Lavoratori e impresa artigiana - Quaderni di ricerca sull` artigianato
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Lavoratori e impresa artigiana - Quaderni di ricerca sull` artigianato
30 31 Quaderni di ricerca sull’artigianato - Simon H. e Zatta D., (2007), ‘Obiettivo profitto’, L’Impresa, no. 1, Marzo. - Simon H., (2001), Campioni nascosti. Come le piccole e medie imprese hanno conquistato il mondo. Milano, Sperling & Kupfer. - - Visconti F. (2006), Piccole imprese. Spirali di crisi, percorsi di successo, Egea, Milano. Zucchella, A. e Maccarini, M.E. (1999), I nuovi percorsi di internazionalizzazione. Le strategie delle piccole e medie imprese italiane. Milano, Giuffrè. LAVORATORI E IMPRESA ARTIGIANA: TRA QUALITÀ DELLA VITA LAVORATIVA E NUOVO MODELLO DI CONTRATTAZIONE Ennio Bordato - Responsabile Area Politiche del Lavoro e Contrattazione, Associazione Artigiani della Provincia Autonoma Trento - Confartigianato Giorgio Gosetti - Insegna Sociologia del lavoro presso l’Università degli Studi di Verona La stesura del testo va attribuita: per i paragrafi 1, 2 e 3 a Giorgio Gosetti; 4 e 5 a Ennio Bordato Premessa Le argomentazioni contenute nelle pagine seguenti si compongono di due parti. Nei primi tre paragrafi viene presentata una prospettiva di lettura della qualità del lavoro, indirizzata a comprendere specificatamente alcuni cambiamenti che stanno avvenendo nel mondo del lavoro. In questa fase, infatti, significative trasformazioni interessano proprio le condizioni di lavoro e di vita lavorativa delle persone. Innovazioni organizzative e tecnologiche, ad esempio, trasformano i tradizionali modelli di organizzare il lavoro in una direzione sempre più tesa a mettere le persone nella condizione di disponibilità verso il lavoro e a richiedere competenze che direttamente fanno riferimento alla sfera personale (capacità di comunicare, di costruire relazioni, di risolvere problemi, ecc.). Le note qui raccolte partono da questo presupposto, e intendono proporre una chiave di lettura utile a comprendere quello sta che sta avvenendo nel mondo delle imprese artigiane, che – com’è noto – è caratterizzato da alcune peculiarità che lo distinguono dal più generale contesto produttivo. La seconda parte, sviluppata negli ultimi due paragrafi, presenta 32 Quaderni di ricerca sull’artigianato una riflessione specificatamente dedicata al modello di contrattazione e all’avvio di un’esperienza concreta di innovazione in quest’ambito in provincia di Trento. Un dato interessante, è che la scelta di innovare nelle relazioni sindacali si sta sviluppando anche in riferimento ad un’analisi mirata – in fase di conclusione – sulla cultura e qualità del lavoro dei lavoratori dipendenti delle imprese artigiane. 1. Imprese artigiane e lavoratori Il lavoro artigiano – è ormai noto – costituisce un fenomeno socio-economico rilevante: dal punto di vista economico, occupazionale, del radicamento sul territorio, in quanto prospettiva di avvio di esperienze lavorative, canale di accesso al lavoro, contenitore, conservatore e produttore di sapere professionale. Sono solamente alcune delle chiavi di lettura attraverso le quali viene spesso letta la presenza delle imprese artigiane. Ma, quelle artigiane, sono anche piccole imprese, tutti i giorni a confronto con problemi di sostenibilità, di innovazione, di mantenimento del mercato, di relazione con altre imprese, e così via. Non solo in questa fase di crisi, peraltro, per le piccole imprese è sentita come forte la necessità di fare rete, superare l’isolamento, innovare e diversificare la produzione e i processi produttivi, sviluppare capacità di adattamento attivo e flessibile alle prospettive dei sistemi produttivi. In queste note si vuole però spostare l’attenzione sui lavoratori delle imprese artigiane. Al fine di meglio inquadrare le osservazioni che si andranno a sviluppare è necessario prima di tutto richiamare qualche aspetto per caratterizzare il fenomeno artigiano nel nostro paese. Qui si fa solo un cenno ad alcuni aspetti utili per inquadrare le osservazioni contenute nelle prossime pagine, rinviando alle fonti in- LAVORATORI E IMPRESA ARTIGIANA formative autorevoli (associazioni di categoria e Istat in primo luogo) per i necessari approfondimenti. Le imprese artigiane, che rappresentano più di un quarto delle imprese attive nel paese, com’è noto, fra le caratteristiche distintive hanno primariamente quella di essere di piccole dimensioni, ovvero di collocarsi in media attorno ai 2,6 addetti per impresa (va considerato che, nell’Italia delle piccole imprese, il dato nazionale complessivo si attesta attorno ai 4 addetti per impresa, e il nostro paese in Europa presenta un numero fra i più alti di imprese per abitanti). Vi sono comunque alcune regioni, quali le Marche, il Trentino-Alto Adige, l’Umbria e il Veneto, e alcuni settori di attività, quali la metallurgia (e le attività industriali in senso stretto), la fabbricazione di articoli in gomma e materie plastiche, di apparecchiature elettriche, ecc., che presentano anche una quota considerevole di addetti per impresa. Le imprese che operano nell’area delle costruzioni, ad esempio, sono spesso collocate ben al di sotto della soglia dei dieci addetti, e presentano una significativa concentrazione nella fascia di imprese con un solo addetto. In generale, comunque, la stragrande maggioranza di addetti opera nelle imprese con meno di dieci componenti, e quelle con un solo addetto rappresentano una quota di una certa rilevanza. La distribuzione territoriale è piuttosto diffusa, ma vede una concentrazione maggiore nel Nord-Ovest, seguito dal Nord-Est, Centro, Sud e Isole (Sud e Isole assieme superano comunque il Centro). Infatti sono Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Piemonte e Toscana le regioni che vedono una maggiore presenza di addetti delle imprese artigiane (regioni che, assieme a Valle d’Aosta e Marche, presentano anche il numero più elevato di imprese per abitanti a livello nazionale). I settori nei quali si concentra prevalentemente 33 34 Quaderni di ricerca sull’artigianato l’attività delle imprese artigiane sono quelli dei lavori di costruzione specializzati (installazione e manutenzione di impianti elettrici, elettronici, idraulici, ecc., lavori di isolamento termico, acustico, ecc., riparazione manutenzione di ascensori, e così via), della costruzione di edifici, dei cosiddetti “altri servizi alla persona”, della fabbricazione di oggetti in metallo, del commercio e trasporto. Chiaramente esistono una grande varietà di altri settori (quali ad esempio l’industria del legno e alimentare, l’attività di ristorazione, la fabbricazione di articoli in paglia, la riparazione di apparecchiature, ecc.) nei quali operano le imprese artigiane, a dimostrazione dell’assoluta estensione e poli-settorialità delle attività. In alcuni ambiti in particolare l’artigianato ha una forte incidenza in generale sulla struttura produttiva del paese anche in termini occupazionali, quali ad esempio i lavori di costruzione specializzati, degli “altri servizi alla persona” e dell’industria del legno. Un dato interessante è costituito dalla rilevanza che l’artigiano assume per l’apprendistato e l’inserimento occupazionale dei giovani attraverso questo canale di accesso al lavoro (sebbene negli ultimi anni abbia registrato segnali di discontinuità). 