Ninfa e badante, dialogo a distanza sulla bellezza che (forse) ci

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Ninfa e badante, dialogo a distanza sulla bellezza che (forse) ci
CULTURA
Corriere della Sera Martedì 24 Marzo 2015
Traversetolo (Parma)
Il Novecento romano
in cento opere
alla Magnani Rocca
Il 23 aprile con #ioleggoperché
Messaggeri di libri
suonano la sveglia
per lettori in sonno
Ha riavviato la stagione la Fondazione
Magnani Rocca di Traversetolo (Parma) con
una mostra dedicata a «Roma 900», oltre
cento splendide opere sull’urbe e la sua
scuola pittorica provenienti dalla Galleria
d’arte Moderna di Roma Capitale. Opere di
De Chirico, Guttuso, Capogrossi, Balla,
Casorati, Sironi, Carrà, Mafai, Scipione, Enrico
Della Leonessa (Violette, 1913, nella foto) e
molti altri. Nella rassegna, curata da Maria
Segna
libro
di Severino Colombo
Catalano, Federica Pirani e dal responsabile
della Fondazione, Stefano Roffi, molta
attenzione è andata alla Secessione
Romana, all’Aeropittura, al Futurismo e al
rapporto con la tradizione (De Chirico). Il
tutto alla luce degli intensi rapporti che Luigi
Magnani, storico collezionista che ha lasciato
la sua casa-museo ricca di capolavori aperta
a tutti, aveva con la città e i suoi artisti. In
contatto con Longhi e Argan, Magnani visse
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molto tempo a Roma conoscendo molti degli
artisti in mostra e presenti anche nella sua
collezione permanente, come De Pisis e
Morandi. Una casa-museo quella lasciata da
Magnani alla sua morte che vale il viaggio:
arredi di primo Ottocento, tele di Goya,
Velazquez, tavole di Beccafumi e Dürer, un
tavolo d’ispirazione piranesiana. Un
esempio di privati che gestiscono Beni
culturali. (p.pan.)
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Anticipazioni Esce domani il nuovo romanzo di Paola Capriolo, «Mi ricordo» (Giunti)
Ninfa e badante, dialogo a distanza
sulla bellezza che (forse) ci salverà
di Ida Bozzi
S
i può partire dagli oltre venticinquemila
(25.082) messaggeri, ovvero ambasciatori del libro e della lettura, persone in
carne e ossa che si sono messe a disposizione per promuovere l’iniziativa #ioleggoperché. Oppure dal gradimento virtuale che
l’evento ha già ottenuto: le quasi centomila
(97.500) visualizzazioni totali su Twitter, con
una media giornaliera di 2.116 click; i 14 mila
fan della pagina Facebook (quattro su cinque
sono donne) che ne evidenziano il lato social.
O ancora si può considerare le regioni — nell’ordine: Lombardia, Puglia, Sicilia, Piemonte,
Campania, Veneto — che (per ora) guidano la
classifica dei territori che si sono dimostrati
più solerti e solleciti nel recepire e rilanciare i
contenuti della manifestazione. Una cosa è
certa: da qualunque parte la si prenda #ioleggoperché — a un mese esatto dal via — si
dimostra già un successo per interesse suscitato e risposte del pubblico.
Voluta da Associazione italiana editori (Aie)
con enti, istituzioni e partner pubblici e privati la manifestazione è una buona pratica rivolta a chi legge e, soprattutto, ai lettori in sonno,
chi lettore lo è stato (parliamo solo nel 2014 di
820 mila persone). L’evento diffuso — con 352
proposte ad oggi tra reading, incontri con
autori e letture ad alta voce — sarà una festa
della lettura: andrà in scena il 23 aprile, Giornata Mondiale del Libro.
Prevede in
quella data la
consegna da
parte dei messaggeri di 240
mila libri a potenziali lettori, con la speranza
di riuscire a risvegliarli dal sonno. Proprio
come, per restare in ambito letterario, nella
celebre favola della principessa. Anzi qui, in
più, c’è la determinazione a farlo: «Pronti a
tutto» è il motto dei messaggeri, che per unire
l’Italia dei lettori viaggeranno in treno.
