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PREMESSA (breve) Adoro scrivere. E adoro la mia famiglia. Due motivi più che sufficienti per mettersi all’opera! Solo qualche precisazione per quei quattro amici che vorranno condividere il mio libro. Ho poco tempo a disposizione e spalmato sulle ore più impensabili, quando, di norma, si dovrebbe dormire. Ciò, unito agli inevitabili cambiamenti d’umore che interessano ogni essere umano medio vi darà, ogni tanto, l’impressione di un quadro slegato, con le gambe al posto delle braccia, un occhio vicino al naso e l’altro al mento. Tipo Picasso. Inoltre ricordatevi sempre che sono un papà, non un antropologo, uno psicologo, un sociologo o un qualsiasi altro -ologo vi possa venire in mente. Scrivo per passione, vivo per amore la mia condizione di genitore e non ho nessuna velleità di cambiare il mondo o di capirlo in ogni sua struttura intima. Se poi qualcuno di voi dovesse trovare qualche spunto interessante in merito all’universo “famiglia”, perché no? Ne sarò ben contento! Spesso scrivo a frasi secche, dal significato apparentemente immediato ma che, talvolta, nascondono un secondo piano di lettura, più profondo. Sono frasi – è un consiglio – che vanno prese lentamente, altrimenti si corre il rischio di ingozzarsi senza gustare quel poco di buono che cerco di mettere nei miei pensieri. So che avete tutti fretta. Basterà leggere un capitolo alla volta, magari. Rileggendolo, se serve. E poi, se vorrete, il tutto nel cestino; ma almeno concedetemi un po' del vostro tempo. Vi avverto, inoltre, che non ho la minima idea di dove mi porterà la narrazione dei fatti, né tanto meno ho preparato una traccia da seguire. Vado a istinto, seguo gli odori della mia cucina, i colori della camera da letto dei miei figli, il suono delle foglie secche che svolazzano nel giardino, mentre il mio vicino, col trattore, parte per la vendita delle sue patate. Sì, io sono di Gottolengo, il paese della Sagra della Patata! Fine della premessa. Ps. Troverete delle parti scritte con un carattere diverso, denominate “frammento” e numerate senza tener conto della data effettiva di pubblicazione. Non sono altro che post tratti dal mio profilo di Facebook. Ho pensato di aggiungerli così, casualmente, giusto per dare un tocco di modernità e perché, al di là di tutto, rappresentano un modo di sentire la mia famiglia. Prendeteli per quello che sono: delle piccole schegge di pensiero, senza pretese eccessive, ma pur sempre interessanti. Credo... Ppss. Ho apposto delle notazioni a piè di pagina, giusto perché danno l’impressione di un testo seriamente studiato. Leggetele, comunque... Sono importanti per la comprensione del testo. Grazie. 1 CAPITOLO 1 No, non metterò un titolo a ogni capitolo: troppa fatica e troppo standard. Almeno non correrò il rischio che giriate pagina solo perché il titolo non vi convince! Parliamo di me, vi va? Andrea, 41 anni, maschio italiano di medio fascino, con buona cultura di base, amante della musica e dell’arte in genere. 184 centimetri con una novantina di chili pericolosamente concentrati in zone a rischio (baga)1, il 42 e mezzo di piede, camicia del 43, collo 17 e taglia oscillante fra il 52 e il 54 (in base alla stagione), drop 6. Dati essenziali che vi assicurano una discreta conoscenza del sottoscritto. Il resto...mancia! A diciotto anni conobbi (passato remoto...anzi, remotissimo) tal Branchi Silvia, coetanea dal fare elegante, tipico esempio di liceale tuttacasascuolachiesa, mai vista prima di allora, anche perché io ero un tantino più bislacco. Già “maturo” (a luglio avevo appena terminato le Magistrali2) ero parte di una compagnia di guasconi, nella quale giocavo a fare l’intellettualoide del gruppo, meritando spesso i classici ma va’ a cagà!3 che tanto di moda andavano da noi, nel bresciano. Poi conobbi lei, poi andammo una sera di settembre in città, poi ci vedemmo casualmente il giorno dopo e ora siamo sposati da quasi diciotto anni, con sette figli. Ecco, l’argomento del libro saranno proprio quelle quattro cosucce che sono successe fra un poi e l’altro. Ho due diplomi: maturità magistrale, appunto, e conservatorio. Trombettista, per la precisione. Sono maestro al quadrato. Logica conseguenza: da dodici anni mi scasso il fisico in fonderia, dopo aver venduto uova di gallina, lavorato per un’assicurazione, fatto il postino per tre mesi e l’operaio in un guantificio per un anno, alla faccia della flessibilità. Sapete perché vi giro questo informazioni private4? Perché, al momento di avere figli, ho trovato del tutto naturale evitare di massacrarli per il loro rendimento scolastico, magari pianificando i loro studi dal nido fino alla specializzazione universitaria, master in America incluso. Sarà quel che Dio vorrà! Se adesso vi sembrerà che sia un tantino fatalista, proseguite nella lettura del libro. In seguito potrei riuscire a farvi cambiare idea. Se la mia vita è stata vissuta asimmetricamente rispetto agli studi effettuati, non altrettanto lo è stato per Silvia, moglie amatissima. Pam! Pam! Pam! A marce forzate dal pannolone alla laurea in matematica, con 1 Termine dialettale bresciano che indica la tipica adiposi addominale provocata da una dieta ipercalorica non bilanciata da un’adeguata attività fisica. Quasi inevitabile dopo i quarant’anni. Quasi... 2 Istituto Magistrale Veronica Gambara, ora Liceo socio-pedagogico, Liceo linguistico e Liceo coreutico-musicale. Nel 1990 era ancora possibile diplomarsi in quattro anni, terminando, quindi, un anno prima di un liceale di pari età. 3 Trad. Credo proprio sia inutile... 4 Ho già firmato la liberatoria verso me stesso per evitare di dovermi autodenunciare per violazione delle norme sulla privacy. Non si sa mai... 2 tanto di lode e premio Gemelli5 presso la Cattolica di Brescia. Unico intoppo, nel 1990, quando ha conosciuto me. Poi una sera a Brescia, poi l’incontro il giorno dopo, ecc.ecc. (già sapete come è andata a finire). Io non ho intrapreso la carriera di musicista professionista (perché di musica, a livello amatoriale, ne ho fatta tanta e ancora ne sto facendo), lei non è partita per Roma a fare la ricercatrice. Io ho rinunciato presto ad entrare come insegnante nella scuola (mi è bastato vedere il colore delle pareti del Provveditorato, a Brescia), lei, dopo qualche mese di supplenza, ha deciso che non avrebbe corso il rischio di un esaurimento nervoso a cinquant’anni. In pratica, a vederla da una certa angolazione, sembrerebbe quasi che io e lei non s’abbia avuto alternativa che amarsi e sposarsi. Siamo stati costretti da Qualcuno più forte di noi, guidati da una manona invisibile agli occhi ma presente nel cuore, al quale vanno tutti i nostri più sinceri ringraziamenti. Amen. E i sette figli, vi chiederete? Non ci si poteva fermare prima? Uno, due, tre al massimo, come insegnano le statistiche. Tivù alla sera, no eh!!?? Ma dico io, chi ce l’ha fatto fare di complicarci l’esistenza fra pianti, quantità impensabili di roba da stirare, scarpe sparnegate6 negli angoli più remoti dell’universo (alla sera ci vorrebbe il capitano Kirk per ricomporre le paia correttamente) e giubbini-giacche-braghecalzini-magliette lanciati in ogni dove? In principio era il caos. Anche Dio è partito da lì, poi ha aggiustato le cose. Io e Silvia, in fondo, stiamo provando a fare allo stesso modo. No, nessuna smania di onnipotenza, ma solo una gran voglia di donare vita. Non obblighiamo nessuno a seguire il nostro esempio, non pretendiamo di essere l’archetipo o lo stereotipo della famigliola felice; ma, chi ci guarda, può sapere che anche nell’anno 2013 è possibile allevare sette figli. Può intuire che la rinuncia alle proprie ambizioni non sempre ha come conseguenza una frustrante ed eterna insoddisfazione. C’è ben altro, ve lo assicuro. Gli animali di compagnia sono bellissimi, ma non saranno mai “figli”. Dover rinunciare ad un viaggio alle Maldive dispiace, ma non poi così tanto. Soffrire intimamente per un futuro incerto è tremendamente scomodo, e chi lo nega; ma il disimpegno porta all’aridità del cuore, che forse è ancora peggio. Ricordo quella sera che, tornando da Gambara7, a cavallo di un cinquantino avuto in prestito per fare il postino, passai di fianco alla casa di Silvia gridando “IO QUESTA ME LA SPOSO!!”. Me lo aveva suggerito il cuore, perché in lei vedevo la possibilità di realizzare la mia vera vocazione: diventare marito e papà. Mettercela tutta per vincere un concorso ed entrare in orchestra? Sì, ne sentivo il desiderio e, chissà, forse ne avevo anche le doti. Gettarmi nel marasma 5 Premio riconosciuto al migliore studente, per anno di corso e per facoltà frequentata. Silvia è stata Premio Gemelli 1995 per la Facoltà di Matematica e Fisica. 6 Trad. Distribuite ovunque in modo disomogeneo. 7 Paese a 5 km a sud di Gottolengo, quasi gemello per dimensioni e numero di abitanti. 3 dell’insegnamento, della scuola pubblica? Ci ho pensato, seriamente. Ma la vocazione è un’altra cosa, viene da fuori, da lontano. Ti coinvolge e allo stesso tempo è impastata con quella roba complicata che si chiama amore; ti prende il cervello e lo spreme fino a farlo entrare nel cuore, in una coabitazione difficile, però esaltante. E ti cambia la vita. Ci siamo sposati a ventiquattro anni (siamo del ‘72, lei di febbraio, io di marzo), con il beneplacito di un’incoscienza non ancora corrotta completamente dall’età adulta. Il lavoro? Io sì, lei solo qualche lezione di matematica. Una casa di tre stanze, dono dei miei suoceri e l’auto, per i primi mesi, prestatami da mio fratello Carlo. Il conto in banca? Da eco... Nel ‘96 si poteva ancora immaginare il matrimonio come un’avventura romantica, perché non c’era quella crisi che oggi ha disintegrato i sogni di una generazione intera ma, ve lo assicuro, io e Silvia ci abbiamo messo molto del nostro: sostenuti dalla Provvidenza8 – e dalle famiglie d’origine –, in ogni caso senza mai lesinare energie, impegno ed entusiasmo. La decisione di aprire la nostra casa all’arrivo dei figli non ha incontrato grandi resistenze (questo, presumo, lo avevate già capito...), proprio perché a ventiquattro anni ti senti in grado de saltà i fos per al lonch9e non calcoli ogni singolo passo come se fosse l’ultimo. Credi nel futuro. Lanciandoti da una scogliera chiudi gli occhi, ti tappi il naso e scopri che nuotare non è impossibile. E dal mare osservi tutti coloro che, là in alto, tenendosi lontano dal margine delle rocce, nemmeno hanno il coraggio di guardare all’ingiù. Peccato, perché l’acqua, nuotando in famiglia, è sempre così calda… frammento 1 (12 novembre) Oggi Riccardo ha compiuto un mese di vita. Lo guardo. È una vita di porcellana, finissima... 8 La fede è sempre stato un punto fermo del nostro matrimonio. 9 Trad. “saltare i fossi per la loro lunghezza”, espressione che indica la capacità di fare anche l’impossibile. Viene applicata soprattutto ai giovani o a coloro che, invecchiando, ricordano nostalgicamente le energie perdute. 4 CAPITOLO 2 Il ricordo Ho messo un titolo, lo so. Ho cambiato idea e, sicuramente, ancora la cambierò. Vedete di sopportarne il peso, fa parte della mia natura; se state leggendo il mio libro, dovrete accettare la mia natura, da musicista, incostante come le nuvole, non noiosa, spero. Maggio 2003, decine di rose fiorite nel giardino di mio suocero. È il 23 quando, alla Poliambulanza10, nasce Giovanni, terzogenito e primo dei maschietti di casa Milzani. Vita, gioia, speranza, futuro, ambizioni, tutto si ricrea appena il primo vagito squarcia la sala parto e Silvia, sfiancata, piange per il risultato di nove mesi ora vittoriosi. Sarà l’anno della morte di mia suocera, Raffaella. Il suo arrivo in paradiso. Un tumore. La sua fervente preghiera è sublimata dalla sofferenza di anni passati fra interventi, speranze e ricadute. È alla Domus11 quando decidiamo, una domenica pomeriggio, di andare a trovarla. Deve vedere il nostro Giovanni, siamo a novembre e per lei la barca del tempo ormai sta sciogliendo le vele verso altri lidi. Ricordo una stanza, Raffaella stesa a letto con gli occhi chiusi. Silvia, le bambine ed io, con il piccolo Gio in braccio. Contemplo il mistero. Poche parole e quasi saremmo fuori se non avessimo udito, e con noi mio suocero, un rantolo da parte di Raffaella. Interminabili secondi a capire il suo desiderio, cercando di rubare frasi a movimenti impercettibili del viso. Vuole bagnarsi le labbra? Spostare il cuscino sotto il capo? Non ricordo chi ha, finalmente, l’intuizione giusta: vuole Giovanni, il nipotino che più le assomiglierà nell’aspetto. Lo appoggiamo su di lei, quel fagottino meraviglioso. Raffaella, come da giorni non aveva più fatto, sorride, lieta. Aveva confidato a Silvia, poco tempo prima: “Ho visto i figli dei miei figli, una benedizione, cosa posso volere di più dalla vita...?”