2. Il lavoro artigiano nel lavoro che cambia: competenze e modelli organizzativi Il lavoro cambia, costantemente, ma in questi ultimi anni alcuni processi di trasformazione stanno imprimendo una direzione precisa alla produzione di beni e servizi e al profilo occupazionale nella maggior parte dei paesi che hanno un sistema produttivo più strutturato. Senza entrare nel dettaglio vediamo che il cambiamento del lavoro e dei modelli organizzativi prevede una forte modularizzazione dei processi, la costruzione di modelli organizzativi a rete e la fram- LAVORATORI E IMPRESA ARTIGIANA mentazione del lavoro (Gosetti, 2011; Cerruti, Pedaci, 2012). Varie soluzioni organizzative convivono, dalla learning organization, alla lean production, ai modelli più tradizionali, neotayloristici, che prevedono rielaborazioni dei tradizionali presupposti del taylorismo (forte scomposizione del lavoro, distanza fra ideazione e produzione, gerarchizzazione dell’organizzazione, ecc.); talvolta si sovrappongono nell’ambito della stessa organizzazione produttiva, dello stesso settore o sito produttivo, disegnando un profilo particolarmente complesso dei sistemi di produzione di beni e servizi. Più in generale, un’ampia quota di letteratura specialistica evidenzia il consolidarsi di processi di accentramento del governo associati al decentramento produttivo. Quindi filiere produttive transnazionali, che intercettano culture e saperi locali, e una orizzontalizzazione dei processi produttivi, associata alla verticalizzazione del potere (e quindi del controllo sui processi produttivi). Un aspetto che caratterizza la trasformazione dei modelli organizzativi è inoltre quello della forte compenetrazione fra produzione e consumo, una relazione sempre più stretta che si viene a definire fra fattori di produzione e consumo, con i consumatori che diventano attori del processo produttivo, partecipando indirettamente alla definizione delle caratteristiche del prodotto. Nella produzione contano sempre di più culture, significati, desideri, immessi nei processi produttivi per creare oggetti e servizi emozionali, quelli che fanno la differenza sul mercato e catturano il consumatore. Non mancano però anche nuove forme di consumo, critico, più attento alla sostenibilità e alla durata dei beni, nelle quali si incontrano spesso consumatori e produttori che in questa fase occupano ancora posizioni quantitativamente marginali, ma qualitativamente sempre più rilevanti. 35 36 Quaderni di ricerca sull’artigianato In questo scenario la flessibilità è divenuta da tempo il concetto chiave, declinato concretamente in vari modi. Parliamo diffusamente di polifunzionalità e di necessità di adattamento continuo, di saper fare più cose in luoghi e tempi diversi. Non di rado siamo chiamati a lavorare con una tensione al breve termine, mirando all’esaurimento immediato del compito per passare velocemente e flessibilmente ad altro, senza consolidare esperienze e competenze. La saturazione del tempo di lavoro diventa un’altra parola chiave: ridurre a zero i tempi considerati “inutili”, “morti”, rispetto al ciclo produttivo, riempirli di attività “fino all’orlo”. Non di rado risulta difficile costruire relazioni durature, anche a carattere solidaristico, e consolidare conoscenze. In questo contesto diventa problematico sviluppare attaccamento al lavoro, senso di appartenenza, tensione alla costruzione di una carriera coerente di competenze: “il ‘mercato del lavoro flessibile’ non offre né consente di svolgere attività cui dedicarsi anima e corpo. Sviluppare un attaccamento per il proprio lavoro, svolgerlo con passione, al massimo delle proprie capacità, credendo che sia la cosa più importante del mondo, significa diventare prigionieri del destino; oltre a essere poco probabile, ciò non è neppure raccomandabile dato il carattere temporaneo e precario di qualsiasi occupazione” (Bauman, 2004, p. 58). La flessibilità non riguarda quindi unicamente i sistemi di produzione, ma proprio la qualità della vita del lavoratore, e ci porta interrogativi in questo senso. Quello a cui assistiamo è quindi primariamente un cambiamento spazio-temporale. Siamo costretti ad interrogarci rispetto a quale territorio stiamo “costruendo” attraverso il disegno delle dinamiche organizzative della produzione e del consumo, quali connessioni stiamo sviluppano. E’ evidente il conti- LAVORATORI E IMPRESA ARTIGIANA nuo ridisegno dei territori, ma soprattutto l’imporsi di un’idea di territorio come spazio in continua modificazione, definito dalla compenetrazione fra scelte organizzative della produzione e processi culturali. Siamo quindi in presenza di tanti territori, attraversati da processi di organizzazione e riorganizzazione, che evidenziano la compresenza di molte scalarità fra loro connesse (globali e locali allo stesso tempo). I questo senso, ad esempio, anche la riflessione sul nostro paese si è spesso spesa nel disegnare la presenza contemporanea di più Italie diverse, caratterizzate da una particolare configurazione socioeconomica e culturale. E recentemente alcune analisi hanno rielaborato la prospettiva delle diverse Italie vedendo il costituirsi di sei profili all’interno del paese (terre alte della montagna, fasce pedemontane, asse produttivo e politico della via Emilia, l’Italia di mezzo composta dalla triade Toscana-Umbra-Marche, Sud, città e spazi metropolitani), legati all’emergere di una “geografia delle fibrillazioni territoriali che non è più solo quella delle tre Italie, ma non è ancora quella della metamorfosi compiuta. (…) Il nuovo territorio è uno spazio che dobbiamo imparare ad esplorare spostandoci da una retorica forse un po’ trita della coesione sociale alla comprensione delle nuove forme del conflitto, o meglio dei conflitti” (Bonomi, 2012, p. 11). Guardare al territorio, quindi, alle concretizzazione degli assetti produttivi, alle relazioni che si vanno costruendo, alle aspettative e problematiche che li attraversano, è sempre una prospettiva fondamentale per cogliere le ridefinizioni spazio-temporali in atto nei sistemi di produzione di beni e servizi. In questi ultimi anni, un filone particolarmente interessante di studio ha posto in evidenza il costituirsi di una società della conoscenza, che peraltro mantiene al proprio interno anche ampi settori di 37 38 Quaderni di ricerca sull’artigianato produzione tradizionale, poco investiti dalle innovazioni. I lavoratori della conoscenza, è stato evidenziato, non sono comunque tutti uguali: infatti a fianco di coloro che creano conoscenze, troviamo quelli che traducono conoscenze, e altri ancora che applicano conoscenze standardizzate (spesso in forma di procedure) (Rullani, 2011). Centrali appaiono sempre più – soprattutto in alcuni settori – le cosiddette metacompetenze (di comunicazione, linguaggio, creatività, adattamento attivo e apprendimento continuo, ecc.), ma vediamo la presenza anche di competenze molto standardizzate, funzionali a quella parte del capitalismo delle reti che applica procedure. Oltre al saper fare e saper essere viene sempre più richiesto un saper agire, costruire organizzazione, attivarsi per lavorare in gruppo, per risolvere problemi organizzativi, per definire connessioni nella rete inter-organizzativa, per stabilire contatti con il contesto di riferimento, e così via. E questo non riguarda più solamente coloro che hanno responsabilità formali di direzione e coordinamento, ma anche quanti si collocano ai livelli operativi, che vedono ridefinirsi l’idea di operatività attraverso una sovrapposizione di contenuti tecnici, organizzativi, relazionali, ecc. Un dato che pare caratterizzare