimento che non è sempre solo dei ragazzi ma anche del proprio lavoro. Agli studenti auguro di veder ricompensati i loro sforzi e di migliorare lì dove ci sarà da lavorare. Mentre ai genitori (e lo dico anche a me) dico solo di vedere “oltre” quel numero, per saper aiutare, collaborare e indirizzare ogni ragazzo che studia. A tutti voi, visto che non se ne può fare a meno… BUONI VOTI! I COMPITI DI NATALE? 23/12/2009 - Quest’anno le vacanze di Natale sono iniziate quasi in prossimità del Natale; ieri gli studenti hanno salutato amici, insegnanti e collaboratori scolastici scambiandosi gli auguri. Nella mia scuola ieri si è concluso in allegria, con una gioiosa rappresentazione natalizia dove i bambini delle classi seconde hanno intonato dei canti che dovevano richiamare al Natale. Dico “dovevano” perché in realtà di natalizio non c’era molto, ma questo è un altro discorso (vedi “Dritto e Rovescio”). Ieri volevo quasi per un attimo fermare il tempo e all’uscita dalla scuola mi sono soffermato per osservare i miei alunni uscire dalla scuola, pieni di entusiasmo e di gioia, vuoi per l’inizio delle vacanze, vuoi per il Natale ormai alle porte. Li osservavo pensando che in fondo il loro chiasso nelle orecchie mi mancherà per un po’. Anche se in questo periodo accuso la stanchezza, la loro arricchisce le mie giornate. Tra le tante voci mi ha colpito quella di un collega che diceva “ed io www.andreagironda.it perché la vita merita di essere raccontata cosa faccio ora tutte le mattine?”. Già, il maestro Andrea per fortuna ha tante cosa da fare (il papà a tempo pieno tanto per dirne una), ma alla fine mi rendo conto che la chiusura della scuola lascia un senso di vuoto dentro. Tutto sommato sono anche contento di sentire ancora in me questa sensazione che è brutta ma anche bella allo stesso tempo: brutta per i motivi che ho appena spiegato, bella perché vuol dire che a scuola ci sto sempre bene e questa sensazione di ‘tristezza’ fa un po’ da cartina tornasole perché capisco che il “sacro fuoco” del mio lavoro è più vivo che mai. In questi giorni mi riposerò, metterò a posto tutte quelle carte che inevitabilmente durante l’anno scolastico si lasciano un po’ andare: questo almeno il proposito. E nel frattempo penserò ai miei alunni, a come tornare a scuola, quali argomenti trattare, nella speranza di farmi venire nuove idee, trovare sempre nuove chiavi di lettura che possano attirare il loro interesse. Nel frattempo voglio augurare a tutti i miei alunni e alle loro famiglie un sereno Natale. Alcuni bambini scrupolosi mi chiedono “dobbiamo fare i compiti?”: ovviamente sì, dico loro… E sarebbero: riposarsi, fare una passeggiata, andare a visitare un presepe, non vedere troppi cartoni animati, non mangiare troppi dolci e ovviamente fare i compiti delle altre materie! Loro sorridono ed io gli chiedo: “sono troppi?” e in coro “che bellissimi compiti!!!”. Già, sarebbe proprio bello che le famiglie in questo periodo possano ritrovarsi un po’ insieme, fare una passeggiata, andare a vedere qualche presepe. Sarà un modo per svolgere il compito più importante: ritrovarsi e riabbracciarsi insieme. Auguri! ATTACCA IL CIUCCIO 20/11/2009 - Ultimamente si sta sviluppando tra gli insegnanti uno strano virus, di cui sento parlare. Non, niente influenze e niente pandemie. Mi è capitato recentemente di sentire da più parti il detto “attacca il ciuccio dove vuole il padrone”. Un detto napoletano, a quanto pare, che a me francamente non ha mai suonato bene. Si parla in questi termini quando non si vogliono avere ‘rogne’, ovvero quando uno, per non andare incontro a fastidi di vario genere, cerca di fare ciò che vuole il padrone. Spesso questo ‘padrone’ nelle scuola può essere il Dirigente Scolastico, a cui ogni insegnante deve rendere conto del suo operato: è pure vero però che noi docenti abbiamo nei confronti dei nostri superiori un dovere di rispetto delle parti, senza dimenticare il dovere di obbedienza. Un docente deve rispettare le direttive del Capo d’Istituto anche quando esse non sono di suo gradimento. Il fatto più grave però è che questo proverbio poco saggio, alcuni lo intendono anche in campo educativo. In questo caso il padrone diventa la famiglia di qualche alunno che magari è più problematico (il ciuccio!). È triste sentire certi insegnanti che - ormai arresi e demotivati cercano di avallare le scelte poco sagge di qualche famiglia proprio per evitare problemi. Questo modo di fare viene sposato non solo dalle colleghe e dai colleghi più ‘anziani’, ma anche dai più giovani - e questo è forse il dato più allarmante — i quali ritengono inutile intraprendere strade che possano essere motivate da un percorso educativo e che abbiano come unico scopo il bene dell’alunno. www.andreagironda.it perché la vita merita di essere raccontata Francamente in questi primi dieci anni della mia carriera non credo di aver mai attaccato nessun ciuccio. In certi casi mi sono reso conto che avrei vissuto meglio facendo il classico ‘buon viso a cattivo gioco’, ma il compito di un educatore è vivere bene o fare scelte difficili, sposarle e portarle avanti anche a costo di avere qualche problema? Sicuramente in questo senso una componente determinante è il carisma e la consapevolezza dei propri mezzi che ogni docente possiede dentro di sé. Ogni docente però costruisce la sua onorabilità con il lavoro sodo, la professionalità che si costruisce attraverso un comportamento che deve essere il più possibile esemplare, corretto verso se stesso e verso gli altri. È pur vero che certe famiglie si relazionano in modo del tutto distruttivo con la scuola, senza tener conto che certi atteggiamenti non concorrono al bene del proprio figlio; ma arrendersi non è un buon motivo, attaccare questo ciuccio in nome del proprio benessere non mi sembra eticamente corretto. L’unico ‘padrone’ a cui un giorno dovremo rendere conto sarà la nostra coscienza. E per chi, come me, insegna religione, a Colui che ci ha inviato e che ci ha dato il dono della scienza e dell’intelletto. QUEGLI ALUNNI CHE ESCONO 21/9/2009 - Entrare in classe e vedere qualcuno che automaticamente prende libri e quaderni pronto per andarsene è sempre un trauma. Una realtà propria solo alla materia che insegno; una ferita certo, ma anche un diritto per le famiglie che non vogliono far assistere i propri figli alle lezioni di religione. Non posso farci niente, ne prendo atto e cerco di instaurare con questi alunni non avvalentesi qualche timido rapporto. L’altro giorno però è accaduto un fatto curioso: per via di un equivoco con alcune colleghe, una bambina di religione ebraica ha dovuto assistere per una ventina di minuti alla prima lezione che tenevo in una classe III. La curiosità di questa alunna per un nuovo maestro era tanta, e si vedeva dai suoi occhi vispi un certo interesse per quanto stavamo dicendo. Ad un certo punto interviene per raccontarmi, senza alcuna sollecitazione da parte mia, alcune esperienze che lei faceva con la sua famiglia quando andava alla Sinagoga. Dal momento che in quei giorni si stava avvicinando la festa del capodanno (appena conclusa) lei mi ha raccontato con vivo entusiasmo cosa faceva la sua famiglia in quell’occasione. Questa alunna è dotata di una straordinaria