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Cultura L’ARCHITETTURA È DONNA Il grattacielo Montevideo a Rotterdam, progettato da Francine Houben dello studio Mecanoo (sopra) Grattacieli, musei, megabiblioteche. Con lo sguardo femminile della new wave olandese, Francine Houben contesta le archistar e conquista il mondo DI ENRICO AROSIO affè caldo, cannella, foglie morte. Ci si lascia alle spalle gli odori di Delft, città di canali e maioliche, si sfiora la torre pendente della Oude Kerk, la chiesa del 1300, e si entra nello studio Mecanoo, dove la titolare, Francine Houben, donna architetto tra le migliori su scala globale, pranza all’italiana: pomodori, mozzarella e basilico. Negli ultimi due anni anche nella avanzata Olanda quasi il 40 per cento degli architetti è rimasto senza incarichi, e invece i Mecanoo progettano come draghi in patria e fuori. Danno lavoro a sempre più persone, oltre 90, di 25 nazionalità, e hanno aperto uno studio anche in Inghilterra, a Birmingham, dove nell’era del Virtuale stanno realizzando un oggetto totalmente fisico come la nuova Biblioteca pubblica, la più grande d’Europa. È una megastruttura culturale su dieci livelli collegati da scale mobili. Un investimento monstre, 190 milioni di sterline: la seconda città britannica, dopo gli anni del declino industriale, vuo- C 78 | lE ’ spresso | 9 febbraio 2012 le rilanciarsi come hub culturale. Questa è una storia atipica, in piena crisi dell’area euro. Francine Houben ha fatto tutto da qui, a Delft, un quarto d’ora dall’Aja e 20 minuti da Rotterdam, dove abita. A Delft si è formata, laureata, ha iniziato a lavorare a 25 anni: «Lo studio l’abbiamo fondato nella mia camera da letto di studente», sorride ironica agitando una mozzarellina: «Poi c’era un po’ troppo traffico in questa camera da letto, e abbiamo deciso di allargarci». E con la mano questa donna alta e svelta, capelli rossi, occhi chiari, bella collana, indica dove siamo: una magione settecentesca di Oude Delft, sul canale più antico, disegnata da un architetto italiano, con 40 metri di corridoio in marmo: già palazzo patrizio, congregazione di carità, ospedale, ora è tutto di Mecanoo, nome che deriva dal Meccano, il gioco di costruzioni inglese, e da un pamphlet di Theo van Doesburg, l’avanguardista degli anni Venti. Com’è che Mecanoo lavora più degli altri, e a comandare è una signora? Le donne architetto a capo di studi importanti, sono, nel mondo, una rarità. «Fino ai 50 anni ho evitato di parlare di me come architetto donna, non mi pareva rilevante. Ma ho cambiato idea. Mi rendo conto che siamo poche. A questi livelli è un mestiere tosto, giorno e notte, sempre in volo, su e giù dagli aerei. Io sono stata la prima prof donna in cattedra alla Technische Universiteit. E ho anche avuto tre figli». Da un altro architetto di Rotterdam, Erick van Egeraat, da cui si separò anni fa. In Olanda, è pensiero comune, le pari opportunità di genere sono garantite. «Non è così», interrompe: «Da una trentenne con tre bambini, anche qui, specie nel Sud cattolico dove sono nata, ci si aspetta che stia a casa a crescerli». Più tardi accennerà al fatto che le più celebrate architette viventi, come Zaha Hadid o la giapponese Kazuyo Sejima, non hanno figli. Oggi Francine Houben ha tre partner di studio (una è donna) e molte giovani collaboratrici. Birmingham è un caso interessante. La Library esistente era un pesante ziggurat rovesciato in cemento armato del 1974, un vero pezzo di architettura brutalista. Il progetto di Mecanoo, invece, è