EMA Minori in ambulanza

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Dott.ssa Simona Sacchi
Dott.ssa Mar ia Cos tanza Nanni
Dott.ssa Valentina Be rtu ccioli
Dott.ssa Valentina Co sentino
Bologna, 5 Aprile 2007
OGGETTO: Il minore, la capacità di aderire ad un'organizzazione di volontariato e lo
svolgimento di attività di soccorso in emergenza.
Il quesito posto è relativo alla possibilità per un minore e quindi per un soggetto non ancora
dotato della capacità di agire, di aderire ad una associazione e di prestare la propria attività (in
particolare attività di soccorso in emergenza) presso la stessa.
Per formulare una risposta al predetto quesito occorre, preliminarmente, delineare taluni profili
normativi.
1. Capacità giuridica e capacità di agire.
Si rende necessaria, innanzitutto, una breve premessa relativa alla differenza fra capacità giuridica,
capacità d’agire ed emancipazione.
Nella considerazione del legislatore del Codice, persona fisica e capacità giuridica coincidono,
laddove l’evento della nascita di per sé viene considerato idoneo a far accedere la persona nella
titolarità di diritti e doveri, al riconoscimento della capacità giuridica. La capacità giuridica
rappresenta, pertanto, l’attitudine del soggetto di divenire titolare di diritti e doveri,
idoneità che permane in capo al soggetto fino al momento della morte.
Diversamente, la capacità d’agire viene acquisita dal soggetto, a norma dell’art. 2 c.c., con il
compimento dei diciotto anni e rappresenta il momento in cui presumibilmente il soggetto
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raggiunge la piena capacità ad attendere alla cura dei propri interessi, presunzione che viene meno
di fronte alla rilevazione di uno stato di inidoneità tale da pregiudicare lo svolgimento di quelle
stesse attività. La capacità di agire si sostanzia, pertanto, nella possibilità di compiere atti
giuridici validi e meritevoli di tutela dall’ordinamento, potendo essere, in altri termini,
definita come l’attitudine a creare, modificare, estinguere validamente i rapporti giuridici.
L'art. 390 del codice civile dispone che: "il minore è di diritto emancipato con il matrimonio"
L’emancipazione individua la condizione del minore sottratto alla potestà dei genitori o
alla tutela, cui la legge attribuisce una capacità d’agire attenuata. Per effetto
dell’emancipazione viene infatti meno il potere di rappresentanza da parte dei genitori, e il minore
acquista una limitata capacità di agire e più precisamente può agire in via autonoma per il
compimento degli atti di ordinaria amministrazione mentre necessita o della sola assistenza del
curatore, o di questa e dell’autorizzazione giudiziale per il compimento degli atti di straordinaria
amministrazione. Va precisato che l’emancipazione consegue di diritto al solo caso di matrimonio
del minore.1
2. Minore, capacità di intendere e di volere e imputabilità penale
Con riferimento al concetto di “capacità di intendere e volere” occorre osservare come, nel nostro
ordinamento, esso sia strettamente collegato al concetto di imputabilità penale2, ossia, ai sensi
dell’art. 85 c.p. “Nessuno può essere punito per un fatto previsto dalla legge come reato se, al momento in cui lo
ha commesso, non era imputabile. È imputabile chi ha la capacità di intendere e volere”. In tal senso, la
capacità di intendere e volere diventa il presupposto necessario da verificare per rendere punibile
un soggetto. La Suprema Corte si è più volte espressa in merito al concetto di capacità di
intendere e volere, intendendola come “l’attitudine del soggetto a rendersi conto del valore sociale dell’atto che
compie, a discernere e valutarne le conseguenze, ad autodeterminarsi nella selezione dei molteplici motivi che
esercitano nella sua coscienza una particolare attrattiva”(Cass. Pen. Sez. I, 18/01/75), definendo
l’intendere “non come semplice rappresentazione dell’evento che si compie, ma come previsione critica e
valutazione logica del significato e della conseguenza dell’evento stesso e come processi psichici superiori”. Di
conseguenza, l’art. 97 c.p. prevede che “non è imputabile chi nel momento in cui ha commesso il fatto non
aveva compiuto i 14 anni”. L’art. 98 c.p. a sua volta precisa che è imputabile “chi, nel momento in cui ha
commesso il fatto, aveva compiuto 14 anni ma non ancora i 18, se aveva capacità di intendere e volere; ma la pena
è diminuita”. Il limite minimo dunque per rispondere di un reato commesso è il raggiungimento dei
14 anni e fra i 14 e 18 bisogna dimostrare in concreto che il minore, al momento della
commissione del fatto, avesse la capacità di intendere e volere. Al di sotto dei 18 anni, anche se
dichiarato imputabile, il minore beneficerà in ogni caso di una diminuzione di pena. In buona
1
In tal senso “Il diritto privato nella giurisprudenza. Le persone.”, a cura di Paolo Cendon, Utet.
