lo sguardo amorevole di padre puglisi, modello

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lo sguardo amorevole di padre puglisi, modello
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REGISTRO DELL’ INSEGNANTE
PERDONARE, PERDONARE, PERDONARE
10/2/2010 - Qualunque persona si trovi nel mondo del lavoro sa bene che non sempre i rapporti
tra colleghi sono idilliaci. Qualche volta si creano delle simpatie, delle valide collaborazioni, a
volte invece c’è qualcuno con cui non si riesce proprio a legare. Figuriamoci per un insegnante
che ha a che fare quotidianamente con molti ragazzi, con le famiglie, con i colleghi. Per un
insegnante di religione poi, tutto è moltiplicato dal momento che i rapporti si incrociano con
almeno 30-40 colleghi, circa 200 alunni (350 per le medie e superiori), centinaia di famiglie,
collaboratori scolastici, dirigenti. Devo ammettere che in quasi tutte le scuole dove ho insegnato
ho trovato un atteggiamento rispettoso nei miei confronti; capita tuttavia che qualcosa ogni
tanto non funzioni.
Chi insegna religione spesso si trova esposto su più fronti; sembra che nessuno si interessi del
docente di religione quando invece gli occhi addosso sono molteplici. Capita anche di incontrare
per la propria strada persone che si scontrano con l’insegnante di religione in quanto “figura” e
non per una vera antipatia nei suoi confronti. Queste persone spesso creano i disagi maggiori,
proprio perché mossi da una cattiva fede (non religiosa!) e da ideologie che provengono da
svariate correnti di pensiero.
La reazione in questi casi potrebbe essere quella di cominciare a fare la guerra, a scendere sul
ring e cercare di far valere le proprie idee, il proprio pensiero, magari arrivando allo scontro
verbale. Tutto questo è profondamente umano, ma non è consono al docente di religione. In
questi casi si dovrebbe capire che proprio queste persone rappresentano il campo di sfida più
‘appetibile’: è anche lì la missione di educare. Educare gli educatori!!! I nazaretani volevano
gettare Gesù dal burrone: molti vorrebbero gettare giù dalla Torre i docenti di religione.
Perdonare, perdonare, perdonare sempre e magari anche sopportare silenziosamente e
pazientemente: sarà solo la nostra comprensione, il nostro atteggiamento caritatevole a
sconvolgere i cuori di chi ci è contrario. Non è facile, e queste parole vorrei ripetermele spesso
anche a me stesso, soprattutto in questi ultimi tempi.
Salire sul ring della battaglia verbale è facile, ma non è cristiano accettare la sfida. Tra le altre
cose non è neanche conveniente: in certi casi il ‘quieto vivere’ deve essere superiore, anche
quando vediamo che “l’avversario” non rispetta le regole e tira colpi proibiti. Accettare tutto
con la determinazione di chi vuole diventare santo, crede nell’ultima beatitudine e vuole dare
un messaggio di fede al mondo che ti circonda.
COME LA METTIAMO CON I VOTI?
20/1/2010 - Inutile dirlo: per chi vive dentro la scuola, sia da studente, sia da docente, è tempo
di voti. E così via alle fotocopiatrici impazzite nello sfornare prove di verifica di tutte le materie
da somministrare ai ragazzi nella speranza che esse possano dare non solo un esito positivo, ma
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possano togliere qualche dubbio agli insegnanti lì dove ci sono situazioni “incerte”. Me li ricordo
bene da studente questi momenti: prove palpitanti, spesso tutte insieme, che mandano in tilt i
cervelli affaticati dei ragazzi. Li sto vivendo ovviamente come insegnante: qualcuno sottovaluta
il voto di religione. Quando è alto si pensa sia “normale”, quando è basso ci si chiede “come
mai…”; probabilmente vige la consapevolezza che la religione sia una materia ‘facile’, la
cenerentola della scuola, dove tutti devono andare per forza bene. Non sempre è così, non va
dimenticato che la disciplina ha in sé molte difficoltà.
Quest’anno però vivo questo momento anche da genitore, nel senso che tra poco mia figlia che
frequenta la prima elementare riceverà la sua prima ‘scheda di valutazione’, la prima di una
infinita serie. E qualche giorno fa mi ha chiesto: “Cosa sono i voti? Che cos’è la pagella?”. Non è
stato facile rispondere, anche perché tutti sappiamo cosa siano i voti e le pagelle, solo che è
stato difficile impostare questo discorso con una bambina di 6 anni. Non bisogna assolutamente
trasmettere angoscia o ansia per la scheda; è sbagliato pensare di chiedere ai bambini solo il
rendimento e basta. L’importante è anche mettere gioia in tutto ciò che si fa. Quante volte mi è
capitato di vedere bambini ‘stressati’ dall’ansia di prestazione, da genitori che vedono la scuola
solo come un luogo dove si prendono i voti (quasi fossimo in un monastero di suore di clausura!).
È per questo che poi, fondamentalmente, li ritengo sbagliati soprattutto nella scuola
elementare: ai bambini con il voto trasmettiamo il concetto che la scuola è il luogo della
competizione. Chissà quante volte i nostri alunni e i nostri figli si troveranno a competere con il
mondo!
L’augurio è che ogni insegnante in questo momento possa essere illuminato dalla prudenza e dal
buon senso, e possa essere sempre serenamente obiettivo anche quando c’è da ammettere un
fallimento che non è sempre solo dei ragazzi ma anche del proprio lavoro. Agli studenti auguro
di veder ricompensati i loro sforzi e di migliorare lì dove ci sarà da lavorare. Mentre ai genitori
(e lo dico anche a me) dico solo di vedere “oltre” quel numero, per saper aiutare, collaborare e
indirizzare ogni ragazzo che studia. A tutti voi, visto che non se ne può fare a meno…
BUONI VOTI!
I COMPITI DI NATALE?
23/12/2009 - Quest’anno le vacanze di Natale sono iniziate quasi in prossimità del Natale; ieri
gli studenti hanno salutato amici, insegnanti e collaboratori scolastici scambiandosi gli auguri.
Nella mia scuola ieri si è concluso in allegria, con una gioiosa rappresentazione natalizia dove i
bambini delle classi seconde hanno intonato dei canti che dovevano richiamare al Natale. Dico
“dovevano” perché in realtà di natalizio non c’era molto, ma questo è un altro discorso (vedi
“Dritto e Rovescio”).
Ieri volevo quasi per un attimo fermare il tempo e all’uscita dalla scuola mi sono soffermato per
osservare i miei alunni uscire dalla scuola, pieni di entusiasmo e di gioia, vuoi per l’inizio delle
vacanze, vuoi per il Natale ormai alle porte. Li osservavo pensando che in fondo il loro chiasso
nelle orecchie mi mancherà per un po’. Anche se in questo periodo accuso la stanchezza, la loro
arricchisce le mie giornate. Tra le tante voci mi ha colpito quella di un collega che diceva “ed io
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cosa faccio ora tutte le mattine?”. Già, il maestro Andrea per fortuna ha tante cosa da fare (il
papà a tempo pieno tanto per dirne una), ma alla fine mi rendo conto che la chiusura della
scuola lascia un senso di vuoto dentro. Tutto sommato sono anche contento di sentire ancora in
me questa sensazione che è brutta ma anche bella allo stesso tempo: brutta per i motivi che ho
appena spiegato, bella perché vuol dire che a scuola ci sto sempre bene e questa sensazione di
‘tristezza’ fa un po’ da cartina tornasole perché capisco che il “sacro fuoco” del mio lavoro è più
vivo che mai.
In questi giorni mi riposerò, metterò a posto tutte quelle carte che inevitabilmente durante
l’anno scolastico si lasciano un po’ andare: questo almeno il proposito. E nel frattempo penserò
ai miei alunni, a come tornare a scuola, quali argomenti trattare, nella speranza di farmi venire
nuove idee, trovare sempre nuove chiavi di lettura che possano attirare il loro interesse.
