UPANews42summit - UPA - Utenti Pubblicità associati

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UPANews42summit - UPA - Utenti Pubblicità associati
SPECIALE SUMMIT INTERNAZIONALE UPA 2012
PER TEMPI DIFFICILI
VOCI FORTI
I mercati, i mezzi, i messaggi
Milano, 4 - 5 luglio
PUBBLICAZIONE
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Lo scenario macroeconomico
Francesco Giavazzi - economista Università Bocconi
Quali prospettive per le famiglie
italiane e i loro consumi? Chiariamo
subito che la contrapposizione tra
austerità e crescita è un falso
problema.
Lo facciamo a partire da due
esperienze della storia recente.
1) L’Italia non rivede oggi per la prima
volta i conti pubblici: è già successo
dieci anni fa, tra ’91 e ’92. Subito
dopo, nel ’93, i consumi crollano del
3%. Nel ’94 si allineano con il
vantaggio ottenuto con la svalutazione
dei cambi. In sostanza, l’azione
governativa causa un crollo dei
consumi e una successiva
stagnazione.
Oggi, nel 2012, abbiamo un quadro
simile, con un intervento più
concentrato nel tempo. Siamo a un
80% di tasse e a un 20% di riduzione
delle spese. Tutto questo blocca la
crescita: l’FMI stima un meno 2% di
decremento. I consumi faranno di
sicuro peggio.
Per il 2012 c’è poco da fare. Ma,
dopo, come se ne esce?
2) Ed eccoci alla seconda esperienza
recente. È la lezione tedesca.
Schröder nel 1998 revoca la riforma
pensionistica voluta da Kohl e non
indica una soluzione alternativa.
Che succede, allora? I risparmi delle
famiglie si impennano passando dal
9.8% del reddito al 16% nel 2000.
Così la Germania entra in una lunga
fase di recessione.
Ma c’è un però: nel mercato del lavoro
riformato, il costo del lavoro ha una
diminuzione di 1.2 punti anno su anno
(nel frattempo la Francia riduce il costo
del lavoro dello 0.2%, e invece l’Italia,
sempre anno su anno, l’aumenta dello
0.3%). Intanto la spesa pubblica
complessiva passa dal 49.3% del PIL
nel 1996 al 43.5% del 2007: è una
diminuzione di ben 6 punti.
E…il PIL torna a crescere.
La chiave di tutto è questa: il PIL
decresce invariabilmente quando si
aumentano soprattutto le tasse.
Se invece si riduce soprattutto la
spesa pubblica, dopo un iniziale
decremento il PIL torna a crescere.
Se il taglio di spese serve poi a ridurre
le tasse, allora si ottiene una crescita
combinata.
Oggi lo stato italiano versa 35 miliardi
all’anno di contributi alle imprese.
Molti soldi vanno al servizio pubblico,
per esempio le ferrovie. Ma restano 10
miliardi, corrispondenti allo 0.7% del
PIL.
Ad esclusione dei contributi alla ricerca
e allo sviluppo e per la crescita delle
PMI, non si capisce a che cos’altro
servano tutti questi soldi. Se noi li
prendessimo restituendoli alle imprese
sotto forma di riduzione fiscale, il
possibile positivo effetto sul PIL
sarebbe una crescita del più 1.5%.
così ricca da poter pagare la gente per
non lavorare. E oggi c’è il drammatico
problema dell’impiego giovanile.
Il quesito è questo: abbiamo oggi una
classe politica capace di proporre
nuovi modelli, come negli anni ’60
hanno fatto Adenauer, De Gasperi e
Schuman? La Germania negli ultimi
dieci anni l’ha fatto, e forse invece di
demonizzare la signora Merkel
bisognerebbe imparare dall’esperienza
tedesca.
Ricapitolando: se il governo non usa la
riduzione di spesa per ridurre le
imposte, il rischio è alto.
Tutto questo vuol dire che il
capitalismo fondato su consumi è
finito? È una domanda da ricchi...e la
risposta è “no”, se il modello é il
pauperismo. Ma è sì, se i consumi
continuano a essere finanziati da una
spesa pubblica fuori controllo, ed è sì
se si tratta di consumi non sostenibili
perché incompatibili con la
sopravvivenza del pianeta.
Il ruolo della politica è indirizzare lo
sviluppo verso soluzioni virtuose e
sostenibili.