Anche il Codice Civile all’art. 2046 c.c., intitolato “Imputabilità del fatto dannoso” prevede la capacità di
intendere e volere come presupposto per l’imputabilità, in particolare “Non risponde delle conseguenze del fatto
dannoso chi non aveva la capacità d’intendere e volere al momento in cui lo ha commesso, a meno che lo stato
d’incapacità derivi da sua colpa”.
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sostanza il legislatore ha opportunamente graduato la responsabilità e l’imputabilità, partendo dal
giusto presupposto che alla piena maturazione evolutiva si giunge solo per gradi3.
3. Il minore e il lavoro.
Il tema del lavoro minorile trova una prima ed importante tutela nel testo costituzionale laddove
all’art. 374 vengono sanciti tre principi fondamentali: il primo principio costituzionalizza la
competenza legislativa in tema di età minima per l’ammissione al lavoro; il secondo istituzionalizza
la tutela speciale per il lavoro minorile, distinguendolo dal lavoro femminile; il terzo principio
stabilisce che il minore ha diritto, a parità di lavoro, alla stessa retribuzione del lavoratore adulto5.
Con riferimento alla capacità del minore di essere parte di un rapporto di lavoro, occorre fare
immediato riferimento alla disposizione contenuta nell’art. 2 del Codice Civile, il quale subordina
al compimento del diciottesimo anno di età l’acquisto della piena capacità d’agire da parte del
soggetto, di quella capacità che consente allo stesso di porre validamente in essere atti giuridici.
Tuttavia sono numerose le previsioni legislative che consentono al minore di porre in essere
validamente degli atti giuridici, come quella, contenuta nella legge n. 296/2006, art.1, comma 622,
che fissa l’età minima per l’ammissione al lavoro al momento in cui il minore ha concluso il
periodo d’istruzione obbligatoria6. In tal senso, il legislatore ha inteso prevedere una capacità
giuridica speciale, con riferimento alla capacità del soggetto minore di essere parte di un rapporto
di lavoro. Le stesse norme, accanto ad un divieto generale al lavoro del bambino7, riconoscono
piena capacità di lavoro agli adolescenti, ossia di quei minori di età compresa tra i 16 e i 18 anni,
non più soggetti all’obbligo di istruzione. Rispetto alla capacità del minore di stipulare il contratto
di lavoro, la legge n. 39/1975, fissando in generale a diciotto anni il raggiungimento della maggiore
età, ha di fatto abrogato la previsione contenuta nell’art. 3 Cod. civ. e ha aggiunto nel corpo
dell’art. 2 Cod. civ. un secondo comma, secondo cui “sono salve le leggi speciali che stabiliscono un’età
inferiore in materia di capacità a prestare il proprio lavoro. In tal caso il minore è abilitato all’esercizio dei diritti e
delle azioni che dipendono dal contratto di lavoro”. La nuova disciplina è stata oggetto di letture
contrastanti: una parte della dottrina ritiene che il minore di diciotto anni continui ad essere
incapace di stipulare il contratto di lavoro, pur potendo esercitare i relativi diritti ed azioni. Altra
3
In tal senso “Criminologia difesa sociale e psichiatria forense”, Francesco Carrieri, Adriatica Editrice, Bari,
2000.
4
L’art. 37, comma 2, prevede che “La legge stabilisce il limite minimo di età per il lavoro salariato. La
Repubblica tutela il lavoro dei minori con speciali norme e garantisce ad essi, a parità di lavoro, il diritto alla
parità di retribuzione.”
5
In tal senso, in base a quanto contenuto nel testo dell’art. 37, la parità è prevista per la sola retribuzione, a
differenza di quanto stabilito per le donne, rispetto alle quali lo stesso art. 37stabilisce parità per tutti i diritti
relativi al rapporto di lavoro.
