Hell O`Dante

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Hell O`Dante
O TU CHE LEGGI UDRAI NUOVO LUDO Contenuti didattico-­‐musicali in Hell O’ Dante Hell o’ Dante è uno spettacolo che apre connessioni spazio-­‐temporali su personaggi, aneddoti, miti e quant’altro si trovi nell’Inferno. La mia attenzione e la mia passione per la musica mi hanno permesso di aprire dei link che accostino il testo della Commedia a canzoni del repertorio pop-­‐rock. Lungi dal voler “attualizzare” il divin poema (e tanto più dal musicarlo), il mio intento è di stimolare una personalizzazione della lettura per cui ognuno si possa sentire libero di cogliere quel che le parole di Dante gli suscitano. Settecento anni di commenti del resto confermano che non può esistere un approccio univoco alla Divina Commedia e che tante sono le verità quante le teste dei lettori, poiché la grandezza della Poesia sta nella capacità di parlare all’individuo che ha necessariamente esperienze, gioie, dolori e speranze uniche e irripetibili. Senza voler per questo screditare il Buti, l’Anonimo o tantomeno il Sapegno, scopro grazie a loro la ricchezza e la profondità che s’asconde sotto’l velame de li versi strani. Per ogni canto dell’Inferno ho selezionato tre o quattro canzoni scelte in seguito a una suggestione legata a un personaggio, un mostro, una storia, un episodio, una frase o, perché no, a una figura retorica. Così il viaggio di Ulisse che supera i confini posti acciò che l’uom più oltre non si metta è arricchito dalle note di Space Oddity di David Bowie; l’anima di Francesca da Rimini sbatacchiata di qua, di là, di su, di giù, ricorda quella di una Candle in the wind (Elton John); mentre dai traditori di Cocito, Dante ci mette in guardia perché è più facile sopravvivere alle sassate dei nemici che alle Roses from my friends (Ben Harper); e l’anafora dell’incipit del XIII Canto è la stessa che usa Elvis nella sua Don’t. Su cento e più canzoni alcune connessioni potrebbero risultare meno immediate, ma diventano perfette quando l’esperienza di un personaggio come Pier delle Vigne, suicidatosi per non poter sopportare la condanna causata dalle voci di corridoio messe in giro dalle male lingue degli invidiosi (a quel che Dante racconta), s’incontra con l’espressione idiomatica anglofona I heard it through the grapevine (Marvin Gaye). Spesso le canzoni inserite nello spettacolo sono in lingua inglese perché non volevo che il legame fosse troppo didascalico. Se esiste il rischio da parte dello spettatore di non comprendere il nesso che intercorre tra Canto e canzone, si corre volentieri per il piacere di ascoltare l’esecuzione che inoltre dà maggior respiro alla fruizione dello spettacolo. Parafrasando Umberto Eco posso affermare che le opere d’arte parlano di altre opere d’arte e così il gioco dei link può continuare anche a scuola dove gli alunni possono scoprire e proporre altre canzoni, ma non solo: quadri, poesie, film, sculture, libri, ecc. Possono essere innumerevoli le suggestioni che un testo scritto settecento anni fa suscita. CANTO V È uno dei momenti più famosi dell’intera storia della letteratura italiana cui facilmente la sensibilità di molti adolescenti si lega, anche per le citazioni fatte da alcuni cantautori italiani. Lasciarsi influenzare dal nome della protagonista e dal suo ruolo ci farebbe facilmente incappare nella scelta più ovvia possibile che Lucio Battisti ci offre su un piatto d’argento con la sua Non è Francesca. Ma se ci scostiamo dalla musica italiana e ci addentriamo più a fondo nel canto dei lussuriosi forse riusciremo a scovare qualcosa di più interessante. Vero è che sul tema d’amore sarebbe facile trovare decine e decine di brani di qualunque stile e provenienza, ma qui ci soffermeremo sui tre che più hanno attratto la mia attenzione sottolineando i punti che mi hanno spinto a operare tale scelta. L’Inferno è il luogo più lontano dall’amore di Dio che è eterna luce, ma se Dante non si fosse fatto forza della finzione letteraria la sua opera si sarebbe conclusa alla prima terzina: Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura ma nulla vidi e qui finì la mia gita! Ve l’immaginate? Tutta la storia della letteratura italiana diventa orfana della sua più grande opera, per permettere all’autore di essere verosimile nel suo racconto. Ma talvolta Dante tiene a ricordarci che la vista è privata