Il lavoro dei messaggeri — il 66% dei quali
ha fra i 18 e i 50 anni — è fondamentale quanto quello delle oltre mille librerie e delle altrettante biblioteche coinvolte. Le istruzioni
per entrare nella squadra sono sul sito
www.ioleggoperché.it. Ventiquattro i titoli di
altrettanti scrittori (che hanno dato vita a una
collana ad hoc) tra cui scegliere: da Alessandro Baricco a Margaret Mazzantini, da Sveva
Casati Modignani a Daniel Pennac. Per questa
iniziativa gli autori non percepiranno compensi dai diritti d’autore.
A Milano, forte della nomina a Città del
Libro, si terrà l’evento principale, trasmesso in
diretta in prima serata su Rai3: un show che
chiamerà a raccolta i messaggeri e altri testimonial del libro per un grande reading in
piazza Gae Aulenti, volto moderno della città.
Prima di arrivare al capitolo finale, però, ci
sono altre due tappe importanti per far conoscere i contenuti di #ioleggoperché: una è il
concorso «Racconta il tuo libro preferito in 90
secondi»; l’altra è un’iniziativa che sposa sport
e cultura. Il contest è riservato agli universitari, categoria che con quasi novemila adesioni
(8.989) rappresenta un terzo dei messaggeri;
si apre il 30 marzo e si chiude il 10 aprile, invita i partecipanti a caricare sul sito videoclip
artistici, poetici o che si affidino ad altre forme espressive in lingua italiana. La sfida è
condensare un minuto e mezzo il libro del
cuore; si può partecipare da soli o in gruppo. I
mini film girati con telefonino, tablet o videocamera saranno votati online; il video vincitore sarà trasmesso in tv la sera del 23 aprile. La
seconda iniziativa (in accordo con Lega Calcio
e Associazione italiana arbitri) avverrà in occasione di un incontro di Serie A (il 12 aprile) e
due di Serie B (il 12 e il 19 aprile). I match sono
ancora da definire. Prima del calcio d’inizio la
squadra ospitante regalerà ai giocatori avversari un libro della collana; mentre gli arbitri si
vestiranno da messaggeri e giocheranno con
la maglia di #ioleggoperché.
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L
I bassifondi di
Parigi in un
romanzo
indimenticabile.
Felicità stilistica,
visionarietà e
apologia della
menzogna: libro
autobiografico
che fece scandalo
nel ‘51 ma fu
celebrato da
Sartre. È NotreDame des-Fleurs,
esordio di Jean
Genet: la
provocazione
espressa con stile
onirico. Il
protagonista è
Divine, dragqueen che scrive
dal carcere, e il
titolo del libro è il
soprannome di un
bel ragazzo.
Sesso, rivolta e
letteratura, altro
che sfumature
(traduzione di
Dario Gibelli, il
Saggiatore, pp.
259, e 17)
Leonard Merrick
(1864-1939) era
invece molto
apprezzato da
H.G. Wells, e il suo
miglior libro,
secondo Orwell, fu
proprio La scelta di
Peggy Harper, un
romanzo
edoardiano sul
mondo del teatro
off londinese, ora
tradotto da Nicola
Zippel. Pochi
quattrini e tanta
voglia di
affermarsi.
Protagonista un
ragazzo troppo
per bene che
cerca di realizzare
il suo sogno. Non
mancano una
storia d’amore e
diversi guai, ma
memorabile è la
ricostruzione
dell’ambiente e
dei suoi
personaggi
(Castelvecchi, pp.
188, e 17,50)
a cura di
Cinzia Fiori
a frase più celebre dell’Idiota di Dostoevskij
fornisce il profondo interrogativo intorno al
quale ruota il nuovo romanzo
di Paola Capriolo, Mi ricordo,
in libreria da domani per Giunti. Quella frase arcinota, che recita «la bellezza salverà il mondo», suscita l’interrogativo che
profeticamente Dostoevskij
lanciò nella sua opera del 1869
e lasciò in eredità all’intero Novecento e a noi oggi: «Ma quale
bellezza salverà il mondo?»