Ma si può effettivamente ridurre la
spesa delle amministrazioni pubbliche?
Tolti gli interessi sul debito, oggi la
spesa pubblica italiana corrisponde al
45.2%. In Germania è il 43%.
Ci vuole un nuovo modello sociale
europeo. Come dice Mario Draghi,
sono finiti i tempi in cui l’Europa era
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Dominique Moïsi - geopolitologo Istituto francese per le relazioni internazionali
Moïsi lancia una provocazione: l’occidente sta per tornare? Il riferimento è
non solo all’Europa occidentale ma agli
Stati Uniti e al Giappone, l’occidente
asiatico. E’ ora per le Aziende di reinvestire nell’Occidente.
In “Geopolitica delle emozioni” Moïsi
aveva definito la cultura dominante nel
mondo occidentale una cultura di
paura, del futuro e degli altri. Oggi
sostiene che, paradossalmente, la speranza può tornare in Europa e in
Occidente.
Anche se siamo la fonte del virus
abbiamo anticorpi per resistere. Può
essere più facile per l’Occidente sopportare una non crescita di quanto lo
sia per i Paesi emergenti che si trovano
a far fronte ad un rallentamento del
tasso di crescita (parliamo di un 7% in
Cina, un 5% in India e un 3% in
Brasile). In assenza di democrazia,
come in Cina, o in assenza di regole,
come in Cina e India, un‘enorme differenza di reddito fra i ricchissimi e i
poverissimi è sostenibile solo se i
poveri hanno un elemento di speranza.
Cosa può succedere se la speranza
viene meno a seguito della caduta del
tasso di crescita e se a questa subentrano umiliazione, rassegnazione e
disperazione?
Dobbiamo prendere atto del cambiamento radicale che stiamo vivendo, di
un cambiamento di passo sotto il profilo economico e demografico.
Nel XVIII secolo l’Europa rappresentava
il 20% della popolazione mondiale. Nel
2050 la popolazione in Occidente arriverà a poco più del 10%, (se consideriamo la sola l’Europa sarà del 5-6%).
Non è più l’Occidente che si pone la
missione di civilizzare il mondo,
l’Occidente arrogante che si sente
superiore e che detiene il monopolio
dei modelli.
Dobbiamo riappropriarci degli elementi
che ci hanno reso forti nel passato. In
primis, la modestia e il desiderio di
imparare dagli altri. C’è stato un
momento tra il tardo ‘500 e il primo
‘700 in cui le élite si trattavano con
reciproco rispetto. I Gesuiti in Asia e i
Domenicani nell’America Latina guardavano le popolazioni locali con la consapevolezza di chi si stava confrontando
con un'altra cultura da cui può e deve
imparare.
ritroviamo oggi nell’industria dei beni di
lusso.
Dobbiamo anche recuperare l’ambizione. Nei passati decenni abbiamo vissuto ben oltre le nostre possibilità economiche e ben al di sotto delle nostre
possibilità intellettuali e spirituali.
La crisi che stiamo attraversando non è
tanto economica finanziaria o politica
ma sostanzialmente etica. E’ la crisi di
una società basata esclusivamente sul
mercato. Una società in cui un’avidità
infettiva e la mancanza di regole e
supervisione delle attività finanziarie
hanno innescato una spirale negativa
che ci ha inghiottito.
Abbiamo scordato che a rendere unica
l’europa è il binomio ”unità e diversità”.
Per sentirsi a proprio agio in un mondo
di identità multiple bisogna avere fiducia nella propria identità profonda.
Identità che si è persa con la sviluppo
dei mercati asiatici e l’aumento del
debito in Europa e in Occidente. Ci
siamo arresi e ci siamo rassegnati
all’idea che l’Occidente possa diventare un museo del nostro passato.
L’Europa è il prodotto della sua storia,
è ciò che ha ereditato da un passato
comune fatto di gloria e di terribili tragedie. Gli “asiatici” non si sentono
asiatici, non hanno un background culturale, una religione o un’economia che
li accomuna. Sono gli europei a definirli
tali ma non è un concetto in cui si riconoscono.
L’Europa continua ad essere il sogno di
molti. Nessuno al mondo vuole diventare cinese ma milioni di persone vogliono diventare europei. In migliaia rischiano la vita per attraversare il
Mediterraneo e raggiungere l’Europa. Ci
sentiamo europei e questo ci conferisce una sorta di identità multipla.
