SECONDA 4 pezzi (Page 1)

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SECONDA 4 pezzi (Page 1)
ANNO XII NUMERO 302 - PAG 2
Lettere rubate
E una no. Gentile psicologa si
lamenta per violazione del rapporto
medico-paziente in “Vanity lui&lei”
Gentile signora, sono l’originale destinataria della lettera “rubata” a Vanity Fair con
la quale lei apre la sua rubrica sul Foglio del
15 dicembre scorso. Come forse saprà, visto
DA
ANNALENA
che attinge alla “mia” paginetta , io faccio la
psicologa. Per me tenere una rubrica “del
cuore” è una cosa molto seria. Nel senso che
provo a mettercelo un po’ di cuore, e a tenere in gran conto il cuore di chi mi scrive.
(Questo non mi impedisce di strapazzare, se
occorre, lettrici e lettori, di sorridere e, nel
mio piccolo, provare a far sorridere). (…) E
dunque perdoni l’ingenuità con cui mi permetto di farle sapere quanto mi è dispiaciuto il suo “furto”, quanto mi ha indignato il
sarcasmo gratuito della sua risposta a una
signora che non le aveva mai scritto. (…)
Non m’è riuscito di trovar traccia di rispetto
nel trattamento che quella lettera ha subito
nella sua rubrica, traboccante di brillante
ma facile, molto facile sbeffeggiamento. Mi
tocca sperare che l’autrice di quella lettera
non sia tra i lettori del suo giornale, tra i
quali peraltro mi annovero. Se scrivere da
professionista è questo, mi lasci dire che sono proprio fiera di essere una dilettante. Allo sbaraglio se crede. Saluti
Irene Bernardini (lettera al Foglio)
Purtroppo ho dovuto tagliare l’unica
lettera arrivata a questa rubrica. Gentile
dottoressa, non volevo violare il sacro
tempio psicanalitico di “Vanity lui & lei
(ma anche lui & lui, lei & lei)”, ed ero certa che nella Fiera delle Vanità fosse inclusa un po’ d’allegria. Non si indigni, è
un gioco: invidia palese per le poste del
cuore altrui e amorosi perfidi consigli.
Buon Natale.
Tardona ’75
Da sette mesi la Francia è governata da
un direttore di casting.
C. Laborde (lettera al Nouvel Observateur)
Come fate a dire che la cultura francese è
morta? Forse perché non viene venduta nei
paesi dove la cultura è monetizzabile? Grazie a Dio! Questo è ciò che ci rende unici!
Noi francesi viviamo in un mondo culturale molto diverso da quello americano, perciò
prima di giudicarci, per favore fate i compiti. Imparate il francese, leggete i nostri libri
e la nostra stampa culturale, andate a vedere i nostri film (…).
Hélène Bablon, Paris (lettera a Time)
E guardate la nuova fidanzata del Presidente. La Francia è in grande spolvero,
perché Nicolas Sarkozy è riuscito a fare
tutto: abbracciare il massimo della trasgressione moderna (Carla Bruni, sogno
erotico-chic mondiale – e anche notevole
simbolo culturale: tutti i filosofi parigini
suoi ex hanno finalmente deciso di rassegnarsi all’abbandono e ricominciare a lavorare), ma anche il massimo della tradizione conservatrice (la madre di Carla
Bruni, futura suocera invadente, sempre
addosso: a Disneyworld nel tunnel di Peter Pan, ai giardini di Versailles fra le
querce, a Roma in aereo, a Roma dal Papa, a Roma al ristorante, con e soprattutto senza Carla). Un genio del male. Se a
questo punto le psicologhe del Nouvel
Obs e di Time si dovessero infuriare,
Buon Natale lo stesso.
Dear Mariella, mi sono fidanzato con una
donna bella, sensibile e intelligente, che sarebbe una compagna perfetta, eccetto per un
particolare: sono incappato nel suo diario e
mi sono molto turbato nel leggere di una vacanza in cui è stata con tre uomini: due in
due giorni consecutivi e uno nel bagno di un
nightclub. E’ successo qualche anno fa e oggi lei è, per tutto il mondo, una donna responsabile e talvolta conservatrice. Da quel
che ho capito dal diario, la mia ragazza ha
avuto un bel po’ di one night stands nel passato. Io adesso sono sospettoso e temo che un
giorno possa di nuovo emergere quello spirito cattivo. Non penso che potrò fidarmi mai
del tutto di lei. Sono sconvolto dal fatto che
una donna così adorabile possa aver avuto
una tale tendenza alla promiscuità (…).