della percezione che gli è propria e in questo caso sceglie una splendida sinestesia attribuendo un suono (o meglio la sua mancanza) al luogo che diviene d’ogne luce muto. Poco dopo si accorge di quali siano i peccatori puniti nel secondo cerchio, senza che nessuno gli spieghi nulla (caso raro, quasi unico)! Si tratta ovviamente dei peccator carnali e forse soprattutto per lo sbatacchiamento che subiscono il pellegrino intende di chi si tratta, ma mi piace pensare che sia anche per il buio eterno in cui sono condannati poiché Dante, a quel che ci dicono i chiosatori, ben conosceva la lussuria e doveva ben sapere che la notte è il luogo che più di ogni altro appartiene agli amanti. Because the night – Patti Smith Take me now baby here as I am Pull me close, try and understand Desire is hunger is the fire I breathe Love is a banquet on which we feed Come on now try and understand The way I feel when I'm in your hands Take my hand come undercover They can't hurt you now, Can't hurt you now, can't hurt you now Because the night belongs to lovers Because the night belongs to lust Because the night belongs to lovers Because the night belongs to us Have I doubt when I'm alone Love is a ring, the telephone Love is an angel disguised as lust Here in our bed until the morning comes Come on now try and understand The way I feel under your command Take my hand as the sun descends They can't touch you now, Can't touch you now, can't touch you now Because the night belongs to lovers Because the night belongs to lust Because the night belongs to lovers Because the night belongs to us With love we sleep With doubt the vicious circle Turn and burns Without you I cannot live Forgive, the yearning burning I believe it's time, too real to feel So touch me now, touch me now, touch me now Because the night belongs to lovers ... Because tonight there are two lovers If we believe in the night we trust Because tonight there are two lovers ... Lo stile tragico del quinto canto ci consegna una Francesca povera di umanità, quasi un’allegoria del sentimento d’amore dalla quale in ogni caso ci facciamo volentieri rapire. Di fatto non esce nulla della ragazzina di 14 anni costretta a unirsi in matrimonio con un vecchio di 31 brutto e storpio, dedito alla carriera politica e interessato solo alla dote territoriale che la giovane sposa gli portava. Nulla sappiamo dei suoi dieci anni di fedeltà a un marito che probabilmente non l’amava e quasi sicuramente la trascurava, preso dalla carica podestarile che lo teneva fuori casa la maggior parte del tempo. L’anima che incontriamo nel secondo cerchio ci commuove per il rapimento sentimentale di cui è vittima, ma verrebbe da schierarsi anche dalla parte della Francesca da Polenta da Rimini quella storica, cui fecero credere di sposare il bel Paolo Malatesta che compì gli atti del rito matrimoniale per conto di suo fratello Gianni detto lo Zoppo (Gianciotto). Ma Dante non ci vuole intenerire con la sua triste storia, né indignare per il fatto di cronaca nera messo a tacere dalle due potenti famiglie per evitare scandali. Le parole di Dante sono più alte del personaggio che le pronuncia e appartengono alla storia del mondo non a quella di un singolo. L’Amor… Amor… Amor… ci coinvolge tutti e sembra autorizzarci a seguire solo le sue leggi, anche se dovessero condurci a una morte. Dante in realtà ci mette in guardia da questo perché per quanto nobile sia morire per amore, i due amanti sono condannati alle pene eterne dell’inferno perché non seppero contenere la propria passione peraltro illecita. Tuttavia la Francesca storica ha qualcosa che la lega alla sua controfigura letteraria sbatacchiata di qua di là di su di giù dal vento infernale. Anche lei viene sbatacchiata dalle volontà del padre prima e del marito poi che le consegnano una vita che probabilmente non voleva ma a cui si sottomette. La Francesca storica si deve sottomettere anche alla sua immagine letteraria sicuramente più forte e famosa di lei. È un po’ come se volessimo ricondurre alla quotidianità una diva di Hollywood; perderemmo la sua immagine patinata per scoprire la fragilità di una donna sottomessa alle leggi dei media e da queste sbatacchiata come una candela nel vento. Candle in the wind – Elton John Goodbye Norma Jean Though I never knew you at all You had the grace to hold yourself While those around you crawled