Per una rinascita dell’Europa dovremmo
guardare ai Paesi scandinavi che gli
stessi cinesi stanno studiando come
benchmark: onesti, modesti, con un
livello accettabile di differenze tra molto
ricchi e molto poveri, dove le pari opportunità non sono un’utopia e gli immigra
ti sono trattati in modo equo.
Al tempo stesso vi è diversità. Se attraversi l’Europa in macchina cambiano la
lingua, il cibo, il paesaggio e l’architettura. Se vai da Boston a Washington, in
800 km non cambia quasi nulla.
Questa diversità è fonte di creatività.
Italia, Francia e Inghilterra hanno ereditato una tradizione di eccellenza che
La sfida per l’Europa non viene da
fuori, dalla Cina, o dalla l’India ma è
interna. La chiave è capire, accettare e
adattarsi al cambiamento, per coglierne
le opportunità.
Agli occhi del mondo il valore unico, le
peculiarità dell’Europa rispetto al resto
del mondo possono essere riassunte in
alcune parole chiave: riconciliazione,
una forma più umana di capitalismo e
di democrazia sociale, rispetto per l’uomo e enfasi sulla centralità dei diritti
dell’uomo.
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Elmar Salmann - teologo, filosofo
Ad Elmar Salmann è stato chiesto di
collocare l’economia in un paesaggio
più ampio. Nel suo intervento parla
dell’uomo democratico, dell’uomo
economico e dell’uomo pubblicitario,
per concludere con alcune note morali
e massime teologiche.
L’homo democraticus nasce nel primo
decennio del Novecento con la
sociologia, la psicologia del profondo,
la pittura astratta, la musica da Mahler
a Schönberg, i movimenti di
emancipazione delle donne e la nuova
attenzione ai bambini (da Adler a Piaget
e alla Montessori). Ma tutto si
interrompe con le due guerre e i
movimenti totalitari.
Ciò che prima era patrimonio delle
avanguardie, nel ‘68 diventa patrimonio
di tutti: il nuovo uomo democratico è
comunicativo, mobile, autonomo,
emancipato…nessuno di noi potrebbe
ritornare agli anni ’50. È democratico
non tanto a livello politico quanto nella
psiche e nello sperimentarsi. Contiene
e media tanti mondi. È sensibile,
sensuale, estetico, erotico, sportivo:
l’uomo “della grande salute” secondo
Nietzche. Del resto anche il Dio
cristiano è trino, pluriprospettico e
dialogico.
Ma homo democraticus è anche
contradditorio. Vuole libertà e
sicurezza, lo stato debole e lo stato
garantista, la privacy ma anche la
trasparenza, la meritocrazia ma le
risorse free, vuole viaggiare veloce ma
odia il rumore degli aerei, è iperadulto
ma infantile, é insieme illuminista e
romantico. Per la politica non è facile
conciliare tutte queste anime.
Oggi per la prima volta l’economia
domina sentimento e sensibilità
umane, nel bene e nel male. Si è
creata una società inventiva e creativa,
che ama investire, scommettere e
speculare. È un mondo di
comunicazione aperta, che la cultura
economica ha unito più della politica.
È un mondo di welfare e di wellness.
Non è casuale che tutto questo si
esprima in termini usati anche dalla
teologia: debito, credito, fiducia,
sacrificio, conversione. Il linguaggio
degli analisti finanziari è altrettanto
mitologico di quello dei teologi. Ma c’è
un prezzo: il linguaggio economico è
vorace e fagocita tutto, dimensione
politica, res publica, simboli religiosi…
l’uomo viene visto come consumatore e
la parola “consumo” ci consuma.
Vogliamo ridurre l’uomo a questo? La
parola valore è sulla bocca di tutti:
vescovi, politici, economisti. Ma che
cosa significa? Che cosa indica
davvero? E chi giudica il valore di che
cosa? La rating agency esprime un
magistero assoluto, ma a nome di chi
parlano gli analisti? Moodys determina
il mood…ha un potere che esula da
ogni controllo, e influenza umori globali.
singola domanda retorica per creare
nell’uomo uno sguardo scettico e
depressivo sul mondo.
Sia l’economia sia la teologia oscillano,
tra humour e tragedia.
