la sindrome della bambola e del soldato

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la sindrome della bambola e del soldato
La sindrome deLLa bamboLa
e deL soLdato
Carolina Aranci
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Le aspettative egoistiche riposte suL partner deteriorano iL
rapporto di coppia
L
a sera è uno dei momenti in cui la famiglia
si riunisce; per alcune coppie, da occasione
di dialogo costruttivo e di coccole, diviene momento di scontro. Colpa del non sapersi mettere
nei panni del coniuge, idealizzando lei come una
bella bambola sempre sorridente e lui come un
soldato pronto a tutto. Ecco cosa fare per ritrovare la tenerezza dell’incontrarsi
Tardo pomeriggio di un giorno feriale, come
tanti. L’automobile parcheggiata nel suo riquadro bianco di sempre; l’uomo scende, prende la
valigetta e inserisce l’antifurto, trae di tasca le
chiavi del portone e, dopo aver salito le scale, fa
per aprire la porta d’ingresso di casa. L’immagine che ha in mente, una volta varcata la soglia, è
quella di sua moglie, bella come il sole, sorridente, serena, che al suo arrivo gli dia il bentornato con baci e abbracci e che magari lo accompagni a dare la buonanotte ai bimbi già pronti per
la nanna. La cena, pronta e fumante, sarà in tavola ad aspettarlo; silenzio e calma regneranno
tra le mura domestiche.
Tardo pomeriggio di un giorno feriale, come
tanti. La lavatrice continua a mescolare i panni,
mentre la pentola è sul fuoco e i bambini litigano per un cartone animato che a uno piace, all’altro no. Si danno spintoni fino a farsi male e la
mamma, abbandonate le faccende domestiche, i
capelli ancora arruffati e il grembiale addosso, è
costretta a intervenire per calmarli e consolarli.
In quel momento sente aprire la porta di casa.
L’immagine che ha in mente, una volta che il marito avrà varcato la soglia, è quella di un uomo
che la abbracci e la sollevi da qualcuna delle sue
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occupazioni, tanto da tranquillizzarla e darle
l’opportunità di svolgere le altre attività con più
calma e concentrazione e magari riuscire a rendersi più presentabile.
Tardo pomeriggio di un giorno feriale, come
tanti. Il marito rincasa e c’è confusione nell’aria:
i bimbi piangono e urlano e si sente ancora il rumore della centrifuga della lavatrice. La moglie
gli volge appena lo sguardo salutandolo con aria
sommessa: ha tutta l’aria di non poterne più, è
stanchissima. La pentola bolle sul fuoco ma la
tavola non è ancora apparecchiata. Lui ha bisogno di una doccia, deve rilassarsi dopo il lavoro,
e si chiude in bagno; lei non riesce a gestire tutto da sola e comincia a urlare, prima con i bambini, poi con il marito, che a sua volta le risponde per le rime. Il nervosismo invade la casa, ciascuno dei genitori prende la sua porzione di cibo
e la mangia in uno spazio che ha apparecchiato
solo per sé, senza pensare – volutamente – all’altro. Non c’è condivisione, non c’è dialogo; la
serata termina con lui che mette a dormire i piccoli e lei che continua le faccende in cucina. Al
momento di ritrovarsi, sono entrambi troppo delusi dal partner e adirati, scocciati, maldisposti
al dialogo, tanto che è meglio far silenzio e addormentarsi, ognuno quando ritiene più opportuno, ma entrambi rigorosamente col muso lungo. Per poi svegliarsi al mattino successivo, uscire di casa e al rientro terminare la giornata con
modalità simili a quelle della sera precedente.