Nel frattempo voglio augurare a tutti i miei alunni e alle loro famiglie un sereno Natale. Alcuni
bambini scrupolosi mi chiedono “dobbiamo fare i compiti?”: ovviamente sì, dico loro… E
sarebbero: riposarsi, fare una passeggiata, andare a visitare un presepe, non vedere troppi
cartoni animati, non mangiare troppi dolci e ovviamente fare i compiti delle altre materie! Loro
sorridono ed io gli chiedo: “sono troppi?” e in coro “che bellissimi compiti!!!”. Già, sarebbe
proprio bello che le famiglie in questo periodo possano ritrovarsi un po’ insieme, fare una
passeggiata, andare a vedere qualche presepe. Sarà un modo per svolgere il compito più
importante: ritrovarsi e riabbracciarsi insieme. Auguri!
ATTACCA IL CIUCCIO
20/11/2009 - Ultimamente si sta sviluppando tra gli insegnanti uno strano virus, di cui sento
parlare. Non, niente influenze e niente pandemie. Mi è capitato recentemente di sentire da più
parti il detto “attacca il ciuccio dove vuole il padrone”. Un detto napoletano, a quanto pare,
che a me francamente non ha mai suonato bene.
Si parla in questi termini quando non si vogliono avere ‘rogne’, ovvero quando uno, per non
andare incontro a fastidi di vario genere, cerca di fare ciò che vuole il padrone. Spesso questo
‘padrone’ nelle scuola può essere il Dirigente Scolastico, a cui ogni insegnante deve rendere
conto del suo operato: è pure vero però che noi docenti abbiamo nei confronti dei nostri
superiori un dovere di rispetto delle parti, senza dimenticare il dovere di obbedienza. Un
docente deve rispettare le direttive del Capo d’Istituto anche quando esse non sono di suo
gradimento.
Il fatto più grave però è che questo proverbio poco saggio, alcuni lo intendono anche in campo
educativo. In questo caso il padrone diventa la famiglia di qualche alunno che magari è più
problematico (il ciuccio!). È triste sentire certi insegnanti che - ormai arresi e demotivati cercano di avallare le scelte poco sagge di qualche famiglia proprio per evitare problemi. Questo
modo di fare viene sposato non solo dalle colleghe e dai colleghi più ‘anziani’, ma anche dai più
giovani - e questo è forse il dato più allarmante — i quali ritengono inutile intraprendere strade
che possano essere motivate da un percorso educativo e che abbiano come unico scopo il bene
dell’alunno.
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Francamente in questi primi dieci anni della mia carriera non credo di aver mai attaccato nessun
ciuccio. In certi casi mi sono reso conto che avrei vissuto meglio facendo il classico ‘buon viso a
cattivo gioco’, ma il compito di un educatore è vivere bene o fare scelte difficili, sposarle e
portarle avanti anche a costo di avere qualche problema? Sicuramente in questo senso una
componente determinante è il carisma e la consapevolezza dei propri mezzi che ogni docente
possiede dentro di sé. Ogni docente però costruisce la sua onorabilità con il lavoro sodo, la
professionalità che si costruisce attraverso un comportamento che deve essere il più possibile
esemplare, corretto verso se stesso e verso gli altri. È pur vero che certe famiglie si relazionano
in modo del tutto distruttivo con la scuola, senza tener conto che certi atteggiamenti non
concorrono al bene del proprio figlio; ma arrendersi non è un buon motivo, attaccare questo
ciuccio in nome del proprio benessere non mi sembra eticamente corretto.
L’unico ‘padrone’ a cui un giorno dovremo rendere conto sarà la nostra coscienza. E per chi,
come me, insegna religione, a Colui che ci ha inviato e che ci ha dato il dono della scienza e
dell’intelletto.
QUEGLI ALUNNI CHE ESCONO
21/9/2009 - Entrare in classe e vedere qualcuno che automaticamente prende libri e quaderni
pronto per andarsene è sempre un trauma. Una realtà propria solo alla materia che insegno; una
ferita certo, ma anche un diritto per le famiglie che non vogliono far assistere i propri figli alle
lezioni di religione. Non posso farci niente, ne prendo atto e cerco di instaurare con questi
alunni non avvalentesi qualche timido rapporto. L’altro giorno però è accaduto un fatto curioso:
per via di un equivoco con alcune colleghe, una bambina di religione ebraica ha dovuto assistere
per una ventina di minuti alla prima lezione che tenevo in una classe III. La curiosità di questa
alunna per un nuovo maestro era tanta, e si vedeva dai suoi occhi vispi un certo interesse per
quanto stavamo dicendo. Ad un certo punto interviene per raccontarmi, senza alcuna
sollecitazione da parte mia, alcune esperienze che lei faceva con la sua famiglia quando andava
alla Sinagoga. Dal momento che in quei giorni si stava avvicinando la festa del capodanno
(appena conclusa) lei mi ha raccontato con vivo entusiasmo cosa faceva la sua famiglia in
quell’occasione. Questa alunna è dotata di una straordinaria capacità descrittiva e mentre
parlava vedevo in lei salire l’entusiasmo e tra gli altri compagni era calato un certo silenzio.
Parlava e rispondeva alle mie domande: evidentemente appartiene ad una famiglia osservante
almeno per i precetti più importanti. Conosceva alcune parole di ebraico e sottolineava con
grande determinazione il ruolo degli uomini quando si recava al Tempio. Una bambina molto
“preparata” si potrebbe dire; semplicemente vive in una famiglia dove si vive ciò in cui si crede.
L’episodio mi ha fatto tornare in mente quando, al mio primo anno di insegnamento incontrai,
sempre in una terza, una bambina appartenente ad una famiglia Avventista: ricordo con vivo
stupore che questa alunna aveva una preparazione biblica pazzesca per la sua età. La mamma
mi confidò che fin da piccoli iniziava un percorso di formazione e preparazione. La loro
preparazione viene soprattutto da un senso di minoranza che li unisce maggiormente alla loro
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religione. Sarebbe altrettanto bello sentire un bel racconto della veglia pasquale di qualche
alunno cattolico...
Il diritto di non avvalersi all’IRC è una realtà della nostra scuola. Però quel piccolo dialogo con
quella alunna ebrea mi ha fatto capire, ancora una volta, che per l’integrazione ci vuole il
confronto, sereno e costruttivo. Questa alunna - se la sua famiglia lo consentisse - con la sua
presenza creerebbe i presupposti per un bel ponte di confronto tra due grandi religioni. L’uscita
dalla classe di questi alunni per certi versi può essere una perdita per tutti. Anche per loro
stessi.
L’ENTUSIASMO DEL DEBUTTANTE
12/9/2009 - Mancano 48 ore e molti studenti si ritroveranno in classe. Insieme a loro molti
insegnanti, tra questi ho l’onore di esserci anch’io. Dopo 5 anni trascorsi nel Circolo Didattico
Ronconi di Roma, inizierò l’anno in una nuova scuola. È ovvio che devo segnare tutto nel mio
personale “registro dell’insegnante”. In questi giorni ho ripensato alla mia esperienza trascorsa
nella vecchia a scuola. Sicuramente sono stati anni di grandissima crescita professionale; ho
fatto molte esperienze, molti incontri, ho stretto tante mani e ricevuto molti sorrisi. A volte
anche qualche critica - qualcuna giusta, qualcuna da parte di chi non mi conosceva bene - che
ho accettato con spirito ’sportivo’, del resto a pagare è sempre l’allenatore! Mi sento - e non è
un gesto di circostanza - di ringraziare le colleghe e i colleghi, il personale, i collaboratori
scolastici, ma soprattutto i miei alunni e le loro famiglie: di questi ultimi nel mio cuore conservo
molti ricordi, testimonianze, confidenze, lacrime, speranze, progetti. A tutti un grazie sentito e
sincero.
Lunedì 14 incontrerò i miei nuovi allievi, quelli che la vita ti mette davanti. Ogni insegnante di
religione viene inviato dalla Chiesa in una precisa scuola; ed io sarò lì pronto, come l’ultimo dei
lavoratori della vigna. Iniziare l’anno in una nuova scuola mi fa sentire più emozionato del solito.
L’entusiasmo è quello del debuttante; per certi versi ricordo quando presi il mio servizio per il
primo anno di nomina presso l’I.C. Fanelli Marini di Ostia Antica. Ero emozionato, forse un po’
sprovveduto; oggi mi sento un po’ più ‘navigato’, consapevole però che in questo lavoro quando
ti senti l’esperienza addosso rischi di sbagliare. Perché le situazioni non sono mai le stesse, i
bambini cambiano, la scuola cambia, le famiglie e la società cambiano.