Minima moralia e massime teologiche:
nella parola “mercato” è sottinteso
l'incontro dell'agorà (la piazza, il luogo
d’incontro e di confronto). L’economia è
un mondo di mediazione, professionalità,
garbo ed efficacia e l’Europa ne è la
fucina. Salmann, professore e prete,
vorrebbe imparare dal bottegaio del
Testaccio e dai modi di Confindustria.
Ma l’uomo democratico, pubblicitario,
romantico ed economico tende a una
crescita sconfinata e ad esigere troppo
da sé e dai figli. È quello che chiamiamo
stress: l’eccesso di pressione sulla
limitatezza. Ci vogliono limiti alle
persone, al tempo, alla vita private e
professionale. Vorremmo essere ubiqui e
immortali: nessuno si ritira al momento
La pubblicità è più interessante
giusto, anche se questo sarebbe l’arte
dell'arte moderna. È la festa del
della vita.
linguaggio e delle metafore: crea utopie Il limite è un punto delicato: ogni
e fiabe, legami tra cielo e terra, tra
progresso getta un’ombra, e perfino di
prodotti e inconscio, lavora sui
troppo fitness si può soffrire. Vedere la
meccanismi sociali. È quasi uno
morte come sconfitta della tecnica
spettacolo escatologico (relativo al
produce una schiera innumerevole di
destino e alle finalità dell’uomo e
dementi.
dell’universo). In un mondo in cui tutto Ci vuole una sensibilità al limite, non
è relativo, la pubblicità è il regno
come restrizione ma come benedizione
dell’iperbole: usa parole come “iper”,
difficile. E bisogna evitare l’omologazione
“super”, “assolutamente” e ri-crea
babelica di mondi incompatibili tra loro:
mondi salvifici attorno a un prodotto.
economia, società, stato, cultura,
Ma può mantenere le sue promesse?
religione…sono cose diverse, e la
Il risultato è una società isterica ed
diversità va garantita. Alla religione
eccitata, facile preda della depressione, spetta il compito di ricordare la relatività
sia economica sia psicologica, e del
di tutte le cose.
disinganno. I prodotti non danno
L’unica cosa assoluta e fragile è la
felicità: lo sport nazionale degli europei persona umana, che è più che lavoro,
e degli americani è dichiararsi vittime
fitness, progresso…la persona umana
del sistema e delle false promesse (e
emerge anche nella sconfitta. E cosa
chiedere risarcimenti).
saremmo senza la sconfitta, e
Ma questo è il destino anche della
l’esperienza del risorgere?
teologia: Dio ha voluto comunicarsi
tramite la creazione, ma è bastato che Salmann conclude così il suo intervento:
il serpente, la prima rating agency,
Dio esiste, e non siete voi. Quindi,
svalutasse l’intera impresa con una
rilassatevi, per un momento.
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Martin Sorrell - CEO WPP
giovani talenti.
3. Sviluppo della rete e del digitale.
L’Italia è in ritardo. Investiamo il 19%
del nostro budget su Internet, ancora
poco per un “luogo” in cui le persone
trascorrono ormai ben un terzo del loro
tempo. Inverso è il rapporto nella
stampa: stiamo sovrainvestendo
rispetto al tempo che i consumatori
dedicano al mezzo. Rispondendo anche
a funzioni di display, video, social e
10 i trend delineati da Martin Sorrell:
lavorando sui dispositivi mobili, Google
1. Spostamento ad Est (Asia) e verso il resta l’azienda con le prospettive
migliori e con le maggiori potenzialità:
Sud del mondo (questo è il decennio
nel 2011 abbiamo speso su Google
dell’America Latina, ma cresce
1,6 miliardi del budget, mentre è di 2
l’importanza anche dell’Africa e del
miliardi la stima nei primi 5 mesi del
Medio Oriente).
2012.
2. Sovraproduzione - si continuano a
Facebook è uno strumento di branding
produrre 18 milioni di automobili (la
produzione è diminuita negli USA ma è più che un mezzo di pubblicità.
cresciuta in Cina, India e Corea) mentre 4. Accresciuto potere della
il mercato è composto da 16 milioni di distribuzione: negli ultimi anni abbiamo
assistito ad un’erosione dei margini di
consumatori - e decremento
demografico in Occidente. Si allunga la profitto delle aziende più che ad un
aumento dei prezzi al consumo. A
durata della vita ma non arriva a
conferma, cresce lo share of voice della
compensare il calo nelle nascite.
comunicazione della distribuzione. E’
Le aziende dovranno investire e
fondamentale capire come riuscire ad
competere anche per assicurarsi i
Dal 2008 ad oggi il mercato è
cambiato, non solo per i consumatori
ma anche e soprattutto per le imprese.