6
L’art. 1, comma 622, della legge n. 296/2006 eleva da quindici a sedici anni l’età per l’accesso al lavoro,
diversamente da quanto previsto nel D. Lgs. n. 345/1999, il quale fissava a quindici l’età minima richiesta per
l’ammissione al lavoro.
7
L’art. 3 della L.n. 977/1967 prevede, infatti, che “L’età minima per l’ammissione al lavoro è fissata al momento
in cui il minore ha concluso il periodo di istruzione obbligatoria e comunque non può essere inferiore ai 15 anni
compiuti”.
L’art. 3 del D. Lgs. n. 345/1999 intende per bambino “il minore che non ha ancora compiuto 15 anni di età o che
è ancora soggetto all’obbligo scolastico”.
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parte della dottrina ritiene, più fondatamente, che debba ritenersi legislativamente sancita la
coincidenza di capacità giuridica speciale e capacità di agire8.
Il legislatore appresta una particolare tutela al minore lavoratore, in ragione delle particolari
esigenze di tutela della salute e sviluppo dello stesso. A tal proposito, il D. Lgs. n. 345/1999,
novellando la L.n. 977 del 1967 ed in attuazione della Direttiva n. 94/33/CE, ha inteso perseguire
importanti obiettivi, creando una disciplina unitaria, rivolta a tutti i rapporti di lavoro in cui
vengano coinvolti dei minori: quello di privilegiare l’istruzione; assicurare l’inserimento
professionale mediante la formazione; promuovere il miglioramento dell’ambiente di lavoro;
garantire la salute e la sicurezza dei minori in quanto gruppo a rischio particolarmente sensibile.
La legge, infatti, oltre ad indicare i casi in cui è fatto divieto di impiegare adolescenti9, contempla
due generali requisiti di ammissibilità del lavoro minorile:
a) che il datore effettui la valutazione dei rischi ambientali ai sensi dell’art. 4 del D. Lgs. n.
626/1994;
b) che il minore sia riconosciuto idoneo a svolgere la specifica prestazione oggetto del contratto
con visita medica pagata dall’imprenditore ed eseguita da un medico del Servizio sanitario
nazionale, sia prima dell’assunzione, sia dopo, con cadenza almeno annuale.
In generale, il legislatore proibisce, per tutti i minori il lavoro notturno, salvo il caso delle
prestazioni culturali, artistiche, sportive, pubblicitarie e dello spettacolo.
4. Il minore e l’associazione.
Quanto alla capacità del minore di aderire ad un’associazione, più che alla capacità di agire occorre
in questa sede fare riferimento al concetto di capacità di intendere e volere. L'art. 2046 del Codice
Civile individua tale capacità come condizione di imputabilità ad un soggetto di un atto illecito;
come capacità svincolata dal mero raggiungimento di un’età anagrafica. Quello della capacità di
intendere e volere costituisce, nel silenzio della legge, l’unico criterio idoneo per valutare la
rilevanza di atti a contenuto personale, come la scelta di aderire ad una associazione, ossia di
quelle attività del soggetto che sono diretta espressione della sua personalità. La stessa
Costituzione, all’art. 2 prevede che “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia
come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità e richiede l’adempimento dei doveri
inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”, non subordinando al compimento della maggiore
età il riconoscimento di tale diritto. La dottrina10, in accordo con le norme costituzionali, è
concorde nell’affermare che “condizionare al raggiungimento della maggiore età la capacità di porre in essere
simili attività, di natura squisitamente personale, richiamandosi a una regola che si giustifica soprattutto in
8
In tal senso si veda Carinci – De Luca Tamajo – Tosi – Treu in “Diritto del lavoro. Il rapporto di lavoro
subordinato”, Utet, 2005, pagg. 64 e ss. .
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In tal senso si veda l’allegato I al D. Lgs. in cui vengono previsti in dettaglio le attività suddette.
10
Come riportato da Bigliazzi Geri – Breccia – Busnelli – Natoli in “Diritto Civile I”, Utet, pag. 107.
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relazione al compimento di atti giuridici patrimoniali, significherebbe non riconoscere a tutta una categoria di
soggetti (come i minori, appunto) l’esercizio di diritti inviolabili dell’uomo” come appunto il diritto di
associarsi, “impedendo ai medesimi soggetti un pieno sviluppo della persona umana, in palese contrasto con i
principi costituzionali in materia (art. 2 e 3, comma 2) che non distinguono tra uomo e uomo, tra maggiori e
minori di età1”.