Nel confronto con altri colleghi sento in loro un po’ di sconforto per le difficoltà oggettive che la
scuola primaria deve affrontare. Tagli, carenze di organico, strutture organizzative sempre più
complesse; disagi che sentiamo tutti, inevitabilmente. Ma il mio spirito è quello di un
combattente, di uno che alla fine cerca di non farsi abbattere dai venti contrari: rientro in me
stesso e mi scopro nel mio posto di lavoro, non come un dipendente ma come uno che
fondamentalmente si diverte e crede in ciò che fa. Mi ritengo per questo fortunato e spero che
l’entusiasmo mi accompagni fino all’ultimo giorno della mia carriera.
Adesso è il momento di tornare sui banchi, tutti, alunni e insegnanti. Sì, anche noi torniamo sui
banchi perché a scuola non si finisce mai di imparare e chi insegna spesso apprende due volte. È
dando che si riceve, no?
Auguri a tutti gli studenti, ai colleghi e alla mia Beatrice che va in prima elementare… A tutti in
bocca al lupo!
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SULLA SENTENZA DEL TAR
20/8/2009 - Da più parti vengo sollecitato ad esprimere un’opinione in merito alla
sentenza del Tar di cui molto si è parlato, che esclude il l’insegnante di religione - e
quindi la materia che insegna - alla formazione del credito formativo per gli studenti
delle scuole superiori. Una vecchia storia di cui ero al corrente e che ho seguito
attraverso alcuni siti specializzati; mi aspettavo perciò, prima o poi, un pronunciamento
di questo genere. Questo è avvenuto nel periodo prima del Ferragosto, periodo in cui
solitamente c’è penuria di notizie, e quindi forse ha avuto ancora maggior risalto. È
criticabile il fatto che sia il Tar a dettare le regole, ma su questo non possiamo farci
niente.
Ho letto anche le opinioni di chi è contento di simile pronunciamento: l’Unione Cristiana
Evangelica Battista d’Italia, la Federazione delle Chiese Evangeliche, i Valdesi, gli ebrei
hanno sostanzialmente parlato di privilegi degli insegnanti di religione, di chi si avvale
della disciplina, che lo stato è laico, che non è giusto discriminare chi non si avvale… le
solite cose che si dicono in questi casi. Anche la Chiesa Cattolica ovviamente ha detto la
sua, così come il MIUR che intende contestare la decisione.
A livello istituzionale i passi giusti devono essere fatti, dal mondo cattolico così come è
giusto che gli altri esprimano le loro posizioni. Si dovranno pur tutelare quei ragazzi che
per una volta decidono di “fare” qualcosa anziché evadere un insegnamento.
Alcuni hanno parlato di una discriminazione degli insegnanti di religione, chiamandoli
insegnanti di “serie B”. Non è che ci volesse tale pronunciamento per chiamarci così,
molti di fatto sotto sotto lo pensavano anche prima. La sento spesso sulla mia pelle tale
considerazione, che fa male ovviamente soprattutto quando viene dalle famiglie o dagli
stessi colleghi. Però credo che ogni insegnante di religione porti in sé un grande
compito, una sfida: la politica può dire ciò che vuole, ma alla fine ciò che davvero
inciderà sulla vita degli alunni avrà davanti (o per scelta diretta o per scelta delle
famiglie) sarà quello che lui o lei saprà trasmettere, soprattutto con la sua vita e la sua
preparazione Credo che questa consapevolezza debba essere forte in ogni educatore. Le
chiacchiere poi staranno a zero. Se ogni insegnante di religione saprà valorizzare il
proprio tempo, il proprio lavoro e saprà far assaporare agli alunni il piacere di conoscere
un ambito che coinvolge tutti, credenti e non credenti, uomini di fede e i così detti
“atei”.
Tra poco tutti gli insegnanti saranno richiamati al lavoro. Ogni insegnante di religione
sarà chiamato a servire la Chiesa che lo invia, lo Stato che lo retribuisce, le famiglie che
gli affidano i propri ragazzi e soprattutto loro, gli studenti. Con impegno, onestà
professionale e tanto amore. Sì, anche un po’ di amore… non guasta!
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SI SPENGA LA CAMPANELLA
14/6/2009 - Nel mio registro di classi ho segnato inevitabilmente anche quest’anno
l’ultimo giorno di scuola. la campanella ha suonato per l’ultima volta, poi riprenderà il
suo suono storico a settembre. Un’estate da trascorrere in silenzio, niente più ore o
ricreazioni da scandire. Sembra incredibile che nel mondo della tecnologia la
campanella sia sempre lì pronta a dettare i tempi!
In questi giorni molti di noi insegnanti torneremo nella aule deserte per sbrigare le
ultime incombenze burocratiche; alcuni saranno impegnati per gli esami di III media o
per la maturità. A questi ragazzi un “in bocca al lupo”, specialmente a mio nipote
Andrea.
Certo, la scuola senza alunni non è la stessa cosa. Inevitabilmente rivedendo le classi
vuote viene da ripensare alle lezioni che vi si sono svolte. Un piccolo esamino di
coscienza ce lo facciamo tutti. Francamente credo che ognuno di noi si senta un po’ in
debito, nel senso che nessuno può dire di aver fatto veramente tutto ciò che era
possibile fare; sicuramente ogni anno contribuisce ad una crescita per ognuno di noi, un
insegnante mette nella sua speciale cartella qualche esperienza in più. Sembra proprio
un lavoro dove non si finisce mai di imparare…. paradosso per chi invece trascorre la vita
ad insegnare!
Dal mio speciale punto di vista non può mancare una visione ‘trascendente’ del mio
personale anno scolastico. Un insegnante di religione della scuola elementare trascorre
circa lo 0,08% del tempo di un bambino in un anno solare. Un tempo infinitesimale che
potrebbe lasciare poche speranze e poco margine per fare bene. Ma se insegnare è
toccare una vita, allora anche un solo minuto potrebbe lasciare un segno nella vita dei
ragazzi che ci vengono affidati. E così rimetto tutto nelle mani del Signore: esperienze
belle e delusioni, e lascio a Lui far maturare quanto seminato. Purtroppo non sempre chi
insegna riesce a vedere questi frutti.
Le vacanze sono benedette, ci faranno riposare e permetteranno a noi tutti di ricaricare
le pile. Ma ancora più bello sarà ritornare sul campo di battaglia, sempre con stimoli
nuovi e pronto a nuove sfide.
SUL PULLMAN CON S. FRANCESCO
6/5/2009 - “Viaggiava lento, il pullman sulla strada, nell’annuale gita della scuola”…
con queste parole iniziava una famosa canzone di Ivan Graziani (“Kryptonite”) che
raccontava una gita scolastica ai tempi delle superiori. Ebbene, anche quest’anno
anch’io ho visto partire il pullman della scuola per l’annuale gita ai santuari francescani
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della Valle Reatina. Un appuntamento che propongo ormai ogni anno ai miei alunni e che
in ogni occasione riscuote un notevole successo e interesse da parte dei bambini e
spesso anche nelle colleghe e nei colleghi accompagnatori.
Una stupida norma mi impedisce di pubblicare una foto dove i miei alunni sono tutti
riuniti vicino al chiostro di Fonte Colombo, tutti allegri e sorridenti. Sarebbe bastata
questa foto per descrivervi il clima che anche quest’anno si è sviluppato. Ho sempre
preso in grande considerazione le uscite didattiche (guai a chiamarle gite, anche se da
sempre le abbiamo chiamate così!) che costituiscono un momento di istruzione
all’aperto e un’occasione per la socializzazione. Vi partecipo sempre volentieri infatti.