Anonimo (lettera all’Observer)
Caro signore, di sicuro lei non governerà mai la Francia. Sarkozy non sbircerebbe nella borsetta di Carla Bruni per
trovarvi l’elenco telefonico internazionale dove sono annotati in rigoroso ordine
alfabetico i nomi dei suoi ex amanti. Certo, il Presidente non ha settimane da perdere, deve mandare avanti un paese. Ma
lei è pazzo (psicologa dell’Observer,
Buon Natale): non si leggono i diari, non
si rubano i cellulari per controllare i
messaggi (ricevuti e inviati) mentre le fidanzate fanno la doccia, non si entra a
tradimento nella casella di posta, non si
ascoltano le telefonate nascondendosi
negli armadi, non si fruga nelle giacche.
Qualche remoto bagno di nightclub si
trova sempre, soprattutto nelle tasche di
adorabili conservatrici.
IL FOGLIO QUOTIDIANO
SABATO 22 DICEMBRE 2007
H A D L E Y A R K E S , C O N S U L E N T E D I B U S H S U L L’ A B O R T O , A P P O G G I A L A M O R A T O R I A
“Facciamo come Lincoln con gli schiavi: liberiamo i non nati”
Roma. In quello straordinario paese legalista che è l’America, dominato da una visione terapeutica della nascita e della morte,
in cui ogni anno un milione di esseri umani
viene abortito nell’oblio, quaranta milioni in
tre decenni di negazionismo biologista, il 18
aprile 2007 la Corte suprema ha messo al
bando la più terribile forma di infanticidio,
l’aborto “a nascita parziale”. Per la prima
volta dal 1973, una forma di aborto è stata
vietata su tutto il territorio americano. La
battaglia era stata iniziata da un pugno di senatori democratici guidati dal grande e compianto Daniel Patrick Moynihan, padrino
del movimento neoconservatore. In piena
corrente positivista, Moynihan scioccò il
paese con la descrizione di questa tecnica.
“Il medico porta le gambe fuori dell’utero e
provoca il parto. Poi effettua un’incisione alla base del cranio, attraverso cui fa passare
la punta di un paio di forbici e un catetere,
attraverso cui viene aspirato il cervello”.
Docente di Istituzioni americane all’Amherst College, Hadley Arkes il 5 agosto
2002 si trovava alle spalle del presidente Bush alla firma del Born Alive Infant Protection Act, la storica legge federale che obbliga i medici a salvare la vita dei nuovi nati so-
pravvissuti a un aborto. Una legge pensata e
scritta da Arkes, il filosofo ebreo di Chicago,
allievo di Leo Strauss, che ha rivoluzionato
gli studi sul diritto naturale con “First
Things”, che ha dato il nome alla celebre rivista diretta da R.J. Neuhaus. Arkes è un
pioniere della giurisprudenza contraria alla Roe vs. Wade, la sentenza che nel 1973 ha
riconosciuto come costituzionale il diritto a
interrompere la gravidanza. Arkes sostiene
l’idea di moratoria lanciata dal Foglio: “E’
una piacevolissima sorpresa che un giornale europeo e laico lanci una moratoria contro l’aborto di massa. Dobbiamo iniziare a
parlare su come fermare questo massacro
degli innocenti. Dal 1973 a oggi, sono state
cancellate due intere generazioni di esseri
umani. Ciò che mi sorprende sempre è l’ironia con la quale i liberal accolgono la cifra
di 40 milioni di americani che non hanno
mai visto la luce. La Roe vs. Wade ha garantito il diritto di decidere quale vita è degna
di essere vissuta e quale no”.