They crawled out of the woodwork And they whispered into your brain They set you on the treadmill And they made you change your name And it seems to me you lived your life Like a candle in the wind Never knowing who to cling to When the rain set in And I would have liked to have known you But I was just a kid Your candle burned out long before Your legend ever did Loneliness was tough The toughest role you ever played Hollywood created a superstar And pain was the price you paid Even when you died Oh the press still hounded you All the papers had to say Was that Marilyn was found in the nude Goodbye Norma Jean Though I never knew you at all You had the grace to hold yourself While those around you crawled Goodbye Norma Jean From the young man in the 22nd row Who sees you as something more than sexual More than just our Marilyn Monroe Se pure condannati da Dante, Paolo e Francesca rimangono i simboli dell’amore passionale dalla cui malìa difficilmente riusciamo a sottrarci. E il sommo poeta si diverte a farci abboccare; del resto quello di usare le parole per affascinare il lettore è il suo territorio, ci sguazza, ci sa fare. Le due anime non paiono pentite del loro peccato; è da sapere infatti che nell’Inferno non esistono pentimenti, ma solo patimenti. Ma del resto quale amante si pentirebbe mai di aver amato? Paolo e Francesca sono ancora completamente travolti dalla loro passione e il loro abbraccio sembra qualcosa più di un abbraccio. Il modo ancor m’offende si può non solo intendere con il modo in cui è stata uccisa, ma anche con il modo in cui Paolo è preso dalla bella persona di Francesca e se tolta vale anche per “presa” pur rimanendo il senso dell’assassinio subìto, si rafforza l’immagine del rapimento carnale che viene operato da Paolo nei suoi confronti. L’essere presa in maniera sì forte che (…) ancor non m’abbandona continua a rivelarci un attaccamento di due corpi (anche se in realtà sono solo anime) uniti in un groviglio di difficile soluzione. Infine se Paolo da Francesca mai non fia diviso ci conferma che c’è un’unione piuttosto forte; vogliamo pensarla a un unione spirituale? Va bene. Vogliamo pensarla un semplice eterno abbraccio? Perfetto. Ma chiunque abbia avuto esperienza della passione lussuriosa si lascerà vincere dall’erotismo suscitato dall’immagine di Paolo e Francesca. Tuttavia non saranno pochi quelli che percepiranno questa sorte come una condanna: tutta l’eternità con la stessa persona, sempre nello stesso atto senza mai poter staccare gli occhi e la mente da lei. Blower’s daughter – Damien Rice And so it is Just like you said it would be Life goes easy on me Most of the time And so it is The shorter story No love, no glory No hero in her sky I can't take my eyes off of you I can't take my eyes off you I can't take my eyes off of you I can't take my eyes off you I can't take my eyes off you I can't take my eyes... And so it is Just like you said it should be We'll both forget the breeze Most of the time And so it is The colder water The blower's daughter The pupil in denial Did I say that I loathe you? Did I say that I want to Leave it all behind? I can't take my mind off of you I can't take my mind off you I can't take my mind off of you I can't take my mind off you I can't take my mind off you I can't take my mind... my mind... my mind... ‘Til I find somebody new… CANTO XIII Succede spesso che già nelle prime terzine l’autore ci voglia dare qualche indizio sull’argomento del canto. È sicuramente il caso del 13°, in cui il pellegrino (e noi insieme a lui) giunge alla seconda selva del suo viaggio. Ma contrariamente alla prima le cui fronde facevano passare a fatica la luce della luna, questi alberi non possiedono foglie e non danno neanche frutti; a Dante appare un territorio tale da non riuscire a paragonarlo neanche ai selvaggi paesaggi toscani abitati dalle belve feroci. È la negazione il tema che così sapientemente il poeta, come se trattasse la sua composizione come uno spartito musicale, mette “in chiave”. Ma la negazione di che? La negazione di sé, del proprio corpo, della propria condizione umana negata a se stesso da qualunque priva sé del vostro mondo (…) e piagne là dov’esser de’ giocondo (Inf. XI) Il settimo cerchio è quello dei violenti, dove nel primo girone sono puniti i violenti contro il prossimo e superato il Flegetonte nel quale essi affondano, si