Nella Valle Reatina però gli alunni incontrano un personaggio affascinante, scoprono la
vita di un fraticello che ancora oggi appassiona e infiamma i cuori di moltissime persone
nel mondo. Il contatto con la semplicità, con l’umiltà, scoprire la strada della felicità si
può percorrere anche nella privazione e nell’obbedienza cieca al Vangelo, sono messaggi
forti per i bambini del nostro tempo che hanno tutto e che spesso sono deviati dai
messaggi che la televisione trasmette fatti spesso di vanità e di tanto vuoto. Ai bambini
suggerisco spesso di tornare a casa con un Tau (tanto è impossibile sfuggire alla voglia
del souvenir), un segno che possa far ricordare loro che una volta, insieme ai compagni,
agli insegnanti
e guidati da un semplice maestro di religione, hanno visto luoghi
speciali. E quel Tau vorrei che parlasse loro ogni volta, che il messaggio di S.Francesco
possa almeno risuonare nelle corde del cuore. Perché sono sicuro che davanti a
quell’atteggiamento di gioia e spensieratezza c’è uno spazio per i valori veri, perché i
bambini per loro natura sono aperti allo stupore e alla meraviglia, scacciano sempre il
male e accettano il bene.
Ringrazio ancora una volta i miei alunni, le loro famiglie e le insegnanti che mi hanno
accompagnato. In quella foto resta impressa un’emozione, un’altra nel mio diario
personale. “Buon giorno, buona gente!”, così salutava S.Francesco gli abitanti di Greccio
e anch’io saluto gli amici di questa magnifica avventura.
SCOPRIRSI NUOVO OGNI GIORNO
27/3/2009 - Si arriva ad un certo punto dell’anno scolastico dove la fatica inizia a farsi
sentire; sarà la primavera, sarà l’accumulo di fatica giornaliera, saranno i viaggi in
treno… eppure, fosse per me, la scuola potrebbe durare anche undici mesi l’anno.
Con il susseguirsi del tempo, e degli anni, soprattutto quando arriva la Pasqua mi rendo
conto di ritrovarmi spesso a presentare degli argomenti che
mi piacciono
particolarmente; ci sono tre o quattro lezioni che faccio sempre con un rinnovato
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interesse. Odio ripetermi, la didattica non deve essere una ripetizione, piuttosto è
importante individuare sempre la chiave giusta per far passare un determinato
messaggio. E così magicamente vedo che ogni anno si trova un aspetto nuovo e quella
lezione “vecchia” è sempre nuova.
Mi confrontavo l’altro giorno con una mia cara collega con la quale condividiamo il
‘sacro fuoco’ dell’insegnare. Lei stessa mi diceva che a scuola ‘ci sta bene, si sente a
suo agio perché è il suo mondo’. Notavo come gli brillavano gli occhi e ho capito
benissimo cosa intendesse dire proprio perché anche per me è la stessa cosa. È vero, la
fatica e la stanchezza sono spesso un’arma nascosta puntata dietro la schiena di ogni
insegnante: per fare questo lavoro è indispensabile il riposo e la calma mentale per
rendere al meglio. Però se la scuola non è solo il luogo di lavoro, ma soprattutto di
incontro e di scambio reciproco con i propri studenti, allora ecco che tutto diventa più
semplice e anche le giornate più storte possono assumere una piega diversa.
Qualche giorno fa ho voluto premiare una classe quinta con una nota di merito per aver
svolto con grande profitto una verifica piuttosto impegnativa. Una mamma mi ha
ringraziato lodando la mia passione nell’insegnare ai bambini. Un complimento che mi
ha fatto davvero piacere, non capita spesso di sentirsi dire cose così belle; ho voluto
appositamente (e con grande sforzo perché non mi piace vantarmi) raccontare questo
episodio per dire che ogni giorno mi riscopro sempre nuovo, con l’entusiasmo del primo
giorno di scuola, forse perché ci metto proprio quella passione che coinvolge per primo
me stesso.
Questo mi fa dimenticare le delusioni, le incomprensioni e anche quell’inevitabile poca
diffusa considerazione da parte della scuola, perché alla fine sei sempre un insegnante
di una materia “cenerentola”… Non fa niente, io mi gioco sempre tutto con gli alunni
che mi sono stati affidati, cercando di catturare il loro interesse per uno scambio umano
reciproco. A scuola, io, vado anche per imparare!
I MIEI PRIMI 10 ANNI
1/2/2009 - Come forse avrete capito, mi piacciono molto le ricorrenze e le date. È
inevitabile pensare, in una data simile, a quanto successo dieci anni fa, ovvero quando
per la prima volta ho messo piede in una scuola come insegnante. Ricordo quel giorno
come fosse oggi, io giovane ragazzo studente di teologia in una scuola materna alla
Romanina, con bambini di tre anni che mi circolavano intorno e tutti che mi guardavano
tra lo stupore generale (un maestro alle scuole materne è quasi un pezzo raro). Dopo
due ore mi trovai alla mensa a versare il latte ai bambini: mi domandavo quale senso
avesse versare il latte per uno studente di teologia… Capii subito che insegnare non vuol
dire mettersi in cattedra, ma lavorare anche (e soprattutto) fuori dalla cattedra.
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Di acqua sotto i ponti ne è passata da allora. Ho girato moltissime scuole, prima come
supplente, poi da incaricato, ho incontrato circa 1700 alunni, ho stretto mani a molte
famiglie, ho conosciuto colleghe e colleghi molto bravi dai quali ho imparato molto, ho
commesso tanti errori, tanto ho dato, molto di più è ciò che ho ricevuto. Ovviamente
non sono più quello di dieci anni fa; sono qui, contentissimo come il primo giorno di
poter fare un lavoro che mi piace veramente.
In tutto questo tempo ho conosciuto da vicino il mondo dei bambini e delle famiglie.
Conservo nel cuore situazioni drammatiche, ma anche famiglie davvero esemplari, con
figli educati benissimo, dove si intravedeva chiaramente la mano di genitori
responsabili. Il mio lavoro mi aiuta tutt’ora nell’educazione dei miei figli, se non altro
perché ho imparato a conoscere le famiglie dei miei alunni, e forse ho capito quali sono i
punti deboli per una famiglia e cosa i genitori dovrebbero evitare e su cosa invece
puntare.
Ogni tanto mi vengono in mente nomi e volti di alunni anche dei primi tempi. Non posso
dimenticare Anacleto, un bambino rom che era presente dieci anni fa in quella scuola
materna: un bambino vivacissimo, forse il primo ad essersi preso una bonaria strillata!
Spero che i miei ex alunni nutrano un dolce ricordo del loro maestro: del resto noi
insegnanti vediamo nell’affetto dei nostri alunni la maggiore gratificazione.
Considerati i tempi e le leggi, la mia carriera non è neanche ad un terzo! A Dio
piacendo, potrei insegnare ancora per altri due decenni almeno. Mi sento nel pieno della
mia giovinezza, al pieno delle mie forze, con l’entusiasmo di un ragazzino, con la voglia
di dare alla scuola e alla Chiesa energie, il impegno e professionalità. Ringrazio don
Manlio Asta, direttore dell’Ufficio Scuola: al compimento del mio decimo anno di
servizio, lui lascia il suo incarico. Un vuoto importante, per una persona che ha creduto
in me fin dal principio. Lo ricorderò con piacere e gratitudine.
Ed ora avanti, adelante… con l’entusiasmo di sempre!
HO PARLATO CON UN BANCO
Arrivo a scuola al mattino, prima ancora del suono della campanella. Entro in classe,
poggio i miei libri e il registro sulla cattedra, sposto la sedia ed ecco all’improvviso una
voce:
“Ah, finalmente sei arrivato”
“Chi c’è?”
“Sono io, il banco”.
Caspita, un banco parlante… lo guardo attentamente, era proprio il banco della prima
fila, quello ‘vecchio stile’ per intenderci con il piano in formica verde, i buchi per il
calamaio, il sottobanco, lo spazio per la cartella, la pedana poggiapiede…
“Beh, ti stupisci di sentire un banco parlare?”
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“Beh, non è una cosa da tutti i giorni. Però visto che ci siamo, dai, raccontami
qualcosa di te”.
“Sono un banco storico. Ho assistito a varie rivoluzioni scolastiche. Vedi, ho ancora il
buco per il calamaio; l’altro giorno un simpatico maestro di religione ha detto che ora
siamo tornati moderni perché lui ci potrebbe mettere i cavi per i computer dentro i
buchi per i calamai!”