La capacità del minore di aderire ad una associazione è, inoltre, seppure indirettamente, sancita
dall’art. 5 del D. Lgs. n. 460/97, che prevede la possibilità di escludere dal diritto di voto i soci
minorenni, nonché dall’ art. 5, comma 1 bis, del D.P.R. 567/96, “Disciplina delle attività
complementari e delle attività
integrative nelle istituzioni scolastiche”, in cui si prevede il
conferimento della legale rappresentanza delle associazioni studentesche “ad uno studente
maggiorenne”.
§§§§§
La scelta del minore di aderire ad una associazione può però porsi in contrasto con la linea
educativa di coloro che ne esercitano la potestà.
Anche con riguardo a tale quesito, la dottrina è concorde nell’affermare che “le scelte esistenziali
operate da un soggetto capace di intendere l’importanza di tali scelte e di volerle attuare con piena maturità di
giudizio non si possono considerare giuridicamente irrilevanti o necessariamente destinate a soccombere di fronte a
scelte in senso opposto formulate, in nome e per conto del soggetto stesso, dai suoi rappresentanti legali. Così, in caso
di contrasto tra genitori e figli minori, la decisione di questi ultimi, qualora diano prova di adeguata capacità di
intendere e volere dimostrando indubbia maturità di giudizio, dovrà prevalere”. Tale possibilità non si pone in
contrasto con l’esistenza di norme che, con riguardo ad alcuni atti che attengono alla sfera
personale del soggetto (come il riconoscimento di un figlio naturale o il matrimonio), subordinano
l’acquisto della piena capacità di agire al raggiungimento dell’età anagrafica prevista dalla legge.
Con particolare riferimento alla adesione del minore ad una associazione di volontariato si
potrebbe rilevare che verrebbe a cadere il diritto- dovere dei genitori o di chi esercita la patria
potestà. Non si ravvisa, infatti, come “l’appartenenza ad una organizzazione di volontariato, con scopi di
pluralismo e di solidarietà, possa contraddire le finalità educative. In caso di opinioni contrastanti tra genitori e
minore riguardo all’adesione ad una organizzazione di volontariato, tale diversità non può risolversi in una
coazione nei confronti del minore stesso, soprattutto in considerazione delle finalità dell’organizzazione stessa11”.
Pertanto si dovrebbe considerare prevalente, in caso di contrasto con coloro che esercitano la
potestà, la volontà del minore di aderire ad una associazione, laddove tale opzione sia
accompagnata da una adeguata capacità del minore stesso di comprendere l’importanza di tali
scelte.
11
In tal senso Vittorio Italia “Le organizzazioni di volontariato”, 1998, pag. 30.
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In tal senso, a parere di chi scrive, appare pacifico che il minore, oltre a vedersi riconosciuto il
diritto di aderire ad una associazione, rivendichi anche quello di poterlo fare in contrasto con chi
esercita la potestà, laddove tale scelta sia espressione della sua personalità, al cui sviluppo
armonico deve tendere il compito educativo dei genitori. Lo svolgimento di un’attività di
volontariato è certamente importante per il minore e per il suo sviluppo educativo e formativo.
Tuttavia deve essere garantito uno svolgimento delle attività adeguato al grado di maturità del
minore stesso.
§§§§§
5. Il minore socio di associazione e l'elettorato passivo
Dal punto di vista dei diritti all’elettorato passivo del minore socio di associazione, le norme del
Codice Civile non prevedono alcuna limitazione al suo esercizio, mentre una disposizione "ad
hoc" è contenuta nelle leggi riguardanti le organizzazioni di volontariato.
L’art. 3 della legge 266/91 (legge quadro sul volontariato) demanda agli accordi degli aderenti,
all’atto costitutivo e allo statuto la fissazione dei criteri di ammissione e di esclusione degli
associati, i loro obblighi, sottolineando la necessaria democraticità della struttura associativa La
delibera della Giunta della Regione Emilia Romagna 139/2006 attuativa della legge 266/91
contiene, nell'art. 2 lettera h) n. 6 in materia di democraticità della struttura, un riferimento
specifico ai soci minorenni, stabilendo che :" tutti gli aderenti hanno pari diritti e opportunità (es. diritto di
elettorato attivo e passivo, diritto di voto) e pari doveri. Il che comporta fra l'altro l'impossibilità di riservare
l'accesso alle cariche, in tutto o in parte, a determinate categorie di aderenti; eventuali eccezioni a tale
principio possono tuttavia essere necessarie per motivi giuridici (es. minore) o opportune per
la tutela degli interessi delle categorie destinatarie dell'attività dell'organizzazione."