fortemente le ricerche sulle condizioni di lavoro è quello dell’aumento dell’intensità lavorativa, della crescita dei ritmi, spesso discontinui, legata anche alla diffusione delle modalità di lavoro just in time, che entro la catena lunga legano diverse imprese fra loro e le inducono a produrre in forma variabile, alternando talvolta fasi frenetiche di lavoro ad altre di incertezza, a seconda dei flussi di mercato. In questo contesto il lavoro sembra sempre più una variabile da regolare a seconda delle esigenze della produzione, ad esempio all’interno dei modelli ispirati al wcm (world class ma- LAVORATORI E IMPRESA ARTIGIANA nufacturing), che mirano alla riduzione a zero di scorte, errori e quant’altro (sviluppando quindi l’idea del just in time, verso “l’interno e l’estero” dei processi produttivi, in modo tale da rendere difficilmente distinguibili i due ambiti) e ad un progressivo coinvolgimento dei lavoratori nel funzionamento di processi produttivi (chiamati quindi ad essere flessibilmente attivi e disponibili). Aumenta la richiesta di disponibilità, ma difficilmente prendono piede forme di coinvolgimento dei lavoratori, in maniera diretta e indiretta, nei processi decisionali, limitando il coinvolgimento alla partecipazione al livello operativo. Non a caso si parla talvolta di bio-psico-socio-capitalismo per definire una forma di produzione di beni e servizi che ormai richiede un coinvolgimento diffuso del lavoratore e delle sue dimensioni di vita (bio-psico-sociali appunto), e rende particolarmente interessante studiare la qualità del lavoro e la qualità della vita lavorativa. In questo contesto di cambiamento più generale le imprese artigiane recitano la loro parte e nell’interpretazione corrente paiono caratterizzate da alcuni aspetti in particolare, spesso ritenuti dei veri e propri elementi di “diversità” di cui sono portatrici (Sennet, 2008; Micelli, 2011). Sebbene ci paia opportuno considerare con una certa cautela talune interpretazioni eccessivamente orientate a mettere in luce la “diversità artigiana”, possiamo comunque soffermarci su alcuni aspetti caratterizzanti, centrali rispetto al tema che qui s’intende sviluppare, aspetti che andrebbero vagliati analiticamente proprio alla luce della prospettiva di analisi che evidenzieremo al paragrafo successivo. Secondo molte interpretazioni le imprese artigiane sono caratterizzate da un elevato livello di autonomia, che riguarda gli addetti in generale, e si esprime nell’organizzazione del lavoro, nella risoluzione di 39 40 Quaderni di ricerca sull’artigianato problemi, nella possibilità di essere impegnato sull’intero processo produttivo e di vederne le implicazioni operative complessive. Inoltre, nell’impresa artigiana si sviluppa normalmente una relazione stretta e diretta fra lavoratori, e fra lavoratori e datore di lavoro. Condizione che costituisce anche la premessa per la costruzione di forme di partecipazione diffusa e diretta (relativamente alla scelta delle modalità operative, alla formulazione degli obiettivi dell’organizzazione ecc.), così come, allo stesso tempo, di modalità di controllo sull’attività svolta, sulle modalità di lavoro e sui risultati. Partecipazione e controllo che talvolta possono anche essere impliciti, “nelle prassi quotidiane”, non necessariamente pianificati e ritualizzati come avviene più spesso nelle imprese di grandi dimensioni. Anche la relazione con il committente e il cliente finale del prodotto/servizio realizzato è normalmente più diretta, e talvolta assume la vera e propria forma della co-costruzione del prodotto/servizio. Non di rado proprio questo aspetto è stato considerato caratteristico e vincente del posizionamento sul mercato dell’impresa artigiana, in quanto impresa che conosce direttamente il proprio interlocutore e può dedicarsi ad una sorta di personalizzazione del prodotto/servizio. Un ulteriore aspetto decisamente interessante è quello costituito dall’identificabilità sociale del lavoro artigiano, spesso legata al radicamento territoriale dell’impresa, al fatto di “avere un posto” nella storia di un determinato territorio, o di averne recuperato qualche elemento importante. Quindi, è sicuramente un oggetto di studio interessante quello del rapporto che negli ultimi anni si è andato sviluppando relativamente alla dimensione radicamento vs sradicamento del lavoro artigiano. In particolare è importante capire LAVORATORI E IMPRESA ARTIGIANA cosa significhi per l’impresa artigiana il radicamento: attenzione all’occupazione locale, recupero delle tradizioni locali, produzione per il mercato locale, rapporto privilegiato con la politica locale, sostengo alle attività socio-culturali locali, e così via. Non meno interessante è anche l’analisi dell’immaginario sociale che ruota attorno all’impresa artigiana, all’esplorazione degli stereotipi con i quali spesso si tende a distinguerla dal resto del mondo produttivo: basti pensare, per fare un esempio, a quanti riferimenti sono presenti nel gergo comune al “prodotto artigiano” per richiamare la cura, l’attenzione, la qualità, o diversamente alla “modalità artigianale di organizzare” un’attività per evidenziare un atteggiamento approssimativo e meno attento alla razionalizzazione dei fattori in gioco. L’impresa artigiana è spesso vissuta come una sede di accumulo di saperi, nella quale vengono prodotti e trasmessi saperi, che spesso contraddistinguono anche l’appartenenza dell’artigiano ad una comunità. Nel lavoro artigiano si assiste quindi alla traduzione della soggettività in qualcosa di collettivo, che diventa costruzione di una comunità di pratica. E quando si pensa ai saperi trasmissibili ci si riferisce non di rado alla tradizione dell’apprendistato e alla dimensione del rapporto fra teoria e pratica, che nelle imprese artigiane si dice spesso trovi una felice sintesi, e si alimenti di un apprendimento dall’esperienza. La costruzione del sapere artigiano spesso è legata alla realtà circostante della quale si nutre direttamente (tradizioni locali, saperi locali, ecc.). Spesso ciò significa anche stabilire un rapporto diretto fra sapere scientifico e tradizione operativa. Apprendimento e accumulo di saperi sono processi lunghi, che richiedono tempo, acquisizione di pratica giorno dopo giorno, e il tempo lungo sembra essere un’altra delle 41 42 Quaderni di ricerca sull’artigianato caratterizzazioni che spesso vengono associate alle imprese artigiane. Inoltre, il sapere artigiano può rappresentare almeno in alcune occasioni un’espressione compiuta del saper agire, una risorsa che vanno scoprendo anche le organizzazioni di maggiori dimensioni, tradotta nell’attivazione del lavoratore per mettere in campo oltre che competenze tecniche anche competenze organizzative e di risoluzione di problemi del processo produttivo. Come sostiene Bauman “la rivoluzione industriale distrusse l’amore dell’artigiano per la propria attività che l’etica del lavoro aveva assunto come suo postulato”, dando spazio al “principio di prestazione” tentò di recuperare alcuni aspetti preindustriali, ma li collocò in un sistema che non era in grado di attribuirgli un senso compiuto. Un certo lavoro operaio, soprattutto in alcuni settori di produzione, mantenne un certo sapere, consolidò una pratica professionale, ma i nuovi sistemi di produzione massificata compressero fortemente le possibilità di conoscenza completa del prodotto realizzato e la tensione al lavoro ben fatto. La priorità andava a “ciò che si può fare”, rispetto