arriva al secondo girone, quello dei violenti contro sé. La negazione che in vita i suicidi operarono nei confronti del proprio essere, è resa in questo canto con la privazione dell’aspetto umano, negato all’anima fin dal momento in cui essa abbandona il corpo ond’ella stessa s’è disvelta. La negazione sarà perpetrata per l’eternità anche dopo il giudizio universale infatti saranno le uniche anime a non riunirsi al proprio corpo ché non è giusto aver ciò ch’om si toglie. L’anafora delle prime tre terzine è posta a inizio di verso per un totale di cinque apparizioni e nella seconda terzina è rafforzata dalla presenza della disgiunzione ma, per tre volte sulla sesta sillaba. Non è il solo Dante a sfruttare quest’anafora, ma anche Elvis farà altrettanto. Don’t – Elvis Presley Don't, don't, that's what you say Each time that I hold you this way, When I feel like this and I want to hold you, baby, don't say don't. Don't, don't leave my embrace For here in my arms is your place When the night grows cold and I want to hold you, baby, don't say don't. If you think that this is just a game I'm playing If you think that I don't mean ev'ry word I'm saying Don't, don't, don't feel that way I'm your love and yours I will stay This you can believe I will never leave you Heaven knows I won't Baby, don't say don't La negazione si ripropone nell’incontro con l’anima protagonista del canto a cui non soltanto viene negato l’aspetto umano, ma anche il suo stesso nome che non compare mai. Tuttavia tale è la descrizione che fa di sé e tale l’episodio della sua vita che ci racconta che non è possibile avere dubbi sulla sua identità. Egli è Pier delle Vigne guardasigilli di Federico II di Svevia imperatore del Sacro Romano Impero (o quel che ne rimaneva), ma soprattutto del Regno delle Due Sicilie. Una sorta di Primo Ministro cui erano affidati diversi compiti non ultimo quello legislativo. Pier delle Vigne era il braccio destro dell’imperatore e insieme avevano scritto leggi, istituito la laica Università di Napoli che si contrapponeva a quella bolognese diretta dalla Chiesa, e dato vita a una delle corti culturalmente più vive della storia d’Italia dove cresceva rigogliosa la Scuola di Poesia Siciliana. Eppure Federico stesso aveva ordinato la sua incarcerazione e il suo accecamento accusandolo di alto tradimento, ma Piero giura: già mai non ruppi fede/al mio segnor che fu ‘onor sì degno. Attraverso le parole del dannato, Dante sembra riconoscere sia la grandezza di Federico (che pure pone nell’Inferno tra gli eretici), sia l’innocenza del condannato; infatti lo troviamo tra i suicidi (VII cerchio)e non tra i fraudolenti (VIII) o i traditori (IX). Il suicidio di Pier delle Vigne, anche se storicamente non risulta probabile, è attuato perché egli non può sopportare l’ingiuria subita, e credendo col morir fuggir disdegno ci dice: ingiusto feci me contra me giusto. Non sono noti i motivi per cui Federico arrivò a tanto, se non per bocca del dannato che individua nell’invidia la meretrice che (…) infiammò contro me li animi tutti. Insomma gli altri cortigiani invidiosi dei lieti onor di cui beneficiava Piero, accesero nel cuore dell’imperatore il dubbio che il suo guardasigilli stesse abusando della sua posizione, non solo per interessi personali, ma anche per portare a compimento una congiura contro l’imperatore stesso. Non risulta nessun processo agli atti e di conseguenza nessuna prova a confermare l’accusa, più probabile che quindi siano state le voci infamanti e una ben congegnata “macchina del fango” a rivestire la figura di Piero della colpa di tradimento. Tutto ciò pare segnato dal destino se consideriamo che “le voci di corridoio” che hanno condannato il nostro suicida, sono quelle che compaiono in un’espressione idiomatica inglese che si traduce con “L’ho sentito dire nel vigneto”. I heard it through the grapevine – Marvin Gaye Ooh, I bet you're wondering how I knew 'bout you're plans to make me blue with some other guy that you knew before. Between the two of us guys you know I love you more. It took me by surprise I must say, when I found out yesterday. Don't you know that... I heard it through the grapevine not much longer would you be mine. Oh I heard it through the grapevine, Oh and I'm just about to lose my mind. Honey, honey yeah. I know that a man ain't supposed to cry, but these tears I can't hold inside. Dm