capacità descrittiva e mentre parlava vedevo in lei salire l’entusiasmo e tra gli altri compagni era calato un certo silenzio. Parlava e rispondeva alle mie domande: evidentemente appartiene ad una famiglia osservante almeno per i precetti più importanti. Conosceva alcune parole di ebraico e sottolineava con grande determinazione il ruolo degli uomini quando si recava al Tempio. Una bambina molto “preparata” si potrebbe dire; semplicemente vive in una famiglia dove si vive ciò in cui si crede. L’episodio mi ha fatto tornare in mente quando, al mio primo anno di insegnamento incontrai, sempre in una terza, una bambina appartenente ad una famiglia Avventista: ricordo con vivo stupore che questa alunna aveva una preparazione biblica pazzesca per la sua età. La mamma mi confidò che fin da piccoli iniziava un percorso di formazione e preparazione. La loro preparazione viene soprattutto da un senso di minoranza che li unisce maggiormente alla loro www.andreagironda.it perché la vita merita di essere raccontata religione. Sarebbe altrettanto bello sentire un bel racconto della veglia pasquale di qualche alunno cattolico... Il diritto di non avvalersi all’IRC è una realtà della nostra scuola. Però quel piccolo dialogo con quella alunna ebrea mi ha fatto capire, ancora una volta, che per l’integrazione ci vuole il confronto, sereno e costruttivo. Questa alunna - se la sua famiglia lo consentisse - con la sua presenza creerebbe i presupposti per un bel ponte di confronto tra due grandi religioni. L’uscita dalla classe di questi alunni per certi versi può essere una perdita per tutti. Anche per loro stessi. L’ENTUSIASMO DEL DEBUTTANTE 12/9/2009 - Mancano 48 ore e molti studenti si ritroveranno in classe. Insieme a loro molti insegnanti, tra questi ho l’onore di esserci anch’io. Dopo 5 anni trascorsi nel Circolo Didattico Ronconi di Roma, inizierò l’anno in una nuova scuola. È ovvio che devo segnare tutto nel mio personale “registro dell’insegnante”. In questi giorni ho ripensato alla mia esperienza trascorsa nella vecchia a scuola. Sicuramente sono stati anni di grandissima crescita professionale; ho fatto molte esperienze, molti incontri, ho stretto tante mani e ricevuto molti sorrisi. A volte anche qualche critica - qualcuna giusta, qualcuna da parte di chi non mi conosceva bene - che ho accettato con spirito ’sportivo’, del resto a pagare è sempre l’allenatore! Mi sento - e non è un gesto di circostanza - di ringraziare le colleghe e i colleghi, il personale, i collaboratori scolastici, ma soprattutto i miei alunni e le loro famiglie: di questi ultimi nel mio cuore conservo molti ricordi, testimonianze, confidenze, lacrime, speranze, progetti. A tutti un grazie sentito e sincero. Lunedì 14 incontrerò i miei nuovi allievi, quelli che la vita ti mette davanti. Ogni insegnante di religione viene inviato dalla Chiesa in una precisa scuola; ed io sarò lì pronto, come l’ultimo dei lavoratori della vigna. Iniziare l’anno in una nuova scuola mi fa sentire più emozionato del solito. L’entusiasmo è quello del debuttante; per certi versi ricordo quando presi il mio servizio per il primo anno di nomina presso l’I.C. Fanelli Marini di Ostia Antica. Ero emozionato, forse un po’ sprovveduto; oggi mi sento un po’ più ‘navigato’, consapevole però che in questo lavoro quando ti senti l’esperienza addosso rischi di sbagliare. Perché le situazioni non sono mai le stesse, i bambini cambiano, la scuola cambia, le famiglie e la società cambiano. Nel confronto con altri colleghi sento in loro un po’ di sconforto per le difficoltà oggettive che la scuola primaria deve affrontare. Tagli, carenze di organico, strutture organizzative sempre più complesse; disagi che sentiamo tutti, inevitabilmente. Ma il mio spirito è quello di un combattente, di uno che alla fine cerca di non farsi abbattere dai venti contrari: rientro in me stesso e mi scopro nel mio posto di lavoro, non come un dipendente ma come uno che fondamentalmente si diverte e crede in ciò che fa. Mi ritengo per questo fortunato e spero che l’entusiasmo mi accompagni fino all’ultimo giorno della mia carriera. Adesso è il momento di tornare sui banchi, tutti, alunni e insegnanti. Sì, anche noi torniamo sui banchi perché a scuola non si finisce mai di imparare e chi insegna spesso apprende due volte. È dando che si riceve, no? Auguri a tutti gli studenti, ai colleghi e alla mia Beatrice che va in prima elementare… A tutti in bocca al lupo! www.andreagironda.it perché la vita merita di essere raccontata SULLA SENTENZA DEL TAR 20/8/2009 - Da più parti vengo sollecitato ad esprimere un’opinione in merito alla sentenza del Tar di cui molto si è parlato, che esclude il l’insegnante di religione - e quindi la materia che insegna - alla formazione del credito formativo per gli studenti delle scuole superiori. Una vecchia storia di cui ero al corrente e che ho seguito attraverso alcuni siti specializzati; mi aspettavo perciò, prima o poi, un pronunciamento di questo genere. Questo è avvenuto nel periodo prima del Ferragosto, periodo in cui solitamente c’è penuria di notizie, e quindi forse ha avuto ancora maggior risalto. È criticabile il fatto che sia il Tar a dettare le regole, ma su questo non possiamo farci niente. Ho letto anche le opinioni di chi è contento di simile pronunciamento: l’Unione Cristiana Evangelica Battista d’Italia, la Federazione delle Chiese Evangeliche, i Valdesi, gli ebrei hanno sostanzialmente parlato di privilegi degli insegnanti di religione, di chi si avvale della disciplina, che lo stato è laico, che non è giusto discriminare chi non si avvale… le solite cose che si dicono in questi casi. Anche la Chiesa Cattolica ovviamente ha detto la sua, così come il MIUR che intende contestare la decisione. A livello istituzionale i passi giusti devono essere fatti, dal mondo cattolico così come è giusto che gli altri esprimano le loro posizioni. Si dovranno pur tutelare quei ragazzi che per una volta decidono di “fare” qualcosa anziché evadere un insegnamento. Alcuni hanno parlato di una discriminazione degli insegnanti di religione, chiamandoli insegnanti di “serie B”. Non è che ci volesse tale pronunciamento per chiamarci così, molti di fatto sotto sotto lo pensavano anche prima. La sento spesso sulla mia pelle tale considerazione, che fa male ovviamente soprattutto quando viene dalle famiglie o dagli stessi colleghi. Però credo che ogni insegnante di religione porti in sé un grande compito, una sfida: la politica può dire ciò che vuole, ma alla fine ciò che davvero inciderà sulla vita degli alunni avrà davanti (o per scelta diretta o per scelta delle famiglie) sarà quello che lui o lei saprà trasmettere, soprattutto con la sua vita e la sua preparazione Credo che questa consapevolezza debba essere forte in ogni educatore. Le chiacchiere poi staranno a zero. Se ogni insegnante di religione saprà valorizzare il proprio tempo, il proprio lavoro e saprà far assaporare agli alunni il piacere di conoscere un ambito che coinvolge tutti, credenti e non credenti, uomini di fede e i così detti “atei”. Tra poco tutti gli insegnanti saranno richiamati al lavoro. Ogni insegnante di religione sarà chiamato a servire la Chiesa che lo invia, lo Stato che lo retribuisce, le