. Quella frase la conservo nel cuore, vale più di mille rosari, vera, intensa e colma di fede da straripare. Cerchiamo di organizzarci in fretta e furia per il battesimo di Giovanni, da officiare là in Domus, entro un paio di giorni. Troviamo in zona un sacerdote disponibile e ritorniamo, quella domenica sera, a Gottolengo, ancora carichi di emozione. Lunedì mattino la gioielleria del paese è chiusa ma, suonando al campanello, riesco a convincere il titolare a incidere sulla medaglietta di Giovanni la data del giorno seguente, l’11 novembre, data prevista per il rito. Giunge in fretta il 10 Rinomata struttura ospedaliera di Brescia, fondata dalle suore Ancelle della Carità. 11 Domus Salutis, struttura sempre delle Ancelle, dotata di un reparto specializzato nell’accoglienza dei malati terminali. 5 tramonto, fra i preparativi e le tensioni quasi inevitabili in una situazione così particolare. Andiamo a dormire. È notte fonda, quando arriva una telefonata in camera nostra. Nei monasteri a quell’ora si celebra il mattutino. È l’11 novembre, San Martino, ricorrenza densa di significato per chi ha vissuto la fatica della terra, il sudore dei campi. Mi alzo fradicio di sonno e rispondo dal telefono sul comò. “La mamma è morta...” mi sussurra mio suocero dall’altro capo. Anche se il battesimo poi lo abbiamo officiato in gennaio, Giovanni ora ha, come data incisa sulla propria medaglietta, il primo giorno di paradiso della nonna Raffi. Due anni dopo, nel 2005, nascerà il secondo dei maschi. Ha un carattere particolare, come il suo nome, pressoché inesistente dalle nostre parti. Lo abbiamo chiamato Martino, il santo dell’11 novembre appunto, ma non solo. È il nome di un mio amico fraterno, di colui che, anni prima, ha condiviso con me la gioia del diploma in conservatorio, trombettista anch’egli, sopraffino: Martino Nicolodi, della Val di Cembra, angolo di vitigni, di mele e di terra dura del porfido. Tre anni prima anch’egli aveva perso la mamma, dopo un lunghissimo calvario… Ho imparato molto dalla sofferenza vissuta attorno a me, cercando un motivo di appoggio e non solo di scandalo, arrivando a una maturazione interiore che ora metto a disposizione dei figli. Penso abbiate compreso che questo capitolo meritava un titolo. L’ho scritto a occhi umidi, tralasciando per qualche riga il mio umorismo a volte un po' becero. La vita della mia famiglia forse non ha i contorni eclatanti di un romanzo, ma è zeppa di attimi e ricordi inestinguibili. Sicuramente lo sarà anche la vostra e, se proprio non riuscirete a fermarvi un poco per trovare la voglia di scrivere, lasciate almeno che il tempo sappia fissare con il diamante ogni vostro ricordo. Prima che la vecchiaia sia come onda sui passi della battigia. frammento 2 (30 novembre) Borse di studio per merito scolastico. Sia dalla regione che dal comune. Ho due splendide studentesse (Giulia e Francesca) che, grazie al loro impegno costante, stanno concretamente aiutando la propria famiglia. Scrivo non per vanità (loro non lo vorrebbero assolutamente) ma per semplice e genuino orgoglio da genitore. La fatica è tanta...i risultati aiutano... Ieri pomeriggio colloqui di Giulia con presenti anche Silvia e il piccolo Riccardo: una culla in giro per i corridoi del Gambara intasati da genitori! Mi è piaciuto...sapeva tanto di buono. 6 CAPITOLO 3 L’organizzazione di un pasto in una famiglia numerosa non si discosta più di tanto dalle normali abitudini di una qualsiasi altra casa. Noi siamo “tradizionalisti”, quindi è la mamma che si occupa del desinare. Io – che dell’arte culinaria so ben poco – seguo soprattutto la prima colazione. Sì, in pratica scaldo l’acqua e preparo il tè. E apro i biscotti. Da bravi genitori cerchiamo di distribuire i compiti fra la truppa. Preparare la tavola, portare l’acqua in tavola, spegnere la luce in soggiorno visto che si è tutti in cucina, ricordarsi di tirare l’acqua quando si va in bagno, mettersi almeno le ciabatte, riportare le cartelle di scuola dall’ingresso alla camera, far firmare gli avvisi (o, meglio, ricordarsi almeno di farli vedere a mamma e papà!), non ruttare, mangiare senza rinnegare millenni di evoluzione della specie, chiudere la porta della lavanderia perché quando parte l’autoclave sembra di avere un jumbo in casa e... altre venti o trenta questioni. Vi siete persi? Ecco, ora capite che sensazioni proviamo io e Silvia quando un turbine di figli si abbatte sulla nostra tavola, tutti alla medesima ora, ufficialmente per mangiare. Potrei avere dei carboni accesi sulla sedia senza conseguenza alcuna perché difficilmente riesco a stare seduto per più di quattro secondi consecutivi. È un andirivieni continuo verso il frigorifero. Poi ci si alza per lavare le mani al più piccolo della tavolata (ad oggi Gabriele, perché Riccardo s’accontenta del seno materno) e, di ritorno dal bagno, si sgrida qualcuno perché non ha tirato l’acqua (come già scritto sopra...). Quindi ci si rialza per rilavare le mani al piccolo, che nel frattempo ha mangiato il tonno senza uso di posate. E, di ritorno, si sgrida qualcun altro perché non ha le ciabatte ai piedi (visto che sono in bagno abbandonate sotto il lavandino). Si va di nuovo al frigorifero in cerca di qualcosa che non c’è o che, semplicemente, non si ricordava di avere già messo in tavola. Come accorgersene, visto che davanti al proprio piatto ci sono almeno quattro bottiglie d’acqua, la birrettina, la padella con i fagioli, il pane, lo scartoccio del prosciutto, quello della coppa e il vassoio dei formaggi? Poi, addentata la mela (quella che si cercava prima...), ci si ri-rialza per lavare le mani al piccolo, sempre lui. I bambini adorano ungersi fino ai gomiti, le mamme odiano le bisuntate12 sulle pareti e sulle porte, ergo il papi13 è peregrino ad ogni pasto. Fortunatamente le due sorelle grandi, quando Gabriele acconsente, danno una mano e risparmiano al sottoscritto almeno la tredicesima/quattordicesima tappa quotidiana 12 Termine quasi intraducibile che indica le vistose macchie (visibili soprattutto in controluce) lasciate dalle mani unte dei figli in ogni angolo della casa. 13 Da ragazzo avevo sempre riservato un certo disprezzo verso i nomignoli con i quali denominare il padre. Con l’arrivo di due femmine come primi due figli è intervenuta l’implacabile selezione della specie e, anch’io, mi sono adeguato, compiacendomi di tali termini. 7 verso il bagno. Certo che, scritta così, sembra un tantino caotica la cosa. In realtà non sempre il pasto (pranzo o cena che sia, cambia poco) si svolge in quella maniera. Vi sono momenti di grande intimità domestica. Si dialoga molto in casa nostra, a tavola. I genitori devono dare udienza ai figli. Noi li amiamo e amiamo la loro vita, guai a non conoscerla! A Gabriele basta un nostro sorriso e un cenno di apprezzamento per il nuovo pupazzo che gli hanno regalato al nido perché è stato bravo. Luca, con il linguaggio in via di formazione tipico dei quasi cinque anni, ti racconta di quello che ha fatto ieri14, e chiede il tuo coinvolgimento. Giovanni e Martino ti sgranano in tre minuti tutto il vissuto della giornata di scuola. Francesca è in piena adolescenza, fa finta di essere disinteressata ma, se si accorge che disinteressato tu lo sei davvero, le viene la lacrimina e mangia con il muso per tutto il tempo. Giulia è grande e vuole discorsi da grandi. Fortunatamente io e Silvia, per l’ora di cena, siamo quasi sempre entrambi presenti, con la possibilità di dividerci nei dialoghi e nelle risposte. Esce un parlamento, ma è bello pure così! Sommate il tutto, moltiplicatelo per due, per sette giorni, per dodici mesi all’anno e capirete perché lo stare a tavola è una delle più incredibili palestre di educazione che noi genitori abbiamo a disposizione. Se perdi lì, se non ti sfianchi per mantenere lucidità, se maledici il giorno che ti è nato il settimo figlio, vuol dire che stai perdendo la tua vocazione. E, allora, son dolori… ma se, come capita in casa Milzani, vedi in ogni gesto il trionfo della vita, nei sui molteplici aspetti, caos compreso, raccoglierai tante e tali soddisfazioni che il cuore faticherà a contenerle. Immagino conosciate la mitica frase “cosa volete, oggi, bambini?” che ogni brava mamma pronuncia mentre si accinge a cucinare. Anche Silvia la conosce, e la usa pure, ma ha imparato a gestirla con intelligenza. Non si può pretendere di accontentare tutti e, ogni tanto, bisogna forzare la mano con i gusti dei figli: la mamma non è la schiava dei fornelli, cucina molto bene e quindi, cari bambini, state pronti a masticare con energia quello che c’è nel piatto, ringraziando Dio di tanta abbondanza! I capricci ci sono, sono comprensibili, ma non devono superare il 10% del tempo di permanenza a tavola. Anche perché, mentre si mangia, già può capitare che ci scappi il litigio, soprattutto con il folto numero di attori in campo in casa nostra. È la legge della giungla. Vince il più forte? Assolutamente no! È compito precipuo del sottoscritto elaborare salomoniche soluzioni di pace, sfoderando una retorica il più possibile convincente e, qualora non bastasse, impiegare l’artiglieria di una voce baritonale da Arena di Verona. L’ho scritto all’inizio: siamo “tradizionalisti” e, quando il papi s’arrabbia sul serio, meglio tacere chinando il capo sull’ottimo rancio. Ci tengo a precisare, per onestà intellettuale, che può capitare io faccia 14 NB “ieri”, per un bambino della sua età, spesso indica un giorno non precisato del passato. Ieri è tutto ciò che non è oggi o domani. 8 piangere qualcuno. Le sorelle grandi ad esempio, perché con loro si creano le tipiche tensioni fra adolescente e genitore. Con Gio a Tino15, proprio perché masculi, a volte mi capita di richiedere una maturità eccessiva rispetto ai loro otto/dieci anni. È l’errore tipico di un padre, ma sto imparando a gestirlo e evitarlo. Luca è ipersensibile e piange anche di riflesso. Quando alzo la voce mi guarda impaurito, temendo che prima o poi giri la mia artiglieria vocale verso di lui. Se poi lo faccio davvero, si chiude a riccio e non ce n’è più per nessuno; meglio lasciarlo perdere fino a quando decide di rialzare lo sguardo e smettere di piangere. Ho provato a forzarlo, ottenendo un risultato che sa più di violenza che di persuasione. Non mi piace ciò e cerco di evitarlo sapendo che tutti i frutti prima o poi maturano. Gabriele, nei rari momenti che è fermo a tavola e non in bagno a lavarsi le mani con me, ha meno di tre anni. É l’età della tecnica tri-fase16, oramai un classico in casa nostra, dato che ogni figlio, a suo tempo, l’ha utilizzata. È la più eclatante ma, forse, quella che meno preoccupa me e Silvia: quando gli sarà passata, gli sarà passata, inutile incaponirsi in un duello a colpi di minacce e punizioni. Momento particolare è sicuramente la colazione. Via! Si parte dalle cinque, cinque e mezza, con la cucina che si anima velocemente. Subito un litro abbondante di tè e qualche boccetta17 di latte (Luca e Gabri), poi si apre un sacchetto di biscotti, si mettono in tavola pane e nutella, si apre un secondo sacchetto di biscotti, si apre una confezione di brioche, si aprono i cereali (maledette confezioni che si sventrano quando meno te lo aspetti con miliardi di palline rivestite di cioccolato distribuite ovunque!) e, se ciò ancora non bastasse, si guarda uno dei genitori (il primo che si sveglia) dritto negli occhi, biascicando un “uffa...non c’è nulla che mi piace” che grida vendetta. Ultimamente18 sono io a scendere dalla camera per primo, in quanto Silvia, presa dall’allattamento notturno, è giusto che riesca a riposare il più possibile. Non di rado capita che siano i figli ad arrangiarsi per la colazione, permettendo a noi genitori di alzarci un’oretta dopo di loro19. Le sorelle sopraintendono ai lavori, i maschietti più grandi vigilano sui più piccoli e Dio veglia su tutti loro! Bello, no? In questa fase mattutina si inserisce il capitolo dei preparativi per la scuola. Con il passar del tempo ci si è dati una buona organizzazione, indispensabile se si vuole raggiungere l’obiettivo: prepararsi tutti per l’orario stabilito. Giulia e Francesca, chissà perché, mischiano le fasi, alternando un sorso di tè con il trucco, l’ultimo controllo della cartella con la fine della fetta di torta. Contente loro, sono grandi, si godano la propria autonomia, anche nel caos. Un giorno capiranno. 