Viviamo in un mondo che si sta
muovendo a velocità nuove e diverse,
sia in termini geografici che in termini
funzionali: le aziende devono
adeguarsi e imparare ad interpretare il
cambiamento in un’ottica mondiale.
influenzare il consumatore sul punto
vendita.
5. Accresciuta importanza della
comunicazione interna.
6. Focalizzazione su globalizzazione e
localizzazione. Aumenta la
dimensione delle multinazionali e la
complessità delle strutture e al tempo
stesso la necessità di consolidare i
rapporti con il territorio, le sue risorse
e le istituzioni locali.
7. Aumentato potere della direzione
finanziaria, a discapito del marketing,
nella definizione delle decisioni
strategiche. Enfasi su efficienza,
efficacia, liquidità.
8. Crescente importanza del ruolo dei
governi nazionali non solo sotto il
profilo politico ma anche come
investitori e clienti.
9. Importanza strategica della
sostenibilità e della responsabilità
sociale d’impresa.
10. Ulteriore concentrazione delle
imprese nel mondo della comunicazione e dei media e conseguente
maggiore difficoltà per le piccole
imprese.
Il nuovo paesaggio mediatico
Carlo D’Asaro Biondo - Presidente Operations SEEMEA Google
Nella sua relazione Carlo D’Asaro
Biondo analizza come si è modificato il
consumo dei mezzi nell’era digitale,
l’impatto della web economy e la valenza strategica del web per le PMI.
Oggi la nostra attenzione è divisa tra
più schermi. Gli smartphone sono utilizzati mentre si svolgono più attività
contemporaneamente con altri dispositivi. Il 63% utilizza lo smartphone mentre guarda la tv. E’ importante capire
quali media utilizzano, in quale momento della giornata e con quale contemporaneità.
E’ difficile coinvolgere. Contano:
•La qualità della creatività e la coerenza di quanto proposto con il messaggio
•Lo stato d’animo di chi riceve
•La capacità di adattare il messaggio
al media utilizzato.
Il web è fonte di opportunità e crescita
per l’economia.
L’impatto della web economy è in crescita. Nel 2010 con 31,6 miliardi di
euro ha contribuito al 2,0 % del PIL;
nel 2015 varrà tra 59 e 77 miliardi di
euro (3,3%-4,3% del PIL).
Il web consente di crescere più velocemente, acquisire una clientela internazionale, migliorare la produttività, incrementare l’occupazione (per ogni posto
di lavoro perso se ne sono creati in
media 2,7; in Italia 1,5).
Ancora poco utilizzato in Italia, il web è
una leva strategica da cui potrebbero
trarre vantaggio soprattutto le PMI per
creare business model su un bacino
mondiale.
Fondamentale per lo sviluppo di settori come il turismo, il web aiuta a promuovere le culture locali e a valorizzare le bellezze culturali.
Si aprono ora nuove sfide: semplificare la complessità e risolvere i problemi difficili, capire lo stato d’animo di
chi riceve i messaggi e creare esperienze piacevoli.
Negli anni ‘90 la frontiera tecnologica
è stata il telefono portatile, per
Google quella futura sarà portare il
mondo negli occhiali.
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Antonio Campo Dall’Orto - vice presidente esecutivo Viacom International Media Networks
I Millennials - una definizione coniata
nel 1993 da Ad Age - appartengono a
una generazione che, un po’ come ha
fatto quella dei baby boomers, può
cambiare le cose? E in che maniera?
I dati che seguono riguardano la
generazione dei Millennials (altri la
chiamano generazione Y. Comprende i
nati tra gli anni ’90 e i primi anni del
2000). Sono frutto di diversi anni di
ricerche che hanno coinvolto oltre
20.000 giovani in tutti i paesi del
mondo.
Riguardano 2.5 miliardi di persone,
oltre il 34% della popolazione mondiale,
un miliardo delle quali vive in India e
Cina. Gli italiani sono 10 milioni. È la
prima generazione veramente digitale
ed ha valori e modi di pensare
convergenti in ogni paese del mondo.