famiglie che gli affidano i propri ragazzi e soprattutto loro, gli studenti. Con impegno, onestà professionale e tanto amore. Sì, anche un po’ di amore… non guasta! www.andreagironda.it perché la vita merita di essere raccontata SI SPENGA LA CAMPANELLA 14/6/2009 - Nel mio registro di classi ho segnato inevitabilmente anche quest’anno l’ultimo giorno di scuola. la campanella ha suonato per l’ultima volta, poi riprenderà il suo suono storico a settembre. Un’estate da trascorrere in silenzio, niente più ore o ricreazioni da scandire. Sembra incredibile che nel mondo della tecnologia la campanella sia sempre lì pronta a dettare i tempi! In questi giorni molti di noi insegnanti torneremo nella aule deserte per sbrigare le ultime incombenze burocratiche; alcuni saranno impegnati per gli esami di III media o per la maturità. A questi ragazzi un “in bocca al lupo”, specialmente a mio nipote Andrea. Certo, la scuola senza alunni non è la stessa cosa. Inevitabilmente rivedendo le classi vuote viene da ripensare alle lezioni che vi si sono svolte. Un piccolo esamino di coscienza ce lo facciamo tutti. Francamente credo che ognuno di noi si senta un po’ in debito, nel senso che nessuno può dire di aver fatto veramente tutto ciò che era possibile fare; sicuramente ogni anno contribuisce ad una crescita per ognuno di noi, un insegnante mette nella sua speciale cartella qualche esperienza in più. Sembra proprio un lavoro dove non si finisce mai di imparare…. paradosso per chi invece trascorre la vita ad insegnare! Dal mio speciale punto di vista non può mancare una visione ‘trascendente’ del mio personale anno scolastico. Un insegnante di religione della scuola elementare trascorre circa lo 0,08% del tempo di un bambino in un anno solare. Un tempo infinitesimale che potrebbe lasciare poche speranze e poco margine per fare bene. Ma se insegnare è toccare una vita, allora anche un solo minuto potrebbe lasciare un segno nella vita dei ragazzi che ci vengono affidati. E così rimetto tutto nelle mani del Signore: esperienze belle e delusioni, e lascio a Lui far maturare quanto seminato. Purtroppo non sempre chi insegna riesce a vedere questi frutti. Le vacanze sono benedette, ci faranno riposare e permetteranno a noi tutti di ricaricare le pile. Ma ancora più bello sarà ritornare sul campo di battaglia, sempre con stimoli nuovi e pronto a nuove sfide. SUL PULLMAN CON S. FRANCESCO 6/5/2009 - “Viaggiava lento, il pullman sulla strada, nell’annuale gita della scuola”… con queste parole iniziava una famosa canzone di Ivan Graziani (“Kryptonite”) che raccontava una gita scolastica ai tempi delle superiori. Ebbene, anche quest’anno anch’io ho visto partire il pullman della scuola per l’annuale gita ai santuari francescani www.andreagironda.it perché la vita merita di essere raccontata della Valle Reatina. Un appuntamento che propongo ormai ogni anno ai miei alunni e che in ogni occasione riscuote un notevole successo e interesse da parte dei bambini e spesso anche nelle colleghe e nei colleghi accompagnatori. Una stupida norma mi impedisce di pubblicare una foto dove i miei alunni sono tutti riuniti vicino al chiostro di Fonte Colombo, tutti allegri e sorridenti. Sarebbe bastata questa foto per descrivervi il clima che anche quest’anno si è sviluppato. Ho sempre preso in grande considerazione le uscite didattiche (guai a chiamarle gite, anche se da sempre le abbiamo chiamate così!) che costituiscono un momento di istruzione all’aperto e un’occasione per la socializzazione. Vi partecipo sempre volentieri infatti. Nella Valle Reatina però gli alunni incontrano un personaggio affascinante, scoprono la vita di un fraticello che ancora oggi appassiona e infiamma i cuori di moltissime persone nel mondo. Il contatto con la semplicità, con l’umiltà, scoprire la strada della felicità si può percorrere anche nella privazione e nell’obbedienza cieca al Vangelo, sono messaggi forti per i bambini del nostro tempo che hanno tutto e che spesso sono deviati dai messaggi che la televisione trasmette fatti spesso di vanità e di tanto vuoto. Ai bambini suggerisco spesso di tornare a casa con un Tau (tanto è impossibile sfuggire alla voglia del souvenir), un segno che possa far ricordare loro che una volta, insieme ai compagni, agli insegnanti e guidati da un semplice maestro di religione, hanno visto luoghi speciali. E quel Tau vorrei che parlasse loro ogni volta, che il messaggio di S.Francesco possa almeno risuonare nelle corde del cuore. Perché sono sicuro che davanti a quell’atteggiamento di gioia e spensieratezza c’è uno spazio per i valori veri, perché i bambini per loro natura sono aperti allo stupore e alla meraviglia, scacciano sempre il male e accettano il bene. Ringrazio ancora una volta i miei alunni, le loro famiglie e le insegnanti che mi hanno accompagnato. In quella foto resta impressa un’emozione, un’altra nel mio diario personale. “Buon giorno, buona gente!”, così salutava S.Francesco gli abitanti di Greccio e anch’io saluto gli amici di questa magnifica avventura. SCOPRIRSI NUOVO OGNI GIORNO 27/3/2009 - Si arriva ad un certo punto dell’anno scolastico dove la fatica inizia a farsi sentire; sarà la primavera, sarà l’accumulo di fatica giornaliera, saranno i viaggi in treno… eppure, fosse per me, la scuola potrebbe durare anche undici mesi l’anno. Con il susseguirsi del tempo, e degli anni, soprattutto quando arriva la Pasqua mi rendo conto di ritrovarmi spesso a presentare degli argomenti che mi piacciono particolarmente; ci sono tre o quattro lezioni che faccio sempre con un rinnovato www.andreagironda.it perché la vita merita di essere raccontata interesse. Odio ripetermi, la didattica non deve essere una ripetizione, piuttosto è importante individuare sempre la chiave giusta per far passare un determinato messaggio. E così magicamente vedo che ogni anno si trova un aspetto nuovo e quella lezione “vecchia” è sempre nuova. Mi confrontavo l’altro giorno con una mia cara collega con la quale condividiamo il ‘sacro fuoco’ dell’insegnare. Lei stessa mi diceva che a scuola ‘ci sta bene, si sente a suo agio perché è il suo mondo’. Notavo come gli brillavano gli occhi e ho capito benissimo cosa intendesse dire proprio perché anche per me è la stessa cosa. È vero, la fatica e la stanchezza sono spesso un’arma nascosta puntata dietro la schiena di ogni insegnante: per fare questo lavoro è indispensabile il riposo e la calma mentale per rendere al meglio. Però se la scuola non è solo il luogo di lavoro, ma soprattutto di incontro e di scambio reciproco con i propri studenti, allora ecco che tutto diventa più semplice e anche le giornate più storte possono assumere una piega diversa. Qualche giorno fa ho voluto premiare una classe quinta con una nota di merito per aver svolto con grande profitto una verifica piuttosto impegnativa. Una mamma mi ha ringraziato lodando la mia passione nell’insegnare ai bambini. Un complimento che mi ha fatto davvero piacere, non capita spesso di sentirsi dire cose così belle; ho voluto appositamente (e con grande sforzo perché non mi piace vantarmi) raccontare questo episodio per dire che ogni giorno mi riscopro sempre nuovo, con l’entusiasmo del primo giorno di scuola, forse perché ci metto proprio quella