a “ciò che bisogna fare”, “rendendo così la soddisfazione dei nostri bisogni irrilevante dal punto di vista della logica, e soprattutto dei limiti, dello sforzo produttivo, col risultato di inverare il paradosso della crescita fine a se stessa” (Bauman, 2004, p. 21). Quello artigiano viene quindi associato all’idea del lavoro ben fatto, al recupero dell’attenzione e dell’impegno verso il prodotto servizio finale, verso una realizzazione (materiale o immateriale), che, come si è detto, significa anche essere parte di una comunità. Il sapere sta nella pratica, nel fare bene un lavoro, nel prestare attenzione ai passaggi di lavorazione del prodotto e servizio (“la nozione di abilità artigiana designa il desiderio di fare bene una cosa per se stes- LAVORATORI E IMPRESA ARTIGIANA sa”, Sennet, 2006, p. 143). L’attenzione al percorso oltre che al risultato si traduce nella pragmaticità di risoluzione progressiva dei problemi, nel decidere entro i limiti del contesto, subendo il condizionamento del contesto, senza forzarlo, facendo leva sulla pratica e sul fare, sulla costruzione progressiva delle soluzioni. Un processo di apprendimento che non è solo professionale: “le persone possono apprendere informazioni su di sé attraverso le cose che fabbricano. (…) Un dialogo tra le pratiche concrete e il pensiero; questo dialogo si concretizza nell’acquisizione di abitudini di sostengo, le quali creano un movimento ritmico tra soluzione e individuazione dei problemi. (…) Il bravo artigiano (…) usa le sue soluzioni per scoprire nuovi territori; nella sua mente, la soluzione di un problema e l’individuazione di nuovi problemi sono intimamente legate” (Sennet, 2008, pp.17-20). Costruire oggetti fisici è anche sviluppare relazioni, ed in particolare significa incorporare l’esperienza, che deriva dal trattamento dei materiali e dalle relazioni instaurate (“l’artigiano che diventa bravo a fabbricare le cose acquista abilità fisiche utili per la vita sociale”, attraverso “un ritmo che governa lo sviluppo e il perfezionamento delle abilità umane”, Sennet, 2012, p. 219). Sviluppare aspetti pratici che imprimono una direzione ai rapporti sociali è un po’ come rielaborare continuamente il proprio habitus, quell’insieme di predisposizioni sociali che abbiamo e che ci caratterizzano come individui singoli e allo stesso tempo come appartenenti a gruppi socio-culturali, una sorta di individualità sociale. La conoscenza, di base e quella costruita attraverso/durante il lavoro, viene spesso interpretata unicamente come risorsa per la produzione, come fattore da valorizzare nel ciclo di produzione, un ciclo esteso spazialmente e breve dal punto di vista temporale. 43 44 Quaderni di ricerca sull’artigianato Agire sulla velocizzazione dei cicli di valorizzazione del capitale è una strategia ormai consolidata, che mette sotto pressione i fattori produttivi, comprese le cosiddette “risorse umane”. Da questo punto di vista “la tentazione è quella di vedere la conoscenza solo come forza produttiva e non anche come potenza emancipatrice, capacitante” (Donolo, 2009, p. 11), finendo per mettere in contrapposizione “società tecnocratica”, che richiede/utilizza conoscenze per rendere sempre più affidabili i sistemi, e società delle capacitazioni”, che richiede/utilizza le conoscenze per una crescita del profilo democratico dei sistemi, considerando le conoscenze come fattore distribuito nelle pratiche sociali dentro e fuori i luoghi di lavoro, in grado di agire sul “deficit di fiducia” che caratterizza le società contemporanee (“l’entropia della fiducia è correggibile con input di conoscenza, se a sua volta questa è conoscenza affidabile e pubblicamente responsabile. Condizioni difficili da ottenere anche nel caso migliore”, Donolo, 2004, p. 13) Il lavoro però produce capacitazione, quindi possibilità per le persone di vivere degnamente, se rende possibile alla persona di esprimersi, “esercitando la ragion pratica, e stabilendo un rapporto di mutuo riconoscimento con gli altri lavoratori”, quindi di “essere in grado di formarsi una concezione di ciò che è bene e impegnarsi in una riflessione critica su come programmare la propria vita” (Nussbaum, 2012, p. 40). Bisogna quindi chiedersi a quali condizioni il lavoro mantiene certe caratteristiche di dignità e, per quel che qui ci interessa, se quello artigiano è un ambito di lavoro possibile e/o privilegiato per costruire decent work, o ancor di più per produrre capacitazione, quindi possibilità di autodeterminazione per i singoli e le collettività. Da questo punto di vista significa affrontare direttamente anche il problema LAVORATORI E IMPRESA ARTIGIANA della corporate social responsibility, del riconoscimento di un valore all’attività economica dell’impresa in quanto capace di creare condizioni di sviluppo socio-economico e culturale, sia per chi vi lavora, sia per il contesto nel quale essa opera. Quindi porta a considerare l’impresa come un attore del dialogo sociale, che al pari dello stato e della società civile entra in una forma di triangolazione costruttiva, di una connessione fra diritti individuali e diritti collettivi. Si tratta però di capire se le condizioni attuali costituiscano le premesse per uno sviluppo in questa direzione; mentre ciò appare poco probabile, quando si assiste al predominio delle imprese giganti (Crouch, 2011), in grado di condizionare i processi politici e di controllare le catene del valore che investono i territori, le quali utilizzano le piccole imprese come nodi flessibili di una rete continuamente plasmabile. Su questi presupposti viene da chiedersi, anche relativamente agli oggetti specifici qui affrontati (qualità della vita lavorativa e modello di contrattazione) se l’artigianato costituisca un’area di sperimentazione di altre modalità lavorative, di sviluppo di pratiche di lavoro maggiormente in grado di rispondere al bisogno di benessere lavorativo e di produttività. Ma innanzi tutto bisogna cercare di uscire da facili retoriche quali quelle del “piccolo e bello”, del “lavoro nelle isole incontaminate”, della “produzione locale radicata sul territorio”, della “positività incondizionata della relazione diretta nelle piccole imprese”, e così via. Solo un’analisi accurata della configurazione che stanno assumendo i modelli organizzativi e della qualità delle condizioni di lavoro ci può aiutare a tracciare un profilo più accurato. Anche a proposito del lavoro artigiano è quindi necessario fare alcune precisazioni prima di procedere con l’illustrazione di un modello di analisi utile per le leggere le specifiche 45 46 Quaderni di ricerca sull’artigianato condizioni che caratterizzano un contesto lavorativo. Innanzitutto va considerato se stiamo parlando di impresa artigiana o di lavoro artigiano, in quanto non di rado, come molti autori stanno cercando di dimostrare, il punto di forza della produzione industriale sta proprio nel saper immettere all’interno delle reti produttive un sapere artigiano, in grado di fare la differenza nella costruzione del prodotto e del servizio, e quindi di caratterizzare alcune fasi di lavoro, in particolare quelle della progettazione, innovazione di prodotto e relazione diretta con target specifici di clientela. Quindi un sapere artigiano che sta nelle grandi imprese, viene valorizzato nelle reti di produzione di beni e servizi, nella catena del valore sempre più distribuita alla ricerca di saperi locali da inserire nelle reti globali. Inoltre nel considerare l’evidente eterogeneità