Losin' you would end my life you see, cause you mean that much to me. You could have told me yourself that you love someone else. Instead... People say believe half of what you see, son, and none of what you hear. I can't help bein' confused if it's true please tell me dear? Do you plan to let me go for the other guy you loved before? I violenti puniti nella selva non sono solo suicidi, ma anche violenti contro le proprie cose. Colpa diversa, diversa condanna: costoro non solo non sono piante, ma anzi corrono come dei forsennati inseguiti da nere cagne pronte a sbranarli e nella loro fuga spezzano qua e là rami e ramoscelli dei dannati/pianta condannandoli a una maggiorazione di pena. Diversamente dai violenti contro se stessi, ai due scialacquatori incontrati non è negato il nome: sono Ercolano di Squarcia, senese, amico – pare – di Cecco Angiolieri e gran “disfacitore di sua facultade” al gioco, e Iacopo da Santo Andrea di Codiverno (vicino a Padova), che pare fosse rinomatissimo per aver sperperato in pochi anni l’imponente fortuna di sua madre. Il primo fece anche parte della “Brigata spendereccia”, un gruppo di dodici giovani senesi, nobili e ricchi, che avevano messo in comune ciascuno la favolosa cifra di 18 mila fiorini d’oro (per un totale di 216 mila fiorini) per organizzare bagordi e stupidaggini varie. La Brigata si era data uno statuto scritto che prevedeva lo scioglimento della stessa una volta raggiunto il proprio fine, costituito dall’aver speso tutto il capitale sociale. Che i giovani senesi siano stati idioti è fuori discussione, ma a pensarci bene il sommo Dante, forse, è stato severo a metterli nel suo Inferno. Infatti, in definitiva, i ragazzi della “Brigata spendereccia” non spendevano i soldi degli altri, ma i propri soldi, i quali, in gran parte, finivano nelle mani di altri senesi. E quindi la comunità, nel suo complesso, non era danneggiata. Ma la domanda che ci rimane a mezza bocca timorosi di essere troppo venali nel farla, ha una risposta: ci misero alcune settimane a sperperare tutti i loro averi. Com’ è possibile che ci abbiano messo così tanto, vi chiederete voi. Io credo che non si siano avvalsi dell’aiuto di una donna! Money, money, money -­‐ Abba I work all night, I work all day, to pay the bills I have to pay Ain't it sad And still there never seems to be a single penny left for me That's too bad In my dreams I have a plan If I got me a wealthy man I wouldn't have to work at all, I'd fool around and have a ball... Money, money, money Must be funny In the rich man's world Money, money, money Always sunny In the rich man's world Aha-­‐ahaaa All the things I could do If I had a little money It's a rich man's world A man like that is hard to find but I can't get him off my mind Ain't it sad And if he happens to be free I bet he wouldn't fancy me That's too bad So I must leave, I'll have to go To Las Vegas or Monaco And win a fortune in a game, my life will never be the same... Il canto si chiude con un altro dannato/pianta anonimo di cui, contrariamente al suo compagno di pena, non riusciamo assolutamente a individuare l’identità. Qualche timido tentativo è stato fatto, ma il Boccaccio taglia corto dicendo che tanti erano i suicidi che ricorrevano all’impiccagione in Firenze, che secondo lui Dante ha voluto sottolineare un’usanza dei suoi concittadini che si distinguevano in tale pratica, proprio come i senesi che compivano lo stesso atto buttandosi nei pozzi. Contrariamente a Piero però questo misero suicida non dice nulla di sé e pure se interpellato a rivelare il suo nome, evita di rispondere e ci rivela solo i suoi natali con un lunga e inutile perifrasi, ricca peraltro di errori concettuali e storici: impossibile infatti credere che Firenze debba il suo destino di rovina all’acquisizione di san Giovanni come patrono al posto di Marte, e Attila, sia ben inteso, non ha mai raso al suolo Firenze. La sua immagine viene svilita dalla sua ignoranza e dal suo tentativo di apparire dotto, come potrebbe fare chi, acquisito un ruolo di rilievo nella società (egli non è povero possedeva delle case) e poi perso, abbia voluto rinunciare alla sua vita, ma non all’immagine di sé. Egli ci appare immerso nella sua solitudine d’impiccato, nell’impiccagione solitaria dell’ultimo verso del canto. Bob -­‐ Primus I had a friend that took a belt, took a belt and hung himself Hung