Altri amori - Persinsala Teatro

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Altri amori - Persinsala Teatro
Persinsala Teatro
Alessandro Paesano
giugno 13, 2011
Alla rassegna Garofano verde – scenari di teatro
omosessuale quindici corti teatrali che trattano di
omosessualità – prevalentemente maschile – parlandone quasi
esclusivamente in chiave di omicidi, prostituzione,
tossicodipendenza, suicidio, malattia, incesto, misoginia
secondo dei luoghi comuni duri a morire.
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Altri Amori è il primo spettacolo (dopo due reading) della XVIII edizione di
Garofano Verde – Scenari di teatro omosessuale: quindici corti
teatrali – termine improprio, entrato ormai nell’uso comune, che indica
brevi atti unici – frutto del corso di scrittura Officina Teatrale di Rodolfo
di Giammarco, patron della rassegna – che affrontano l’amore gay e
lesbico da punti di vista che sfiorano l’omofobia.
In Troppo amore, di Laura Pacelli, c’è l’omosessuale di quarantatré anni
che paga per fare sesso con uomini molto più giovani di lui e odia la madre
accusandola di averlo fatto diventare “come lei”; due gay
tossicodipendenti, uno dei quali si prostituisce per procacciare droga al
compagno, sono i protagonisti di Posto ristoro, di Michele di Vito; Uscirò
da questo mondo e dal tuo amore, di Valeria Lucchetti, racconta di due
gay arabi esuli in Francia il cui omoerotismo ricalca i cliché di genere – uno
dei due “fa la donna dell’altro”; ancora un arabo che ha ucciso il suo
amante dopo essersi offerto passivamente a lui nonostante questi volesse
fare sempre la parte della donna, in Chiamami felicità, di Angela di
Maso); Hijira, di Samuele Boncompagni, presenta un indiano trapiantato
in Italia, un Hijira, cioè una transessuale – uomo che si sente donna,
interpretato da Gabriele Linari – che non è femminile ma irsuto, con una
parlata maschile, per cui non si sa se il ragazzo che lo corteggia sia
attratto da lui in quanto uomo o in quanto donna.
Su quindici corti solo quattro raccontano di donne, e due non sono
nemmeno lesbiche: una è la classica donna distrutta e stravolta dall’uomo
che l’ha ingannata nascondendole la propria omosessualità – Monique, di
Tina Guacci –, l’altra è una prostituta che forse ama le donne ma che si
concede anche agli uomini – Nero brillante, di Giuseppe Battiato –; ci
sono poi due sorelle incestuose, una delle quali rimane incinta, non con
l’inseminazione artificiale ma andando a letto «come una troia con chissà
quanti maschi» – Ester e Alice, di Stella Novari – e due ragazze che per
fare l’amore impersonano la prima una bambina e la seconda una tutrice
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aspirante suora – Modesta, di Carlotta Corradi.
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Non mancano suggestioni letterarie e cinematografiche che, tranne in un
caso, non sono accreditate: così Poche cose con me di Anita Cherubini
Bianchi è tratto dal film Addio mia concubina (Cina, 1993) di Chen
Kaige, nel quale un ragazzo dell’opera di Pechino cresce interpretando
ruoli femminili e diventa dunque omosessuale, innamorandosi di un
collega attore che però sposa una donna; mentre Solo il cielo sa di
Andrea Ciommiento – che racconta di un gay malato di AIDS e suicida, è
tratto dal romanzo Le ore del premio Pulitzer Michael Cunningham. Una
stecca di Gauloises, di Franca Zucca – che prende le mosse da Solo per
una notte di Nicolas Bendini edito da Playground – racconta, in maniera
affrettata – del flirt di un liceale con un calciatore famoso, mentre ha una
tresca con un compagno di classe (qui, a differenza del romanzo,
inspiegabilmente effeminato). L’isola di Arturo, di Nadia Felice, è tratto
dall’omonimo romanzo di Elsa Morante trasfigurato in chiave omoerotica: il
protagonista bambino rimane deluso quando scopre che il padre non è il
dio che egli crede che sia, davanti al quale si inginocchiano tutti, ma è
proprio lui a inginocchiarsi davanti a un altro uomo. Solo Generations of
Love, di Ketty di Porto, accredita la filiazione dall’omonimo romanzo di
Matteo B. Bianchi, nel quale il migliore amico etero di un ragazzo gay gli
confessa di essersi innamorato di lui, e quello più in difficoltà –
paradossalmente – è proprio il gay dichiarato. Racconto leggero, allegro,
disinvolto, stesso registro usato in Leggero (più del corpo) di Rosalinda
Conti, nel quale un ragazzo non più giovanissimo e non particolarmente
tonico dichiara il suo amore a un altro più magro (e più giovane) al quale
chiede: «ma se mi ami divento [magro] come te?». Peccato che anche
questo rapporto d’amore non si concluda positivamente: il ragazzo più
giovane non lo ama e se ne va.
Questi corti francamente sgomentano. Non tanto per la loro natura
letteraria, cioè di storie “scritte” e non pensate per la messinscena, che
lasciano poco spazio a uno sviluppo drammaturgico – e bisogna
riconoscere a Francesca Staasch, che firma tutte le regie, il merito di aver
sviluppato per ognuno di essi un’azione teatrale – ma soprattutto per la
visione desolante che danno dell’omosessualità.
È davvero insopportabile che nel 2011, in una rassegna di teatro
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omosessuale, si possa confondere ancora il transessualismo (identità di
genere) con l’omosessualità (orientamento sessuale), o pensare che gli
uomini gay “si sentano femmine” o le lesbiche “si sentano uomini”, così
come irritante è continuare a declinare l’omosessualità maschile con la
misoginia e l’effeminatezza. Nessuno – tranne rare eccezioni – in questi
corti riesce a vivere una storia d’amore con felicità e pienezza ma non
perché, come purtroppo capita, la società, il pregiudizio, la discriminazione
lo impediscano, ma esclusivamente per motivi biografici, cioè privati, dei
protagonisti.
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I gay e le (poche) lesbiche che popolano questi corti sembrano così
provenire dall’immaginario collettivo del 1950, quando l’omosessualità era
sinonimo di sordidezza e infelicità e aveva sempre una causa patologica,
ignorando – ci si chiede quanto in buona fede – i progressi fatti dalla
comunità gay e lesbica italiana che oggi si sta costituendo in famiglie,
molte delle quali vorrebbero sposarsi e non possono farlo, o hanno anche
figli – e per poterli concepire con la procreazione assistita vanno all’estero
perché la legge italiana non permette quella eterologa nemmeno alle
coppie etero sposate – e combattono perché vengano legalmente
riconosciuti entrambi i genitori che li crescono.
Questi corti ignorano che i gay e le lesbiche vivono oggi con la stessa
serenità e felicità delle coppie etero – nonostante l’ammanco di diritti – e li
collocano sempre in storie di eccesso, esotismo, dramma ignorando che
l’orientamento omosessuale è “una variante naturale del comportamento
sessuale umano” come ha riconosciuto l’Organizzazione Mondiale della
Sanità dall’ormai lontano 1994. Che qualcuno lo ricordi agli autori di questi
corti.
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Lo spettacolo è andato in scena:
Teatro Belli
Piazza Sant’Apollonia 11/a – Roma
fino a domenica 12 Giugno, ore 21.15
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Altri amori
Quindici atti unici di autori vari
regia di Francesca Stassch
con Dario Aita, Gabriele Linari, Claudia Crisafio, Simonetta Solder, Alessandro Epifani, Antonio Gargiulo,
Alessandro Porcu, Gianantonio Martinoni, Annalisa Cordone
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