del mondo del lavoro artigiano (sia per i contenuti del lavoro, sia per i modelli organizzativi) si tratta di operare alcune necessarie distinzioni fra impresa dedita alla produzione diretta (di beni e servizi), inserita in una rete, al servizio di un’altra impresa, in una condizione di fornitura diretta o posizionata a qualche livello nella scala della sub-fornitura (sub-appalto), scendendo la quale di solito si incontrano condizioni lavorative sempre più problematiche (Gosetti, 2012a). Non di rado, infatti, i processi di riorganizzazione hanno scaricato sull’indotto, sugli anelli periferici, locali della rete, i problemi di efficienza produttiva e le richieste di flessibilizzazione, producendo modelli organizzativi a rete contraddistinti da forti asimmetrie. L’eterogeneità dei modelli organizzativi delle imprese artigiane, che in alcuni casi richiama il modello per processi, in altri quello funzionale, soprattutto nelle situazioni di più ridotte dimensioni vede prevalere una forte pragmaticità e adattabilità: una flessibilità connaturata alla necessità di risolvere LAVORATORI E IMPRESA ARTIGIANA problemi imprevisti e produrre pragmaticamente soluzioni in itinere, senza pianificazione rigida iniziale. Quando le dimensioni aumentano, normalmente al pragmatismo si associa una divisione del lavoro più strutturata, e non mancano processi di specializzazione interna. E’ proprio a partire da questi presupposti di eterogeneità che acquista un senso del tutto particolare porre attenzione alle specificità della condizione lavorativa del lavoratore artigiano, in termini di qualità del lavoro e della vita lavorativa. 3. Qualità del lavoro e imprese artigiane Per comprendere cosa sta cambiando nel mondo del lavoro è sempre più necessario spostare l’attenzione sulle condizioni con le quali il lavoratore vive l’attuale fase di passaggio nel lavoro che cambia. La qualità del lavoro e della vita lavorativa costituisce quindi un oggetto di specifico interesse di queste note, un profilo di analisi necessario per comprendere il cambiamento in atto nel mondo del lavoro, e, cosa che qui interessa specificatamente, in quello artigiano. La qualità del lavoro e della vita lavorativa riguarda primariamente il rapporto fra bisogni del lavoratore e organizzazione del lavoro, e quindi prevede uno studio della corrispondenza che il lavoro ha nei confronti delle esigenze della persona al lavoro (nelle sue diverse condizioni, contrattuali, ecc.). La sociologia del lavoro ha spesso considerato le condizioni di lavoro come suo oggetto di studio privilegiato e ha elaborato fin dagli anni ottanta del secolo scorso quadri concettuali articolati per definire un profilo analitico multidimensionale della qualità del lavoro (Gallino, 1983; La Rosa, 1982-83). In particolare ha prodotto un passaggio sul piano teorico e della ricerca sociologica dall’analisi della condizione eco- 47 48 Quaderni di ricerca sull’artigianato nomica ed ergonomica, alla riflessione relativamente a varie dimensioni costitutive della vita lavorativa. In anni più recenti i modelli di analisi sono stati ulteriormente elaborati, fino a produrre analisi sistematiche e comparative (Gallie, Gosetti, La Rosa, 2012). Va comunque precisato che l’attenzione posta agli aspetti quantitativi del lavoro (quindi al numero dei posti di lavoro da creare e mantenere), è stata, e continua purtroppo ad essere, decisamente dominante nella riflessione politica, e ad occupare quasi totalmente lo spazio di discussione, rispetto alla considerazione degli aspetti qualitativi del lavoro, così come li andremo a riassumere più avanti. Rinviando ad altra trattazione per i dettagli del profilo analitico (Gosetti, 2012b), anche per quel che attiene categorie ed elementi di analisi (indicatori e variabili), ci preme in questa sede evidenziare che l’approccio alla qualità del lavoro ha una natura aperta (in continua evoluzione in termini di indicatori da previlegiare per la sua misurazione), dinamica (orientato a mettere sempre in relazione fra loro gli elementi di analisi), multidimensionale (riferito ad una serie diversa di componenti del lavoro) e contestualizzata (da tradurre di volta in volta operativamente a seconda dell’ambito di analisi). Guardare al lavoro in termini di soddisfacimento dei bisogni del lavoratore significa inoltre riferirsi ad aspetti soggettivi (quali la soddisfazione personale) e oggettivi (quali le specifiche condizioni operative nelle quali si trova a vivere il lavoratore). Per quanto riguarda le dimensioni di analisi va operata un’ulteriore precisazione concettuale e metodologica. I cambiamenti recentemente avvenuti nel mondo del lavoro, ai quali ci siamo riferiti nella parte inziale di queste note, inducono a ritenere ormai consolidata una progressiva estensione del lavoro a vari LAVORATORI E IMPRESA ARTIGIANA ambiti della vita. Infatti, i modelli organizzativi adottati dalle imprese sono sempre più spesso alla ricerca di una disponibilità e flessibilità da parte di chi lavora, che non di rado implica una sovrapposizione fra tempi, spazi, obiettivi, di vita e di lavoro. Oggetto di analisi diventa quindi la qualità della vita lavorativa, che si compone di una qualità del lavoro che guarda agli aspetti del lavoro in senso stretto (quelli per intenderci che la persona sente di vivere sul posto di lavoro), e di una qualità delle relazioni fra lavoro e vita, più attenta alle modalità di conciliazione fra le diverse appartenenze e responsabilità che caratterizzano la vita del lavoratore. Chiaramente aspetti intrinseci ed estrinseci del lavoro ai quali ci riferiamo sono scomponibili analiticamente, mentre in realtà il lavoratore li vive nella loro quotidiana compenetrazione. Qui di seguito passeremo in rassegna sinteticamente le diverse dimensioni costitutive della qualità della vita lavorativa, cercando anche di individuare qualche oggetto specifico che per ciascuna di esse potrebbe essere esplorato a proposito delle imprese artigiane. Se guardiamo alla qualità della vita lavorativa vediamo innanzitutto che la qualità del lavoro (che ripetiamo si concentra sugli aspetti intrinseci del lavoro) cerca di cogliere la soddisfazione dei bisogni del lavoratore dal punto di vista di alcune dimensioni in particolare: la dimensione economica riguarda i bisogni di carattere economico che interessano il lavoratore (e la sua famiglia), sia in termini di sussistenza, sia per quanto riguarda la valorizzazione economica del suo lavoro, e quindi il riconoscimento del contributo che fornisce al raggiungimento degli obbiettivi della propria organizzazione. Una dimensione alla quale spesso è stato dedicato un ampio spazio (ad 49 50 Quaderni di ricerca sull’artigianato - esempio nella contrattazione collettiva) e che relativamente alle imprese artigiane fa pensare al confronto spesso fatto con i settori industriali e alle possibilità che nelle imprese di piccole dimensioni vi sono di flessibilizzare ed individualizzare o socializzare le ricompense economiche; la dimensione ergonomica riguarda i bisogni di benessere e impegno psico-fisico, che richiamano le condizioni strutturali del posto lavoro (luminosità, rumorosità, pulizia, inquinamento, ecc.), ma anche gli aspetti di ergonomia cognitiva, legati alla chiarezza degli obiettivi e scopi del lavoro, alla possibilità di conoscere i risultati del proprio lavoro, alla delimitazione e personalizzazione di un “territorio di appartenenza”. Gli aspetti ergonomici sono normalmente affrontati in un’ottica