“Devi avere una lunga storia…”
“Sì, non so neanche io quanti studenti ho fatto studiare. Alcuni mi hanno solo ‘scaldato’
nelle fredde mattinate d’inverno, altri mi hanno scritto, tagliuzzato, seghettato i
bordi… ma io ho una bella tempra e tutto sommato sono resistito. Ho fatto studiare i
bambini degli anni ‘50 fino a questi birichini di oggi”
“Sono cambiati i bambini?”
“Sì… però portano dentro di se sempre le stesse domande, lo stesso entusiasmo, la
voglia di conoscere e di aprirsi alla meraviglia. Io sono un vecchio banco, ma i bambini
non diventano mai vecchi”.
“E la scuola? Chissà quante ne avrai viste!”
“Anche la scuola è cambiata. Una volta sentivo sempre la stessa voce, per anni sempre
la stessa maestra. Ora invece mi diverto di più: ho imparato molte più cose, alcuni sono
simpatici, altri squinternati, altri più noiosi. A farmi compagnia ci sono i miei amici
armadi, pure loro gente di vecchio stampo. Le lavagne poi… guarda quella che hai lì
dietro… pensa che una volta volevano buttarla via, ma lei orgogliosa ha fatto valere il
suo peso. Ora vorrebbero sostituirla con una elettronica… mi mancherà l’odore del
gesso e del cancellino. Un amico invece mi ha abbandonato…”
“E chi sarebbe?”
“Il crocifisso. Dovrebbe stare appeso lì sulla parete; si è rotto, un bambino una volta ci
ha tirato il cancellino ed è caduto. Nessuno si è preoccupato di rimetterlo, peccato a
me faceva compagnia; spesso con quell’uomo ci lanciavamo occhiate piene di significato
a seconda delle situazioni: comprensione, tenerezza, pazienza, gioia… mi aiutava a
capire cosa succedeva ai bambini di questa scuola”.
“Sei stanco? Vorresti andare in pensione?”
“No, io sono un tipo resistente, andrò avanti ancora a lungo, tanto noi arredi siamo dei
veri campioni di lavoratori. Di sicuro non mi daranno del fannullone, 50 anni al servizio
dello Stato senza chiedere neanche i gommini nuovi ai piedi”
DRIIIIIIINNNNNNNN
Suona la campanella, sarà meglio rimettersi al lavoro. Prima che entrino i ragazzi però
voglio ringraziare l’amico banco. Anche io ne avevo uno simile alla mia scuola Ferrini di
Roma. Passano gli anni, eh?
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CHE C’ENTRA LA POLITICA NELLA SCUOLA?
30 ottobre. Giornata pesante. Scuola vuota, alunni e docenti nelle piazze romane,
personale in agitazione. Ammetto la mia difficoltà nel trovarmi in questa situazione. Non
ho mai sopportato l’idea di dover far entrare la politica nella scuola, mentre invece di
politica ce n’è fin troppa. E la politica divide, fa litigare, ti fa diventare antipatico il
vicino di casa come il collega della classe a fianco.
Non ho scioperato. Questa volta come le altre volte. Non scioperavo da studente,
neanche da insegnante sia nel bene, sia nel male. Semplicemente perché non credo allo
sciopero come forma di concreta protesta. Cosa c’entrava quanto abbiamo visto oggi con
lo studio, con l’università, con l’insegnamento? Forse tanto, forse poco. Come fanno ad
esistere studenti di destra e studenti di sinistra? Chi ama la cultura e vuole veramente
studiare, prende la mazza da baseball e va a P.zza Navona? Che c’entrano i militanti con
lo studio? E che c’entrano i bambini delle scuole elementari alla manifestazione? E
perché gli studenti non stavano a studiare e protestavano la domenica mattina, anziché
nei giorni feriali? Questa politica di adesso usa gli studenti (come anche i tifosi di calcio)
per aizzare la violenza, preparando a tavolino manifestazioni violente con il solo intento
di creare scompiglio. Anche l’on. Di Pietro sosteneva nella non spontaneità di quanto
successo in questi giorni.
Domande, molti dubbi, tante perplessità. Su questa riforma diciamo che vedo tante
ombre, qualche luce e molte incertezze. Però parto dal presupposto che nessuno ha la
formula vincente in tasca, e forse provare qualcosa di nuovo potrebbe funzionare… sono
combattuto e allo stesso tempo cerco - come filosofia di vita - di mantenere un
atteggiamento di ottimismo, anche se non sempre ci riesco. Del resto il nemico numero
uno degli insegnanti non si chiama riforma, Gelmini o Berlusconi: si chiama
‘fossilizzazione’ ovvero vivere in uno stato di benessere che viene dal ripetere sempre le
stesse cose per evitare di mettersi in discussione, senza mai la volontà di confrontarsi e
di cambiare. Ogni cambiamento spaventa, e questa riforma è un vero terremoto. Ci sarà
da lavorare. Con impegno e professionalità.
Capisco e comprendo molti miei colleghi, soprattutto i precari, che temono questa
riforma. Però è pur sempre vero che quando un insegnante è bravo, è bravo anche da
solo; un team di docenti bravi formano studenti ottimi, come team di docenti scarsi
formano studenti impreparati. Forse è proprio questo il punto dolente, che non viene
sottolineato e che a me personalmente fa più paura. Incappare in insegnanti
impreparati, stufi, svogliati e magari anche politicizzati. Ce ne sono purtroppo: e come
padre mi spavento, come insegnante mi deprimo e come cittadino rimango atterrito.
Fuori la politica dalla scuola, e dentro la cultura. Questo mi piacerebbe: che insegnanti
e studenti riprendano ad amare la cultura e ad emozionarsi al profumo di una biblioteca.
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UNA SCUOLA IN PROTESTA
NON LAVORA SERENAMENTE
Sono moltissime le proteste che si stanno elevando in questi giorni dal mondo della
scuola, e molte altre quelle che sono state annunciate da molte sigle sindacali. I temi
della protesta sono noti a tutti; in primo piano la questione spinosa del ‘maestro unico’,
che ovviamente mette in apprensione molti insegnanti, dal momento che quando si parla
di posti di lavoro è comprensibile lo stato di agitazione di molti lavoratori. Sentirsi
tremare la terra sotto i piedi non fa piacere a nessuno. Che poi il Ministro dica che la
scuola non debba essere uno ‘stipendificio’ può essere anche vero, ma credo che
spendere le risorse dello Stato per pagare chi ha il compito di formare i giovani non sia
poi uno spreco di danaro. Una diminuzione del personale vuol dire indebolire un sistema,
quello scolastico, che viste le complessità, le esigenze e le aspettative delle famiglie di
oggi necessita di ulteriori risorse da investire. Risorse umane, certamente, ma anche
strutturali.
Il fenomeno del maestro unico mette in agitazione molti insegnanti perché da ormai
quasi vent’anni il corpo docente della scuola elementare si è ‘specializzato’ in
determinati ambiti disciplinari che corrispondono soventemente all’ambito che ogni
insegnante sente proprio. È comprensibile come un insegnante possa sentirsi in difficoltà
dal momento che viene messo in discussione il suo modo di lavorare. Detto questo,
qualora questa innovazione venisse applicata, il dovere di ogni professionista è quello di
mettersi al servizio della scuola, così come gli viene richiesto.
Le difficoltà degli insegnanti stanno anche nel fatto che molti non si sono mai veramente
messi in discussione, e che preferiscono basare le proprie certezze su un metodo di
insegnamento e su conoscenze radicate e ripetute che non si sono mai rinnovate con il
passare degli anni. Un insegnante che lavora da 30 anni nella scuola ma che non si è mai
rinnovato, è come se insegnasse da un anno ripetendo 30 volte quello che ha già fatto.
La politica deve studiare il mondo della scuola con maggiore concretezza, affidandosi a
persone esperte e soprattutto competenti.
TORNANO I VOTI E LA CONDOTTA!
Mancano ormai pochi giorni e per molti insegnanti sarà il momento di rientrare a scuola,
dopo un periodo di meritato riposo. Per me è un momento molto bello perché posso
finalmente rincontrare colleghi, colleghe, ristabilire certi rapporti e rituffarmi nel mio
lavoro che tanto amo, e soprattutto poter rincontrare i miei circa 200 alunni che ogni
anno mi pongono domande sempre più accattivanti.