passione che coinvolge per primo me stesso. Questo mi fa dimenticare le delusioni, le incomprensioni e anche quell’inevitabile poca diffusa considerazione da parte della scuola, perché alla fine sei sempre un insegnante di una materia “cenerentola”… Non fa niente, io mi gioco sempre tutto con gli alunni che mi sono stati affidati, cercando di catturare il loro interesse per uno scambio umano reciproco. A scuola, io, vado anche per imparare! I MIEI PRIMI 10 ANNI 1/2/2009 - Come forse avrete capito, mi piacciono molto le ricorrenze e le date. È inevitabile pensare, in una data simile, a quanto successo dieci anni fa, ovvero quando per la prima volta ho messo piede in una scuola come insegnante. Ricordo quel giorno come fosse oggi, io giovane ragazzo studente di teologia in una scuola materna alla Romanina, con bambini di tre anni che mi circolavano intorno e tutti che mi guardavano tra lo stupore generale (un maestro alle scuole materne è quasi un pezzo raro). Dopo due ore mi trovai alla mensa a versare il latte ai bambini: mi domandavo quale senso avesse versare il latte per uno studente di teologia… Capii subito che insegnare non vuol dire mettersi in cattedra, ma lavorare anche (e soprattutto) fuori dalla cattedra. www.andreagironda.it perché la vita merita di essere raccontata Di acqua sotto i ponti ne è passata da allora. Ho girato moltissime scuole, prima come supplente, poi da incaricato, ho incontrato circa 1700 alunni, ho stretto mani a molte famiglie, ho conosciuto colleghe e colleghi molto bravi dai quali ho imparato molto, ho commesso tanti errori, tanto ho dato, molto di più è ciò che ho ricevuto. Ovviamente non sono più quello di dieci anni fa; sono qui, contentissimo come il primo giorno di poter fare un lavoro che mi piace veramente. In tutto questo tempo ho conosciuto da vicino il mondo dei bambini e delle famiglie. Conservo nel cuore situazioni drammatiche, ma anche famiglie davvero esemplari, con figli educati benissimo, dove si intravedeva chiaramente la mano di genitori responsabili. Il mio lavoro mi aiuta tutt’ora nell’educazione dei miei figli, se non altro perché ho imparato a conoscere le famiglie dei miei alunni, e forse ho capito quali sono i punti deboli per una famiglia e cosa i genitori dovrebbero evitare e su cosa invece puntare. Ogni tanto mi vengono in mente nomi e volti di alunni anche dei primi tempi. Non posso dimenticare Anacleto, un bambino rom che era presente dieci anni fa in quella scuola materna: un bambino vivacissimo, forse il primo ad essersi preso una bonaria strillata! Spero che i miei ex alunni nutrano un dolce ricordo del loro maestro: del resto noi insegnanti vediamo nell’affetto dei nostri alunni la maggiore gratificazione. Considerati i tempi e le leggi, la mia carriera non è neanche ad un terzo! A Dio piacendo, potrei insegnare ancora per altri due decenni almeno. Mi sento nel pieno della mia giovinezza, al pieno delle mie forze, con l’entusiasmo di un ragazzino, con la voglia di dare alla scuola e alla Chiesa energie, il impegno e professionalità. Ringrazio don Manlio Asta, direttore dell’Ufficio Scuola: al compimento del mio decimo anno di servizio, lui lascia il suo incarico. Un vuoto importante, per una persona che ha creduto in me fin dal principio. Lo ricorderò con piacere e gratitudine. Ed ora avanti, adelante… con l’entusiasmo di sempre! HO PARLATO CON UN BANCO Arrivo a scuola al mattino, prima ancora del suono della campanella. Entro in classe, poggio i miei libri e il registro sulla cattedra, sposto la sedia ed ecco all’improvviso una voce: “Ah, finalmente sei arrivato” “Chi c’è?” “Sono io, il banco”. Caspita, un banco parlante… lo guardo attentamente, era proprio il banco della prima fila, quello ‘vecchio stile’ per intenderci con il piano in formica verde, i buchi per il calamaio, il sottobanco, lo spazio per la cartella, la pedana poggiapiede… “Beh, ti stupisci di sentire un banco parlare?” www.andreagironda.it perché la vita merita di essere raccontata “Beh, non è una cosa da tutti i giorni. Però visto che ci siamo, dai, raccontami qualcosa di te”. “Sono un banco storico. Ho assistito a varie rivoluzioni scolastiche. Vedi, ho ancora il buco per il calamaio; l’altro giorno un simpatico maestro di religione ha detto che ora siamo tornati moderni perché lui ci potrebbe mettere i cavi per i computer dentro i buchi per i calamai!” “Devi avere una lunga storia…” “Sì, non so neanche io quanti studenti ho fatto studiare. Alcuni mi hanno solo ‘scaldato’ nelle fredde mattinate d’inverno, altri mi hanno scritto, tagliuzzato, seghettato i bordi… ma io ho una bella tempra e tutto sommato sono resistito. Ho fatto studiare i bambini degli anni ‘50 fino a questi birichini di oggi” “Sono cambiati i bambini?” “Sì… però portano dentro di se sempre le stesse domande, lo stesso entusiasmo, la voglia di conoscere e di aprirsi alla meraviglia. Io sono un vecchio banco, ma i bambini non diventano mai vecchi”. “E la scuola? Chissà quante ne avrai viste!” “Anche la scuola è cambiata. Una volta sentivo sempre la stessa voce, per anni sempre la stessa maestra. Ora invece mi diverto di più: ho imparato molte più cose, alcuni sono simpatici, altri squinternati, altri più noiosi. A farmi compagnia ci sono i miei amici armadi, pure loro gente di vecchio stampo. Le lavagne poi… guarda quella che hai lì dietro… pensa che una volta volevano buttarla via, ma lei orgogliosa ha fatto valere il suo peso. Ora vorrebbero sostituirla con una elettronica… mi mancherà l’odore del gesso e del cancellino. Un amico invece mi ha abbandonato…” “E chi sarebbe?” “Il crocifisso. Dovrebbe stare appeso lì sulla parete; si è rotto, un bambino una volta ci ha tirato il cancellino ed è caduto. Nessuno si è preoccupato di rimetterlo, peccato a me faceva compagnia; spesso con quell’uomo ci lanciavamo occhiate piene di significato a seconda delle situazioni: comprensione, tenerezza, pazienza, gioia… mi aiutava a capire cosa succedeva ai bambini di questa scuola”. “Sei stanco? Vorresti andare in pensione?” “No, io sono un tipo resistente, andrò avanti ancora a lungo, tanto noi arredi siamo dei veri campioni di lavoratori. Di sicuro non mi daranno del fannullone, 50 anni al servizio dello Stato senza chiedere neanche i gommini nuovi ai piedi” DRIIIIIIINNNNNNNN Suona la campanella, sarà meglio rimettersi al lavoro. Prima che entrino i ragazzi però voglio ringraziare l’amico banco. Anche io ne avevo uno simile alla mia scuola Ferrini di Roma. Passano gli anni, eh? www.andreagironda.it perché la vita merita di essere raccontata CHE C’ENTRA LA POLITICA NELLA SCUOLA? 