La normativa sopra citata demanda quindi ai singoli statuti e pertanto alla volontà e all'accordo
degli aderenti l'eventuale scelta di limitare il diritto di elettorato passivo del socio minore. Tale
possibilità, trova la propria ratio nel principio di tutela del minore: l'incarico di "amministratore" di
un'associazione determina maggiori responsabilità in capo al socio che riveste tale ruolo e la
possibilità di prevedere nello statuto una limitazione del diritto di elettorato passivo si spiega con
la necessità di non esporre il socio minorenne a responsabilità di tipo anche economico,
sproporzionate rispetto alla maturità raggiunta in un'ottica di tutela, comunque, rispettosa del
principio di libertà del minore di aderire ad un'associazione.
Detta previsione, letta "a contrario", conferma il pieno riconoscimento del diritto del minore di
aderire ad un'associazione12.
6. Il minore e l’attività di soccorso in emergenza.
12
Tale principio risulta espressamente confermato anche dalla Convenzione sui diritti dell'infanzia che sancisce
all'art. 15 "i diritti del fanciullo alla libertà di associazione e alla libertà di riunirsi pacificamente".
6
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Il riferimento normativo costituito dal D. Lgs. 345/1999 in tema di “Attuazione della direttiva
94/33/CE relativa alla protezione dei giovani sul lavoro”, nulla prevede riguardo alla possibilità
per il minore di prestare la propria attività di volontario sui mezzi di soccorso in condizioni di
particolare emergenza13.
Lo svolgimento delle attività di emergenza sanitaria, di pronto soccorso e di trasporto infermi
richiede particolari conoscenze e presuppone, da parte degli aspiranti volontari, la partecipazione
obbligatoria ad un percorso informativo/formativo diretto all’acquisizione delle specifiche
conoscenze necessarie allo svolgimento di tali attività.
I regolamenti attuativi degli statuti di talune Pubbliche Assistenze prevedono non solo l'obbligo
formativo degli aspiranti volontari, ma subordinano l'esercizio dell'attività di soccorso in
emergenza al raggiungimento della maggiore età.
Il legislatore non ha, sino a d oggi, disciplinato espressamente l'attività volontaria di soccorso in
emergenza del minore, ma la lettura combinata delle norme relative al lavoro
minorile già
indicate, insieme alla previsioni codicistiche in materia di capacità di agire, di emancipazione e di
responsabilità del minore, consente di individuare una linea applicativa di tipo "prudenziale e di
tutela del minore"14. Più precisamente, pur non esistendo un espresso divieto per il minore ad
esercitare attività di soccorso in emergenza (tale attività non è, infatti, contemplata fra le attività
vietate al minore d'età ai sensi del D. Lgs. 345/99), pare opportuno, date le necessarie abilità
tecniche richieste e dato il contesto di emergenza in cui l'attività volontaria di soccorso in
emergenza va a svolgersi, che il socio volontario minore d'età non espleti tale attività. L'unica
13
In tal senso, infatti, tali attività non sono specificatamente previste nell’Allegato I al D. Lgs., laddove vengono
indicati i lavori a cui è vietato adibire gli adolescenti.
14
In tale senso si legga l'art. 50 della legge Delega 24 Aprile 1998 n. 128 (Disposizioni per l'adempimento d
egli obblighi derivanti dalla appartenenza dell'Italia alle comunità Europee - Legge comunitaria 1995-1997) che
così recita:
art. 50 Protezione dei giovani sul lavoro: criteri di delega.