traslucido, mosso, con una decorazione esterna metallica che è un continuo arabe9 febbraio 2012 | lE ’ spresso | 79 Cultura Miracolo ad Amsterdam ta cultura musicale, artistica, politica: «Intuition takes me everywhere». Poi spiega: «Io affronto il progetto di uno spazio pubblico, che sia un parco urbano o un auditorium, dal punto di vista dell’utente. O anche di un bambino. L’esperienza di un bambino è molto importante: il senso spaziale si sviluppa intorno ai cinque anni. Inoltre do grande valore all’aspetto sensoriale: superfici, colori, suoni, persino odori. L’architettura dovrebbe ricordarsi sempre che un anno è fatto di quattro stagioni». Nei Paesi Bassi le stagioni sono marcate, ce lo ricorda la storia dell’arte: dalle ondate di tulipani in primavera (van Gogh) ai canali ghiacciati d’inverno (Bruegel). Dalla sua casa di Rotterdam, racconta, ha un colpo d’occhio cangian- Francine e le sue sorelle Ecco le più importanti donne architetto in attività a livello internazionale FRANCINE HOUBEN. Olandese, 55 anni, leader dello studio Mecanoo di Delft, esponente di punta della Dutch wave dell’architettura contemporanea. Lavoro più premiato: torre Montevideo a Rotterdam, 2005. Nuovo grande progetto: Biblioteca pubblica di Birmingham, 2013. ELIZABETH DILLER. Figlia di immigrati polacchi, dirige Diller Scofidio + Renfro di New York. Tra i lavori più noti, il parco lineare High Line e il ridisegno del Lincoln Center a Manhattan, l’Institute for Contemporary Art di Boston. Intellettuale engagée, insegna alla Princeton University. JEANNE GANG. Americana dell’Illinois, 45 anni, formatasi a Harvard e Zurigo, titolare di Studio Gang Architects di Chicago. Tra i suoi lavori Usa il più noto è Aqua, grattacielo innovativo nella sua città, dal disegno espressionista, il più alto edificio al mondo disegnato da una donna. 80 | lE ’ spresso | 9 febbraio 2012 ZAHA HADID. Anglo-irachena nata a Baghdad, lauree in matematica e architettura, ex allieva di Rem Koolhaas, lavora a Londra. Esponente controversa di un’architettura di ricerca neo futurista. Tra le opere più importanti, la sede Bmw di Lipsia, il Maxxi di Roma, l’Aquatics Center per Londra 2012, l’Opera di Guangzhou in Cina. KAZUYO SEJIMA. 55 anni, leader dello studio Sanaa di Tokyo, con Ryue Nishizawa. Pritzker Prize 2010, prima donna a dirigere la Biennale Architettura. Figura leader del minimalismo. Opere recenti in occidente: Zollverein School di Essen; Museum of Contemporary Art, New York; Rolex Center, Losanna. BENEDETTA TAGLIABUE. Nata a Milano nel 1963, laureata a Venezia, da vent’anni a Barcellona. Guida lo studio Embt (fondato dal marito Enric Miralles). Dopo molti lavori in Catalogna, ha realizzato il Parlamento scozzese a Edimburgo, il padiglione Spagna all’Expo di Shanghai. Sul Museumsplein di Amsterdam gli operai hanno smontato i ponteggi, ed è apparsa lei, la Vasca da Bagno. The Bathtub, come dicono, dissacranti, gli olandesi. Cittadini, critici, intellettuali si accapigliano dal 2004, quando lo studio Benthem Crouwel vinse il concorso: chi lo ritiene uno sfregio all’identità cittadina, chi una nuova icona della museografia. Parliamo dell’estensione dello Stedelijk, uno dei migliori musei al mondo di arte moderna, da Cézanne fino a Ron Arad. Dal 2010 è diretto da una donna, Ann Goldstein, arrivata dal Moca di Los Angeles. La Vasca da Bagno raddoppia verso il parco i volumi dell’edificio neo rinascimentale in mattoni rossi (1895). E il contrasto non potrebbe essere più stridente. L’ala nuova è una vascona rivestita in bianco, appunto, di 