30 ottobre. Giornata pesante. Scuola vuota, alunni e docenti nelle piazze romane, personale in agitazione. Ammetto la mia difficoltà nel trovarmi in questa situazione. Non ho mai sopportato l’idea di dover far entrare la politica nella scuola, mentre invece di politica ce n’è fin troppa. E la politica divide, fa litigare, ti fa diventare antipatico il vicino di casa come il collega della classe a fianco. Non ho scioperato. Questa volta come le altre volte. Non scioperavo da studente, neanche da insegnante sia nel bene, sia nel male. Semplicemente perché non credo allo sciopero come forma di concreta protesta. Cosa c’entrava quanto abbiamo visto oggi con lo studio, con l’università, con l’insegnamento? Forse tanto, forse poco. Come fanno ad esistere studenti di destra e studenti di sinistra? Chi ama la cultura e vuole veramente studiare, prende la mazza da baseball e va a P.zza Navona? Che c’entrano i militanti con lo studio? E che c’entrano i bambini delle scuole elementari alla manifestazione? E perché gli studenti non stavano a studiare e protestavano la domenica mattina, anziché nei giorni feriali? Questa politica di adesso usa gli studenti (come anche i tifosi di calcio) per aizzare la violenza, preparando a tavolino manifestazioni violente con il solo intento di creare scompiglio. Anche l’on. Di Pietro sosteneva nella non spontaneità di quanto successo in questi giorni. Domande, molti dubbi, tante perplessità. Su questa riforma diciamo che vedo tante ombre, qualche luce e molte incertezze. Però parto dal presupposto che nessuno ha la formula vincente in tasca, e forse provare qualcosa di nuovo potrebbe funzionare… sono combattuto e allo stesso tempo cerco - come filosofia di vita - di mantenere un atteggiamento di ottimismo, anche se non sempre ci riesco. Del resto il nemico numero uno degli insegnanti non si chiama riforma, Gelmini o Berlusconi: si chiama ‘fossilizzazione’ ovvero vivere in uno stato di benessere che viene dal ripetere sempre le stesse cose per evitare di mettersi in discussione, senza mai la volontà di confrontarsi e di cambiare. Ogni cambiamento spaventa, e questa riforma è un vero terremoto. Ci sarà da lavorare. Con impegno e professionalità. Capisco e comprendo molti miei colleghi, soprattutto i precari, che temono questa riforma. Però è pur sempre vero che quando un insegnante è bravo, è bravo anche da solo; un team di docenti bravi formano studenti ottimi, come team di docenti scarsi formano studenti impreparati. Forse è proprio questo il punto dolente, che non viene sottolineato e che a me personalmente fa più paura. Incappare in insegnanti impreparati, stufi, svogliati e magari anche politicizzati. Ce ne sono purtroppo: e come padre mi spavento, come insegnante mi deprimo e come cittadino rimango atterrito. Fuori la politica dalla scuola, e dentro la cultura. Questo mi piacerebbe: che insegnanti e studenti riprendano ad amare la cultura e ad emozionarsi al profumo di una biblioteca. www.andreagironda.it perché la vita merita di essere raccontata UNA SCUOLA IN PROTESTA NON LAVORA SERENAMENTE Sono moltissime le proteste che si stanno elevando in questi giorni dal mondo della scuola, e molte altre quelle che sono state annunciate da molte sigle sindacali. I temi della protesta sono noti a tutti; in primo piano la questione spinosa del ‘maestro unico’, che ovviamente mette in apprensione molti insegnanti, dal momento che quando si parla di posti di lavoro è comprensibile lo stato di agitazione di molti lavoratori. Sentirsi tremare la terra sotto i piedi non fa piacere a nessuno. Che poi il Ministro dica che la scuola non debba essere uno ‘stipendificio’ può essere anche vero, ma credo che spendere le risorse dello Stato per pagare chi ha il compito di formare i giovani non sia poi uno spreco di danaro. Una diminuzione del personale vuol dire indebolire un sistema, quello scolastico, che viste le complessità, le esigenze e le aspettative delle famiglie di oggi necessita di ulteriori risorse da investire. Risorse umane, certamente, ma anche strutturali. Il fenomeno del maestro unico mette in agitazione molti insegnanti perché da ormai quasi vent’anni il corpo docente della scuola elementare si è ‘specializzato’ in determinati ambiti disciplinari che corrispondono soventemente all’ambito che ogni insegnante sente proprio. È comprensibile come un insegnante possa sentirsi in difficoltà dal momento che viene messo in discussione il suo modo di lavorare. Detto questo, qualora questa innovazione venisse applicata, il dovere di ogni professionista è quello di mettersi al servizio della scuola, così come gli viene richiesto. Le difficoltà degli insegnanti stanno anche nel fatto che molti non si sono mai veramente messi in discussione, e che preferiscono basare le proprie certezze su un metodo di insegnamento e su conoscenze radicate e ripetute che non si sono mai rinnovate con il passare degli anni. Un insegnante che lavora da 30 anni nella scuola ma che non si è mai rinnovato, è come se insegnasse da un anno ripetendo 30 volte quello che ha già fatto. La politica deve studiare il mondo della scuola con maggiore concretezza, affidandosi a persone esperte e soprattutto competenti. TORNANO I VOTI E LA CONDOTTA! Mancano ormai pochi giorni e per molti insegnanti sarà il momento di rientrare a scuola, dopo un periodo di meritato riposo. Per me è un momento molto bello perché posso finalmente rincontrare colleghi, colleghe, ristabilire certi rapporti e rituffarmi nel mio lavoro che tanto amo, e soprattutto poter rincontrare i miei circa 200 alunni che ogni anno mi pongono domande sempre più accattivanti. www.andreagironda.it perché la vita merita di essere raccontata Nel recente periodo abbiamo assistito ad alcune esternazioni del Ministro Gelmini in merito ad alcune indicazioni, espresse anche con decreti legge, che hanno fatto discutere. Sicuramente il ritorno al classico “voto” alle medie e alle elementari sconvolge le abitudini di molti insegnanti, io per primo. La valutazione è sempre un punto così delicato del processo scolastico; fosse per me eliminerei ogni forma di voto, perché non fa altro che creare competizione tra gli alunni e stress da prestazione anche per le famiglie. Sarà la vita a dare i suoi “voti” e su quelli non ci sono appelli. Credo che la scuola dovrebbe istruire più che valutare. Verificare quello sì, ridimensionando però qualsiasi forma di valutazione. Figuratevi quindi la mia posizione quando si passa da “giudizio” a “voto”. Cambierà che finalmente potrò dare qualche 10 (anziché ottimo) agli alunni più meritevoli! Il Ministro però si è espresso con maggiore incisività sul voto di condotta come deterrente per i fenomeni di bullismo. Potrebbe essere una strada, quanto meno per far riacquistare un po’ di credibilità alla scuola, ma non penso che così si possano contenere i bulli. Se uno è violento è violento sempre, è bullo in aula con il professore ed è bullo fuori con i più deboli. Forse per combattere il bullismo si dovrebbero dare più speranze ai nostri giovani e sarà il caso che prima o poi gli agenti educativi più vicini a loro (la famiglia per prima, la scuola, ma ci metto anche le parrocchie, gli enti sportivi e ricreativi) si mettano in testa che questi ragazzi hanno bisogno di essere ascoltati e guidati, nell’epoca dove tutti hanno un cellulare ma poco da dirsi e soprattutto da condividere. Dare delle possibilità ai giovani, andare nelle periferie, incontrare le famiglie più disagiate attraverso persone competenti e preparate. Ritornare a parlare di “progetto di vita” ad un ragazzo di 11-12 anni. Con questo auguro al Ministro, ai Dirigenti Scolastici e agli insegnanti un buon anno scolastico. E che Dio ce la mandi buona!!! UNA MAESTRA CHE VA IN PENSIONE Essendo tempo di saluti di fine anno, inevitabilmente anche quest’anno nelle scuole dove insegno ci sono state alcune maestre che