himself in the doorway of the apartment where he lived His woman and his little bro came home from the grocery store Only to find him dangling in the apartment where he lived I had a friend who shaved his head, put his Doctor Martins on And drew such wondrous pictures in the apartment where he lived He praised my creativity, though he spoke sarcastically Oh, the conversations in the apartment where he lived I had a friend that took a belt, took a belt and hung himself Hung himself in the doorway of the apartment where he lived Rock, she thought him spiteful; Ler, he thought him pitiful Me, I've never been back to the apartment where he lived CANTO XXVI Se facessimo il conto delle parole che si riferiscono a ciascuno dei quattro elementi nell’Inferno dantesco, scopriremmo che l’elemento più citato è… la terra! E il secondo è naturalmente… l’acqua! Il fuoco è solo il terzo per presenza e in una classifica di quattro elementi non si può dire che sia un buon risultato. Le famose fiamme dell’inferno dell’immaginario collettivo evidentemente non basano la loro esistenza su quest’opera. Ne rileviamo la presenza in alcuni punti: un lieve focherello che scende come neve brucia le anime dei violenti contro Dio e gli eretici sono dentro delle arche messi a cuocere su fiamme intorno sparte; i simoniaci al contrario sono a testa in giù in un buco e solo i piedi sono accesi. Ma il fuoco più famoso di tutta la cantica è quello che avvolge i dannati nella bolgia dei consiglieri fraudolenti. È anche tra tutti il più vivo poiché non solo si muove, ma lo fa in maniera rapidissima. Dante ci descrive un’enorme valle piena di fiamme che nascondono con la propria furia le anime dei dannati che rapiscono e visto che la valle è una delle dieci bolge, possiamo ben dire trattarsi di un enorme anello di fuoco. Ring of fire – Johnny Cash Love is a burning thing And it makes a fiery ring. Bound by wild desire I fell into a ring of fire. I fell into a burning ring of fire, I went down, down, down as the flames went higher And it burns, burns, burns, The ring of fire, the ring of fire. The taste of love is sweet When hearts like ours meet. I fell for you like a child, Oh, but the fire went wild. I fell into a burning ring of fire, I went down, down, down as the flames went higher And it burns, burns, burns, The ring of fire, the ring of fire. I fell into a burning ring of fire, I went down, down, down as the flames went higher And it burns, burns, burns, The ring of fire, the ring of fire. And it burns, burns, burns, The ring of fire, the ring of fire, The ring of fire, the ring of fire. Ulisse e Diomede insieme ne hanno fatte più di Lucignolo e Pinocchio: hanno convinto Achille a trovare morte certa a Troia, dove hanno finto di parlamentare con gli avversari per sottrarre loro il Palladio, senza parlare del legno equestre! Ma passa tutto in secondo piano in questo canto che è invece pervaso dal racconto dell’ultimo viaggio di Ulisse quello dove ha trovato la morte. L’uomo che rischia la vita per la sete di conoscenza, per divenir del mondo esperto/ e de li vizi umani e del valore certo ci ha sempre affascinati. Sì ma quell’uomo non era da solo. Non tenta la traversata dell’atlantico in solitaria. Non è un Soldini che se nessuno l’accompagna parte lo stesso. Ulisse ha bisogno di uomini che lo aiutino a governare la barca e come può convincere dei semplici marinai con nessun’altra ambizione dopo dieci anni di guerra e tanto peregrinare, se non quella di tornare a casa? Ulisse ci prova, s’inventa un’orazion picciola e li convince con tanta facilità da rimanere incredulo davanti ai marinai che ora sono più desiderosi di lui di dare ali al folle volo. Gli è bastato far leva sulla propria semenza umana e il “fatti non foste” ha compiuto il resto. Ma la semenza umana non è quella che ci unisce al primo padre Adamo che per voglia di divenir del modo esperto ci ha condannati tutti a questa valle di lacrime? Ma poi dove vuole andare Ulisse a conoscere i vizi umani e ’l valore? Nell’emisfero australe creduto disabitato perché ricoperto dalle acque? A nessuno dei marinai è venuta in mente una di queste domande? Nessuno si è accorto che Ulisse stava compiendo su loro l’estremo inganno, il suo ultimo consiglio frodolente? Dante sa che deve stare attento alla tentazione di usare il saper parlare per trarre dei vantaggi personali a discapito