100 metri per 40, sorretta da sole quattro colonne. La pelle è un composito basato su Twaron e Tenax, fibre aramidiche e di carbonio prodotte da un’azienda giapponese. Il flusso visitatori sarà convogliato da clamorose scale mobili genere shopping mall che si tuffano e risalgono dal sottosuolo. La sede storica guadagna così altri 8 mila metri quadri di spazi espositivi, auditorium, cinema, libreria, ristorante. Interni semplici e puliti, invece: pareti bianche, parquet in legno ucraino. Per risparmiare almeno su quello, visto che il New Stedelijk sembra una vicenda all’italiana: budget impazziti, dirigenti saltati, ritardi continui. Se va bene aprirà dopo otto anni, alla fine del 2012. E. A. RENDERING DI DUE PROGETTI DELLO STUDIO MECANOO: IL WEI-WU-YING CENTER FOR THE ARTS DI TAIWAN (SOPRA) E LA BIBLIOTECA DI BIRMINGHAM (A DESTRA). IN BASSO: L’AUDITORIUM LA LLOTJA A LERIDA, SPAGNA te lungo i 12 mesi, le strade, i colori, le nubi che ridisegnano il cielo. «Ecco, quando parlo di queste cose ai miei clienti, mi rendo conto che sto ragionando da donna». A quanto pare si fa capire, anche in luoghi lontani. Tra i nuovi incarichi di Mecanoo ci sono un golf club tra verdi colline in Sud Corea; il Center for the Arts a Kaoshiung, città portuale in forte sviluppo che è un po’ la Rotterdam di Taiwan; ma anche il progetto strategico di Delft, Municipio e Stazione ferroviaria combinati in un unico complesso su vari livelli. Niente in Italia, peccato. La mobilità è un tema che l’appassiona. In viaggio fotografa moltissimo, armata di obiettivi grandangolari. Negli anni di docenza all’Università di Delft (nel 2007 ha anche insegnato a Harvard) la sua cattedra era Estetica della mobilità. Nulla di più olandese: dove lo scenario visto dai finestrini di un treno è un alternarsi di paesaggio agricolo orizzontale e intenso spazio urbano, un’intermittenza sempre di qualità, e spesso ottima: dalle periferie residenziali alle scuole, dagli impianti sportivi ai centri uffici, dagli ospedali ai parcheggi per bici. L’Olanda, così piccola e densa, in lotta con l’Atlantico da secoli, è un formidabile caso di urbanistica diffusa, in perenne negoziato con la sostenibilità ambientale ed energetica. Mecanoo ha successo perché offre progettazione avanzata sulle scale più diverse: dal ridisegno urbano al landscaping al design. In Italia, nel dopoguerra, Ernesto Rogers teorizzava, da Foto pagine 82-83: C. Richters (2) sco a motivi circolari, di effetto quasi floreale: un passaggio quasi simbolico dal macho al femminile. «Sono nel mio “periodo circolare”», chiosa lei, con aria scherzosa. Perché il cerchio? «La scelta rievoca il passato industriale, cantieristico di Birmingham, con i grandi depositi e silos a pianta circolare. È come un saluto al passato, e un invito al dialogo in una città piena di giovani e fortemente multiculturale. Una reazione al declinismo, anche, com’è successo a Manchester». Resta una questione che con le architette, dai tempi di Ray Eames e Charlotte Perriand, non è mai stata chiarita a fondo: esiste un approccio femminile al progetto? E qui Francine parla del rapporto tra analisi e intuizione. E dell’importanza della dimensione sensoriale e tattile. Lo spirito intuitivo, ritiene, è certo qualcosa di femminile; lo sottolinea nel decalogo, i “Mecanoo statements”, che sottopone ai nuovi collaboratori (punto 9: «Puoi provare ad analizzare qualsiasi cosa, ma molto ha a che fare con l’intuizione»). Cita volentieri un verso di John Lennon, perché Francine è un’ex ragazza anni