interdisciplinare, in quanto molte discipline hanno dedicato attenzione a questi aspetti del lavoro (basti pensare al contributo dato della medicina del lavoro nello studio della salute e nell’intervento sui luoghi di lavoro, dalla biologia nella predisposizione di strumenti di analisi e nelle rilevazioni dell’inquinamento sui luoghi di lavoro, dall’ingegneria e dall’architettura nella progettazione delle tecnologie, delle postazioni lavorative e dei luoghi di lavoro più in generale, ecc.). Normalmente migliorata sotto il profilo igienico-ambientale, la situazione che caratterizza il lavoro negli ultimi anni presenta problematiche rispetto all’intensità del lavoro, alla chiarezza degli scopi, alla continuità spazio/temporale, aspetti che forse meno interessano quelle piccole imprese che sono riuscite a definirsi uno spazio nel mercato locale, una continuità di rapporti interni LAVORATORI E IMPRESA ARTIGIANA - - e verso l’esterno, ma che comunque paiono investire tutte quelle organizzazioni che si collocano all’interno di reti produttive estese. Non va dimenticato comunque che esistono anche aree del lavoro che hanno mantenuto una certa pesantezza lavorativa in termini fisici (quale ad esempio il settore delle costruzioni edili); la dimensione della complessità riguarda la possibilità di fare un lavoro che presenta una certa varietà di contenuti da affrontare, che impegna sotto il profilo intellettuale, nella risoluzione di problemi e nel coordinamento del lavoro di collaboratori, che consente una crescita professionale, la costruzione di relazioni significative, e così via. Come abbiamo detto questi aspetti paiono spesso caratterizzare l’idea che si ha di un’impresa artigiana, che tende a favorire l’accumulo delle esperienze, anche se si è notato che pure le piccole organizzazioni non sono sempre estranee a processi di parcellizzazione del lavoro, di scarsa attenzione alla formazione continua sul lavoro e di impoverimento dei contenuti del lavoro; dimensione dell’autonomia fa primariamente riferimento ai bisogni di discrezionalità e di autodeterminazione del lavoratore, e interessa il livello operativo del lavoro, la presenza di opzioni di scelta rispetto alle quali poter decidere appunto autonomamente la strada da seguire per il raggiungimento di un determinato obiettivo. L’autonomia si può spingere fino alla possibilità di scegliere il livello qualitativo del risultato del proprio lavoro o, diversamente, essere compressa dalla necessità di dover rispettare senza possibilità di intervento procedure operative definite da altri. Riguarda quindi anche il 51 52 Quaderni di ricerca sull’artigianato - - livello di responsabilità che contraddistingue il lavoro svolto e la possibilità di stabilire obiettivi operativi del proprio lavoro. Come abbiamo detto in precedenza molti considerano le imprese artigiane un terreno di forte autonomizzazione dei lavoratori, dettata spesso anche dalle condizioni oggettive (dimensione dell’impresa, divisione del lavoro, ecc.), così come da prassi operative che ritengono la delega fiduciaria una risorsa organizzativa; la dimensione del controllo interessa quella componente del lavoro che fa riferimento alla partecipazione ai processi decisionali, quindi alla possibilità di essere parte delle occasioni nelle quali si definiscono gli aspetti che determinano le condizioni del lavoro. La partecipazione, che si traduce nella possibilità di controllo, può riguardare quindi diversi oggetti, quali la definizione degli obiettivi dell’organizzazione, l’adozione di innovazioni tecnologiche e prassi operative, e spingersi fino alle scelte strategiche dell’organizzazione. Differenti possono essere le modalità di coinvolgimento dei lavoratori nei luoghi di lavoro, dirette ed indirette, formali ed informali, occasionali o sistematiche. In una fase in cui la partecipazione sul lavoro segna decisamente il passo, anche per la crisi di attori e meccanismi istituzionali, non di rado nelle piccole imprese si consolidano o sviluppano situazione di partecipazione diretta ed informale, distribuite nella prassi operative quotidiane, che però non è sempre facile comprendere quanto permettano al lavoratore di incidere proprio in termini di controllo sui processi organizzativi del lavoro; la dimensione simbolica riguarda il lavoro LAVORATORI E IMPRESA ARTIGIANA in senso stretto, e, per certi versi, si pone a cavallo fra aspetti intrinseci ed estrinseci del lavoro. Essa, infatti, fa riferimento ai bisogni identitari che passano attraverso il lavoro, sebbene siamo in una fase in cui da più parti si va affermando che il lavoro ha lasciato il posto al consumo come contesto di produzione identitaria. Più precisamente la dimensione simbolica riguarda il bisogno di apprezzamento, di visibilità (interna ed esterna), di utilità sociale, di appartenenza, di identificazione, quindi di essere riconosciuto in quanto lavoratore. Da questo punto di vista acquistano un significato particolare aspetti quali la reputazione dell’organizzazione di appartenenza, che può soddisfare o meno un bisogno di identificazione. Far parte di un’impresa riconosciuta sul territorio, essere apprezzati per il proprio lavoro, e così via, costituiscono quindi aspetti che si possono rilevare anche nelle piccole imprese, che non di rado stabiliscono proprio una relazione diretta con il proprio contesto di riferimento e all’interno presentano una relazione costante fra gli appartenenti all’impresa. L’altra componente della qualità della vita lavorativa abbiamo detto essere costituita dalla qualità del rapporto fra lavoro e vita, traducibile anch’essa in alcune dimensioni teoriche ed analitiche: la dimensione della conciliazione vita-lavoro riguarda il bisogno di compatibilità fra scelte di vita e di lavoro, di mettere assieme le diverse responsabilità che la persona si trova ad assumere nel corso della propria vita lavorativa. Le nuove forme di lavoro investono fortemente la vita personale, e le tecnologie asseconda- 53 54 Quaderni di ricerca sull’artigianato - no spesso processi di delocalizzazione a domicilio di parti anche considerevoli del lavoro da svolgere. In particolare questa dimensione riguarda anche quanto il lavoro condiziona la vita e viceversa. Nelle piccole imprese non di rado esiste una complicità fra le persone presenti nella definizione di spazi di sovrapposizione fra lavoro e vita, e una sorta di informalità nella delimitazione dei confini fra vita e lavoro può essere o meno caratterizzata da reciprocità (quando alla disponibilità del lavoratore corrisponde altrettanta disponibilità dell’azienda nei sui confronti) o asimmetria (quando vi è una costrizione implicita o esplicita ad accettare uno sconfinamento del lavoro nella vita privata); la dimensione della protezione sociale diventa sempre più attuale nella misura in cui paiono indebolirsi i sistemi di sicurezza, a livello istituzionale (welfare state), comunitario (reti informali) e familiare. Il lavoro che si frammenta chiede continuità, stabilità, per non correre il rischio di “caricare” sulla persona la necessità di proteggersi da sola, facendo leva prioritariamente, se non unicamente, sulla possibilità di attivazione delle reti di protezione personali. Proprio i nuovi modelli organizzativi, e la frammentazione del lavoro intervenuta negli ultimi anni, richiamano alla necessità di pensare ad una qualità della vita lavorativa che necessita di sistemi di protezione sociale che sappiano combinare livelli istituzionali con reti