Non c’è domanda più attuale, e soprattutto non c’è questione più complessa per l’uomo contemporaneo, che ha conosciuto gli orrori delle due
guerre mondiali (e di tutte le
guerre successive, fino ai conflitti in corso ora) e ha visto manifestarsi l’orrore del male assoluto, lo sterminio sistematico degli ebrei nei lager nazisti:
quale bellezza sia mai possibile
— ovvero quale arte, quale poesia, ma anche quale bontà,
quale umanità, quale fede —
dopo simili mostruosità (e dopo le mostruosità che al secolo
e al nuovo millennio non sembrano mai mancare) è proprio
il dilemma in cui il romanzo
della Capriolo è immerso.
Denso da un punto di vista
tematico, questo lavoro della
scrittrice è ben congegnato dal
punto di vista strutturale: in
una Mitteleuropa non precisata, due voci di donna si alternano di capitolo in capitolo, quella di Sonya, una moderna e
sbrigativa badante di cinquant’anni che risponde a un’inserzione e trova lavoro nella grande casa semideserta di un vecchio malato, e quella di Adela,
una ragazzina ebrea appena diciottenne che scrive entusiastiche letterine negli anni Trenta
a un poeta di cui è ingenuamente infatuata.
All’inizio, quelle delle due
donne restano voci distanti
l’una dall’altra: lo stile quotidiano di Sonya, più prosaico e
«basso» tra faccende domesti-
L’autrice
Paola Capriolo
(Milano, 1962)
ha pubblicato
La grande
Eulalia, Il
nocchiero, Una
luce nerissima e
Caino. Domani
esce per Giunti
Mi ricordo (pp.
272, e 16).
A sinistra: John
W. Waterhouse
Ila e le ninfe
(1896)
che e cure corporali (anche se
la scrittura della Capriolo non è
mai veramente di registro basso), e il lirismo «alto» e aulico
della giovane Adela, che si sente quasi un’eroina da romanzo,
o una «ninfa» da poema arcadico, ed esalta nell’epistolario
con il poeta tutto il bagaglio del
sublime, arte, poesia, musica,
dalle opere di Schiller ai Notturni di Chopin, convinta com’è anche lei come il principe
Myskin che la bellezza, quella
bellezza, salverà il mondo.
Solo dopo pochi capitoli il
lettore comincia a «insospettirsi» e a comprendere, dalle
lettere di Adela, che la grande
casa di cui la fanciulla parla,
con le camere rosa e azzurre, il
prato che declina e il fiume che
rumoreggia violento oltre il
burrone, somiglia assai a quella polverosa e malandata in cui
ora vive il vecchio e dove Sonya
lavora. Se ne accorge prima il
lettore, si diceva: perché Sonya,
La frase
Un romanzo che narra
le vite di due donne
riflettendo su un passo
di Dostoevskij
che conosce solo il destino di
Adela — era sua madre — non
ha mai letto le lettere della
donna al poeta, non ne sa nulla, orfana com’è rimasta quando aveva appena sette anni, nel
Dopoguerra. Dopo mille lavoretti qua e là, l’indirizzo della
casa di famiglia ha incuriosito
Sonya, che però nulla si aspetta
da quel luogo, men che meno
ciò che vi troverà. E ciò che vi
trova è l’agghiacciante verità: le
lettere di Adela raccontano la
violenza dei lager nazisti e la
sopravvivenza, attraverso altra
violenza, in una casa di piacere.
E altro ancora, fino al finale che
non va raccontato.
Affascina, questa riflessione
su che cosa sia la bellezza, prima di tutto quella morale. La
Capriolo mantiene, nel raccontare le varie vicende incrociate,
una compostezza e un senso di
pietas che rendono l’invenzione del romanzo — gli ambienti, le vicende, i luoghi mai del
tutto precisati o definiti nel libro — assai avvincente. Con disinvoltura la scrittrice si muove
tra ambienti ed elementi culturali della Mitteleuropa, un humus che è familiare a lei che ha
tradotto Goethe e Mann. La
confidenza con atmosfere e
umori viennesi e tedeschi a ca-
vallo tra Otto e Novecento, che
si riversa su molti personaggi
di contorno (fidanzati, ufficiali,
guardie naziste, cittadini), rende la scrittrice libera di approfondire altri elementi del libro,
più intimi.