La “sindrome della bambola” è quella situazione immaginifica nella quale si idealizza la
moglie (o il marito nella corrispondente “sindrome del soldato”) scontornandola dalla vita reale
e immergendone i lati più piacevoli in una sorta
di vita virtuale, dove tutto funziona secondo i nostri desideri, dunque… alla perfezione. L’impatto con la vita realmente vissuta, con difficoltà,
ostacoli, ansietà, nervosismi, stanchezze, crea
uno scompenso tale da non riuscire più a riconoscerla. Lo stesso avviene per la donna che idealizza il marito come un uomo pronto a tutto pur
di renderla felice: quanto più emerge la vera natura dell’essere umano, tanto meno lei ne è attratta.
A determinare una situazione così spiacevole è di certo la mancanza di disponibilità nei
confronti dell’altro, ma soprattutto l’aspettativa che ci si crea su di lui e su di lei. Non ci si
mette nei panni del partner, non ci si adegua a
parlare il suo stesso linguaggio. Difficile che un
marito appena rientrato dopo ore e ore di ufficio, traffico, richiami e scadenze, riesca immediatamente a cogliere le implicite richieste
d’aiuto della moglie; allo stesso modo è impossibile per la moglie essere bella, piacevole e
sorridente, immersa com’è nei problemi della
vita familiare, senza poter mai “staccare” come
invece avviene – o meglio, dovrebbe avvenire –
per lui al termine della giornata d’ufficio. Spesso, anzi, anche la donna ha trascorso diverse ore
al lavoro, per poi immergersi a capofitto nell’attività casalinga (a volte più faticosa di quella professionale).
In maniera forse ancora adolescenziale si
pensa egoisticamente che il momento dell’incontro con il partner a fine giornata sia bellissimo, che l’altro/a sappia certamente rendersi
gradevole e aiutarci; ma questo è ciò che noi
stessi vorremmo da lui o da lei, la proiezione
del nostro volere e dei nostri desideri sul partner. Tale visione non tiene conto della giornata
del coniuge, ma solo di quanto noi abbiamo in
prima persona vissuto e di ciò che ci aspettiamo.
Come uscire dall’empasse? Pensando non a
“cosa voglio io”, ma a “cosa desidererà l’altro
ora che mi vedrà”; quali saranno le sue necessità,
come potrò aiutarlo/a, come la stanchezza della
mia giornata possa non gravare su di lui o su di
lei ma semplicemente essere superata per dare
conforto alla mia “dolce metà”, che magari sarà
ancora più stanco (o stanca) di me.
Evitando la proiezione dei nostri desideri sul
partner, ma calandoci col pensiero in quella che
deve essere stata la sua realtà quotidiana, saremo più vicini a lui/lei, ne capiremo meglio le necessità, spingendolo/a a sua volta a essere più costruttivo/a e disponibile a capire le nostre. Senza
l’infantile egoismo iniziale del “desidero che
lui/lei sia così…”, anzi trasformandolo in un “co-
me lui/lei desidererà che io sia? Cosa gli/le farebbe più piacere?”, la coppia ritrova l’armonia
e la capacità di fare fronte comune alle difficoltà.
Ciascuno dei due si sente spalleggiato dall’altro,
compreso, protetto, in una parola amato. Se lui
riesce a prendere il bimbo dalle braccia della moglie e a consolarlo al suo posto concedendo a lei
di rilassarsi, e se lei pensa ad accogliere il marito che torna a casa come un uomo stanco e bisognoso di cure, piuttosto che come un soldato indefesso, la tenerezza riemerge e la coppia è di
nuovo un tutt’uno, un punto di forza e non di debolezza.
Lasciamo pure bambole e soldatini al mondo plastificato dei giochi dei bambini; meglio
comportarsi da veri mariti e vere mogli, uomini
e donne ben formati, saldi sulle proprie gambe,
inseriti nella vita reale e non più in una proiezione adolescenziale dell’innamoramento. E ci si
immergerà sempre più nell’amore adulto, ossia
nell’amore vero, autenticamente e pienamente
vissuto.
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Presso la BIOS S.p.A. di Roma, in via Chelini 39, la dott.ssa Carolina Aranci
svolge attività di consulenza analitico-transazionale.
Per informazioni e prenotazioni: CUP 06 809641