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Nel recente periodo abbiamo assistito ad alcune esternazioni del Ministro Gelmini in
merito ad alcune indicazioni, espresse anche con decreti legge, che hanno fatto
discutere.
Sicuramente il ritorno al classico “voto” alle medie e alle elementari sconvolge le
abitudini di molti insegnanti, io per primo. La valutazione è sempre un punto così
delicato del processo scolastico; fosse per me eliminerei ogni forma di voto, perché non
fa altro che creare competizione tra gli alunni e stress da prestazione anche per le
famiglie. Sarà la vita a dare i suoi “voti” e su quelli non ci sono appelli. Credo che la
scuola dovrebbe istruire più che valutare. Verificare quello sì, ridimensionando però
qualsiasi forma di valutazione. Figuratevi quindi la mia posizione quando si passa da
“giudizio” a “voto”. Cambierà che finalmente potrò dare qualche 10 (anziché ottimo)
agli alunni più meritevoli!
Il Ministro però si è espresso con maggiore incisività sul voto di condotta come
deterrente per i fenomeni di bullismo. Potrebbe essere una strada, quanto meno per far
riacquistare un po’ di credibilità alla scuola, ma non penso che così si possano contenere
i bulli. Se uno è violento è violento sempre, è bullo in aula con il professore ed è bullo
fuori con i più deboli. Forse per combattere il bullismo si dovrebbero dare più speranze
ai nostri giovani e sarà il caso che prima o poi gli agenti educativi più vicini a loro (la
famiglia per prima, la scuola, ma ci metto anche le parrocchie, gli enti sportivi e
ricreativi) si mettano in testa che questi ragazzi hanno bisogno di essere ascoltati e
guidati, nell’epoca dove tutti hanno un cellulare ma poco da dirsi e soprattutto da
condividere.
Dare delle possibilità ai giovani, andare nelle periferie, incontrare le famiglie più
disagiate attraverso persone competenti e preparate. Ritornare a parlare di “progetto di
vita” ad un ragazzo di 11-12 anni.
Con questo auguro al Ministro, ai Dirigenti Scolastici e agli insegnanti un buon anno
scolastico. E che Dio ce la mandi buona!!!
UNA MAESTRA CHE VA IN PENSIONE
Essendo tempo di saluti di fine anno, inevitabilmente anche quest’anno nelle scuole
dove insegno ci sono state alcune maestre che sono andate in pensione. Come di
consueto in questi casi, tutti gli insegnanti si sono riuniti per un piccolo “rinfresco”
intorno a queste colleghe che si apprestano ad iniziare un’altra fase della vita.
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In modo particolare mi ha colpito la storia di una maestra che lascia il suo servizio dopo
ben 42 anni. Più di quattro decenni, praticamente una vita, passati tra i banchi di
scuola, con un numero infinito di alunni, molti dei quali oggi saranno padri e
professionisti in svariati campi. Mi colpivano i tanti anni di servizio; pensavo ai miei
quasi 10 anni di scuola… e mi rendevo conto di quanta strada ho ancora da percorrere e
quanti passaggi dovrò affrontare. Questa maestra si può tranquillamente dire che sono
passate dal calamaio all’epoca della pendrive! Una maestra pensionata da molti anni, è
intervenuta durante la piccola cerimonia di commiato, per formulare un pensiero per
questa insegnante con la quale ha collaborato per molti anni. Si apprezzava in questo
breve discorso, la forma, lo stile bello e ricco, i pensieri profondi e ben formulati; un
collega ha fatto un commento molto appropriato “Come sapevano scrivere queste
insegnanti di una volta!”. È vero. Se siamo arrivati a formulare grossolani errori nei testi
degli esami di maturità è perché gli insegnanti di oggi non sono più quelli di una volta.
Purtroppo è vero, mi ci metto anche io.
Queste maestre di una volta curavano la bella forma, l’ortografia, arrangiandosi con i
mezzi di allora per proporre agli alunni una didattica semplice alla quale molti di noi,
inconsciamente, è legato perché è quello il modello che ci è stato proposto. La
professionalità espressa da quella maestra che festeggiava la sua pensione, è stata
encomiabile fino all’ultimo giorno.
A questa maestra, e a tutte quegli insegnanti che hanno prestato il loro amorevole
servizio alla scuola per tanti anni, non va che la nostra riconoscenza.
Una maestra, un maestro, soprattutto se onesti e sinceri, non vengono dimenticati dai
propri alunni. Rimangono nel cuore per sempre; altri invece, quelli che non ci mettono
la passione, finiscono nel dimenticatoio e spesso lasciano un segno negativo in molte
esistenze.
Auguri ai maestri e alle maestre in pensione. Godetevi questo periodo lontano dalla
scuola… anche se una domanda sorge spontanea: ci saprete stare lontani da scuola?
UN PENSIERO AI BOCCIATI...
Arrivano finalmente le vacanze estive e per molti studenti è tempo di risultati: sorrisi e
lacrime, speranze e propositi per il prossimo anno si sprecano in questi giorni. Penso
soprattutto ai ragazzi più grandi che devono passare attraverso il duro rito dei “quadri”.
Da studente ricordo che odiavo quel momento; andare lì davanti, leggere da solo il
verdetto senza la possibilità di appello, vedere i tuoi risultati pubblicati davanti a tutti e
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curiosare sulla sorte degli altri compagni. Forse si potrebbe trovare qualche formula un
po’ meno ‘crudele’…. Penso che abbiate capito che dei quadri non avevo una grande
simpatia, anche perché nel campo della ragioneria non faccio fatica ad ammettere che i
risultati non sempre sono stati incoraggianti. Eppure la scuola funziona ancora così…
Sarà, ma in questo periodo penso soprattutto ai meno fortunati, quelli che magari
ricevono brutte notizie. Per molti una bocciatura potrebbe risultare una grande
sconfitta, ai quali i docenti devono obbligatoriamente pensare prima di emettere un
simile verdetto. Spesso le famiglie caricano di attese i figli e non sempre i brutti risultati
vengono assorbiti in modo indolore, soprattutto dai ragazzi più deboli. Fortunatamente
alla scuola elementare non si pone questo problema, se non in rarissimi casi dove ho
dovuto firmare per una bocciatura, decisa dall’intero team in accordo con le famiglie
stesse. Per un insegnante deve essere un’esperienza dolorosa dover bocciare un alunno,
sinonimo anche di fallimento del proprio lavoro. Purtroppo però non tutti hanno questa
sensibilità, forse perché ancorati all’idea del voto come strumento di vendetta o di
punizione. Per questo, soprattutto alle elementari, toglierei tutti i voti dalle scuole almeno nella così grande quantità - per lasciare spazio ad un unico grande giudizio che
possa esprimere meglio il vissuto scolastico e umano di ogni ragazzo.
Voglio così dedicare un pensiero in questa speciale pagina del mio personalissimo
“registro di classe” a quanti vedranno sottolineato con la penna rossa un fallimento
scolastico. Coraggio ragazzi, da un risultato negativo si può trovare la forza per crescere
e ripartire.
A chi invece sarà promosso, beh, una stretta di mano e tanti auguri. Complimenti!
A chi invece sarà costretto a studiare ancora per recuperare qualche lacuna, auguro un
momento di sereno e soprattutto proficuo studio.
Per tutti gli studenti (e dico proprio a tutti, anche ai piccolissimi) l’augurio è quello di
vivere esperienze gioiose nello studio, per scoprire e valorizzare al meglio le meraviglie
della vita.
BAMBINI E PORNOGRAFIA: COME INTERVENIRE?
L’ultimo episodio risale a qualche giorno fa quando un bambino di sette anni è arrivato
alla cattedra e, senza alcun timore ma con l’innocenza tipica dei bambini di questa età,
mi ha raccontato i dettagli di un film pornografico visto alla televisione. Tra l’imbarazzo
del sottoscritto e la “normalità” degli altri bambini, ho cercato di placare gli animi per
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evitare altre reazioni. Purtroppo nella classe dove è successo questo episodio, ne sono
già accaduti degli altri, e i bambini non sono nuovi a questo genere di racconti.