I diritti naturali, in cima ai quali vi è il diritto alla vita, originano dall’essere umano
in sé, al di là di razza, sesso, invalidità, colore della pelle o patrimonio genetico. “Questa tradizione è stata scritta da uno dei Pa-
dri fondatori, James Wilson, nella sua famosa lezione di diritto del 1790: ‘Nella contemplazione della legge, la vita umana, dal suo
inizio alla fine, è protetta dalla legge’. Wilson ripeteva che ‘la sovranità deve fondarsi
sull’uomo’. Un disaccordo non annulla la verità. Durante la schiavitù, abbiamo imparato quanto sia grave dividere gli esseri umani in categorie. Oggi alcune vite possono essere portate via in qualunque momento senza bisogno di dare una giustificazione”. Fu
Abraham Lincoln a sostenere che “dando la
libertà dello schiavo, assicuriamo la nostra
libertà”. “Garantendo le più elementari protezioni alla vita umana, rendiamo più sicuro
il terreno dei diritti di tutti, dei nati e dei
non nati” continua Arkes. “La vita di una famiglia americana del Midwest non era minacciata dai nazisti, ma hanno mandato lo
stesso i loro figli a combattere. La storia dell’America è la storia di questa dedizione alla causa della vita”. Su quale base morale
giustifichiamo la sottomissione della vita del
non nato? “E’ questa la domanda alla quale
siamo chiamati a rispondere. Il mondo morale non si identifica con le decisioni dei legislatori. Se possiamo alterare la definizione di ‘uomo’ a nostra utilità, come ha dimo-
strato il Ventesimo secolo, se la natura non
fornisce alcuna definizione dell’essere umano che siamo chiamati a rispettare, rimuoviamo il terreno su cui si fondano i diritti naturali”. I nazisti hanno ucciso alcuni parenti di Arkes, i nonni nella Russia occupata
dai nazisti e da parte di sua moglie alcuni
non sono usciti dal lager di Theresienstadt.
“Visto che la mia famiglia ha perso numerosi membri durante l’Olocausto, posso rivendicare una certa libertà nel rispondere a coloro che oggi censurano ogni paragone con
l’esperienza nazista. Non dobbiamo vergognarci a parlare dell’aborto come di un olocausto del nostro tempo”. Ronald Reagan,
che introdusse il tema della sofferenza del
non nato e bloccò i fondi alla ricerca sui feti abortiti, istituì il National sanctity of human life day con questa motivazione: “Il futuro della nazione dipende dalla protezione
degli innocenti”. Parole rievocate da Bush
mentre firmava la legge sull’aborto a nascita parziale. Parole ancora più antiche che
troviamo scolpite nella Dichiarazione d’Indipendenza, il più bel manifesto d’antropologia moderna: la legge non deve oscurare la
vita, ha il compito di proteggerla.
Giulio Meotti
I PARERI DI MONACO, CECCANTI, MERLO E MAGISTRELLI
Cattolici adulti, tiepidi e diffidenti sulla moratoria per gli aborti
Roma. La proposta di una moratoria per
l’aborto che segua quella per le esecuzioni
capitali votata dall’Onu è stata lanciata martedì scorso dalle pagine di questo giornale,
insieme con l’invito a cominciare, in concreto, a realizzarla a partire dal sostegno al movimento per la vita e ai suoi centri che ogni
anno consentono a tante donne di non rassegnarsi all’eliminazione del bambino che
aspettano. Quell’idea di moratoria simbolica,
culturale, morale ma degna di tradursi in fatti, ha suscitato l’approvazione netta degli
esponenti dell’associazionismo cattolico interpellati ieri dal Foglio. Il mondo dei cattolici democratici, dei “cattolici adulti” di prodiana memoria, reagisce invece a quella proposta con molti distinguo e qualche diffidenza. E’ il caso di Franco Monaco, oggi deputato del Partito democratico dopo aver presieduto dal 1986 al 1992, chiamato dal cardinal
Martini, l’Azione cattolica ambrosiana. Monaco dice al Foglio che, a suo avviso, vanno
“distinti tre livelli di giudizio. Non ho esitazioni nel giudicare l’aborto come la soppressione di una vita umana e, sul piano eticoculturale la provocazione di Ferrara può essere utile, costringe a interrogarsi e a riflet-
tere. Mi rendo conto anche che, della provocazione, fa parte la connessione impropria
con la pena di morte. Trattasi però di cose affatto diverse: una donna che abortisce non è
assimilabile al boia di stato. Infine, sul piano
politico-legislativo, non sarebbe saggio aprire una lacerante querelle intorno all’idea di
mettere mano alla legge 194. La comunità ha
il dovere di disciplinare con equilibrio anche ciò che personalmente giudico un male
morale, un dramma personale e sociale che
non può essere cancellato per decreto”.