informali personali. Aperto è il confronto in molti paesi circa la necessità di cambiamento dei sistemi di protezione sociale, soprattutto in quelli nei quali è sempre stata dedicata maggiore atten- LAVORATORI E IMPRESA ARTIGIANA - zione ai lavoratori delle grandi imprese. E’ del tutto improprio pensare che il lavoro nella piccola impresa sia “naturalmente” più protetto, soprattutto quando essa lavora in rete con le grandi e ne subisce le scelte strategiche. Ma la protezione sociale del lavoro per andare incontro alla richiesta di qualità della vita lavorativa deve inventare nuovi sistemi di tutela, che partano dalla necessità di stabilità (economica, professionale, ecc.); la dimensione della partecipazione sociale riguarda la possibilità attraverso il lavoro di prendere parte alla vita della comunità di appartenenza, per certi versi di contribuire al profilo democratico, di indirizzare il proprio lavoro al conseguimento di obiettivi di sviluppo sociale, alla costruzione di beni comuni. Il lavoro spesso ha rappresentato il fattore in grado di connettere la persona con la società civile, con il profilo istituzionale del paese, e di esser da tramite per entrare nella vita sociale. Questa della partecipazione sociale è una dimensione che può assumere una connotazione del tutto particolare per le piccole imprese che hanno un certo radicamento sul territorio e che per il lavoratore possono costituire un connettore effettivo con la comunità di appartenenza. Quelle che abbiamo sintetizzato sono quindi le dimensioni che si possono utilizzare per indagare la qualità della vita lavorativa, ponendosi nella prospettiva di leggere la connessione che si stabilisce fra bisogni e aspettative del lavoratore e profilo dell’organizzazione del lavoro, sia quello che più direttamente riguarda l’organizzazione di appartenenza, sia quello che interessa le relazioni fra lavoro e vita. L’analisi 55 56 Quaderni di ricerca sull’artigianato normalmente avviene in maniera multidimensionale, ovvero legando indicatori appartenenti a più dimensioni per produrre una lettura che spieghi variazioni concomitanti delle variabili esplicative, che definisca chiavi di lettura integrate, che sia in grado di fornire elementi di interpretazione della complessità multifattoriale della qualità della vita lavorativa. Non di rado, comunque, anche l’analisi di una singola dimensione è importante per mettere a fuoco specifici fattori di qualità della vita lavorativa. Chiaramente l’analisi dei fattori per ogni dimensione va sempre contestualizzata relativamente al settore, alla tipologia di impresa, alle caratteristiche specifiche delle persone, e così via. Nel caso delle imprese artigiane è del tutto evidente che alcuni degli aspetti caratterizzanti ricordati in precedenza costituiscono fondamentali fattori discriminanti nel definire un certo profilo della qualità della vita lavorativa, che vanno attentamente vagliati (dimensione, radicamento e storia dell’impresa, tipologia di prodotti e servizi, sistema di relazioni sindacali, ecc.). La qualità della vita lavorativa, infatti, è un processo continuo di costruzione sociale, fortemente condizionato da fattori strutturali che si sono consolidati nel tempo all’interno di uno specifico ambito lavorativo. 4. Imprese artigiane e relazioni sindacali: un nuovo modello Quando si accenna al tradizionale modello italiano di relazioni sindacali, nessuno – mai – pensa al sistema delle piccole imprese italiane, da sempre rappresentata dal suo fulcro: l’impresa artigiana. Innanzitutto la definizione, storicamente accettata e pervasiva del concetto: relazioni industriali. Relazioni che dal secondo dopoguerra hanno visto il modello di confronto dialettico “capitale – lavoro” germoglia- LAVORATORI E IMPRESA ARTIGIANA re, crescere, ed ultimamente appassire, unicamente all’interno dello schema di quella organizzazione dei fattori della produzione fordista-taylorista qual è, appunto, l’impresa industriale. Mi si permetta, a questo punto, una provocazione. Il sistema delle Relazioni industriali è rimasto nell’alveo dell’impresa industriale (anche pubblica) solamente perché, nell’artigianato e nella piccola impresa, manca quell’elemento fondante del conflitto principe delle dinamiche sociali del lavoro: il conflitto “capitale-lavoro”. Nella piccola impresa, segnatamente in quella artigiana, dovremmo parlare di rapporto “Lavorolavoro” e del mare magnum – ahimè sconosciuto – della convergenza di interessi tra il Lavoro personale dell’artigiano e del piccolo imprenditore – nella maggioranza dei casi – con quelli del lavoro del dipendente dell’impresa, basata sul lavoro personale di chi ne porta, in toto, la responsabilità personale, economica, giuridica e professionale. Che spazio può e deve dunque avere, e che ruolo può svolgere, il classico strumento della ricomposizione del conflitto “capitale lavoro” e della redistribuzione del reddito d’impresa in un contesto ove, come più sopra descritto, il capitale è assente? Credo sia innanzitutto per tale ragione che nel panorama infinito e complesso (per non dire complicato) dell’impresa artigiana le OO.SS. dei lavoratori e la contrattazione non si sia sviluppata in alcun modo negli oltre settant’anni che ci separano dalla rinascita della rappresentanza operaia e del lavoro in Italia. In un contesto ove si perpetuava il modello industriale contrattuale e di relazioni, sempre meno utile alle parti, nell’ultimo decennio – grazie agli sforzi della sua rappresentanza – si è avviata una profonda riforma del modello relazionale che sta dando i suoi, 57 58 Quaderni di ricerca sull’artigianato seppur intimiditi – a causa della fase drammaticamente negativa – frutti. Mi si permetta una veloce traduzione del difficile cammino percorso assieme alle OO.SS. dal 2001 ad oggi. Tre mi sembrano i “punti forti” che possano esprimere tale riforma. 1. qual è il “bacino contrattuale” del sistema dell’impresa artigiana e come rappresentarlo al meglio? 2. quali sono i soggetti portatori di interessi e protagonisti del confronto? 3. come sviluppare una cultura delle relazioni sindacali in un contesto “a-esperienziale” che valorizzi il lavoro artigiano e la qualità del lavoro subordinato propria della piccola impresa? Nella riforma concordata la struttura del Contratto nazionale rimane inalterata per materie quali i diritti ed i doveri (salario minimo, unificazione delle regole e della disciplina generale del rapporto di lavoro, diritti di rappresentanza). La novità è un decentramento – vero se i soggetti ne saranno capaci – a livello regionale o territoriale della contrattazione su molte materie precedentemente assegnate a livello nazionale (orario di lavoro, flessibilità, straordinario, formazione, ambiente di lavoro, apprendistato, pari opportunità). In altre parole la contrattazione, così “riformata” pone al centro del confronto la prestazione lavorativa. La prestazione non teoricamente definita dall’alto di un osservatorio “lontano” e mutuata dalla tradizione industriale, ma il suo calarsi in ogni singolo territorio ove si determina il Mercato della piccola impresa e il suo concreto sviluppo dei vari fattori della produzione. Ciò potrà creare, per i sistemi economici ter- LAVORATORI E IMPRESA ARTIGIANA ritoriali, nuove opportunità che, laddove colte, potranno diventare importanti fattori di crescita sia per l’impresa che per i lavoratori. Ma questo nuovo assetto istituzionale della contrattazione pone al proprio centro la questione cardine della capacità delle parti di rappresentare – veramente – l’impresa ed il lavoratore. E “veramente” significa riformare un sistema della rappresentanza in fortissima crisi. 