Ciò che particolarmente mi colpisce è la facilità dell’accesso a tali spettacoli da parte
dei bambini. La colpa è sì della televisione, ma con questo non bisogna crearsi degli
alibi. La televisione trasmette volgarità di ogni genere, ma non propone la pornografia;
per quella ci sono le televisioni a pagamento, o internet. Il guaio è che i bambini
vengono lasciati SOLI dalle famiglie a gestire strumenti per i quali non sono mai stati
educati e attrezzati. Se vogliamo questo è un aspetto “nuovo” del fenomeno, in quanto i
genitori di oggi - che sono più o meno miei coetanei - non hanno mai affrontato il
problema, perché solo 10 anni fa tutte le proposte in questo senso erano decisamente
ridotte e difficili da reperire. Oggi c’è una gratuità fin troppo eccessiva, e i genitori sono
i primi a trovarsi impreparati. Questo però non deve creare affatto un alibi: un bambino
solo davanti alla tv o al computer, è un bambino comunque solo ed indifeso.
Quali effetti può creare un filmato pornografico nella sensibilità di un bambino di sette
o otto anni?
Del resto se poi sentiamo che si anticipano i primi rapporti fin dall’età dell’adolescenza,
e i ragazzi di oggi arrivano precocemente all’uso di alcool, droghe e quant’altro, non
dobbiamo sorprenderci.
Saranno forse le solite chiacchiere da bar, riflessioni scontate di un maestro di religione
della scuola elementare. Ma questo è un fenomeno che non riguarda solo la scuola;
purtroppo si espande all’intera società e ad una gioventù che invece di costruire progetti
di vita basati su saldi valori, si trova a dover affrontare anzitempo cose più grandi. La
visione della pornografia è purtroppo un fenomeno diffuso anche nei bambini. Non è la
“morbosità” innocente di conoscere, scoprire e scoprirsi: qui siamo davanti alla
pornografia che è un’altra cosa. E la famiglia, solo la famiglia, è l’unica che può fare
qualcosa in questo senso.
ARRIVANO LE PAGELLE
E’ tempo di valutazioni, tempo di giudizi, di schede di valutazione o addirittura di
pagelle (nome inquietante usato nelle scuole superiori). Molti studenti stanno facendo in
questi giorni i primi bilanci, alcuni saranno felici, altri meno, altri dovranno mettersi
ancora di impegno fino alla fine dell’anno. Anche per gli insegnanti questo non è un
momento facile.
Esprimere delle valutazioni, più che esprimere dei giudizi. Valutazioni che possano
fornire considerazioni costruttive alla crescita umana e scolastica dello studente. Nei
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miei anni di insegnamento ho letto e firmato molte schede delle scuole elementari. Non
ho mai letto una scheda così detta “perfetta”, nel senso che nessuna di essa mi ha mai
convinto fino in fondo, anche quella fatta con grande impegno da parte del team.
Alcune sono addirittura fredde, quasi irritanti: le solite frasi fatte dove, per fretta o per
poca fantasia, si cambiano i soliti aggettivi di tutti gli anni. Mi domando se questo
strumento di valutazione sia ancora valido nei tempi moderni o se non sarà il caso di
studiare qualche altra soluzione. Francamente non ho soluzioni da proporre. Sarà che il
momento della valutazione è complessa in tutti i suoi aspetti; mi piacerebbe ogni tanto
che emergesse non solo il profitto di uno studente, ma anche il suo aspetto umano, la
relazione con il mondo della scuola, con la vita, con i sentimenti. Perché, non
dimentichiamolo, dietro ad ogni nome stampato sulla scheda c’è una persona e non solo
un alunno. Fare una scheda “perfetta” è impossibile; ovviamente dietro a tutti quei voti
ci deve essere il contatto e il colloquio con ogni famiglia per studiare insieme le
strategie da intraprendere. A mio avviso i voti andrebbero addirittura aboliti, perché
generano competizione (il vero male della scuola e se vogliamo della società), non
servono a niente, generano ansia e frustrazione negli studenti e per gli insegnanti sono
spesso uno strumento o di minaccia o di svilimento di una professione che dovrebbe
insegnare e non giudicare. Forse così la didattica sarà più serena e assumerà un tono
educativo più convincente. Idee assurde forse irrealizzabili. Sarà, ma nella società che
cambia la scuola deve assolutamente interrogarsi su chi vogliamo formare: cervelli da
riempire o persone da valorizzare e far crescere?
UN PAPA EDUCATORE
“Sono in questione non soltanto le responsabilità personali degli adulti o dei giovani, che
pur esistono e non devono essere nascoste, ma anche un'atmosfera diffusa, una
mentalità e una forma di cultura che portano a dubitare del valore della persona umana,
del significato stesso della verità e del bene, in ultima analisi della bontà della vita”.
“In concreto, aumenta oggi la domanda di un'educazione che sia davvero tale. La
chiedono i genitori, preoccupati e spesso angosciati per il futuro dei propri figli; la
chiedono tanti insegnanti, che vivono la triste esperienza del degrado delle loro scuole;
la chiede la società nel suo complesso, che vede messe in dubbio le basi stesse della
convivenza; la chiedono nel loro intimo gli stessi ragazzi e giovani, che non vogliono
essere lasciati soli di fronte alle sfide della vita. Chi crede in Gesù Cristo ha poi un
ulteriore e più forte motivo per non avere paura: sa infatti che Dio non ci abbandona,
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che il suo amore ci raggiunge là dove siamo e così come siamo, con le nostre miserie e
debolezze, per offrirci una nuova possibilità di bene”.
“Ogni vero educatore sa che per educare deve donare qualcosa di se stesso e che
soltanto così può aiutare i suoi allievi a superare gli egoismi e a diventare a loro volta
capaci di autentico amore”.
“L'educazione non può dunque fare a meno di quell'autorevolezza che rende credibile
l'esercizio dell'autorità. Essa è frutto di esperienza e competenza, ma si acquista
soprattutto con la coerenza della propria vita e con il coinvolgimento personale,
espressione dell'amore vero”.
“Oggi la nostra speranza è insidiata da molte parti e rischiamo di ridiventare anche noi,
come gli antichi pagani, uomini "senza speranza e senza Dio in questo mondo", come
scriveva l'apostolo Paolo ai cristiani di Efeso (Ef 2,12). Proprio da qui nasce la difficoltà
forse più profonda per una vera opera educativa: alla radice della crisi dell'educazione
c'è infatti una crisi di fiducia nella vita”.
Queste sono alcune parole del Papa contenute nella lettera sul compito dell’educazione
inviata alla Diocesi di Roma. Parole che mi hanno lasciato senza fiato. Per una volta sto
zitto, non aggiungo ulteriori inutili commenti, e credo sia giusto lasciare spazio al
silenzio e alla riflessione. Invito tutti, genitori, insegnanti ed educatori, a leggere questa
lettera nella sua versione integrale scaricabile nella pagina “Scuola Didattica e IRC” nel
riquadro “per tutti gli insegnanti”
“TU SCENDI DALLE STELLE”? NO, CASCO DALLE NUVOLE
Come sempre, quando arriva il Natale, si cerca sempre di proporre delle attività
didattiche che siano concentrate sulla festività natalizia. Il guaio nella vita è sempre
dare per scontato qualche cosa, e così anche a me è capitato di sottovalutare una
situazione che pensavo fosse scontata. In una classe seconda durante la lettura di un
testo del libro di religione, una delle attività proposte poneva una domanda agli alunni,
e diceva: “Quali canti natalizi conosci? Scrivi il ritornello sul quaderno”. Ho chiesto ai
bambini quali fossero i canti natalizi più conosciuti… Mi aspettavo “i classici” del Natale,
ma loro mi guardavano ammutoliti con l’aria un po’ persa e tentavano di farfugliare
qualcosa. Ad un certo punto qualcuno ha detto “Jingle Bell”… poi null’altro. A questo
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punto ho tentato di suggerire, pronunciando lentamente il nome, il titolo di “Tu scendi
dalle stelle”; con mia grande sorpresa in una classe di 16 alunni solamente una bambina
conosceva uno dei canti più belli della tradizione italiana. Stavolta a restare ammutolito
sono rimasto io, quasi non volevo crederci. Neanche il testo era a loro noto, segno che
non avevano mai sentito questa canzone. Il libro poi proponeva anche la lettura dell’
“Ave Maria”, dal momento che imminente è la festa dell’8 dicembre. Anche qui
solamente 4 bambini conoscevano questa preghiera. Ma questo, se vogliamo, è un altro
discorso.