altrui, poiché sa di essere in grado di farlo. Ma sembra essere in grado di rinunciarci e lo dimostra nell’incipit del II del Paradiso dove anzi ci vuole dissuadere dal seguirlo poiché troppo arduo è il viaggio da intraprendere. Lo stesso farà Catone nella Farsaglia di Lucano dove lascia i suoi soldati liberi di fuggire piuttosto che rimanere con lui ad aspettare la sconfitta. Non altrimenti Pompeo che invece come Ulisse convincerà i suoi uomini a solcare le acque verso un destino avverso, anche lui con una piccola orazione che designava la necessità di navigare come maggiore di quella di vivere. Fernando Pessoa citò Pompeo in una poesia che fu citata a sua volta da Caetano Veloso. Os Argonautas O barco, meu coração não aguenta Tanta tormenta, alegria Meu coração não contenta O dia, o marco, meu coração O porto, não Navegar é preciso Viver não é preciso Navegar é preciso Viver não é preciso O barco, noite no céu tão bonito Sorriso solto perdido Horizonte, madrugada O riso, o arco, da madrugada O porto, nada Navegar é preciso Viver não é preciso Navegar é preciso Viver não é preciso O barco, o automóvel brilhante O trilho solto, o barulho Do meu dente em tua veia O sangue, o charco, barulho lento O porto, silêncio Navegar é preciso Viver não é preciso Navegar é preciso Viver não é preciso Navegar é preciso Viver não é preciso Navegar é preciso Viver não é preciso Navegar é preciso Viver . . . Ulisse vive da sempre una doppia identità, quella dell’ingannatore e quella del grande eroe. L’eroe che vuole superare i confini, quelli posti da Dio acciocché l’uom più oltre non si metta. E noi nuovi illuministi del XXI secolo siamo con lui. Noi che percepiamo l’uomo come l’essere più vicino alla perfezione, quello cui è dato di governare la terra; l’uomo che dietro l’insegna della Scienza, si permette qualsiasi azione senza valutarne il valore, ma ritenendola necessaria in sé. Non ci si ricorda mai abbastanza di quanto Dante abbia amato la scienza e di come la ritenesse la via per portare l’animo umano a piena soddisfazione; ma nonostante questo condanna Ulisse per la sua sete di sapere, lo fa annegare in un gorgo perché così piacque a Dio che non l’aveva investito della Sua Grazia illuminante. Questa è la differenza fondamentale in Dante cui è dato di visitare la montagna del Purgatorio mentre a Ulisse è appena permesso di vederla in distanza: Dante è uomo illuminato dalla Grazia divina, Ulisse no. Anche se come da precetti evangelici rinuncia agli appetiti della carne (rappresentati da Circe) e agli affetti familiari, tuttavia la sua ricerca non è verso il Regno dei Cieli, il suo folle volo è orizzontale, diretto all’ umano, al terreno. È lo stesso volo che a inizio canto compie Firenze che per mare e per terra batti l’ali. Non c’è nessun movimento verticale, nessuna ricerca di assoluto. Ma metafore a parte non credo che Dante credesse che bastasse cambiare la direzione spaziale per salvare l’uomo dalle proprie azioni, anche perché sennò avrebbe auspicato la conquista dei cieli anche attraverso una ricerca tecnologica e non solo spirituale. Insomma gli sarebbe bastato vivere in un secolo in cui gli uomini volano e conquistano anche lo spazio. Ma noi sappiamo bene che questo non basta e le sconfitte umane sono all’ordine del giorno nonostante tutto. Space Oddity – David Bowie Ground Control to Major Tom Ground Control to Major Tom Take your protein pills and put your helmet on Ground Control to Major To Commencing countdown, engines on Check ignition and may God's love be with you This is Ground Control to Major Tom You've really made the grade And the papers want to know whose shirts you wear Now it's time to leave the capsule if you dare "This is Major Tom to Ground Control I'm stepping through the door And I'm floating in a most peculiar way And the stars look very different today For here Am I sitting in a tin can Far above the world Planet Earth is blue And there's nothing I can do Though I'm past one hundred thousand miles I'm feeling very still And I think my spaceship knows which way to go Tell my wife I love her very much "she knows" Ground Control to Major Tom Your circuit's dead, there's something wrong Can you hear me, Major Tom? Can you hear me, Major Tom? Can you hear me, Major Tom? Can you "Here Am I floating round a tin can Far above the Moon Planet Earth is blue And there's nothing I can do."