Anche se gli stili e le abitudini tendono
a distinguersi in un’esplosione di
differenze, alcuni elementi di fondo,
infatti, sono condivisi: gli appartenenti
a questa generazione sono riformatori
e non rivoluzionari, colti, curiosi e
appassionati, preparati, socialmente
responsabili, proiettati al futuro e vocati
al successo. They smell out fake:
capiscono subito quando una cosa è
finta, e ne diffidano.
Sono cresciuti in famiglie accudenti,
incoraggianti, non autoritarie e positive
e padroneggiano le nuove tecnologie.
Quando gli si chiede di nominare i
propri eroi personali, nei primi tre posti
citano mamma e papà (questo non
accade assolutamente nelle
generazioni precedenti). Sono arguti e
brillanti, e usano l’arguzia come
strumento di scambio sociale e
strumento per affermarsi. Il 61%
dichiara che, essendo brillanti, nella
vita si può ottenere ciò che si vuole.
Il 70% di loro ha la convinzione di
appartenere a una generazione che ha
il potenziate per migliorare il mondo:
per questo vengono anche chiamati
superpower generation. Sono molto
diversi sia dai baby boomers sia dalla
generazione X che li hanno preceduti.
Sono in costante connessione e
interazione: i social media sono parte
integrante dello sviluppo personale e
rientrano, senza soluzione di
continuità, nella “vita vera”. Il 92%
dichiara di avere più potere grazie alla
tecnologia e all’interattività, ma non
usa la parola “tecnologia”, perché non
la percepisce come qualcosa di
separato dalla quotidianità. Il 59% fa
acquisti sulla base delle opinioni
online, il 39% non acquisterà prodotti
sconsigliati online, il 46% si fida della
community di appartenenza, e solo il
12% si fida degli “esperti”.
Eppure sono convinti che conoscenza
e talento saranno sempre più
importanti: partecipazione non
significa misconoscere l’importanza
del saper fare e della professionalità.
Secondo uno studio dell’Università di
Stanford, scrivono molto di più delle
generazioni precedenti, ed hanno
elaborato un nuovo linguaggio
“extrascolastico”, più sintetico ed
efficace di quello appreso a scuola
dalla generazioni precedenti.
Per loro è fondamentale il successo,
inteso come modo per realizzarsi: solo
per il 13% è necessario protestare
contro il sistema (lo è stato per il 59%
dei baby boomers), mentre per il 53%
bisogna migliorare il sistema da
dentro (opinione condivisa solo dal
26% dei baby boomers). Per il 70% di
loro non esiste la parola “fallimento”:
al massimo ricalibrano gli obiettivi.
Una brutta esperienza è solo qualcosa
da cui apprendono, un po’ come
capita nei videogame, o nei giochi
relazionali dei social media. Dunque
applicano le regole del gioco nelle
situazioni della vita (è la gamification
of life), e cercano sempre l’idea più
brillante per raggiungere lo scopo, ma
non si sentono in difetto quando sono
in difficoltà, e sono maestri di
negoziazione.
Sono impazienti, e abituati a veder
soddisfatti i propri bisogni in maniera
istantanea. Sono sperimentali e
orientati a mettersi in gioco anche nel
mondo del lavoro. Credono che le
gerarchie possano essere scalate. Il
73% è convinto di poter andare oltre le
classiche convenzioni lavorative. Il 76%
si sente in grado di insegnare ai suoi
superiori. Creatività, innovazione e
intraprendenza fanno parte del loro
DNA, e il 70% di loro è convinto che la
creatività, intesa come capacità di
mettere a punto soluzioni originali,
salverà il mondo.
Insomma: sono convinti di avere una
marcia in più, che spetterà a loro
cambiare i sistemi di potere e che
istituzioni, governi, sanità, scuola siano
in decadenza in tutto il mondo.
Il 75% dei millennials non è mai
disconnesso dalla rete, neppure di
notte, e 8 su 10 di loro in multitasking
sempre: per questo sono molto più
interessati a possedere un iPad che
un’auto.
Si è registrato, con questa generazione,
il passaggio da un mondo costruito
attorno al flusso imposto dalla tv a un
altro, in cui il flusso mediatico si
sviluppa attorno alla persona, ed è
guidato da due criteri: soddisfazione e
condivisione.