Un’approvazione condizionata è quella
espressa da Stefano Ceccanti, costituzionalista di punta del Partito democratico con
un’esperienza come presidente della Federazione degli universitari cattolici dal 1984
al 1987. Ceccanti confessa però “di non capire bene che cosa si intenda concretamente
per ‘moratoria sull’aborto’. Nel caso della
pena di morte lo stato può decidere pienamente di non applicarla o di sopprimerla: se
esso decide così la pena di morte è sospesa
o eliminata. Nel caso invece dell’aborto esso preesiste a qualsiasi decisione dello stato. Quest’ultimo può allora adottare varie
decisioni, ma esse comunque non sospendo-
no né sopprimono di per sé l’aborto. Le nostre leggi non considerano l’aborto un diritto né lo equiparano ad altri mezzi per il controllo delle nascite. Si limitano a non punire coloro che lo praticano nei casi indicati
dalla legge, consentendo l’obiezione di coscienza di chi interviene nella procedura, e
affermano soprattutto una volontà di prevenzione. Ma – conclude Ceccanti – se per
moratoria si vuol alludere al fatto che la
prevenzione non è sufficientemente valorizzata nei fatti e che ad essa va sensibilmente
incrementata penso che sia un’attenzione
ampiamente condivisibile”.
Giorgio Merlo, deputato e fautore di una
presenza organizzata dei cattolici democratici nel Partito democratico, dice invece al Foglio che “azzardare un parallelo tra pena di
morte e aborto può essere una provocazione
intelligente e interessante. Lo prendo come
un sasso nello stagno che costringe a riflettere sul problema dell’aborto, a non darlo per
risolto e scontato. Personalmente sono tra
coloro che considerano un bene l’esistenza
della legge 194, e non dimenticano che è
uscita vittoriosa da un referendum popolare.
Anche se, certo, tutto si può migliorare: le
leggi non sono immutabili, sono il frutto del
loro tempo. Da cattolico, e da cattolico democratico, penso però che la provocazione di
Ferrara sia uno stimolo a riflettere”.
Marina Magistrelli, senatrice del Partito
democratico proveniente dalla Margherita,
nonché prodiana della primissima ora, in
passato è stata dirigente dell’Azione cattolica. Nel commentare l’idea di moratoria sugli
aborti parte dalla considerazione che “l’aborto è un male, un fatto negativo, e questo
mi pare scontato. Ma riconosco che, dal punto di vista della convivenza civile, bisogna tener conto di una pluralità di concezioni etiche. Uno stato laico disciplina un fenomeno
diffuso, e l’aborto lo è stato e lo è. Mi chiedo
allora come mai oggi si senta il bisogno di
aprire questa disputa. Riconosco che per
certi versi può essere anche utile, perché è
sempre utile tenere desta l’attenzione su
questi temi. E allora va bene, se ne parli, si
riapra un dibattito etico, culturale e scientifico. Ma in questo caso specifico colgo un po’
di malizia politica da parte di chi propone la
moratoria, l’intento di aprire contraddizioni
all’interno dei poli. Sia chiaro: parlare di malizia, in politica, è un complimento”.
PROGETTI BIPAR TISAN DI MORATORIE QUOTIDIANE
Così nella rossa Emilia spiegano alle donne che si può anche non abortire
Roma. Arriva dalla rossa Emilia Romagna
un importante esempio di collaborazione tra
movimenti pro life di ispirazione cattolica e
il mondo laico degli ospedali e della sanità
sul tema dell’aborto e dell’applicazione della legge 194. Lo racconta al Foglio Antonella
Diegoli, presidente per l’Emilia Romagna di
di Federvita, sigla che raccoglie cinquanta
tra movimenti di volontariato, servizi, centri
e case d’accoglienza sparsi sul territorio.
Per quanto riguarda l’aborto, Carpi e
Forlì sono due esempi illuminanti di come
si possa utilizzare la legge per non rassegnarsi all’ineluttabilità dell’aborto. Lì sono
nati due progetti, diversi per forma e procedure ma simili per i contenuti: l’idea è
quella di formare medici, ostetrici, infermieri e assistenti sociali che hanno a che
fare con le donne che vogliono abortire “affinché sia attuata quella parte della legge
194 che in trent’anni non è mai stata considerata, e cioè la prevenzione dell’aborto”,
dice Diegoli. Con questa prospettiva, a Carpi è nato “un tavolo operativo a cui siedono operatori ospedalieri, la commissione
Pari opportunità e i consultori pubblici e
privati da una parte, e l’associazione Gio-
vanni XXIII e il Servizio di accoglienza alla vita come rappresentanti del mondo
prolife”. Il progetto, “Scegliere di scegliere”, è stato voluto dal primario di ginecologia di Carpi, il professor Masellis.