1. L'attuazione della direttiva 94/33/CE del Consiglio si informa all'obiettivo di adeguare la
vigente disciplina sul lavoro minorile alle prescrizioni recate dalla direttiva stessa, secondo i
seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) prevedere misure adeguate per la valutazione dei rischi per la tutela della sicurezza e salute
dei lavoratori minorenni;
b) prevedere che l'autorizzazione all'impiego di minori nel settore dello spettacolo, prevista
dalla normativa vigente, sia estesa ad attività di carattere culturale, artistico, sportivo o
pubblicitario;
c) prevedere in ogni caso l'obbligo di adeguamento alle misure di tutela fisica e psichica del
minore, nonchè l'introduzione di un idoneo sistema di controlli diretto a prevenire eventuali
fenomeni di sfruttamento dei minori, nel caso di loro impiego reiterato nel settore dello
spettacolo;
d) prevedere, ai sensi dell'articolo 14 della direttiva stessa, sanzioni penali o amministrative
modulate in conformità ai princìpi contenuti nell'articolo 1, comma 1, lettera c), della legge 6
dicembre 1993, n. 499, per le relative violazioni.
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eccezione può, a parere di chi scrive, essere rappresentata dall'attività di soccorso svolta dal
minore in assistenza a personale adulto già esperto in un'ottica di formazione del minore stesso.
Durante lo svolgimento dell’attività di soccorso il minore, infatti, potrebbe:
1) causare danni a terzi o ad altri volontari;
2) subire danni legati ad infortuni connessi allo svolgimento dell’attività.
Sia nel primo caso, responsabilità civile verso terzi, che nel secondo caso, infortuni occorsi al
minore, si possono configurare diversi profili di responsabilità, ed in particolare:
a) responsabilità ex art. 2049 c.c. dell’associazione che sarà chiamata a rispondere per l'attività
svolta dal minore in qualità di socio;
b) responsabilità ex art. 2048 c.c. dell’operatore adulto che si trova con il minore durante lo
svolgimento dell’attività (c.d. "culpa in vigilando”);
c) responsabilità ex art. 2048 c.c. del genitore (c.d. “culpa in educando”).
Lo svolgimento di attività di soccorso in emergenza presuppone il possesso di "un’abilitazione"
specifica e, pertanto, implica particolari capacità tecniche.
In primo luogo occorre rispettare le disposizioni che prevedono i requisiti degli operatori di
soccorso e che, a tutela degli operatori e dei destinatari dell'attività, potrebbero anche richiedere il
possesso della maggiore età.
Le attività che implicano particolari capacità tecniche strettamente personali determinano una
responsabilità personale di chi le pone in essere. Nel caso di danni causati o subiti dal minore
sono potenzialmente diversi i soggetti chiamati eventualmente a risponderne al suo posto:
l'operatore adulto, l'associazione, i genitori,…
Non pare, pertanto, opportuno lo svolgimento di attività diretta di soccorso in emergenza da
parte del minore: l’adulto e l’associazione potrebbero, infatti, essere chiamati a rispondere
dell'attività del minore in un settore nel quale per operare sono richieste abilitazioni e capacità
tecniche strettamente personali.
***
7. Il minore e la polizza assicurativa
Con riferimento alla stipula della polizza assicurativa per responsabilità civile verso terzi e
infortuni connessi allo svolgimento dell’attività associativa si deve osservare che talune compagnie
assicurative non stipulano polizze a favore di soci minorenni.
L’associazione dovrà dunque opportunamente verificare i contenuti della polizza assicurativa così
da accertare se la stessa esclude il minore della copertura oppure no.
8
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***
In conclusione, a parere di chi scrive, la stessa circostanza che il minore possa aderire ad una
associazione, se sul punto lo statuto non precisa nulla, sottintende la possibilità di partecipare a
tutte le attività svolte dall’associazione. Occorrerà perciò di volta in volta verificare il grado di
rischio dell’attività associativa rispetto al livello di maturità del minore, alla sua formazione e
preparazione, nonché all’idoneità psicofisica del minore stesso a sostenere determinate situazioni.
In caso di attività che presuppongono capacità tecniche e abilitazioni di carattere strettamente
personale (es. attività di soccorso in emergenza), a parere di chi scrive, è bene che lo statuto della
associazione escluda espressamente la possibilità che tali attività possano essere svolte da
minorenni. Pertanto, in tale ipotesi, il minorenne potrà associarsi e svolgere alcune attività
dell'associazione con esclusione di quelle (ad esempio: attività dirette di soccorso in emergenza)
espressamente indicate dallo statuto. Come già precisato è opportuno anche, sempre per tutelare il
minore stesso, che lo statuto preveda l'esclusione dei soci minorenni dall'elettorato passivo per le
cariche associative.
***
Rimanendo a disposizione per eventuali chiarimenti, l'occasione mi è gradita per porgere i miei più
cordiali saluti.
Avv. Francesca Vitulo
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