sono andate in pensione. Come di consueto in questi casi, tutti gli insegnanti si sono riuniti per un piccolo “rinfresco” intorno a queste colleghe che si apprestano ad iniziare un’altra fase della vita. www.andreagironda.it perché la vita merita di essere raccontata In modo particolare mi ha colpito la storia di una maestra che lascia il suo servizio dopo ben 42 anni. Più di quattro decenni, praticamente una vita, passati tra i banchi di scuola, con un numero infinito di alunni, molti dei quali oggi saranno padri e professionisti in svariati campi. Mi colpivano i tanti anni di servizio; pensavo ai miei quasi 10 anni di scuola… e mi rendevo conto di quanta strada ho ancora da percorrere e quanti passaggi dovrò affrontare. Questa maestra si può tranquillamente dire che sono passate dal calamaio all’epoca della pendrive! Una maestra pensionata da molti anni, è intervenuta durante la piccola cerimonia di commiato, per formulare un pensiero per questa insegnante con la quale ha collaborato per molti anni. Si apprezzava in questo breve discorso, la forma, lo stile bello e ricco, i pensieri profondi e ben formulati; un collega ha fatto un commento molto appropriato “Come sapevano scrivere queste insegnanti di una volta!”. È vero. Se siamo arrivati a formulare grossolani errori nei testi degli esami di maturità è perché gli insegnanti di oggi non sono più quelli di una volta. Purtroppo è vero, mi ci metto anche io. Queste maestre di una volta curavano la bella forma, l’ortografia, arrangiandosi con i mezzi di allora per proporre agli alunni una didattica semplice alla quale molti di noi, inconsciamente, è legato perché è quello il modello che ci è stato proposto. La professionalità espressa da quella maestra che festeggiava la sua pensione, è stata encomiabile fino all’ultimo giorno. A questa maestra, e a tutte quegli insegnanti che hanno prestato il loro amorevole servizio alla scuola per tanti anni, non va che la nostra riconoscenza. Una maestra, un maestro, soprattutto se onesti e sinceri, non vengono dimenticati dai propri alunni. Rimangono nel cuore per sempre; altri invece, quelli che non ci mettono la passione, finiscono nel dimenticatoio e spesso lasciano un segno negativo in molte esistenze. Auguri ai maestri e alle maestre in pensione. Godetevi questo periodo lontano dalla scuola… anche se una domanda sorge spontanea: ci saprete stare lontani da scuola? UN PENSIERO AI BOCCIATI... Arrivano finalmente le vacanze estive e per molti studenti è tempo di risultati: sorrisi e lacrime, speranze e propositi per il prossimo anno si sprecano in questi giorni. Penso soprattutto ai ragazzi più grandi che devono passare attraverso il duro rito dei “quadri”. Da studente ricordo che odiavo quel momento; andare lì davanti, leggere da solo il verdetto senza la possibilità di appello, vedere i tuoi risultati pubblicati davanti a tutti e www.andreagironda.it perché la vita merita di essere raccontata curiosare sulla sorte degli altri compagni. Forse si potrebbe trovare qualche formula un po’ meno ‘crudele’…. Penso che abbiate capito che dei quadri non avevo una grande simpatia, anche perché nel campo della ragioneria non faccio fatica ad ammettere che i risultati non sempre sono stati incoraggianti. Eppure la scuola funziona ancora così… Sarà, ma in questo periodo penso soprattutto ai meno fortunati, quelli che magari ricevono brutte notizie. Per molti una bocciatura potrebbe risultare una grande sconfitta, ai quali i docenti devono obbligatoriamente pensare prima di emettere un simile verdetto. Spesso le famiglie caricano di attese i figli e non sempre i brutti risultati vengono assorbiti in modo indolore, soprattutto dai ragazzi più deboli. Fortunatamente alla scuola elementare non si pone questo problema, se non in rarissimi casi dove ho dovuto firmare per una bocciatura, decisa dall’intero team in accordo con le famiglie stesse. Per un insegnante deve essere un’esperienza dolorosa dover bocciare un alunno, sinonimo anche di fallimento del proprio lavoro. Purtroppo però non tutti hanno questa sensibilità, forse perché ancorati all’idea del voto come strumento di vendetta o di punizione. Per questo, soprattutto alle elementari, toglierei tutti i voti dalle scuole almeno nella così grande quantità - per lasciare spazio ad un unico grande giudizio che possa esprimere meglio il vissuto scolastico e umano di ogni ragazzo. Voglio così dedicare un pensiero in questa speciale pagina del mio personalissimo “registro di classe” a quanti vedranno sottolineato con la penna rossa un fallimento scolastico. Coraggio ragazzi, da un risultato negativo si può trovare la forza per crescere e ripartire. A chi invece sarà promosso, beh, una stretta di mano e tanti auguri. Complimenti! A chi invece sarà costretto a studiare ancora per recuperare qualche lacuna, auguro un momento di sereno e soprattutto proficuo studio. Per tutti gli studenti (e dico proprio a tutti, anche ai piccolissimi) l’augurio è quello di vivere esperienze gioiose nello studio, per scoprire e valorizzare al meglio le meraviglie della vita. BAMBINI E PORNOGRAFIA: COME INTERVENIRE? L’ultimo episodio risale a qualche giorno fa quando un bambino di sette anni è arrivato alla cattedra e, senza alcun timore ma con l’innocenza tipica dei bambini di questa età, mi ha raccontato i dettagli di un film pornografico visto alla televisione. Tra l’imbarazzo del sottoscritto e la “normalità” degli altri bambini, ho cercato di placare gli animi per www.andreagironda.it perché la vita merita di essere raccontata evitare altre reazioni. Purtroppo nella classe dove è successo questo episodio, ne sono già accaduti degli altri, e i bambini non sono nuovi a questo genere di racconti. Ciò che particolarmente mi colpisce è la facilità dell’accesso a tali spettacoli da parte dei bambini. La colpa è sì della televisione, ma con questo non bisogna crearsi degli alibi. La televisione trasmette volgarità di ogni genere, ma non propone la pornografia; per quella ci sono le televisioni a pagamento, o internet. Il guaio è che i bambini vengono lasciati SOLI dalle famiglie a gestire strumenti per i quali non sono mai stati educati e attrezzati. Se vogliamo questo è un aspetto “nuovo” del fenomeno, in quanto i genitori di oggi - che sono più o meno miei coetanei - non hanno mai affrontato il problema, perché solo 10 anni fa tutte le proposte in questo senso erano decisamente ridotte e difficili da reperire. Oggi c’è una gratuità fin troppo eccessiva, e i genitori sono i primi a trovarsi impreparati. Questo però non deve creare affatto un alibi: un bambino solo davanti alla tv o al computer, è un bambino comunque solo ed indifeso. Quali effetti può creare un filmato pornografico nella sensibilità di un bambino di sette o otto anni? Del resto se poi sentiamo che si anticipano i primi rapporti fin dall’età dell’adolescenza, e i ragazzi di oggi arrivano precocemente all’uso di alcool, droghe e quant’altro, non dobbiamo sorprenderci. Saranno forse le solite chiacchiere da bar, riflessioni scontate di un maestro di religione della scuola elementare. Ma questo è un fenomeno che non riguarda solo la scuola; purtroppo si espande all’intera società e ad una gioventù che invece di costruire progetti di vita