Senza forzare le rispettive idee di partenza, si è cercato di capire quale sia il problema di fondo: “La domanda a cui bisogna rispondere è come aiutare in concreto le donne che vorrebbero abortire, non quale sia il
metodo abortivo da utilizzare. Nella mia
esperienza ho visto come non obiettori e
abortisti siano convenuti con obiettori e antiabortisti, al di là dell’essere ‘laici’ o cattolici, sul fatto che si deve rispondere al grido
di dolore che una donna in quella situazione ha nel cuore. Da qui si può costruire”, afferma Antonella Diegoli. I numeri le danno
ragione: a Forlì, dove è stato stipulato un vero e proprio protocollo di collaborazione tra
operatori, consultori e movimenti, “in pochi
mesi l’undici per cento delle donne che aveva già ottenuto il certificato per abortire ha
deciso di tenere il figlio. Se questo protocollo fosse applicato in tutta la regione, verrebbero salvati oltre mille bambini all’anno solo in Emilia Romagna. E molti di più sareb-
bero se la scelta per la vita fosse via via incentivata”. Come funziona questa “rete” di
aiuto? “Quando una donna si rivolge al medico o all’ospedale, le viene segnalata la possibilità di parlare con esperti che le spiegano che ci sono alternative all’aborto”. Cosa
che molte nemmeno sanno. “Una ricerca relativa agli ultimi anni ha dimostrato che il
quaranta per cento delle donne che hanno
abortito a Modena non sapeva che esistessero alternative a quella scelta. Se poi teniamo
conto che la maggior parte delle decisoni sono prese per problemi economici, capiamo
che c’è qualcosa che non va: la legge dice
che quella economica non può essere una
motivazione, la donna deve poter essere aiutata”. Questo è quanto esperti e assistenti sociali provano a trasmettere. “Succede – aggiunge Diegoli – che alcune donne decidano
di tenere il bambino nel momento in cui si
rendono conto che c’è qualcuno che le ascolta, che condivide la loro fatica, che è disponibile ad ascoltarle e aiutarle durante e dopo la gravidanza”. A muovere questi progetti, spiega ancora Antonella Diegoli, “da parte dell’operatore pubblico è la volontà di applicare davvero e fino in fondo la legge. Per
decenni, però, posizioni ideologiche hanno
impedito di costruire questa rete di aiuto”.
Anni fa, a Bologna era stato firmato un
protocollo simile a quelli di Carpi e Forlì,
ma alcune femministe si opposero e occuparono, nude, la sede della regione. Il progetto
non partì. Cosa è cambiato? “Credo che oggi
non ci sia più nessuno che pensi all’aborto
come un bene per la donna. Conosco tanti
medici non obiettori, non cattolici, che a un
certo punto smettono di praticare aborti perché, parole loro, ‘non ce la fanno più’. Per
quanto riguarda le donne, la possibilità di
sapere che se tengono il figlio non saranno
da sole, dà loro una speranza inimmaginabile”. Un dato a sostegno di questa tesi è il numero sempre più elevato di donne che ricorrono alla psicoterapia perché non si perdonano di avere abortito. “La legge è chiara –
conclude Diegoli – una volta ottenuto il certificato, prima dell’operazione bisogna far
passare un certo periodo in cui la donna abbia il tempo di pensare a cosa sta per fare”.
Quello è il momento in cui dare sostegno e
informazioni alla donna perché la scelta sia
reale e non imposta dall’indifferenza.
Piero Vietti
TEODEM, NEODEM E LA PROVVIDENZA
Caro Polito, c’è una teologia della storia che ci sorprende continuamente
Al direttore - Il dibattito politico di questi
ultimi giorni si è interrogato spesso sul tema
della laicità, per cercare di comprendere come possano convivere autonomia personale
e appartenenza politica. Due sono i nodi critici: il rapporto tra un parlamentare e il suo
partito e il rapporto tra chiesa e stato. Polito
sul Foglio di ieri ha posto però un problema
ancor più difficile, che ha poco a che vedere
con la politica e le sue leggi. Si è interrogato
sul rapporto dell’uomo con la Provvidenza,
anche in merito a possibili interventi dello
Spirito Santo, e sul rapporto tra preghiera e
libertà personale. Il senatore ricorda infatti
che per venire a capo di un disegno di legge
che non mi sentivo di condividere, dopo una
faticosa e inefficace negoziazione, avevo pregato e sperato che lo Spirito Santo scendesse sulla aula del Senato. Dopo aver cercato
di parlare con tutti, non sapevo che altro fare. Polito si chiede in che modo la preghiera
possa influire sugli eventi e sulle persone,
senza far loro violenza.