Settanta con adegua- umanista, il mestiere «dal cucchiaio alla città». Da Francine Houben impariamo che in neerlandese c’è un’espressione quasi identica: «Dalla sedia alla città». Qui a Delft nacque Vermeer, il pittore rinascimentale della luce. Da Rotterdam, dove lei abita, partivano i navigatori diretti alle Indie, a Sumatra, in Borneo. Le Grachten, i canali di Amsterdam, sono un’enciclopedia vivente del Seicento borghese e aperto al mondo. Eppure gli olandesi non soffrono di alcun complesso della storia. La Stazione di Delft avrà un linguaggio avanzato, un corpo vetrato con un’immensa hall dal soffitto a motivi blu ceramica, proiettato nel futuro della mobilità interurbana. Il progetto di Taiwan è addirittura biomorfo, scultoreo, bianco come un lenzuolo mosso dal vento. Francine lo spiega come un «tropical building», che nei rapporti aperto-chiuso, luce- ombra si ispira ai boschi di fico baniano; eppure è in ferro e alluminio. In Catalogna, invece, a Lerida, ha usato per l’auditorium La Llotja una pietra naturale quasi arancione, come scaturita dalla crosta della terra. La varietà linguistica è un punto di forza. «Gli olandesi, dice?». Pausa. «Penso che abbiamo alcuni tratti comuni: amore per la tecnica, apertura mentale, modi diretti. Il valore che diamo al lavoro di squadra. L’attitudine a non esibire la propria ricchezza». Vero: il bike power, il potere alle biciclette nell’uso urbano è la miglior metafora della democrazia olandese, che è un fatto profondo, indipendente dall’alternare del consenso politico (oggi governa la destra, con accenti nazionalisti e anti-immigrazione prima sottaciuti). «Non dimentichi», sorride Francine, «che mi sono formata negli anni Settanta. L’architetto ha una responsabilità sociale. A questo io credo ancora: infatti Mecanoo continua a realizzare edilizia a basso costo, anche se interessa meno alle riviste di architettura…». I grandi budget, però, sono spesso legati a grandi architetture iconiche. I cosiddetti landmark urbani. Anche Mecanoo ha creato qualche landmark: uno, lodatissimo dalla critica, è il grattacielo Montevideo (2005) sul molo Wilhelmina a Rotterdam, una splendida torre grigia e rossa con elementi derivanti dalle avanguardie moderniste anni Venti che ha messo in ombra le vicine torri di eroi mediatici come Norman Foster, Alvaro Siza, Renzo Piano. «L’icona?», dice: «A me interessa poco. Io voglio portare coerenza. Voglio attivare forma ed emozione. Un solo elemento, quello morfologico, non può essere dominante. Fare architettura è riuscire a portare a sintesi funzioni, bellezza ed elementi sensoriali». Gli architetti olandesi sono ritenuti, oggi, tra i migliori d’Europa. Merito delle scuole di eccellenza, Delft e Eindhoven. Merito di una cultura di governo e di amministrazioni locali che danno all’architettura peso e valore. Ma tra di loro sono meno vicini di quanto uno s’immagini. Il carismatico Rem Koolhaas dello studio Oma, per Francine Houben, non è un guru, ma un collega come altri: «Sa, Oma e Mecanoo sono nati negli stessi anni…». Winy Maas e Mvrdv, René van Zuuk, Ben van Berkel, Onl, Zeinstra van der Pol, i vari nomi della Dutch wave: «Ci conosciamo, ma non è che ci si frequenta per forza». Tutto molto easy, antiretorico. Il divismo (che pure esiste, vedi Koolhaas) qui non dà prestigio, diversamente dall’Italia; è estraneo alla cultura condivisa. Non è un caso che il suo nuovo libro, uscito da poco, Francine Houben l’abbia intitolato “Dutch Mountains”. Una cosa che neanche esiste. I 9 febbraio 2012 | lE ’ spresso | 81