basati su saldi valori, si trova a dover affrontare anzitempo cose più grandi. La visione della pornografia è purtroppo un fenomeno diffuso anche nei bambini. Non è la “morbosità” innocente di conoscere, scoprire e scoprirsi: qui siamo davanti alla pornografia che è un’altra cosa. E la famiglia, solo la famiglia, è l’unica che può fare qualcosa in questo senso. ARRIVANO LE PAGELLE E’ tempo di valutazioni, tempo di giudizi, di schede di valutazione o addirittura di pagelle (nome inquietante usato nelle scuole superiori). Molti studenti stanno facendo in questi giorni i primi bilanci, alcuni saranno felici, altri meno, altri dovranno mettersi ancora di impegno fino alla fine dell’anno. Anche per gli insegnanti questo non è un momento facile. Esprimere delle valutazioni, più che esprimere dei giudizi. Valutazioni che possano fornire considerazioni costruttive alla crescita umana e scolastica dello studente. Nei www.andreagironda.it perché la vita merita di essere raccontata miei anni di insegnamento ho letto e firmato molte schede delle scuole elementari. Non ho mai letto una scheda così detta “perfetta”, nel senso che nessuna di essa mi ha mai convinto fino in fondo, anche quella fatta con grande impegno da parte del team. Alcune sono addirittura fredde, quasi irritanti: le solite frasi fatte dove, per fretta o per poca fantasia, si cambiano i soliti aggettivi di tutti gli anni. Mi domando se questo strumento di valutazione sia ancora valido nei tempi moderni o se non sarà il caso di studiare qualche altra soluzione. Francamente non ho soluzioni da proporre. Sarà che il momento della valutazione è complessa in tutti i suoi aspetti; mi piacerebbe ogni tanto che emergesse non solo il profitto di uno studente, ma anche il suo aspetto umano, la relazione con il mondo della scuola, con la vita, con i sentimenti. Perché, non dimentichiamolo, dietro ad ogni nome stampato sulla scheda c’è una persona e non solo un alunno. Fare una scheda “perfetta” è impossibile; ovviamente dietro a tutti quei voti ci deve essere il contatto e il colloquio con ogni famiglia per studiare insieme le strategie da intraprendere. A mio avviso i voti andrebbero addirittura aboliti, perché generano competizione (il vero male della scuola e se vogliamo della società), non servono a niente, generano ansia e frustrazione negli studenti e per gli insegnanti sono spesso uno strumento o di minaccia o di svilimento di una professione che dovrebbe insegnare e non giudicare. Forse così la didattica sarà più serena e assumerà un tono educativo più convincente. Idee assurde forse irrealizzabili. Sarà, ma nella società che cambia la scuola deve assolutamente interrogarsi su chi vogliamo formare: cervelli da riempire o persone da valorizzare e far crescere? UN PAPA EDUCATORE “Sono in questione non soltanto le responsabilità personali degli adulti o dei giovani, che pur esistono e non devono essere nascoste, ma anche un'atmosfera diffusa, una mentalità e una forma di cultura che portano a dubitare del valore della persona umana, del significato stesso della verità e del bene, in ultima analisi della bontà della vita”. “In concreto, aumenta oggi la domanda di un'educazione che sia davvero tale. La chiedono i genitori, preoccupati e spesso angosciati per il futuro dei propri figli; la chiedono tanti insegnanti, che vivono la triste esperienza del degrado delle loro scuole; la chiede la società nel suo complesso, che vede messe in dubbio le basi stesse della convivenza; la chiedono nel loro intimo gli stessi ragazzi e giovani, che non vogliono essere lasciati soli di fronte alle sfide della vita. Chi crede in Gesù Cristo ha poi un ulteriore e più forte motivo per non avere paura: sa infatti che Dio non ci abbandona, www.andreagironda.it perché la vita merita di essere raccontata che il suo amore ci raggiunge là dove siamo e così come siamo, con le nostre miserie e debolezze, per offrirci una nuova possibilità di bene”. “Ogni vero educatore sa che per educare deve donare qualcosa di se stesso e che soltanto così può aiutare i suoi allievi a superare gli egoismi e a diventare a loro volta capaci di autentico amore”. “L'educazione non può dunque fare a meno di quell'autorevolezza che rende credibile l'esercizio dell'autorità. Essa è frutto di esperienza e competenza, ma si acquista soprattutto con la coerenza della propria vita e con il coinvolgimento personale, espressione dell'amore vero”. “Oggi la nostra speranza è insidiata da molte parti e rischiamo di ridiventare anche noi, come gli antichi pagani, uomini "senza speranza e senza Dio in questo mondo", come scriveva l'apostolo Paolo ai cristiani di Efeso (Ef 2,12). Proprio da qui nasce la difficoltà forse più profonda per una vera opera educativa: alla radice della crisi dell'educazione c'è infatti una crisi di fiducia nella vita”. Queste sono alcune parole del Papa contenute nella lettera sul compito dell’educazione inviata alla Diocesi di Roma. Parole che mi hanno lasciato senza fiato. Per una volta sto zitto, non aggiungo ulteriori inutili commenti, e credo sia giusto lasciare spazio al silenzio e alla riflessione. Invito tutti, genitori, insegnanti ed educatori, a leggere questa lettera nella sua versione integrale scaricabile nella pagina “Scuola Didattica e IRC” nel riquadro “per tutti gli insegnanti” “TU SCENDI DALLE STELLE”? NO, CASCO DALLE NUVOLE Come sempre, quando arriva il Natale, si cerca sempre di proporre delle attività didattiche che siano concentrate sulla festività natalizia. Il guaio nella vita è sempre dare per scontato qualche cosa, e così anche a me è capitato di sottovalutare una situazione che pensavo fosse scontata. In una classe seconda durante la lettura di un testo del libro di religione, una delle attività proposte poneva una domanda agli alunni, e diceva: “Quali canti natalizi conosci? Scrivi il ritornello sul quaderno”. Ho chiesto ai bambini quali fossero i canti natalizi più conosciuti… Mi aspettavo “i classici” del Natale, ma loro mi guardavano ammutoliti con l’aria un po’ persa e tentavano di farfugliare qualcosa. Ad un certo punto qualcuno ha detto “Jingle Bell”… poi null’altro. A questo www.andreagironda.it perché la vita merita di essere raccontata punto ho tentato di suggerire, pronunciando lentamente il nome, il titolo di “Tu scendi dalle stelle”; con mia grande sorpresa in una classe di 16 alunni solamente una bambina conosceva uno dei canti più belli della tradizione italiana. Stavolta a restare ammutolito sono rimasto io, quasi non volevo crederci. Neanche il testo era a loro noto, segno che non avevano mai sentito questa canzone. Il libro poi proponeva anche la lettura dell’ “Ave Maria”, dal momento che imminente è la festa dell’8 dicembre. Anche qui solamente 4 bambini conoscevano questa preghiera. Ma questo, se vogliamo, è un altro discorso. Nelle case italiane girano cartoni animati giapponesi, video giochi americani, scarpe cinesi, susine del Cile, cibi di altri continenti, ma non si insegna più quei capisaldi della cultura italiana. Da piccolo nella mia famiglia era inevitabile passare per “Tu scendi dalle stelle”, un classico di ogni anno. La scuola in questo senso è la principale indiziata nella perdita della cultura; l’intercultura può anche