15 L’utilizzo di diminutivi è tipico di casa nostra. 16 Reazione che consta di tre momenti: 1) pianto a dirotto con urlo prolungato iniziale. 2) tuffo a braccia aperte sul pavimento in segno di offesa mortale ricevuta. 3) reazioni da indemoniato qualora si cercasse di tirarlo su da terra. 17 Sin. Biberon. 18 “Ultimamente”, termine che in realtà si riferisce a un periodo ormai passato, dato il lungo lasso di tempo fra una correzione e l’altra del testo. Infatti, in questo momento (11 aprile 2014), sono l’ultimo a scendere dalla camera! 19 Come già scritto, mediamente la sveglia in casa nostra inizia a suonare attorno alle cinque. 9 Da quando è arrivato Riccardo, Luca, che è nei mezzani dell’asilo, ogni tanto si mostra recalcitrante. Vorrebbe stare a casa con la mamma. Vorrei farlo anch’io... Gabriele, verso le sette, ha già riempito almeno due pannolini. È regolare come i treni giapponesi e, se ti accorgi che entro una certa ora non ha fatto ancora la seconda dose di cacca, inizi a temere che vi sia qualche problemino intestinale. Lo so, sembra ridicolo, ma è così. La vita quotidiana di un famiglia si articola anche in una miriade di piccole altre questioni che non sempre si trovano nei manuali di sociologia, ma che rivestono la loro importanza. Quando poi i figli sono sette, le vicissitudini giornaliere diventano tante e tali che obbligano i genitori e reagire in tempo zero20, abituando al contempo la prole a velocizzarsi e responsabilizzarsi. E il momento dello stare a tavola tutti assieme offre uno spaccato effettivo di tutto ciò. È un momento che amo. Frammento 3 ( 7 novembre) Davanti a me tazze ovunque, pane e nutella (fra cui una fetta mezza sgagnata: è un classico, vero?) e resti di biscotti. Le due sorelle sgambettano veloci impegnate in lavaggio capelli, denti e truccheria varia. Luca che disegna i gormiti a modo suo (con lacrimina per il contributo grafico non previsto offerto da Gabriele). In camera Silvia sta allattando il piccolo Riccardo. Mi accorgo che la cosa più estranea a questo turbine vitale resto io a perder tempo con FB! Click...spengo tutto e corro a vivere con loro! 20 Tipica espressione dell’ambiente militare che significa: immediatamente, all’istante. 10 CAPITOLO 4 Preparativi per la notte: lavaggi completi, impigiamatura nonché ultimissime raccomandazioni per il giorno a venire. Sono il labirinto obbligatorio per traghettare la famiglia dal pasto serale alla fase nanna. Se la cena si consumerà prima delle sette, entro un’oretta e mezza tutti saranno già con la testa sul cuscino, genitori compresi. È l’orario tipico soprattutto delle stagioni fredde, che sa molto di rurale, di tempi passati, quando era il sole a comandare sui ritmi delle famiglie e non la televisione. In estate invece, proprio perché in casa nostra comanda ancora il sole (anche se le diavolerie legate ad internet stanno modificando qualcosa), gli occhi si chiudono più tardi, sapendo che la scuola è ferma e quindi si riducono gran parte delle esigenze del mattino seguente. Senza esagerare però, perché la vita notturna non è faccenda per bambini. Torniamo a noi. Docce, lavaggi vari e impigiamatura, si diceva. Schema fisso in casa nostra per gestire il dopo cena. Sì, c’è anche la televisione, ogni tanto. Anche se i figli non hanno l’abitudine di guardarla a lungo alla sera e, così, mamma e papà ogni tanto hanno il loro momento piccioncini21 che fa tanto bene alla salute, oppure possono andarsene meritatamente a letto pure loro. Ciò che preferisco della sera è l’allettamento22dei più piccini. Almeno fino ai quattro o cinque anni capita spesso che si addormentino sul divano, di un sonno così profondo che nemmeno un terremoto potrebbe svegliarli. Allora ti avvicini, li afferri e, con un prodigioso colpo di reni, li sollevi portandoli verso il petto, stesi orizzontalmente, con la loro testa vicino alla tua. Immancabile scocca il bacio sulla fronte, perché fanno tanta tenerezza, abbandonati come sono fra le braccia sicure del loro eroe più grande, il papà. Dal nostro divano alla camera dei maschietti ci sono pochi metri (le sorelle abitano la mansarda, io e Silvia il primo piano) e, quindi, dopo pochi secondi di periglioso tragitto (chi può affermare di non aver mai fatto sbattere la testa del piccolo contro lo stipite della porta?) è possibile farli scivolare nel loro letto. Veloce ma necessaria descrizione della camera dei maschietti. È un’ampia sei per quattro con due mezzi letto sul lato lungo di sinistra, testa contro testa. Sotto ognuno di essi è infilato un letto a cassetto (in realtà una semplice rete con le rotelline) per un totale di quattro comodi posti. Quando per la nanna i letti sono tutti fuori, dalla parete sinistra fino al centro della stanza, è un materasso unico per tre quarti della superficie del pavimento, mentre di giorno i due letti fatti scivolare 21 Non ho vergogna ad ammettere che, pur superati i quaranta, io la signora adoriamo scambiarci coccole reciproche, magari addormentandosi davanti alla televisione. Credo che manterremo l’abitudine almeno fino agli ottanta/novanta anni. 22 “ mettere a letto”. 11 sotto gli altri permettono di avere ancora un notevole spazio a disposizione per giochi e ribalderie varie. Torniamo alla sera e immaginatevi una serie di testoline bionde che fanno capolino dalle lenzuola, una di fianco all’altra. Certi giorni vi potrà capitare di vedere dei piedi dove vi aspettereste di trovare un naso, perché ai bambini piacciono i viaggi notturni all’interno del letto. Altre volte troverete lui nel letto dell’altro, ma il risultato non cambia: un sonnacchioso mantello di pura tenerezza. Io, ancora oggi, prima di salire nella mia camera, al primo piano, devo, ripeto: devo! fermarmi almeno qualche secondo ad ammirarli mentre dormono. Mi rende felice. Di solito, così come lo fu per tutti gli altri prima di loro, mi sdraio qualche minuto con Gabriele e Luca. Ci si fa compagnia e si prega l’Ave Maria, il Padre Nostro, l’Angelo di Dio e il Gloria. Ai bambini piace sentirsi coccolati e, se ti stendi sul fianco con la tua fronte vicina alla loro, scopri un viso talmente sereno da essere una delle meraviglie di questo mondo. Gli accarezzi i capelli, tocchi la punta del suo naso, sfiori le guance con due dita, sussurrando qualche altra Ave Maria, per senso di protezione e, se ti lasci andare, ti addormenti pure tu come un bambino. Sono quelle situazioni che di giorno, mentre sei a lavoro, sembrano non avere peso, relegate nella sfera privata (come è giusto che sia). Mai nessun giornale scriverà di un padre che si è addormentato nel letto con i suoi piccoli. Nessuno. Mentre invece, quanti padri infelici che compiono gesti assurdi trovano spazio nelle cronache odierne… Forse perché hanno perso il vero senso della vita. Così pure il gusto dell’addormentarsi con i propri figli, per poi proteggerli e vederli crescere felici. Ricordo che, con Giulia e Francesca, c’era sempre il momento della fiaba, non di rado inventata dal sottoscritto, con tanto di morale intrinseca. Ecco la formichina che scappava dal gruppo in cerca di libertà e scopriva che non è tutt’oro quel che luccica fuori dal formicaio. Oppure raccontavi di quel fiore che desiderava avere i colori più belli di tutto il prato, ma solo per vanità, e si bruciava ai raggi del sole. E che dire del bambino che nascondeva i chicchi di caffè per seminarli in giardino, veder crescere la pianta così da poter bere il caffè come i grandi...? Ora non lo faccio quasi più. Non che ci sia un motivo particolare; forse perché per ogni figlio ci si comporta in modo diverso, quasi senza accorgersene. Il tempo cambia e i nostri modi di agire mutano con esso, adattandosi all’età che avanza. Ora lascio volentieri alle sorelle e ai fratelli maggiori il compito di leggere ai più piccoli le favole della buona notte. Lo fanno volentieri, crescono uniti fra di loro e maturano sentimenti di familiare condivisione. Mi sembra una buona soluzione, che dite? Pensate che, gran parte di questo libro, è stata scritta proprio nelle ore del sonno della mia famiglia, in cucina, strabiliante palestra del silenzio quando si fa tardi e ottimo rifugio per stimolare i propri ricordi. Immaginatemi a tavola, con la tovaglia ancora presente, ma piegata per metà per far posto al computer, il gomito sinistro vicino alla pila di piatti da mettere in 12 lavastoviglie23, Luca o Gabriele ancora stesi sul divano dietro di me che attendono di essere portati a letto o che, se già in camera, svegliati dalla luce o dalla semplice sensazione di presenza di qualcuno in cucina, spesso mi raggiungono singhiozzanti attorno alla mezzanotte. Questo è il mio mondo. Una presenza che si è aggiunta non da molto (poco più di un anno) è internet con Facebook. Quando scrivo sono disconnesso. Le due cose non possono coincidere, per un problema di concentrazione ma non solo. Sarebbe come aver accesa la radio mentre racconti le favole ai figli o come avere una nuvola grigia davanti alla luna mentre la scruti con il telescopio. Ricordate? E’ tardi, in casa c’è molta intimità e se dalle camere giunge un pianto sommesso di qualcuno il papà deve intervenire, senza l’ansia di dover per forza leggere l’ultimo post dell’amico. Non so quanti hanno compreso, perché oggi l’invasione della Rete è totale, ma non può essere sempre così… frammento 4 (17 dicembre) Luca quasi addormentato. Di fianco, nel medesimo letto naturalmente, Gabriele con il peluche di Hello Kitty e in mezzo a loro Giovanni (in sostituzione di uno stanchissimo papà...) che racconta ai fratellini una storia inventata sul momento, giusto per aiutarli a prendere sonno. E fuori una pazzesca luna piena che ha sciolto la nebbia per riuscire a veder pure lei questa scena di pura poesia domestica. E il sapore di questo freddo diciassette dicembre cambia... 23 Silvia, durante l’allattamento, è solita salire in camera molto presto, dovendo poi perdere parte del sonno per le varie poppate. Quindi tocca al resto della famiglia spreparare. Capita lo si faccia il mattino seguente. 13 CAPITOLO 5 Parte filosofica E’ il 15 gennaio del 2014. Carpe diem! 24Espressione tanto facile da tradurre quanto da equivocare. Voglio parlarvi di come i figli abbiamo modificato nel tempo la percezione del significato di tale frase. Da bambino non sai che vivere hic et nunc25, lo abbiamo sperimentato tutti ma non lo ricordiamo. La vita poi si complica e la fisica, con il suo gioco diabolico di azione e reazione, impone di pensare sempre a quello che si fa in prospettiva di quella che potrebbe esserne la conseguenza. Una danza con un passo avanti e due indietro, un aprire porte per chiuderne altre. I bambini, viceversa, non fanno così perché non sono così! Hanno il germe santo della spontaneità che, se non si è genitori attenti, lo si disintegra facilmente, sommergendoli di ansie e preoccupazioni eccessive. Se non studi, guai! Se non fai il bravo, non passa santa Lucia! Se oggi non fai questo, domani non sarai quest’altro! Se, se, se e ancora se!! Non sono un fine pedagogista, ma ho vissuto già così tanto tempo di fianco ai miei figli per non capire i danni del volerli adulti e maturi prima del tempo. Il loro è un sincero carpe diem!, scritto nel DNA, immediato, rischioso finché si vuole, ma probabilmente il modo più efficace per crescere in autonomia. Ora sono stanco, spengo il computer. Voi fermatevi nella lettura del libro, in modo da non avere troppo evidente la sensazione di un salto nel buio qualora proseguiste, perché passerà probabilmente parecchio tempo prima che possa scrivere ancora. Proseguirò da dove mi sono fermato, naturalmente, ma non so con quale stato d’animo o con quali idee nel cervello. Per agevolarvi chiudo il capitolo e penso chiamerò la ripresa “CAPITOLO 5 BIS”. O forse no…Buona notte! 