La norma, che non condividevo e per cui
non ho votato la fiducia, non è decaduta per
il mio dissenso, ma per il pasticcio di una formulazione che contiene riferimenti erronei.
Nessuno sa chi ha formulato in quel modo
l’emendamento, né chi lo ha inserito materialmente nel disegno di legge. Il presidente
Napolitano in ogni caso si è rifiutato di firmare una legge mal documentata. Come tanti altri, neppure io sono in grado di capire cosa sia realmente accaduto negli uffici quel
giorno, chi abbia materialmente battuto l’emendamento, chi lo abbia approvato e fatto
inserire nel ddl. Posso solo rallegrarmi che
quella formulazione non sia passata e come
credente posso confermare la mia convinzio-
ne sul valore della preghiera. Quando desideriamo intensamente qualcosa, mettiamo
in gioco tutti i mezzi a nostra disposizione e
lo facciamo con grinta e con determinazione.
E’ la dimensione laica del nostro impegno
umano e professionale, che ci spinge a non
lasciare nulla di intentato. Concentriamo la
nostra professionalità, le nostre qualità umane, la nostra sensibilità verso problemi che
toccano realtà e persone in difficoltà: il contrasto alla povertà, le ingiustizie, il dolore e
la malattia, ma anche l’amore alla ricerca,
l’interesse per le nuove generazioni, la promozione della famiglia, la tutela della vita,
ecc. E la politica offre mille occasioni per
combattere questa guerra di pace e di solidarietà, in scienza e coscienza: tutti insieme,
laici e cattolici, credenti e non credenti. Ma
il credente guarda anche oltre, cerca l’aiuto
soprannaturale della Grazia, legato alla misericordia di Dio, se vuole può rivolgersi a
Dio con la preghiera e in piena libertà. Dio
rispetta la libertà dell’uomo, tanto da incoraggiarci a chiedere le cose di cui abbiamo
bisogno: con umiltà, con fede, con una certa
insistenza. E’ la prima forma di preghiera
che si insegna ai bambini, quella a cui tutti
ricorriamo nei momenti di bisogno, sperando nella misericordia del Signore, ma sapendo che non c’è nessun automatismo. Dio non
si lascia condizionare, ma può venirci incontro se crede che ciò che chiediamo sia bene
per noi e per gli altri. Solo che i tempi di Dio
sono molto diversi dai nostri e la sua interpretazione di ciò che è bene non sempre collima con la nostra. Però ci hanno insegnato
che in un modo o nell’altro la preghiera è
sempre efficace e per questo abitualmente ci
provo, senza pretese. Qualche volta va bene,
anche se non si capisce né cosa sia successo
né come sia successo. Semplicemente è accaduto. La storia, penso a quella del 900, è piena di eventi la cui dinamica sfugge alla nostra comprensione: c’è una teologia della storia che ci sorprende e ci spiazza continuamente. E questo è tutto caro Polito, ti invito
solo a provarci, soprattutto quando sperimenti che da solo non ce la fai, provaci anche se pensi di non avere abbastanza fede:
questo è l’anno della Speranza.
Paola Binetti, senatrice del Pd
Vite parallele
Ike che fece molti errori e ne portò
a suo modo la croce, George che
ne fece uno notevole e se ne scusò
Ike Turner
Nacque il 5 novembre 1931. Nacque
Izear Luster Turner, a Clarksdale, città
del blues nel delta del Mississippi. Cominciò a otto anni come dj in una radio
locale. Imparò a suonare il piano, girò intorno ai maestri del blues del momento.