andare bene, ma temo che con il temo la scuola si stia orientando verso un’apertura alle altre culture senza radicare nei giovani una cultura propria. L’attenzione agli alunni stranieri, e la paura di offendere le sensibilità altrui, stanno togliendo nella scuola italiana canti come “tu scendi dalle stelle”, il presepe, il crocifisso e quant’altro dovrebbe rappresentare la tradizione e la cultura (anche religiosa) di una nazione. Perché Halloween sì e il Natale no? Mi è sembrata una lacuna clamorosa che i bambini non conoscessero questo celebre canto e addirittura ignorassero in gran parte una preghiera così famosa. Nella Roma-bene dei Parioli questa è la fotografia che ne è uscita. Chissà mai se riusciremo a prenderne coscienza prima o poi. Forse sarà troppo tardi quando un giorno diremo: ma noi chi siamo? LO SGUARDO AMOREVOLE DI PADRE PUGLISI, MODELLO PER GLI INSEGNANTI Una lettrice siciliana del sito mi invia una sua breve considerazione, riflettendo per un attimo sulla figura di Padre Pino Puglisi, incredibile figura di santità che la nostra amica — ora insegnante — ha avuto modo di incontrare: “Ti posso dire che l'ho personalmente conosciuto, facevo parte del CVX della pastorale vocazionale di Palermo a quei tempi avevo 18 anni ed ero molto biricchina, sebbene avessi alle spalle un discreto cammino. Una domenica, in particolare mi ricordo, ripetutamente disturbavo la sua catechesi con battutine che distraevano gli altri ragazzi/e. Lui li tollerò ma fino ad un certo punto... avrei dovuto meritare un solenne rimprovero... ed invece P.Pino mi guardò dolcemente, intensamente, in silenzio, nei suoi occhi non vidi alcun risentimento e neanche un benchè minimo senso www.andreagironda.it perché la vita merita di essere raccontata di rimprovero ... ancora ricordo quello sguardo così amorevole che implorava semplicemente di smetterla ed io a quel punto mi quietai. un bell'esempio per noi insegnanti di religione anche lui lo era che si considerava ...un rompiscatole” - Anna Daniela Spatola, Palermo Ringrazio di cuore la nostra amica e collega Anna Daniela, perché mi ha dato la possibilità di riflettere su quanto scritto. Ammetto di conoscere solo per grandi linee la figura di Padre Pino Puglisi e di non aver mai approfondito la sua storia, ma ciò che mi ha colpito nel racconto della nostra collega è l’aspetto “pedagogico” del prete siciliano, ucciso dalla mafia. A chi non è mai capitato di avere un alunno un po’ birichino, uno di quelli a cui spesso ci rivolgiamo con una sgridata, con una punizione o una nota… Tutti gli insegnanti hanno avuto, e tutto sommato hanno ancora, degli alunni un po’ “discoli”, dalla scuola dell’infanzia al liceo. Lanciare uno sguardo amorevole, anziché uno sguardo minaccioso e severo potrà essere senz’altro più efficace. Generalmente soprattutto i bambini nascondono dietro ad un preciso atteggiamento una voglia di comunicare un bisogno. Vale per gli insegnanti, come per i genitori, anche se quest’ultimi spesso non riescono a coglierne i segni, perché troppo implicati nel processo affettivo o perché essi stessi causa dei problemi dei figli. Una volta mi capitò un alunno con una situazione familiare un po’ al limite, per “protestare” con il mondo intero si praticava delle violenze contro sé stesso. Segno chiaro ed evidente di comunicare il suo bisogno di amore a noi, come alla famiglia. Ricordo che spesso a me (forse perché maschio) riusciva a fare delle confidenze, ad esternare il suo disagio, il tutto sedendoci sulle scale, e parlando con lui in modo dolce e delicato. Quel bambino non aveva bisogno di rimproveri, ma solo di essere ascoltato e magari capito. Questo racconto della nostra collega dovrebbe far riflettere tutti gli insegnanti nel capire che un urlo a volte può servire a poco, proprio perché in alcuni contesti familiari le urla sono gli unici suoni di alunni con vari disturbi. Ci vorrebbe più spesso lo sguardo amorevole e implorante di Padre Puglisi; renderà la vita più gioiosa a noi e agli altri… e poi non costa davvero nulla. ALLA RICERCA DELLA “PARI DIGNITA’” Ricomincia un nuovo anno scolastico, e il mio personale registro di classe vuole aprirsi con una riflessione che generalmente faccio all’inizio e alla fine dell’anno scolastico. L’inizio dell’anno è sempre un momento un po’ delicato: c’è sempre qualche piccolo problema, trovare le classi, organizzare il lavoro… e a volte riuscire a coordinare — come www.andreagironda.it perché la vita merita di essere raccontata nel mio caso — più scuole contemporaneamente. Quello di cui sono disperatamente alla ricerca è una certa “pari dignità” della mia materia con le altre. Sì, sta scritto in chissà quale carta e quale documento, ma nella realtà spesso questo non coincide. Quando si vedono ad es. quei cartelli fuori la classe con i nomi degli insegnanti e quello di religione non c’è; o quando il Dirigente all’inizio dell’anno fa l’elenco dei team o dei docenti e quelli di religione fanno sempre un caso a sé; o quando con amarezza vediamo che certi colleghi sentono “invaso” il loro orticello, come se il contributo di un altro insegnante possa infastidire; o quando si nota una certa indifferenza da parte di alcuni genitori dopo che magari uno si è dannato l’anima (!) per un alunno; o quando si dice “Signora, ecco la scheda. Ah, qui c’è anche quella di religione” (come anche? Dopo che magari ne ho firmate 190!); oppure quando l’insegnante di religione che ha diverse centinaia di alunni è considerato in minoranza rispetto agli altri insegnanti; o quando, e questo è un caso comune, quando vediamo l’informatica attirare molte più attenzioni della religione; quando vediamo la religione come una materia “minore”; o quando vediamo che i colleghi e la gente comune ci considera come dei sempliciotti signori presi dal parroco e mandati in una scuola ad insegnare qualche sporadica nozioncina che non serve a nulla, mentre magari un insegnante di religione ha una profonda preparazione teologica, didattica e pedagogica…. Insomma, di casi se ne potrebbero fare davvero molti. Fortunatamente però ci sono anche testimonianze positive, dove invece il nostro lavoro viene preso in considerazione dai colleghi, dai genitori e dagli alunni stessi i quali spesso dimostrano un atteggiamento costruttivo e propositivo. Solo che rimango sempre disorientato dalle manifestazioni negative e nel mio cuore vado alla ricerca di un po’ più di considerazione, in virtù di una pari dignità tanto desiderata. Ma poi mi ricordo di una cosa importante, capace di cancellare in un sol colpo tutti di dubbi e le amarezze. Quando arriverà il giorno in cui finalmente inizieranno le lezioni, avremo l’opportunità magica di poter entrare in classe, chiudere la porta e avere a disposizione i cuori dei nostri bambini e ragazzi. E se saremo bravi e anche un po’ fortunati, con l’aiuto del Signore ci si presenterà l’occasione di poter entrare e incantare i cuori di questi giovani. Questo cancellerà ogni cosa. E quando arriverà la fine, anche se un genitore distratto dimenticherà di venire a stringerci la mano, non fa niente. L’opportunità di vivere con gli studenti una magica avventura c’è stata e sempre ci sarà. Forse non saremo noi a vedere i frutti. L’importante è aver seminato.