24 Trad. “cogli l’attimo”, cit. Orazio. Più efficace sarebbe “vivi il presente”, che tiene conto del testo completo della frase: “Dum loquimur fugerit invidam aetas: carpe diem, quam minum credula postero”. Trad: “Mentre parliamo il tempo sarà già fuggito, come se ci odiasse: cogli l’attimo confidando il meno possibile nel domani.” 25 Trad. “qui ed ora”, espressione latina che indica un vivere sempre al presente, senza considerare ciò che è stato o ciò che potrà essere. 14 CAPITOLO 5 BIS Parte filosofica bis Domenica sera, è il 19 gennaio e proseguo con il capitolo 5, come promesso. Si parlava di carpe diem!, della necessità di mantenere il giusto equilibrio, con i figli, fra il nostro irrefrenabile desiderio di controllo e la loro vitale richiesta di autonomia. Una sorta di tecnica del bastone e della carota che possa lasciarci con la coscienza a posto e, al contempo, permettere ai figli di sviluppare la propria personalità. Giulia, ora nell’anno dei 17, ha sempre mantenuto una prudenziale porta aperta nei confronti dell’intervento di noi genitori. E’ matura e autonoma, ma vuole saperci presenti. Lo rassicura. Anche se a volte – sarà la post-adolescenza – non è semplice comprendere quanta corda darle, quanta zavorra togliere per farla volare in alto. Mi ricorda il mito di Icaro: lei sa di avere delle buone ali, con le quali esplorare il mondo, ma ne percepisce la fragilità, l’essere ancora di cera e lascia nelle nostre mani una fune, da utilizzare qualora si avvicinasse troppo al sole. Sa che, al momento opportuno, noi genitori potremo tirare con forza quella fune per non farla precipitare a terra. A noi il compito di vigilare sul suo splendido volo. Francesca, fra poco inzuppata nei 15 anni un po’ confusionari delle ragazzine d’oggi, ha i colori dell’anima tutti diversi. Lei la propria indipendenza se la prende quando meno te lo aspetti. Fuori controllo? La cerchi e non sempre la trovi, perché ha già fatto tre passi in più di ciò che credevi! Beata illusione di noi genitori… Ricordo la sera quando scoprii che aveva aperto il proprio profilo su Facebook, in gran segreto, avendole io in precedenza negato il permesso. “Domani mi sente, quella lì!!” Tuoni, fulmini, punizioni esemplari, ghigliottina affilatissima da padre tutto d’un pezzo pronta sul patibolo in cucina. La mattina dopo, appena alzato, tengo le polveri dei cannoni a riposo per qualche istante, poi…Poi saliamo in auto, perché la devo accompagnare a scuola e – deve essere stato un angelo di passaggio a tenermi a bada – le chiedo: “Francesca, cosa mi diresti se ti dovessi dare il permesso di aprire il tuo profilo su Facebook?”. Attimi di silenzio denso e greve, nei quali mi preparo alla sua inevitabile bugia. Che invece non arriva: “Papà, ti direi che l’ho già aperto senza dirtelo…” Perché? Perché non la solita menzogna o un balbettante “…non…non so, papà…vedi…uffa…”? al quale rispondere con la tracotante sicumera del genitore incallito. Invece, nel vedere che il suo sguardo cercava solo comprensione e non giudizio, mi sono sciolto come il burro in padella. Cotto a puntino. Questa è Francesca, e so che ci farà tribolare, ma con gioia. 15 Nei maschietti, tutti compresi fra i dieci anni e i tre mesi, si ritrova solo quel vivere hic et nunc (vedi cap. 5) che a me piace tanto. Sono spontanei, sono virgulti generosi pronti a dare i primi segnali di un gustoso frutto che sarà. Certo, Gio è un ometto al quale è possibile affidare delle responsabilità precise, e guai se così non fosse, perché ha già un discreto bagaglio di orgoglio e autostima, non sempre ben indirizzata, ma oro colato per gli anni a venire. Tino è un soldatino, permaloso come tutti coloro che sanno bene quali siano le regole da rispettare, a volte in bilico fra il giustificarsi con una bugia o il piangere se colto in flagranza di reato. Dal trattare con il suo crescere ho imparato che il sarcasmo verso i bambini di otto o nove ( o più…) anni è assolutamente deleterio: li ammazzi, li mortifichi, giri il coltello nella piaga dei loro difetti creando infezioni e ferite molto dure poi a guarire. Con Tino t’accorgi quando e se capita tutto ciò perché scoppia improvvisamente in lacrime, con una tale rabbia in corpo da lasciare sbigottiti. L’errore grave sarebbe castigarlo per la reazione, eccessiva, ma in realtà provocata dal sarcasmo subìto. Meglio abbracciarlo, dopo un paio di minuti magari, e tranquillizzare il suo respiro affannoso con parole d’affetto. Saper scegliere fra coccole e punizioni, calibrando il proprio intervento è uno dei compiti più difficili di un papà moderno26. Vi dicevo di come i figli abbiano modificato nel tempo la mia personalità; ed è proprio il rispetto delle peculiarità altrui una delle “abilità” che più ho appreso dal mio essere genitore. Amare vuol dire adattarsi, non per sforzo o per buonismo ma perché l’altro, chiunque esso sia, merita un’approfondita conoscenza prima che intervenga il nostro diabolico desiderio di giudicare e, sovente, di condannare. Il mio Luca (5 anni domani!) è talmente particolare che spesso mi mette in seria difficoltà, quasi non lo conoscessi. Eppure è mio figlio, il quinto per di più! Se con lui sbagli una parola o un atteggiamento - che magari il giorno prima aveva funzionato - lui si blocca. E non si capisce bene il perché, tanto da farti venire al nirvùs27. Poi inizia a piangere e tu pensi di fiaccarlo con le minacce, scoprendo in fretta che stai perdendo tempo. A volte lo osservo per cercare di capire, anche solo da una sfumatura del suo sguardo, il cosa e il come fare per giungere ad una soluzione. Gli esperti parlano di linguaggio non verbale che comunica più delle parole. Probabilmente non hanno mai conosciuto mio figlio Luca… E Gabriele? Beh, per lui non vale il carpe diem!, l’hic et nunc o chissà quale altro detto latino, ma un ben più prosaico faso tuto mi28 che ti spiazza davanti ai sui tre anni ancora da compiere. Lui deve fare, brigare o perlomeno provare, fosse anche la costruzione dello Shuttle ( i bambini non sanno porsi limiti), prima di chiedere il nostro29 intervento. Non sempre finisce bene, perché non sempre sei lì ad evitare 26 Vedi capitolo successivo. Trad. “il nervoso”, tipica espressione bresciana che indica uno stato molto vicino alla collera. 28 Trad “voglio fare tutto io”, modo di dire dialettale veneto che indica una smisurata predisposizione al voler fare tutto senza l’aiuto di nessuno. 29 “nostro”: di me e Silvia. Nel rileggere le pagine fino ad ora scritte mi rendo conto di come non sempre sia ben chiaro quando il soggetto che interviene sia solo io o solo Silvia o entrambi. Urge un chiarimento. In quanto 27 16 guai, bicchieri in terra, fiammiferi accesi, acqua ovunque, ecc.ecc. Alzi la mano chi non ha vissuto esperienze simili anche sul lavoro, con colleghi estremamente intraprendenti ma dai risultati alquanto alterni. Non si smette mai di fare roèrs!30 Orazio forse non pensava al mio Riccardo ma, eccolo lì, con i suoi tre mesi31 e tutto da carpire, al presente, senza preoccupazioni per il domani. Ti guarda sgranando gli occhi, liberi finalmente dalla semi cecità dei primi giorni di vita. Le manine si alzano e toccano ciò che casualmente gli è vicino. Non temono nulla, non sanno cosa sia lo scottarsi, non sanno quanta forza serva per afferrare e così la applicano tutta non appena gli si mette qualcosa fra le dita. Stringe forte, deve capire, sentire, non perdere il contatto. E se graffia il viso del fratellino che, imprudentemente, staziona a due centimetri dal suo naso, si spaventa se quello poi piange e chiama la mamma. Lui, Riccardo, non sa cosa vuol dire “far del male”, il suo è solo un primo incontrollabile desiderio di conoscere. Tattile finché si vuole, ma essenziale, perché da ragazzo riscoprirà le medesime sensazioni quando i primi innamoramenti arriveranno a turbare la pigrizia dell’adolescenza. Anche allora alzerà le mani, quelle del cuore, sapendo che non ci si potrà scottare, perché lei sarà bellissima, con i due visi a misurarsi a pochi centimetri l’un dall’altro. E, forse, anche allora ci saranno graffi, inaspettati e profondi… Perché, in fondo, si rimane tutti sempre un po’ bambini. Frammento 5 (12 gennaio 2014) Io e Silvia via da casa da venerdì sera a oggi pomeriggio. Francy con noi a far da baby sitter a Riccardo e Giulia a casa con gli altri quattro fratelli. Probabile e intenso lavoro di una schiera di angeli custodi (suocero compreso!!) ma anche due figlie meravigliose che crescono, maturano, comprendono...E noi genitori con quella positiva sensazione che le fatiche educative non sempre rimangono disattese. Ogni giorno che passa mi rendo conto di come i tanto vituperati giovani d'oggi sappiano sorprendere quando si investe nel loro reale benessere educativo, quando li si responsabilizza e quando si cerca di rimanere credibili nell'essere adulti e guide. Il resto ce lo mette la Provvidenza... sposi, io e lei siamo una cosa sola, ergo il problema in realtà non sussiste. Nello scrivere, penso sempre a noi come coppia unita, quindi non do mai troppo peso al “nostro” o al “mio” o al “suo”. Siamo genitori, cioè un tutt’uno e basta. 30 Trad. “rovesci”, intesi come “danni”. Espressione tipica bresciana. 31 Di questo passo terminerò il libro con Riccardo probabilmente già all’asilo. Fate uno sforzo di comprensione se, nelle pagine successive, lo doveste trovare già in grado di camminare. 17 CAPITOLO 6 In casa nostra il termine “punizione” gode di un discreto diritto d’asilo. Quando ci vuole, ci vuole. La santa sculacciata arriva sulle chiappette soprattutto da parte del papà, mentre la mamma è più quella della sgridatona improvvisa e schioppettante. Teatro statisticamente in cima alle solenni dichiarazioni d’intenti di noi genitori è la tavola, all’ora dei pasti. Vi descrivo una scena tipo. Siamo in cucina, seduti alla nostra panca angolare (in massello di olmo32); io a capotavola, sul lato corto aperto verso la porta d’ingresso della stanza. Subito alla mia destra Silvia, seguita solitamente da Giulia. Proseguendo in senso antiorario, di fronte a me, all’altro capotavola, un po’ alle strette in quanto in due sul lato corto, pasteggiano Francesca e Giovanni. Sul lato lungo alla mia sinistra ecco il triomeraviglia: Martino, Luca e Gabriele. E Riccardo? O alla tetta della signora, o sulla mia coscia a tirar la tovaglia. D’improvviso esce uno degli argomenti tabù tipici di una famiglia numerosa: l’ordine nelle camere. Immaginate la preoccupazione negli occhi dei due maschietti più grandi (Gio e Tino) quando il sottoscritto sciorina vocaboli tipo: “pazzesco”, “schifo”, “impensabile” e il sempre alla moda “ma-come-si-fa??!!!”, solitamente spiattellato alla conclusione della filippica. Gabriele se la ride, perché non ha ancora tre anni e il reato, in una sorta di prescrizione al contrario, decade ancor prima di materializzarsi. Luca è meglio non coinvolgerlo, perché non pianga subito, altrimenti mi viene il magone e perdo di credibilità. Tino ha una tale naturalezza nel NON ammettere le proprie colpe che quasi ti vien voglia di credergli. E poi ha quella faccetta da simpatica canaglia che è un’arma di autodifesa micidiale. Giovanni inizia i suoi mugugni incomprensibili da pre-adolescente, ben sapendo che non è ancora giunta l’età del ribattere alle ringhiosità paterne, ma qualche abbozzo di autodifesa lo si può imbastire; così, pian pianino, l’atmosfera si carica di tensione e…bumm!! Arriva il castigo, il fulmine divino che cade su permessi per la televisione, uscite varie all’oratorio, giochi al computer, carte di Yu-ghi-ho33. A seguire una lagna di “uffa”, “ecco, lo sapevo…”, “non è giusto”, che ha l’effetto di caricare ancor di più le polveri alle armi. Perché la vera lotta arriva solo ora: le due sorelle maggiori! Voto alla loro camera34 stilato dalla mamma: tre, di fiducia. Giulia, che ha un 32 33 34 Precisazione fatta non per sfoggio di chissà quale lusso, ma solo perché è stato un regalo – assolutamente a sorpresa – che feci a mia moglie per la nascita di uno dei figli. Splendido ricordo. Diabolico gioco di carte da collezione e combattimento (giapponesi, naturalmente) che sembra aver infettato una generazione intera di bambini gottolenghesi. Ancora ignoto il vaccino. NB stanza di oltre 24 metri quadri, quindi ben più grande della media delle camerette moderne. 