La multicanalità fa sì che ciascuno
consumi ciò che vuole, quando vuole,
nel modo che preferisce e usando lo
schermo più opportuno: la tv, intesa
come attrezzo domestico, è solo uno
dei tanti schermi disponibili, non il
generatore unico del flusso mediatico.
E questo è un cambiamento
irreversibile.
La forza della comunicazione video sta
rivoluzionando internet. Da una parte, i
contenuti tv non sono mai stati così
condivisi all’interno della conversazione
globale, e continuano a guidarla. Ma,
dall’altra, ciò vuol dire che si affermano
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segue A. Campo Dall’Orto
solo quei contenuti televisivi che
creano conversazione.
Il 60-70% dell’ascolto delle prime
puntate dei nuovi programmi di Mtv si
verifica nei giorni successivi alla messa
in onda e può accadere che l’80% del
pubblico di un programma cult non lo
abbia mai visto in tv (stiamo passando
da “il medium è il messaggio” a “il
messaggio è il medium”).
Come viene generata la conversazione
globale? Possiamo pensare alle nuove
reti mediatiche come a un sistema di
specchi che rimbalzano di continuo
quei contenuti - basati sia sulla realtà
(news, sport), sia sulla fiction - che i
singoli utenti scelgono come rilevanti, e
che usano come “moneta di scambio”
nella conversazione.
Oggi una quantità di brand è
genuinamente orientata a soddisfare i
bisogni di intrattenimento e
informazione delle persone, e la vera
sfida si sposta sul rapporto tra tempo
richiesto e qualità della soddisfazione
offerta.
Si può scommettere sui millennials:
bisogna ricordare che la loro identità
passa dai valori di fondo. La musica,
per esempio, ha molta meno rilevanza
unificante che in passato ma, per
esempio, il concetto di libertà è
condiviso dalla Libia alla Russia. Hanno
coscienza della nuova complessità, e la
volontà di trovarsi un nuovo spazio. Ma,
proprio perché hanno un forte legame
affettivo con le generazioni precedenti,
non faranno la rivoluzione. Mentre la
generazione X perseguiva il benessere
individuale, i Millennials vogliono
trovare nuove regole, che vadano bene
a tutti.
La componente “gioco e divertimento”
resterà fondamentale. Per questo a
vincere è tutto ciò che è intenso dal
punto di vista narrativo. Ed è difficile
capire ciò che li soddisferà tra dieci
anni. Del resto, chi sviluppa il proprio
immaginario ha più possibilitá di
affrontare le cose.
Il restare connessi è fondamentale: il
50% delle persone preferisce non
andare in vacanza piuttosto che restare
priva di connessione. E non ha senso
domandarsi se tutto questo è giusto o
sbagliato: meglio sforzarsi di capire
come affrontarlo. D’altra parte, i
bisogni degli adolescenti sono rimasti
gli stessi del passato: amicizia,
amore… ma è drammaticamente
cambiato il modo di soddisfarli: da sex,
drugs, rock&roll a smart and fun.
La risposta delle Imprese
Bruno Bertelli - direttore creativo esecutivo Publicis
L’intervento vuole essere un elogio alla
continuità ed alla ripetizione delle idee.
In pubblicità, per Bruno Bertelli, la continuità di un’idea è la misura del successo di una campagna.
La ripetitività è legata ad un meccanismo mentale che Umberto Eco chiama
“piacere della serialità”. Amiamo farci
raccontare, con delle varianti, sempre
la stessa storia. Ma una vera long
idea, quella che dura nel tempo, è
strettamente legata al concetto di credibilità. In semiotica si parla di 'aspettative rispettate'.
Nei serial tv l’affezione del pubblico è
direttamente legata a quello che si
chiama “patto con lo spettatore”,
ossia la credibilità che lo spettatore
concede alla fiction che ha deciso di
seguire. Se viene rotto questo patto,
se si supera il livello di credibilità, lo
spettatore si disaffeziona. In gergo si
chiama “Jump the shark”, come è suc-
cesso alla serie televisiva Happy Days,
proprio con l'episodio in cui Fonzie
salta uno squalo facendo sci nautico.
E’ da questo punto che è iniziato il
declino della famosa serie. Lo stesso
è successo con Indiana Jones, nel film
in cui Harrison Ford si salva dall'attacco atomico nascondendosi in un frigo.