Ad esempio, il contrasto così
netto di carattere delle due figure femminili, un divario via
via sfumato fino a cancellarsi,
scoprendosi invecchiata la fanciulla vittima di ogni violenza,
specchiandosi ringiovanita la
donna di mezza età. Oppure il
tempo, importante nella trama
e curato nei tempi dei verbi, tra
passato remoto, presente e imperfetto.
O, ancora, le riflessioni delle
protagoniste, talvolta liriche
(«che altro sarebbero la musica, l’arte, la poesia, se non la segreta, paradossale eternità di
tutto ciò che è fragile e minacciato?», scrive la borghese Adela), talvolta stupefatte («a
odiarlo, però, in quel momento
non ci riusciva, e neppure a
provare per lui quella professionale indifferenza che credeva di aver ormai acquisito»,
pensa la badante Sonya). Per
concludere che la ricerca di ciò
che può salvare il mondo, è forse, in sé, l’ultima bellezza.
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Salvò davvero molti ebrei? Il gruppo di studio rinuncia a esprimersi
Storici ancora divisi sul «Giusto» Palatucci
di Antonio Carioti
S
ancisce un nulla di fatto il comunicato conclusivo emesso
dalla commissione incaricata di
studiare la vicenda di Giovanni Palatucci, il funzionario della questura di
Fiume, morto nel lager nazista di Dachau nel febbraio 1945, che è stato dichiarato in Israele Giusto tra le nazioni e insignito in Italia della medaglia
d’oro al valor civile per un’opera di
salvataggio a favore di ebrei su cui
sono stati avanzati forti dubbi.
Il gruppo di ricerca, insediato nel
dicembre 2013 dal Centro di documentazione ebraica contemporanea,
ha deciso infatti di terminare i suoi
lavori senza presentare una relazione
finale. Saranno i singoli membri
(Mauro Canali, Matteo Luigi Napoli-
tano, Marcello Pezzetti, Liliana Picciotto, Micaela Procaccia, Michele
Sarfatti, Susan Zuccotti) a esprimersi
singolarmente.
«Questa conclusione — spiega
Sarfatti, coordinatore del gruppo —
si deve al sopraggiungere di nuove
testimonianze orali: esse avrebbero
richiesto un ampio lavoro di verifica
sui documenti, che non avevamo il
tempo né i mezzi per svolgere. Quindi abbiamo preferito non produrre
alcuna relazione finale piuttosto che
presentarne una parziale e con molti
interrogativi aperti».
La decisione però non ha convinto
Mauro Canali: «A mio avviso avevamo raggiunto risultati importanti,
anche se erano rimasti dei dissensi. È
emerso che la figura di Palatucci è
stata mitizzata e va ridimensionata.
Non salvò certo migliaia di ebrei, ma
Discusso
Giovanni
Palatucci
(1909-1945)
era un
funzionario
della questura
di Fiume, a cui
viene attribuito
il merito di aver
salvato molti
ebrei. È in corso
la sua causa di
beatificazione
neppure centinaia o decine. Ci sono
solo quattro o cinque testimonianze
orali circa la sua azione di soccorso,
ma tardive e da vagliare. Fu arrestato
dai tedeschi non per l’aiuto prestato
agli ebrei, ma per i suoi rapporti con i
britannici. Sarebbe stato molto meglio esprimerci a maggioranza, chiarendo che cosa ci divide».
Invece Matteo Luigi Napolitano difende Palatucci: «Sarebbe stato necessario scavare molto più fondo per
evitare giudizi affrettati e ingiusti come quello del Primo Levi Center di
New York, che lo ha definito un collaborazionista. Basti pensare che a
Fiume lo studioso Ivan Jelicic ha trovato un documento in cui i partigiani
jugoslavi presentavano Palatucci come un benefattore degli ebrei».
@A_Carioti
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