18 senso dell’ingiustizia oserei dire quasi biblico, è quella che mi sfida più apertamente, dall’alto dei suoi quasi diciassette anni. Parla di ore passate a studiare, a tenere Riccardo mentre la mamma è impegnata con le lezioni di matematica, di tavole preparate e lavastoviglie caricate, ecc.ecc. “Non ho avuto tempo”. Forse sarà che io preferirei un onorevole silenzio a quel suo continuo ribattere (perché chiunque rimarrebbe scioccato di fronte al reato contro l’umanità perpetrato in quella stanza) ma, tutto ciò, mi porta all’esplosione. Se poi sua sorella Francesca c’attacca le scuse in adolescenziese35 la frittata è fatta. Il papà è ufficialmente incazzato a mille! Con loro due stabilire punizioni è allo stesso tempo più facile e più difficile. No, non mi sono bevuto il cervello. Più facile perché vi sono maggiori possibilità di scelta nel carnet delle sanzioni. Si va dall’obbligo di tornare subito a casa la sera dopo la celebrazione della Messa (di solito vanno entrambe il sabato sera, fra le 19.30 e le 22 circa), senza possibilità di sosta con amici o morosi36, all’obbligo di consegna di tutti i supporti informatici possibili appena toccato il sacro suolo domestico; fino all’obbligo (ma non si era poi partiti da lì?) di riordinare periodicamente la camera, che non dovrebbe essere una punizione ma un semplice dato di fatto. Allora, dove sta la maggiore difficoltà? Nel fatto che, saranno i quasi quarantadue anni, sarà la consapevolezza più volte già scritta che non amo procedere a colpi di scure, sarà che noi padri con le femminucce di casa ci sciogliamo in fretta, ma rendere esecutive le sentenze è sempre più una sofferenza. Chissà come, le due sorelle sembrano accorgersene subito e iniziano a sfiancare le difese paterne - e anche della signora - con una sfilza di pregiudiziali di non colpevolezza. Fate pure scommesse su chi, di solito, l’ha vinta. Apro una parentesi seria. Avrete notato il termine “obbligo”, sottolineato non a caso. È il nodo della questione, per gestire una famiglia numerosa come la nostra. Posso citarvi decine di pedagogisti che hanno messo alla gogna ogni severità eccessiva, così come è possibile trovare studiosi di ogni tipo che puntano il dito sull’incapacità di educare alle regole da parte di noi genitori. Se tornate alla premessa di questo libro, vedrete che avevo fin da subito specificato il mio intento “umile”, da padre e non da “-ologo”. Ecco la soluzione che, nel tempo, sto verificando essere la migliore: si chiama amore, amore educativo all’ennesima potenza. Significa che io ti obbligo perché conosco l’entità del tuo errore, voglio fartela capire, voglio trasmettere a te la mia esperienza senza massacrarti. Perché l’amore genitoriale è una cosa tremendamente seria e, quando manca, fa danni enormi, e non c’è bisogno di una laurea per capirlo. Sì, oggi la punizione è arrivata sul serio, te la meritavi, hai l’età per capirlo, magari non subito, mentre scappi in camera per piangere a dirotto. Dopo, a mente fredda, quando verrò a cercarti per riportarti al nido domestico, sono sicuro che avrai 35 Linguaggio basato su termini monosillabici ed espressioni standard che sembra impossessarsi dei ragazzi dai tredici/quattordici anni in su. 36 Francesca, nel tempo che ho iniziato questo libro, ha conosciuto un ragazzo. Lei lo chiama “uscente”, in puro adolescenziese, io “moroso”. Come una volta… 19 scoperto la ferita essere non così profonda. Come genitore non vorrò mai umiliarti, perché la correzione che passa attraverso le umiliazioni continue rende probabilmente molto forti, ma pure molto duri di cuore. E non vorrò mai immaginare i miei figli come persone dure di cuore! Abbiamo già avuto due guerre mondiali, altre non ne servono, non servono altri uomini “forti”, ma piuttosto persone di generosa disposizione al coraggio del servizio verso il prossimo. Si chiama amore, perché preferirei riordinare io mille volte la camera al tuo posto piuttosto che darti una sonora lezione ma, se dopo, fuori dalle rassicuranti mura domestiche, tu trovassi una società spietata e profondamente ingiusta, come reagiresti? Fuori, di amore, se ne respira poco ultimamente, se non quello che tu, da figlio ben educato (cioè “educato al bene”) potrai regalare agli altri. Preferirei avere sempre e solo il sì sulle labbra, con le mani aperte ad offriti tutto ciò che chiedi. Eppure devo lottare quotidianamente con chi ti vorrebbe vederti frustrato per tutto quello che non hai, mentre tu stai imparando a gioire per ogni grammo di vera vita che respiri nella tua casa. Devo lottare con chi mi vorrebbe genitore di serie B, perché tanti figli sono un irresponsabile rischio per la povertà, ma ad ogni consegna delle pagelle scolastiche si chiede “come faranno?”. E allora ben venga un salutare no!, che in realtà è il tranquillo arrivederci! ad una sana e consapevole età adulta, dove il seme prende nuova forma e si raccoglie frutto. Perché amare significa anche vedere una generazione in avanti. Ecco l’unico vero obbligo che mi sento di trasmettere ai miei figli. Da genitore cristiano è quello di amare, amare, amare. Tutto il resto verrà di conseguenza. Sono passati mesi da quando ho scritto quel che avete appena letto. Vi devo confidare che, seppur sembra poco tempo, la velocità di crescita dei figli è tale che vorrei quasi riscrivere tutto, ma preferisco chiudere qui il capitolo. Sta nascendo un libro “sconnesso”, cosa volete farci, io ce la sto mettendo tutta. 20 CAPITOLO 7 La scuola (parte prima) Dall’asilo all’università. Vi sarà un momento, prima o poi, nel quale in casa nostra ogni ordine di studio sarà vissuto da qualcuno. Se pensate a ciò capirete fin da subito il perché io e Silvia abbiamo sempre posto molta attenzione alla scuola. Aggiungete il fatto che io avrei voluto insegnare, che mia moglie lo ha fatto (per un breve periodo, in un istituto agrario) e continua a dare lezioni di matematica. Vivere il rapporto discente / docente rimane uno dei momenti più significativi dello sviluppo di un bambino e, noi genitori, dobbiamo far di tutto per collaborare alla piena riuscita di questa fase tanto delicata. Ricordo la nostra Giulia i primi giorni d’asilo e i primi giorni alle elementari37. Poi le medie e ora già le superiori. Nel mezzo tre riforme (Moratti, Fioroni e Gelmini) che hanno continuamente ridisegnato i contorni della scuola, ma l’atteggiamento mio e di Silvia non è mai cambiato: collaborare con essa, darle referenza perché i figli la riconoscano sempre come un elemento essenziale della loro vita educativa. Credo che una parola magica sia “responsabilizzare”. Nel modo corretto, in base all’età, in base alle esigenze del momento, senza isterie inutili ma senza lassismo. All’asilo puoi già parlare di regole, da seguire responsabilmente. Lavarsi le mani, non picchiare il compagno, rispettare gli orari, ecc.ecc. Alle elementari puoi (e devi) pretendere la cura per il materiale scolastico38. Si inizia a studiare, a dedicare del tempo ai compiti. Il tutto prosegue alle Medie, con i cocci della pubertà che si materializzano nelle mura impreviste dell’adolescenza. Sembra che in tre anni tutto cambi, ma, in realtà, deve progressivamente aumentare il livello di responsabilità oggettiva in carico ai figli, per evitare che le Superiori diventino lo scoglio dove naufragare. Per l’università? Vi dirò appena la prima, Giulia, vi arriverà, fra qualche annetto ancora. Chiudo qui la “parte seria” relativa alla scuola, perché il mio non vuol essere un trattato di pedagogia e perché vi sarete già annoiati, giusto? Frammento 6 (9 novembre 2013) Sono innamorato di mia moglie e della mia famiglia. Attualmente non conosco altro modo per essere felice o, meglio, così felice! L'ho già detto? L'ho già pubblicato altre volte? Insisto: investite nella famiglia, nei figli, abbandonate l'insano edonismo degli anni '90, lasciate che il progetto "coppia-figli-futuro" vi travolga!! Il pessimismo è armato di mille argomentazioni, è vero. Ma il donare la vita non retroceda mai dall'essere obbiettivo primario. 37 38 Quella che ora si chiama “scuola primaria”. Seguono la “secondaria inferiore” e la “secondaria superiore”. Noi abbiamo sempre scelto materiale di buona qualità, cercando di far capire ai figli che la scuola è un investimento che merita. Se i pastelli finiscono si comprano subito. Zaino robusto (indipendentemente dalla moda del momento), quaderni di riserva sempre a disposizione, ecc.ecc. 21 CAPITOLO 8 La scuola (parte seconda) Prendere lo zaino, fare colazione, riprendere lo zaino, terminare la colazione, uscire di casa, rientrare per prendere il libro dimenticato, uscire e salire sull’auto del nonno, vestire Gabriele, lavare tutto il lavabile (del corpo) di Luca, vestirlo, lavare il musetto di Gabriele (ma non doveva essere già stato fatto?), mettere il fazzoletto nel grembiule, dare il bacetto d’addio quotidiano, ricevere i saluti dei figli, sgridare qualcuno (a turno) perché non si trovano mai tutte e due le sue scarpe, firmare l’avviso di Giovanni, firmare l’avviso di Martino, firmare il compito in classe di Giulia, inveire con Francesca perché è ancora in bagno e il nonno sta già partendo, non sbattere la porta di casa, prendere l’ombrello, mettere giù l’ombrello perché è rotto, cambiare il pannolino, rilavare le mani a Gabriele che ha voluto dare un ultimo morso alla fetta di pane e nutella, ecc.ecc. Contate: 11 righe, 144 parole, 24 virgole, il tutto senza un punto. Il mattino, per andare a scuola, inizia pressoché identico tutti i giorni. Scegliete voi l’ordine dei fattori, ma il risultato non cambia. Un fiume di azioni che va gestito con la maggior calma possibile, anche perché è solo l’inizio della giornata scolastica di casa Milzani. Io e Silvia non facciamo mai direttamente i compiti ai nostri figli, ma li aiutiamo tutte quelle rare volte che ce lo chiedono; quindi, non sempre siamo aggiornati su quanto accade a scuola in termini di programma. Fortunatamente sono loro a darci informazioni, piuttosto puntuali, sulla vita scolastica. Scrivo questo perché oggi sembra che lo sport preferito delle mamme sia l’eseguire i compiti al posto dei figli, nonostante le tassative indicazione delle insegnanti a lasciar perdere tale autolesionistica attività. Autolesionistica sia per la mamma, che deve studiare sempre più a mano a mano che gli argomenti si complicano, sia per il figlio, che, riassumendo, diventa un lasarù39. Capite bene che, in caso di uno o due pargoletti, ancora ancora la tentazione può venire, ma quando il numero dei soggetti coinvolti (e degli argomenti da conoscere) aumenta notevolmente, non rimane altra strada che eseguire una buona funzione di controllo sui compiti e sui voti, dimostrando reale interesse per la carriera scolastica dei figli40 ed evitando inutili mal di pancia quando i buoi non solo sono usciti dalla stalla, ma sono già morti in mezzo all’autostrada. Persona di fiducia per una famiglia come la nostra è la cartolaia del paese (per noi è la mitica Ornella…), che conosce alla perfezione le mille tipologie di quaderni, matite, fogli, tempere, gomme e tutto quello che può essere inteso come “materiale scolastico”, tipico della scuola moderna. Quando le chiedo un quaderno lei mi domanda per quale figlio serva e, di conseguenza, mi da quello con le righe giuste e,vi assicuro, non è cosa da poco. 39 40 Trad. “lazzarone” Io e Silvia, pur non avendone stretta necessità dato gli ottimi voti di tutti i nostri figli, siamo sempre andati ai loro colloqui, anche per dare l’importanza che merita al loro impegno e lavoro costante. 