Si racconta che collaborò alla prima incisione in assoluto di un pezzo di rock’n’roll, poi si dedicò alla chitarra. Organizzò
un suo show con diversi cantanti. Una si
chiamava Anna Mae Bullock. Ike le propose di chiamarsi Tina, divorziò dalla
prima moglie, la sposò. I coniugi Turner,
Ike and Tina, produssero una serie di album di R&B, girarono gli stati del sud
con un loro spettacolo. Il successo
pompò l’io di Ike, lo assecondò nella passione per la cocaina, gli arroventò il carattere. Lo si diceva manesco, Tina nascondeva i lividi sotto il trucco, Ike giustificava la violenza con il trasporto sentimentale. Tumultuosi, i concerti proseguirono. Nel settembre del 1966 il successo divenne mondiale quando i Rolling Stones li invitarono ad accompagnarli in
un tour trionfale nel Regno
Unito. La loro
versione R&B
di famosi pezzi
rock, tra cui
“Come
Together”
dei
Beatles, divennero successi
inconsueti.
Tra liti e baruffe la ditta e
il
matrimonio
durarono fino al
luglio del 1976. Due anni dopo il divorzio
fu formalizzato. Ike abbandonò le
tournée, si dedicò al suo studio di incisione di Los Angeles. Quando si rimise in
pista con una nuova band scoprì che Tina aveva portato via con sé molto dell’entusiasmo dei fan. Nel 1980 andò in fiamme lo studio di registrazione, mentre Ike
incominciava una lunga teoria di incidenti con la legge legati all’uso delle droghe. Nel 1990 finì in prigione per quattro
anni per guida sotto gli effetti della cocaina. La condanna gli costò il posto nella Hall of Fame del Rock and Roll. Quando fu rimesso in libertà dichiarò di essersi levato la scimmia dalle spalle, ammise
di avere speso in cocaina più di undici
milioni di dollari. Una biografia e un
film di Tina non lo aiutò a rinverdire la
sua immagine. Ma poiché in ogni storia
un cattivo deve pur esserci, accettò la
croce per quarantacinquemila dollari.
Poi, parafrasando un celebre libro pubblicò “Le confessioni di Ike Turner”, rimise insieme una band di un qualche
successo, vinse un Grammy per il miglior
disco di blues tradizionale. E’ morto martedì 12 dicembre.
George Webb
Nacque nella notte di Natale del 1929.
Nacque a Kakamega, in Kenia. Imparò
lo swahili, studiò letteratura a Cambridge. Nel 1954 tornò in Kenya. Impiegato
nel servizio civile percorse a cavallo la
regione di frontiera con l’Etiopia, compilò un dizionario della lingua boran.
Organizzò gare atletiche con i detenuti
della prigione locale, imparò a liberarsi
da leoni aggressivi e dalle iene con il veleno. Divenne amico per la vita del celebre viaggiatore Wilfred Thesiger. In un
rapporto dichiarò che Yomo Kenyatta
non era un uomo adatto a governare il
paese. Dopo dieci anni di governo di
Kenyatta ammise sportivamente il suo
errore. Arruolato nei servizi segreti britannici operò in Thailandia contro i
guerriglieri comunisti. In Ghana tormentò con scherzi fantasiosi la legazione russa. Durante la chiassosa stagione
degli amori di certi rospi locali, ne fece
raccogliere ceste, per lanciarli nel giardino dell’ambasciata sovietica in modo
che i compagni non potessero prendere
sonno. Curò una celebre edizione critica
dei diari di Rudyard Kipling. E’ morto a
settantasette anni.
PREGHIERA
di Camillo Langone
Ho saputo che domani
pomeriggio, a partire dalle
16, in viale Ceccarini a Riccione si snoderà il presepe vivente che
vedrà protagonisti i bambini di una
scuola. Bene, se nel mio cuore c’è posto
per una lapide questa reca la scritta
“Viale Ceccarini”. Per un numero di
anni che saggiamente manterrò segreto ci ho bevuto tutti i Negroni che ci potevo bere, diciamo così. Un bel giorno
mi sono alzato dalla sedia, ho lasciato i
soldi del conto sul tavolino del Blue
Bar e senza voltarmi indietro sono andato a prendere il treno. Da quel preciso momento il famoso viale ha esercitato su di me lo stesso richiamo di un museo civico archeologico, o di una cena
coi vecchi compagni di classe. Invece
quando ho saputo del presepe vivente
ho desiderato tornarci, magari con un
bambino che fosse mio figlio. Liberato
dal passato, ho potuto immaginarmi un
futuro. Potenza del Natale di Nostro Signore Gesù Cristo.
PICCOLA POSTA
di Adriano Sofri
Nel breve periodo siamo
tutti morti.