5. L’esperienza della Confartigianato di Trento Su questo versante la scelta effettuata da Confartigianato Trento, fortemente innovativa e sperimentale, è stata quella di modificare radicalmente la concezione “strategica” del suo essere rappresentanza dell’Impresa. Non più una rappresentanza basata sulla generalizzazione della stessa (“mediamente all’impresa necessita…”, “mediamente l’impresa è…”), ma la costruzione di un nuovo modello contrattuale – attraverso l’istituzione di una doppia banca dati sul mercato del lavoro interno e sull’analisi della situazione economico finanziaria basato sui dati delle contabilità aziendali del suo sistema (due servizi gestiti in prima persona da Confartigianato Trento) – che ha prodotto una prima intesa, unanimemente riconosciuta positiva, in una delle aree strategiche per l’intero sistema economico trentino, quella del Legno, Lapideo e Restauro Artistico. Ciò ha permesso alle imprese di questi settori, in una fase acutissima di crisi di liquidità e di mercato, di sottoscrivere, fra l’altro, un incremento salariale totalmente variabile medio di 50 Euro sulla base dei dati di redditività di sistema condivisi con le OO.SS. derivanti dalla Banca dati della Contabilità. Ma per arrivare ad una condivisione, non solo formale, delle problematiche dell’impresa artigiana e 59 60 Quaderni di ricerca sull’artigianato quindi ad una capacità di proposta che serva veramente alle parti, è stato istituito un Osservatorio, non solo per una formale condivisione di dati, ma propedeutico alla conoscenza reciproca, a momenti di confronto, di studio e di analisi. In altre parole per aumentare la conoscenza reciproca fra la parti basata non sulla mera richiesta “a-responsabile” da parte della rappresentanza dei lavoratori “una tantum” ogni quattro anni che ha sempre portato un naturale, conseguente irrigidimento del sistema delle imprese, dovuto, a mio parere, ad un’applicazione acritica del modello culturale di relazioni industriali (un vero e proprio linguaggio diverso) che porta a disarmonie, incomprensioni, illusioni. Ciò che serve – e in questo la sperimentazione della contrattazione “in chiaro” sta dando i buoni risultati sperati – è da parte datoriale “apprendere” l’arte del confronto e della contrattazione (sinora quasi sconosciuta assieme alla difficile capacità di rappresentanza generale degli interessi), mentre da parte sindacale appare sempre più vitale imparare il “linguaggio sconosciuto” della piccola impresa. Questa è la scommessa, certo difficile ma non più rinviabile, per riuscire ad affermare la piccola impresa quale soggetto fondamentale del cambiamento e volano di sviluppo, anche culturale, per l’affermazione di una qualità del lavoro diversa da quella industriale, più attenta alla mediazione fra “vita e lavoro”, fra flessibilità umana e produttiva. Tutto questo apre una serie di questioni. Una prima riguarda la contrattazione come strumento che sappia dare un indirizzo alla non più rinviabile riforma degli strumenti in materia di incontro fra domanda ed offerta, tale da garantire le aziende sul versante della competitività e i lavoratori su quello della qualificazione professionale, dello sviluppo della cultura LAVORATORI E IMPRESA ARTIGIANA dell’intrapresa personale e della qualità del lavoro. Una seconda questione attiene la qualità dello sviluppo e del lavoro in un contesto dove l’innovazione dei processi produttivi e dell’organizzazione sociale tende sempre più ad emarginare i sistemi incapaci di riformarsi. La scelta strategica di superare il modello industriale, nelle relazioni sindacali, evidenzia e sottolinea una gestione contrattuale della prestazione come valorizzazione dei diritti dell’impresa e del singolo lavoratore che possono differenziarsi dai diritti collettivi dei cosiddetti dipendenti intesi come massa salariata univocamente rappresentata. Ne nasce, in prospettiva, la necessità per le figure professionalizzate, di sperimentare “contratti individuali” fra impresa e lavoratore, all’interno di regole definite collettivamente con le Organizzazioni sindacali firmatarie dei contratti collettivi. Ciò consentirebbe di fornire una concreta risposta ai lavoratori professionalizzati sotto il profilo del riconoscimento – anche salariale ma non solo – del loro ruolo strategico nell’impresa e al contempo di garantire le imprese circa la continuità d’impiego e la qualità della prestazione dei lavoratori. Questo potrebbe conferire maggior trasparenza all’intero sistema incentivando la professionalizzazione del lavoro subordinato, l’aggiornamento continuo e l’allargamento delle competenze e delle conoscenze dei singoli lavoratori. E’ anche per questa ragione, per trovare elementi conoscitivi utili al rafforzamento del disegno, che l’Associazione artigiani di Trento ha deciso di sviluppare una ricerca sulla qualità del lavoro e della vita lavorativa nel sistema artigiano trentino (secondo la prospettiva analitica presentata nelle pagine precedenti), che ha coinvolto oltre 700 lavoratori dipendenti delle imprese artigiane trentine. Non solo per conoscere scientificamente la realtà del lavoro, ma anche 61 62 Quaderni di ricerca sull’artigianato LAVORATORI E IMPRESA ARTIGIANA per dare un primo contributo di qualità al lavoro artigiano nazionale. - Gosetti G. (2011), Lavoro e lavori. Strumenti per comprendere il cambiamento, FrancoAngeli, Milano. Bibliografia di riferimento - Gosetti G. (2012a), Lavoro frammentato, rischio diffuso. Lavoratori e prevenzione al tempo della flessibilità, FrancoAngeli, Milano. - Gosetti G. (2012b) “Dalla qualità del lavoro alla qualità della vita lavorativa: persistenze e innovazioni nel profilo teorico e nelle modalità di analisi”, in Gallie D., Gosetti G., La Rosa M. (a cura di), Qualità del lavoro e della vita lavorativa. Cosa è cambiato e cosa sta cambiando, numero monografico di Sociologia del lavoro, n. 127. - La Rosa M. (a cura di) (1982-83), Qualità della vita e qualità del lavoro, numero monografico di Sociologia del lavoro, n. 17-18. - Micelli S. (2011), Futuro artigiano. L’innovazione nelle mani degli italiani, Marsilio, Venezia. - Bauman Z. (2004), Lavoro, consumismo e nuove povertà, Città aperta, Troina (En). - Bonomi A. (2012), “Se il ‘territorio’ è in ebollizione. Spazi locali in fibrillazione chiedono una politica meno volatile e meno lontana”, in Il Sole 24 Ore, 19 agosto. - Cerruti G.C., Pedaci M., (2012), “Presentazione. Innovazione nell’organizzazione della produzione e nelle relazioni di lavoro nel postfordismo”, in Quaderni rassegna sindacale - Lavori, n. 2. - Crouch C. (2009), Il potere dei giganti. Perché la crisi non ha sconfitto il neoliberismo, Laterza, Roma-Bari. - Donolo C. (2009), “Fiducia: un bene comune”, in Parolechiave, n. 42. - Nussbaum M.C. (2012), Creare capacità. Liberarsi dalla dittatura del Pil, il Mulino, Bologna. - Gallino L. (1983), Informatica e qualità del lavoro, Einaudi, Torino. - - Gallie D., Gosetti G., La Rosa M. (a cura di) (2012), Qualità del lavoro e della vita lavorativa. Cosa è cambiato e cosa sta cambiando, numero monografico di Sociologia del lavoro, n. 127. Rullani E. (2011), “Lavoro immateriale e società della conoscenza”, in G. Gosetti (a cura di), Il lavoro: condizioni, problemi, sfide, FrancoAngeli, Milano - Sennet R. (2006), La cultura del nuovo capitalismo, il Mulino, Bologna. 63