22 Oramai il tonnellaggio raggiunto dai libri di testo, a partire soprattutto dalle Medie, ha raggiunto livelli record. Lo sforzo di digitalizzare parte dei testi scolastici è iniziato proprio in questi ultimi due anni, ma ancora si attendono risultati effettivi in termini di costi e di… peso! Non vi nascondo la preoccupazione di quando vedo le schiene dei miei figli piegarsi sotto il peso di zaini straripanti, trasformandoli in veri e propri sherpa dell’istruzione dell’obbligo italiana. Sono sicuro che cambierà, prima o poi. Come già accennato in precedenza, io e Silvia abbiamo sempre evitato di “parlar male” della scuola, degli insegnanti soprattutto, davanti ai nostri figli. Sarebbe come segare il ramo sul quale sono seduti. Meglio di no, giusto? [quest’ultimo pensiero meriterebbe una degna prosecuzione. Viceversa, scelgo di chiudere qui, lasciando alla vostra coscienza ulteriori riflessioni sull’universo scuola. Utilizzate i miei pensieri come semplici spunti di riflessione, potrebbero tornarvi utili, un giorno…] Frammento 7 (14 maggio 2014) Riccardo + girello + cassetti/ante della cucina = mini Indiana Jones all'opera! Gabriele + fame + torta = la festa delle briciole! Luca + televisione + Peppa Pig = statua sul divano! Giovanni + fretta + vestiti da indossare spariti = disperazione! Francesca + trucchi + corriera in arrivo = appuntamento mancato! Papà + mamma + mantenere la calma = indispensabile sopravvivenza! Una normale mattina da noi... 23 CAPITOLO 9 Dio Ho deciso di inserire una breve sintesi della mia conversione, del mio passaggio da “filosofo che sa tutto della vita” a “cristiano che ama tutto della vita”. Si parla di Dio, naturalmente. Chi non fosse interessato potrà passare direttamente alla Parte Seconda del libro, appena dopo questo capitolo. Fino ai diciotto anni ho frequentato molto, ma molto poco la chiesa, preferendo il dormire alla messa domenicale e ricevendo i Sacramenti con quella sorta di curiosità mista a disinteresse tipica di molti degli adolescenti. Nulla di strano, considerato la generale disaffezione per la dottrina cristiana dei nostri tempi. Adoravo, alle Superiori, la filosofia, così come la seguo ancora. E il discorso su Dio, al di là di tutto, mi aveva sempre incuriosito. Mi piaceva confutarne l’esistenza o, quantomeno, dimostrarne l’inutilità. Avevo una vita molto intensa, piena, emozionante, fatta di Magistrali a Brescia, Conservatorio a Mantova, Banda di Leno, di Gambara, di Desenzano, di Dosolo (viaggio in Ungheria), Orchestra Città di Verona (un mese a Parigi…). Ho conosciuto Silvia nell’estate del 1990, in mezzo a questo marasma di attività. Mi ha messo in contatto con una fede matura, concreta. Ho scoperto che si può arrivare vergini al matrimonio, anche nel XX secolo. Mi ha fatto conoscere il Cammino Neocatecumenale. Mio padre, a seguito di un banale incidente, nel dicembre del ’90 (pochi mesi dopo, quindi, che io e Silvia eravamo assieme), perse una gamba per l’incompetenza di un paio di medici, intervenuti in tale ritardo su una frattura da dover poi essere costretti all’amputazione dell’arto (appena sotto il ginocchio). Nell’autunno del ’90, libero finalmente dalle Magistrali, ero pronto a gettarmi a capofitto negli studi musicali ma, dopo l’incidente, iniziai ben presto a lavorare part-time in un guantificio del paese, per aiutare in casa, non avendo più noi (tre fratelli e la mamma) l’introito del papà, elettricista artigiano. Il resto della giornata studiavo, andando a Mantova per le lezioni tutte le volte che era possibile. Fu in quel casino che sentii maturare un forte desiderio di Dio. Silvia mi sostenne in quella inaspettata situazione, attendendo con infinita pazienza che io trovassi i germi di una fede probabilmente mai cancellata del tutto. Nel ’91, sotto Pasqua, mentre mio padre era ricoverato vicino a Bologna per la preparazione della protesi, entrai a far parte della “mia” Comunità, sfidando apertamente il disappunto dei miei genitori che, come molti a Gottolengo, erano assolutamente contrari al “fanatismo” (che poi scopriranno essere ben altra cosa) dei neocatecumeni. Potrei scrivere un libro a parte su ciò che accadde da quella primavera in poi ma, vi basti sapere che, con assoluta certezza, ho maturato proprio grazie al mio riavvicinamento a Dio quel desiderio, quella intima vocazione a essere marito e padre che oggi sostiene la mia vita. La passione per la musica non è mai sparita, ne mai sparirà, pur restando sempre in secondo piano. Poco dopo, un annetto circa, anche i miei genitori entrarono a far parte del 24 cammino neocatecumenale, verificando che il loro pargoletto (io sono il più piccolo dei tre fratelli Milzani) non era impazzito del tutto. Ho scoperto, in tutti questi anni, la veridicità della Provvidenza, la forza del perdono reciproco fra marito e moglie, la bellezza dell’apertura alla vita, il sostegno insostituibile della preghiera nei momenti, e non sono stati pochi – vi assicuro - , di grande difficoltà passati in casa nostra. La vita è una questione tremendamente seria. Non aggiungo altro, perché, probabilmente, già la lettura del libro vi avrà fatto intuire quanto il “discorso su Dio” pesi nella mia vita, nel mio matrimonio e nella mia famiglia. Ultimamente, quando mi ritrovo a parlare della mia fede o a esternare opinioni in merito a fatti di cronaca che interrogano la mia coscienza, mi rendo conto di come l’esperienza di crescere una famiglia numerosa mi stia insegnando ad essere più rispettoso nei confronti di quanti non credono in Dio o rifiutano la Chiesa. È innegabile, infatti, che il rischio del fariseismo sia sempre dietro l’angolo. Ma, come con i figli non voglio che assorbano inutili dogmatismi, che offuscherebbero la spontaneità del messaggio cristiano, così con gli altri cerco di moderare la mia sicumera da super-cristiano. Non sempre ci riesco, eppure, aiutato dalla mia Silvia, penso di essere sulla buona strada per trasmettere la mia fede più con i fatti che con tante roboanti parole. Amen. 25 PARTE SECONDA IL NOSTRO VOCABOLARIO Ecco il classico gioco basato sulla successione delle lettere dell’alfabeto, vissuto in compagnia della mia famiglia. Seguitemi. A… questa è facile! Amore! Cosa faremmo senza di esso? I figli sono il dono di un atto d’amore e l’educazione non può farne a meno. Potrei scrivere un libro a parte su quanto io sia debitore verso questo incredibile sentimento. Sì, debitore, perché ho ricevuto molto più di quello che ho dato. Pensi di conoscere cosa sia l’amore, fino a quando non ti innamori sul serio e cambi idea. Fino a quando non vedi Silvia accogliere in grembo un figlio, e cambi ancora idea. Poi arriva il settimo e, finalmente, puoi gridare a gran voce: “Sì! Non capirò mai cosa sia l’amore, ma non posso farne a meno, perché è tutto ciò che mi rende vivo e felice!”. È un’esperienza concreta che coinvolge tutti e cinque i sensi e, qualora ce ne fossero altri due o tre, coinvolgerebbe anche quelli. Relegato nell’intellettualità è simile a un leone in gabbia, ne senti il ruggito, ne ammiri la forza, ma rimarrà sempre prudenzialmente lontano. Questo, in una famiglia, non deve accadere: bisogna quotidianamente sporcarsi le mani con l’amore, lasciarsi coinvolgere, riceverlo e donarlo in continuazione. B… come “bambino”. Sono meravigliosi, i bambini. Crescono, cambiano e ti cambiano, danno senso al domani. Io e Silvia ci conosciamo dal 1990, ma ogni giorno impariamo a conoscerci sempre più anche tramite il rapporto con i nostri figli. Perché un adulto prima è stato un bambino e, quando si trova circondato quotidianamente da sette “di loro”, riscopre parti di sé che aveva rimosso, soprattutto quella spontaneità del vivere che aiuta molto a non prendersi troppo sul serio. C… le “coccole”. In casa Milzani sono d’obbligo, ad ogni livello. Non se ne può fare a meno, fra marito e moglie, fra genitori e figli, fra fratelli e sorelle e in tutte le salse possibili. Una coccola non è solo una questione di tipo fisico, ma si veste di sorriso, di tenerezza, di attenzioni. Stasera Gabriele, dal divano, mi ha chiamato perché mi sedessi vicino a lui. Anche questo è fare una coccola. Riccardo, nel prenderlo in braccio, ha imparato ad appoggiare la sua guancia alla mia. Altro modo di coccolarsi… E così via, perché potrei scrivere mille altre cose, ma chi ha già provato il sapore dell’affetto, dell’intimità, mi ha capito. Gli altri? Capiranno al momento opportuno. D… ecco a voi il “divano”. Strumento essenziale di socializzazione familiare. Luogo di riposo, d’incontro e di scontro. Cuscini comodi sui quali poggiare il capo, 26 cuscini volanti per guerre improvvisate. Ci si può accomodare sulla seduta centrale (come logica e consuetudine vorrebbero), ma non è raro vedere figli svaccarsi41 sui braccioli, sullo schienale posteriore o su altri componenti della famiglia (leggasi papà). Immaginarlo significa immaginare non “un” ma bensì “il” divano: abbiamo solo quello. È un luogo ben preciso, topos strategico e punto d’osservazione privilegiato per il televisore. Leggendaria è la capacità di detto pezzo d’arredo a fagocitare (sotto di esso) ogni qualsivoglia genere di scarpa, indumento e/o giocattolo, mettendo a dura prova sia la pazienza che la schiena di mamma e papà. È vero, siamo nella cucina, che diventa sala da pranzo, soggiorno, studio e tutto quello che le esigenze del momento suggeriscono; ma il divano resta, sempre e comunque, un perno della quotidiana vicenda del vivere di casa Milzani. Rigorosamente sfoderabile, lavabile e robusto. Per il rivestimento in vera pelle, bianca e immacolata si aspettano tempi meno rischiosi. E… tante “emozioni” da queste parti. Le nascite, in primis. Nove mesi pesanti per Silvia e poi la gioia. Sette volte, sette volte diverse l’una dall’altra. Sette per sette quarantanove, per mille (moltiplicatore applicato dal sottoscritto) fa… una sacco di emozioni! Poi arriva la scuola, con il proprio universo da scoprire e ora iniziano ad arrivare pure i morosini. Non ci si annoia, mai. Tenete presente che io sono un emotivo di bestia42 e quindi adoro sguazzare nelle vicende della mia famiglia, proprio perché sono continua fonte di emozioni, non sempre del tutto positive, ma necessarie per elettrizzare e rendere interessante lo scorrere del tempo. Che è così veloce… F… di “famiglia”. Il senso della vita. È un ambito complessivo nel quale trasmettere la vita. È l’utero materno della società e in esso cresce la vita. È palestra di sentimenti, di emozioni, di risate, di pianti, di cultura, di vita. È il momento centrale nel quale il tempo si declina in ogni aspetto della vita. È il modo concreto con il quale Dio ha deciso di salvare la mia anima e la mia vita. Se non vi siete accorti della ripetizione della parola “vita” cestinate immediatamente il mio libro. Se avete provato fastidio per la ripetizione della parola “vita” cestinate il mio libro. Se avete ben compreso il valore della ripetizione della parola “vita” proseguite pure con la lettura del mio libro. G… come “genitore”. I genitori sono coloro che hanno messo al mondo i figli, sono coloro che prestano al mondo il desiderio di Dio di amare e creare. Silvia ed io, due in una sola carne. Si cerca la felicità, la si offre a tutti, indistintamente, perché il verbo più bello che un genitore possa applicare è “donare”. “G” come “grazie!”, sì, col punto esclamativo. Perché nella numerosa famiglia 41 Termine popolare che indica un modo di utilizzo più simile allo sdraiarsi del bovino che all’accomodarsi dell’essere umano. Ne sono veri esperti ed interpreti i figli maschi dai 6/7 anni in su. 42 Espressione gergale tipica della provincia di Brescia, e non solo. Indica esagerazione, intensità. 