Nelle case italiane girano cartoni animati giapponesi, video giochi americani, scarpe
cinesi, susine del Cile, cibi di altri continenti, ma non si insegna più quei capisaldi della
cultura italiana. Da piccolo nella mia famiglia era inevitabile passare per “Tu scendi
dalle stelle”, un classico di ogni anno. La scuola in questo senso è la principale indiziata
nella perdita della cultura; l’intercultura può anche andare bene, ma temo che con il
temo la scuola si stia orientando verso un’apertura alle altre culture senza radicare nei
giovani una cultura propria. L’attenzione agli alunni stranieri, e la paura di offendere le
sensibilità altrui, stanno togliendo nella scuola italiana canti come “tu scendi dalle
stelle”, il presepe, il crocifisso e quant’altro dovrebbe rappresentare la tradizione e la
cultura (anche religiosa) di una nazione. Perché Halloween sì e il Natale no? Mi è
sembrata una lacuna clamorosa che i bambini non conoscessero questo celebre canto e
addirittura ignorassero in gran parte una preghiera così famosa. Nella Roma-bene dei
Parioli questa è la fotografia che ne è uscita.
Chissà mai se riusciremo a prenderne coscienza prima o poi. Forse sarà troppo tardi
quando un giorno diremo: ma noi chi siamo?
LO SGUARDO AMOREVOLE DI PADRE PUGLISI, MODELLO PER GLI INSEGNANTI
Una lettrice siciliana del sito mi invia una sua breve considerazione, riflettendo per un
attimo sulla figura di Padre Pino Puglisi, incredibile figura di santità che la nostra amica
— ora insegnante — ha avuto modo di incontrare:
“Ti posso dire che l'ho personalmente conosciuto, facevo parte del CVX della pastorale
vocazionale di Palermo a quei tempi avevo 18 anni ed ero molto biricchina, sebbene
avessi alle spalle un discreto cammino. Una domenica, in particolare mi
ricordo, ripetutamente disturbavo la sua catechesi con battutine che distraevano gli
altri ragazzi/e. Lui li tollerò ma fino ad un certo punto... avrei dovuto meritare un
solenne rimprovero... ed invece P.Pino mi guardò dolcemente, intensamente, in
silenzio, nei suoi occhi non vidi alcun risentimento e neanche un benchè minimo senso
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di rimprovero ... ancora ricordo quello sguardo così amorevole che implorava
semplicemente di smetterla ed io a quel punto mi quietai. un bell'esempio per noi
insegnanti di religione anche lui lo era che si considerava ...un rompiscatole” - Anna
Daniela Spatola, Palermo
Ringrazio di cuore la nostra amica e collega Anna Daniela, perché mi ha dato la
possibilità di riflettere su quanto scritto. Ammetto di conoscere solo per grandi linee la
figura di Padre Pino Puglisi e di non aver mai approfondito la sua storia, ma ciò che mi
ha colpito nel racconto della nostra collega è l’aspetto “pedagogico” del prete siciliano,
ucciso dalla mafia.
A chi non è mai capitato di avere un alunno un po’ birichino, uno di quelli a cui spesso ci
rivolgiamo con una sgridata, con una punizione o una nota… Tutti gli insegnanti hanno
avuto, e tutto sommato hanno ancora, degli alunni un po’ “discoli”, dalla scuola
dell’infanzia al liceo.
Lanciare uno sguardo amorevole, anziché uno sguardo minaccioso e severo potrà essere
senz’altro più efficace. Generalmente soprattutto i bambini nascondono dietro ad un
preciso atteggiamento una voglia di comunicare un bisogno. Vale per gli insegnanti,
come per i genitori, anche se quest’ultimi spesso non riescono a coglierne i segni,
perché troppo implicati nel processo affettivo o perché essi stessi causa dei problemi dei
figli. Una volta mi capitò un alunno con una situazione familiare un po’ al limite, per
“protestare” con il mondo intero si praticava delle violenze contro sé stesso. Segno
chiaro ed evidente di comunicare il suo bisogno di amore a noi, come alla famiglia.
Ricordo che spesso a me (forse perché maschio) riusciva a fare delle confidenze, ad
esternare il suo disagio, il tutto sedendoci sulle scale, e parlando con lui in modo dolce e
delicato. Quel bambino non aveva bisogno di rimproveri, ma solo di essere ascoltato e
magari capito.
Questo racconto della nostra collega dovrebbe far riflettere tutti gli insegnanti nel
capire che un urlo a volte può servire a poco, proprio perché in alcuni contesti familiari
le urla sono gli unici suoni di alunni con vari disturbi. Ci vorrebbe più spesso lo sguardo
amorevole e implorante di Padre Puglisi; renderà la vita più gioiosa a noi e agli altri… e
poi non costa davvero nulla.
ALLA RICERCA DELLA “PARI DIGNITA’”
Ricomincia un nuovo anno scolastico, e il mio personale registro di classe vuole aprirsi
con una riflessione che generalmente faccio all’inizio e alla fine dell’anno scolastico.
L’inizio dell’anno è sempre un momento un po’ delicato: c’è sempre qualche piccolo
problema, trovare le classi, organizzare il lavoro… e a volte riuscire a coordinare — come
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nel mio caso — più scuole contemporaneamente.
Quello di cui sono disperatamente alla ricerca è una certa “pari dignità” della mia
materia con le altre. Sì, sta scritto in chissà quale carta e quale documento, ma nella
realtà spesso questo non coincide. Quando si vedono ad es. quei cartelli fuori la classe
con i nomi degli insegnanti e quello di religione non c’è; o quando il Dirigente all’inizio
dell’anno fa l’elenco dei team o dei docenti e quelli di religione fanno sempre un caso a
sé; o quando con amarezza vediamo che certi colleghi sentono “invaso” il loro orticello,
come se il contributo di un altro insegnante possa infastidire; o quando si nota una certa
indifferenza da parte di alcuni genitori dopo che magari uno si è dannato l’anima (!) per
un alunno; o quando si dice “Signora, ecco la scheda. Ah, qui c’è anche quella di
religione” (come anche? Dopo che magari ne ho firmate 190!); oppure quando
l’insegnante di religione che ha diverse centinaia di alunni è considerato in minoranza
rispetto agli altri insegnanti; o quando, e questo è un caso comune, quando vediamo
l’informatica attirare molte più attenzioni della religione; quando vediamo la religione
come una materia “minore”; o quando vediamo che i colleghi e la gente comune ci
considera come dei sempliciotti signori presi dal parroco e mandati in una scuola ad
insegnare qualche sporadica nozioncina che non serve a nulla, mentre magari un
insegnante di religione ha una profonda preparazione teologica, didattica e
pedagogica….
Insomma, di casi se ne potrebbero fare davvero molti. Fortunatamente però ci sono
anche testimonianze positive, dove invece il nostro lavoro viene preso in considerazione
dai colleghi, dai genitori e dagli alunni stessi i quali spesso dimostrano un atteggiamento
costruttivo e propositivo.
Solo che rimango sempre disorientato dalle manifestazioni negative e nel mio cuore vado
alla ricerca di un po’ più di considerazione, in virtù di una pari dignità tanto desiderata.
Ma poi mi ricordo di una cosa importante, capace di cancellare in un sol colpo tutti di
dubbi e le amarezze. Quando arriverà il giorno in cui finalmente inizieranno le lezioni,
avremo l’opportunità magica di poter entrare in classe, chiudere la porta e avere a
disposizione i cuori dei nostri bambini e ragazzi. E se saremo bravi e anche un po’
fortunati, con l’aiuto del Signore ci si presenterà l’occasione di poter entrare e
incantare i cuori di questi giovani.
Questo cancellerà ogni cosa. E quando arriverà la fine, anche se un genitore distratto
dimenticherà di venire a stringerci la mano, non fa niente. L’opportunità di vivere con
gli studenti una magica avventura c’è stata e sempre ci sarà. Forse non saremo noi a
vedere i frutti. L’importante è aver seminato.