27 Milzani si fa di tutto, ma veramente di tutto, per dare seguito ai desideri (leciti) dei figli, ma quel tutto non è dovuto. Non abbiamo, in casa nostra, il giardino del Re con l’erba voglio, quindi un bel “grazie!” è sempre il benvenuto, dato e ricevuto. H… lettera complicata. Vediamo… L’unica parola che mi viene in mente è “halleluja”43. È un’esclamazione di gioia, un rendimento di grazie. Mi piace perché fa venire in mente la messa, punto fisso dell’educazione alla fede per in nostri figli. Evitiamo dogmatismi e rigidità, ma ogni bussola deve avere il proprio polo magnetico di riferimento e noi abbiamo scelto quale nord seguire. I… che sta per “impegno”. Fare, fare e disfare e poi fare ancora. È il contrario della pigrizia, male subdolo di ogni età. Certo, non c’è da esagerare altrimenti escono stress, ansie di ogni genere e tensioni eccessive. Una famiglia numerosa richiede molto impegno nella conduzione, così come ne ha richiesto altrettanto nella formazione. I figli capiscono molto presto quale sia il significato e il sapore della parola impegno, anche se non è automatico che ne accolgano il retrogusto di fatica e sudore. Per questo serve l’aiuto di noi genitori. Silvia è fantastica da questo punto di vista: non manca mai di impegnarsi nella vita di ogni giorno, come moglie, come madre, come insegnante di matematica (lezioni private). Può anche andar giù di testa ogni tanto44, ma il suo esempio è oro colato per i nostri figli, vale più di mille discorsi. Io, da par mio, cerco di comunicare a loro quanto sia importante impegnarsi anche nei confronti della società civile, di coloro che sono meno fortunati di noi. So per certo che ognuno dei nostri sette figli ha tanto da offrire, perché l’uomo in sé è una creatura meravigliosa, sempre in grado di sorprendere quando avverte primario il desiderio di impegnarsi per il suo prossimo, allontanando le egoistiche pulsioni che attraversano sempre più il mondo odierno. L… perdere la “lucidità” è una sensazione molto particolare che non auguro a nessuno. Se capita a me, Silvia me lo fa notare quasi subito, e viceversa. Quando capita a tutti e due in contemporanea, beh… Son dolori! Perché scrivo questo? Forse per evitare che qualcuno di voi possa pensare alla famiglia Milzani come a qualcosa di perfetto, dove tutto scorre sempre liscio come l’olio. Non è così, sarebbe innaturale. Errori se ne fanno, la stanchezza può prevalere quando meno te lo aspetti e, trak!, la lucidità viene scalzata da momenti di isteria e rabbia. I figli più grandi comprendono e aspettano che passi il temporale, gli altri, probabilmente, rimangono più scossi e sorpresi. Fortunatamente l’abitudine a gestire le pressioni familiari porta 43 In realtà, la parola originale non porta la “h” come iniziale. Utilizzo la versione anglosassone per uscire dall’empasse. Mi sia concesso… 44 Alzi la mano chi, al suo posto, ogni tanto non darebbe sintomi di cedimento di fronte alle difficoltà nel gestire una casa con sette figli e un marito! 28 ad acquisire una notevole capacità di ripresa in termini di lucidità, quasi una famiglia numerosa fosse al contempo malattia e medicina. L’avanzare dell’età fa il resto, con la pazienza che prende il posto della rigidità, quasi in una forma di autodifesa mentale per evitare che la scarsa lucidità si trasformi in follia! M… come “mamma”. Questa è facile. Non esiste parola dal suono più dolce per l’orecchio di un bimbo. Ineluttabilmente donna, la mamma è il fulcro insostituibile della famiglia. Regola primaria in casa nostra è il rispetto della mamma, che va protetta dal papà, aiutata, amata, onorata. I figli guardano e apprendono che il legame mamma/papà è basato sull’amore e sul rispetto. I litigi ci sono ma non cambiano questo assioma. La mamma non è solo lavatrice, stiratrice o donna delle pulizie, ma è colei che ti ha dato la vita, che ti ha allattato per mesi, che ti accudisce quando serve, che ti educa, che sta spremendo il proprio corpo e la propria mente per offrirti il meglio che ha in sé. Scusate se è poco. N… eccoli, i “nonni”! Come farne a meno? Silvano e Giuseppina, Carlo con, dal Cielo, Raffaella45. Hanno un sacco di difetti? Viziano i loro nipotini? Li vorresti più così o più cosà? Potrebbero fare di più? Sono di una generazione molto diversa e capiscono poco? Se la pensate così, cestinate il mio libro, perché io posso solo affermare con assoluta certezza che dovrei baciare il suolo sul quale camminano i nonni dei miei figli. Senza di loro immagino solo una miriade di difficoltà in più e una quantità indefinibile di affetto in meno per i miei figli. Il resto conta un cazzo46! O… come “odore”. Sì, lo so, ci sarebbero ben altre parole, più nobili. Eppure in casa nostra gli odori giocano un ruolo importante. La cucina, ad esempio. È il luogo di ritrovo principale per tutta la famiglia, dove si parla, si ride e si piange, il tutto condito da profumi, da spezie, da sapori che incontrano l’olfatto ancor prima della bocca. Il mio cervello adora la cucina, il mio cuore la ricorda come luogo di aromi e odori, fin da quando ero piccolo. Anche la camera da letto ha il suo colore olfattivo, diverso fra camera dei genitori, delle figlie o dei maschietti. È strano come la vita a volte sia così semplice nelle proprie determinazioni, legata al mondo sensibile da una parte e con il profumo dell’infinito dall’altra. So che molti di voi staranno pensando agli odori sgradevoli che caratterizzano ogni famiglia che si rispetti (la parola “pannolino” basterebbe di per sé a rendere l’idea) ma, per un attimo, pensate a come sarebbe la vostra idea di casa senza quella parte determinante di odori che vivono in ogni angolo delle varie stanze. E i figli, poi, hanno ognuno il proprio odore, nulla di animalesco per carità, ma solo un qualcosa di speciale, un particolare al quale non sempre si fa caso ma che ha la sua importanza. 45 46 Vedi capitolo 2 “Il ricordo” Mi sia concesso l’uso di questo vocabolo. È molto bresciana la cosa, e poi rende bene l’idea. 29 Lo si scopre soprattutto quando ci si innamora, quando un profumo determina l’arrivo della fidanzata, quando i vestiti si mischiano di odori così come gli animi e i corpi. P… la lettera del papà! Quello che ha “messo al mondo”47 i figli, in stretta (!) collaborazione con la mamma naturalmente. Prendete tutto ciò che ho scritto alla lettera M e mischiatelo con quello che immaginate sia importante per definire un papà. Io aggiungo che la P è anche l’iniziale di: perdono, pazienza e passione. Cosa sarebbe l’amore fra me e Silvia senza il perdono? Come comunicare ai figli la propria fede senza il perdono? Rimarrebbe tutto come scatola bella ma vuota. Quanta pazienza ci vuole in una famiglia, e numerosa! Aspettare che i figli crescano. Giulia fra poco partirà per un anno in Lettonia: aspettarla con (in)pazienza. E Giovanni? Come fare a insegnarli che deve avere pazienza con i suoi 4 (quattro) fratelli più piccoli? Martino, poi, che con tanta cura spinge Riccardo sul passeggino, girando pazientemente attorno a casa nostra fino a quando non si addormenta. Non parliamo poi dei disegni che Luca tratteggia mettendoci tutto l’impegno e la pazienza di questo mondo. E Silvia? Che da moglie e madre, deve esercitare quotidianamente la santa pazienza nel sopportarci tutti! Ogni cosa, nella famiglia Milzani, si cerca di viverla con passione, con energia. Che non vuol dire solo forza fine a se stessa, ma è una delle manifestazioni concrete dell’amore, è la scintilla per accendere e accendersi. È il contrario dell’inedia, dell’accidia, della noia. È l’antidoto per ogni forma di depressione. Una vita senza passione è come un ragù senza la carne. Q… di “quando?” Una delle domande tipiche dei figli, ritornellata fino allo sfinimento. Perché a loro interessa sempre fare qualcosa di nuovo, e vogliono sapere il quando è possibile farlo. O, viceversa, a noi genitori interessa sapere quando la camera sarà finalmente in ordine, quando si potrà spegnere quella maledetta TV, quando Riccardo inizierà a camminare, e via discorrendo. Un qualcosa rimane nel limbo del mistero fino a quando non si conosce il momento della sua effettiva realizzazione. È possibile unire il quando alle tre paroline magiche della P, perdono, pazienza e passione. Pensateci bene: che senso ha perdonare senza mai decidere il quando farlo (applicando il subito e il sempre, altrimenti è una finta…)?Oppure, come non esercitare la pazienza se fra un desiderio e la sua realizzazione il quando indica un tempo assai lungo. E la passione? Quando? Come sopra: subito e sempre! R… di “ragione”. Parola enorme. La ratio dei latini, spesso contrapposta alla fides, la fede. Ma questo non è un trattato filosofico, quindi nisba48! Allora, cosa intendo per “ragione”? Semplice, è il fatto di “aver ragione”, mentre l’altro ha torto. 47 Espressione che sembra banale e materialistica. In realtà indica il compito principale del genitore: partecipare della creazione. Perché se non arriva la vita, rimane solo la morte. 48 Trad: nulla, nulla da fare e/o da dire. 30 Tutti i giorni nelle dinamiche familiari c’è qualcuno che ha ragione e qualcuno che ha torto. Papà e mamma, ad esempio, hanno sempre ragione! Almeno fino a quando i figli non raggiungono una certa età… Il fratello, o la sorella, maggiore ha sempre - o vuole sempre avere - ragione sul più piccolo. È la legge del più forte e del più grande, nulla da dire. Poi arriva l’amore e tutto cambia. Cedi sovranità, cedi al più piccolo, che deve essere aiutato a crescere. Perdi il potere, ti costa e devi imparare a farlo se vuoi davvero educare. Sembra facile, ma quando hai un Luca che non molla mai nei confronti di un Gabriele o di un Riccardo, quando Giovanni fa valere il peso dei suoi 11 anni a Martino, che ne ha “solo” 9, o quando le due sorellone si azzuffano come solo le adolescenti sanno fare, t’accorgi di come non sia per nulla semplice. Decidere chi ha ragione e chi no è uno dei compiti più delicati, e inevitabili, con i nostri sette figli. A volte vorrei avere il dono di Salomone… Aggiungo una postilla alla R: penso alla parola “radice”. Avere un’origine, un punto di riferimento dal quale attingere alimenti per la crescita. Radici robuste, che pescano acqua nel profondo della terra e la portano in superficie, rendendo visibili i colori delle foglie e dei fiori, creando frutti gustosi. Ecco la mia idea di famiglia. S… sapete la prima parola alla quale sto pensando? Vi do qualche indizio. Indica uno stato ambientale di quiete. Indispensabile per rilassarsi, condizione ideale per dormire. Avete capito? Sì, è il “silenzio”! Merce rara in cascina Rubino n°10, inversamente proporzionale al numero dei figli. Desiderio, miraggio per me e Silvia durante le ore del giorno e, per i primi mesi di vita di ognuno dei nostri pargoli, spesso anche la notte. Se l’evoluzione della specie fosse una teoria perfetta oggi avremmo bambini con la manopolina del volume, o un pulsante per mettere in standby la voce, consentendo loro l’utilizzo della bocca solo per il nutrimento. Pensate che stia esagerando? Tornate alla lettera L e rileggetela. Non di rado la causa dell’annebbiamento mentale di papà e mamma è un livello di decibel da otoprotettori, con suoni di ogni specie provenienti da fonti di ogni genere. Non per nulla questo libro è stato concepito e scritto nelle ore di maggior silenzio: la notte e il mattino presto, prima dei vari risvegli o dopo l’allettamento (vedi Cap 4, nota a piè di pag n°22). S di “speciale”. Una famiglia con sette figli può essere considerata speciale? Credo proprio di sì. Siamo un minuscolo spicchio statistico nella torta della popolazione, in un Italia ai vertici per denatalità, stretta fra una crisi devastante e politiche familiari assai fiacche; ma, forse, non è questo che rende speciale casa Milzani. Lo dico con un pizzico di orgoglio, la vera peculiarità della nostra famiglia è il clima di amore e condivisione che si respira, quell’atmosfera sapida di vita vera che fa passare in secondo piano ogni altro problema. Le difficoltà non si cancellano con la bacchetta magica, è vero, ma il poterle affrontare “tutti assieme” è fondamentale. E allora anche il silenzio diventa speciale. 31 T… di “terremoto”. Sostantivo applicato ai figli quando, dai nove mesi fino ai due anni circa, iniziano prima a gattonare, poi a camminare quindi a parlare. Sono soprattutto i nonni a utilizzare il termine nella versione dialettale “teremòt!”, quando non riescono a riordinare alla stessa velocità con la quale i bimbi piccoli riescono a disordinare. Classico responso dei nonni Silvano e Giuseppina (i miei genitori) dopo un pomeriggio passato coi piccoli : “Chèl fiol le l’è un teremòt!!”49 (c’è anche la versione al plurale, naturalmente). A turno ognuno dei nipoti si è visto applicare tale definizione. Altra parola con la T? “Tempo”. Non ce n’è mai abbastanza per fare tutto. Scorre velocemente, non passa mai, è felice, è malinconico, è bello, è brutto… insomma, ha caratteristiche variabili in base allo stato d’animo. Io non riesco a trovare il tempo per terminare questo libro, mentre Silvia non ha mai tempo per fare tutti i mestieri di casa. Se chiedete a Giulia e Francesca non hanno mai abbastanza tempo (io dico “voglia”…) per mettere in ordine la camera. Giovanni riesce sempre a trovare il tempo per giocare con il suo Iphone (regalo della Comunione-Cresima), con Martino che fa altrettanto con il mio Pc. Luca utilizza molto del proprio tempo per colorare, disegnare e giocare da solo in casa (è il più solitario dei fratelli), e via così. Il “tempo” lo si cerca, lo si desidera, lo si vorrebbe bloccare quando istanti magici regalati dalla vita iniziano a sciogliersi trasformandosi da presente a passato. Ma lui, in realtà, è totalmente altro da noi, è libero. Da padre ho imparato che, nei confronti dei figli, è sempre opportuno concedere tempo per crescere, evitando la fretta che porta ansia, senza rincorrere obiettivi strabilianti. Se parla a due anni è bello, ma idem se gli anni sono quasi tre. Se non cammina ancora prima dell’anno, non succede nulla: ha davanti a sé tutto il tempo che vuole. Diamo loro il tempo di crescere, misurando i passi con l’affetto e non con la nostra ambizione, saranno più felici. Scusate se aggiungo ancora una parola, ma è stata essenziale qui da noi: la T di “tetta”50, quella miracolosa di Silvia, in grado di allattare sette figli (con Riccardo è ancora in piena attività), almeno sei/nove mesi e fino a quasi i due anni. Mai comprato un grammo di latte in polvere, mai preso un litro di latte di proseguimento o robette simili. E stiamo parlando di un colosso di donna, 48 chili iva inclusa! Madre e figlio legati dall’allattamento sono un inno perenne alla natura, alla vita, alla dolcezza, sono l’icona della maternità. Non mi sono mai abituato o assuefatto a questo meraviglioso momento di intimità familiare. Lo adoro. Ho un’idea! Per le prossime lettere, le ultime - la U, la V e la Z - aspetto un vostro contributo, da chi vorrà. I quattro martiri che avranno retto nella lettura del libro potrebbero inviarmi dei pensieri legati alle tre lettere mancanti del mio elenco. 49 50 Trad. “Quel figlio è un terremoto!!” Termine usato al singolare, in quanto, per l’allattamento, il bambino usufruisce di un seno alla volta. Silvia, fra l’altro, spesso richiama l’attenzione del figlio in oggetto utilizzando l’espressione “vuoi tettare?” che, detta da lei, con il sorriso sulle labbra, acquista un significato di materna e ineguagliabile dolcezza. 32 Giusto per essere sicuro che almeno qualcuno non sia schiattato alle prime sei o sette pagine! Chi lo desidera può inviarmi le idee per la U, V e Z al seguente indirizzo: [email protected] Con questo (vergognoso) escamotage chiudo le danze della seconda parte del libro, aggiungo ancora qualche post tratto da FB (parte Terza) e, finalmente, appongo la parola FINE al mio libretto sulla famiglia Milzani. È stata durissima. La mail ora ce l’avete, anche per esprimere qualsiasi vostra opinione in merito al testo, insulti inclusi. Troverete errori grammaticali, sintattici e di altro genere, dovuti soprattutto alle continue interruzioni nella stesura: non sono uno scrittore, lavoro in fonderia, dirigo una banda, scribacchio sul bollettino parrocchiale, allevo sette figli con una (splendida) moglie. Il resto è un di più, che mi sono concesso nei ritagli di tempo, in notturna, fra l’albeggiare e la timbratura del cartellino, fra un cambio di pannolino e la spesa del sabato. Ho riletto un miliardo di volte tutto, ma ora sono veramente stufo e chiudo definitivamente il discorso. Mille salti logici per pagina spero non abbiano reso troppo pesante la vostra lettura. Mea culpa… Sarei felice di ricevere anche opinioni scritte, come una volta, quindi su carta “vera”, e con la BIC blu/nera. Il mio indirizzo: Famiglia Milzani, cascina Rubino 10, 25023, Gottolengo, Brescia. Ps: il libro non è finito, coraggio, un ultimo sforzo e anche la Terza Parte scivolerà sotto i vostri occhi in men che non si dica. 33 PARTE TERZA FACEBOOK Sezione interamente dedicata ai frammenti tratti da Facebook. Parto con una serie di pensieri composti per ognuno dei miei familiari, scritti “di getto” e copiati senza alcuna modifica. Godeteveli come una boccata d’aria fresca, perché, a suo tempo, furono scritti con questa intenzione. 19 luglio 2013 Ho deciso! Scrivo dei “quadri” sulla mia famiglia. Non ho tempo per pensare ad altro. Credo che li farò di getto, senza troppo raziocinio…bene così. Parto con la primogenita:Giulia. QUADRO PRIMO: GIULIA. Oramai sedici anni, un’età di mezzo fra lo scoprire e il vivere, fra il desiderare e il volere. Genitori sempre tra i piedi, ma la voglia forte di un’autonomia concreta e giudiziosa. Se penso ad una musica che la descriva…penso ad un Mozart, quello dei concerti per pianoforte, il n°17. Il suo è un biondo discreto, non abbagliante, ma altrettanto luminoso. È la prima, è quella che ha vissuto e sta vivendo il crescere genitoriale di me e Silvia. QUADRO SECONDO: FRANCESCA. Bim!Pam!Sbidibamm!! Adolescenza dei quattordici, con l’orologio un pò sghembo tipico dei cerbiatti di pianura. Si emoziona fra l’acqua fresca dei pensieri e le ruvidezze incomprensibili degli amici ancor più adolescenti di lei. Penso alla malinconica dolcezza dell’Aria della Bachianas Brasileiras n°5 (un Villa Lobos strepitoso!), mentre si dipinge allo specchio per crescere in viso, e non solo… 25 luglio 2013 QUADRO TERZO: GIOVANNI. Eccolo! Dieci anni e la responsabilità di essere il primo dei maschietti: non è poi così semplice! Esploratore indomito, zompetta alla ricerca di bisce, insetti e schifezzuole simili, portando con sé due occhi azzurri e un sorriso dolce dolce che ben dipinge i colori del suo animo. Generoso, tranquillo quanto basta, si inerpica, ogni tanto, in curiosi duelli concettuali con suo fratello Martino, finché scoppiano tremebondi temporali umorali con rovesci di lacrime impreviste; che volete…dieci anni non sono poi così tanti! A lui appiccico una Quarta di Mahler, primo movimento…robe grosse. 34 26 luglio 2013 QUADRO QUINTO: LUCA. È una strana età quella dei quattro anni (e mezzo). La pianta mostra già i primi frutti. Ne vedi il colore, ma non puoi ancora comprenderne il sapore. Lui gioca felice con tutti, ma adora anche lo star da solo in camera a cincischiare ore intere fra piccole cose, parole regalate a chissà chi e immagini disegnate nell’aria che solo lui può capire. Diverrà il più alto, credo. Timido, voce talvolta in falsetto, tranne quando litiga con i fratelli (maggiori o minore, è uguale). Ha dei “no” perentori, come la neve di gennaio: da sciogliere prima che diventi giaccio e duri poi fino a febbraio. Vedo bene un Vaughan Williams, “A pastoral Symphony”…tenera, altalenante, di miele… QUADRO SESTO: GABRIELE. Avanti c’è posto! Arrivo io, con le gambette freneticamente lanciate dai piedi, che ancora non si capisce quale parte del corpo comandi! Due anni e una sgranata di giorni a far quattro mesi, il sole alto della vita è sorto. Occhietti languidi leggermente all’ingiù, per catturarti e scioglierti, caro papà. Sono l’ultimo, ma voglio essere il primo, perché ho bisogno ancora di tutto…e voi lo sapete, cari genitori. Martino è forse più biondo di me? No problem: adoro i miei fratelli, e anche le mie sorellone, naturalmente. C’è amore, attorno: sono felice! Per me la “Danza Cinese” dallo Schiaccianoci, quella dei funghetti di “Fantasia” della Disney. QUADRO SETTIMO: RICCARDO. Lo so, è ancora nella pancia! Ma provate voi a dire a mia moglie che lui “non c’è”! Ora aspetta la foglie caduche dell’autunno per bagnarsi il nasino con l’aria del nostro mondo…a poi sai che pianti se non arriva il latte, e subito!! “Per Elisa”, di Beethoven, bellissima bagattella per lui. QUADRO OTTAVO: SILVIA. Moglie e madre. Cosmico. Potrei scrivere tutto, senza però giungere a nulla di quello che lei significa per me. L’amore non si spiega, lo si vive, fra cielo e terra. Si può “capire” perché l’acqua fresca è così buona? Si possono fermare le lacrime quando hanno deciso di uscirsene a zonzo fra le guance? Come è possibile interrompere un bimbo che sorride alla vista dei propri genitori? Ricordo, era il 1990, un “quella lì io la sposo!” lanciato per aria come il sasso del bulletto di quartiere. Ma io sono stato fortunato: nessuno è mai venuto a lamentarsi per un vetro rotto, ma l’ho trovata felice sull’altare, al mio fianco. Ed Egli eternamente a te mi sposa… 35 QUADRO NONO: IO. Cosa pensavate, di liberarvi finalmente del sottoscritto!! Sono come la gramigna…sotto, sotto cammina e non si ferma più! Mi piace l’abito che Dio ha previsto per i miei 41 anni. Cenere comparsa sul capo, già da tempo, quasi a farmi più uomo. Un po’ di acciacchi, forse prematuri, ma trovati sulla via di una vita intensa, a scoprire la strada più veloce per la stella polare: matrimonio e famiglia. Non chiedo altro, nemmeno la capziosa comprensione di chi vede il nugolo di teste bionde attorno a me e Silvia. Non chiedetemi se sono felice, perché è una domanda trabocchetto: so solamente rispondere di sì, anche quando la fatica solca il viso e rischiereste di non credermi. Me lo ripeto tutti i giorni, davanti alla timbratrice della fonderia: sono il musicista più fortunato del mondo! Per me e Silvia non ho previsto “colonne sonore” (ci avevate fatto caso?)…rimane, là incastrato sulla Luna, il mio “TI AMO” a far da suono ad ogni quadro della mia famiglia. Silvia, Giulia, Francesca, Giovanni, Martino, Luca, Gabriele e Riccardo… Vi confesso che li ho riletti tutti e nove e la tentazione di apportare delle modifiche è stata forte. Ho resistito, solo per garantire la “genuinità” di momenti di un recente passato che tali devono restare. Mi auguro siate della stessa opinione. Proseguo con altri post, sempre dedicati a “loro”, alla mia famiglia. 12 giugno 2014 Ecco il ritmo blando delle mattine senza scuola. Sette e quindici e qualche figlio ancora a nanna: incredibile! Davanti a me scambi di sguardi, smorfie e coccole fra Luca e Riccardo (velocissimo con il girello). Gabriele percepisce come innegabile il suo diritto a NON andare più all'asilo (fratelli a casa...) e mi fa domande che iniziano tutte con il più diretto dei "perché". Mentre Giovanni rovista nella dispensa fra scatole di brioches e biscotti, è bello spiluccare momenti così, gocce profumate di una famiglia numerosa. In casa nostra il tempo ha il sapore dei-bambini. E in giardino il tiglio di nonna Raffaella ci osserva quieto, accogliendo benedizioni tra le foglie, salmodie fra i rami... 36 3 giugno 2014 Capita solo alle porte dell'estate che io desideri l'arrivo della notte. Luce troppo a lungo, sembra che la giornata non debba mai finire... I figli dormono, dolcissimi, ed è giusto che anche il sole faccia lo stesso, per il mio cuore. La fatica vuole la luna per sciogliersi, vuole il silenzio delle stelle. E' inutile continuare a dibattersi per il quotidiano, le braccia hanno bisogno di fermarsi. I piedi non camminano, gli occhi non cercano, sette bambini sognano: fermo il tempo e rimango con loro... 12 dicembre 21012 Stanotte arriva Santa Lucia...sono l'unico genitore più emozionato dei figli?? Che bello!!! Il segreto, l'attesa, i giochi, le caramelle, occhi che vorrebbero vedere tutto di colpo e mani che vorrebbero giocare con tutto in contemporanea... 10 0ttobre 2012 Auguri alla mia Giulia!! Quindici anni tutti in fila, belli, belli, belli...sulla via verso l'età adulta. NB: Giulia, con il programma di Intercultura, ha vinto una borsa di studio per trascorrere un anno intero in Lettonia. Partirà il 20 agosto (del 2014), sarà ospitata da una famiglia che avrà il compito di accoglierla come una figlia in più. Se penso che nel post aveva solo quindici anni e ora passerà il diciassettesimo compleanno a duemila chilometri… la riavremo fra noi nel luglio del 2015. 29 dicembre 2013 Oggi è la Festa della Sacra Famiglia. Io e Silvia con Giulia, Francesca, Giovanni, Martino, Luca, Gabriele e il piccolo Riccardo auguriamo ogni bene a tutte le famiglie che desiderano condividere la passione per la vita e la gioia per il matrimonio. Con quest’ultimo post giunge a conclusione il mio percorso. Posso mettere, in centro pagina, sfinito (sono le tre di notte) ma felice la parola: FINE 37