Oppure in Dallas quando Bob, dato per
morto, riappare sotto la doccia. Sono
tutti esempi di come, stressando troppo l'idea, si finisce col deviare dall’idea originale e si rompe il legame fra
il mittente e il suo pubblico.
Esiste un Jump the shark anche in
pubblicità, perché esiste un patto che
lega consumatori e brand. Nella campagna di Budweiser, ad esempio, il cui
punto di forza è la parola finale True,
e in cui si rappresenta il vero momento
del consumo, la continuità viene persa
nell'episodio dei marziani, in cui
manca qualsiasi riferimento credibile al
consumo della birra. Oggi il consuma-
tore è in grado di criticare sia in modo
costruttivo che distruttivo la pubblicità.
Un consumatore che non sente affinità
con la comunicazione di un marchio a
lui rivolta non si tappa più soltanto le
orecchie. Oggi, quella persona è in
grado di rispondere al fuoco, ha il potere sufficiente per creare una versione
eretica di quella marca. Non esistono
ricette, ma molti modi per mantenere
questo rapporto credibile. Le campagne social, ad esempio, o le brand
experience, le sponsorizzazioni e l’uso
dei testimonial sono strumenti che servono per rafforzare credibilità e continuità. Un esempio su tutti: l’evento
organizzato per Heineken durante la
serata della partita di Champion's
League.
La credibilità dei messaggi è legata
all’impegno vero e non fittizio, delle
marche nel terreno che hanno deciso
di percorrere.
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Lorenzo De Rita - direttore The Soon Institute
E' un discorso incentrato sull'amore
quello di Lorenzo De Rita che, da
innamorato in maniera critica della
pubblicità, ha voluto mettere in luce
gli aspetti di 'non amore' che caratterizzano oggi il mestiere del pubblicitario. Il modo pensare della pubblicità
talvolta è cinico, autoindulgente,
furbo, guidato da interessi ego-riferiti
e facile. E’ una critica appassionata
rivolta all'uso di parametri di marketing poco logici (ad esempio, la parola
“tall” per indicare il formato più piccolo del bicchiere di caffè da Starbucks),
ai principi che sono un insulto all'intelligenza (costi a 0.99 cent sono percepiti come più economici di un 1$?),
a pubblicità di cattivo gusto, che
fanno qualsiasi cosa pur di attirare
l’attenzione o come lo spot di una
casa automobilistica in cui un kamikaze si fa esplodere nella macchina,
che però non si distrugge.
Il creativo (definizione che non ama:
sul suo biglietto da visita ha preferito
qualificarsi come “essere umano”) fa
quello che gli dicono di fare, quello che
è più facile, e non è più capace di fiutare idee innovative.
Il bombardamento mediatico plasma la
nostra vita: ogni anno vengono inviate
107 trilioni di mail, di cui l'89% è
spam. Ogni secondo viene uploadata
un'ora di video su YouTube (vale a dire
ogni minuto 12 ore di video); sul solo
sito del governo, in un fine settimana,
sono arrivate 95.000 opinioni sulla
spending review.
Se il mondo è così pieno di creativi e
di idee perché molte potenzialità non
vengono sfruttate e viviamo in un
mondo pieno di problemi? “Scarsa
declinazione atomica nella pubblicità”
è la diagnosi di De Rita che, nel citare
il clinamen degli atomi di Tito Lucrezio
Caro, l'inclinazione che fa incontrare
gli atomi provocando la formazione
delle molecole, rileva come non ci sia
più incontro di idee ma la difesa della
proprietà dell'idea. Non c'è matrimonio di idee (condivisione), ma solo
patrimonio (possesso di ricchezza).
Più che di paternità dell'idea, sarebbe
corretto parlare di maternità, concetto
che favorisce lo scambio e la relazione. Le idee sono frutto di relazioni. Il
significato originario della parola
comunicazione è proprio 'condividere'.
L’aggettivo “comune” da cui deriva
significa “unito ad altri con obbligo di
partecipare”.
Dobbiamo riappropriarci della dimensione dello scambio e rallentare la
velocità a cui andiamo che ci impedisce di pensare".
Johannes Kastner - fondatore dell’agenzia Kastner&Partners
Lanciata sul mercato 25 anni fa, Red
Bull grazie a un posizionamento vincente e a una comunicazione particolarmente creativa, è leader in un segmento sempre più affollato, con circa 7
miliardi di lattine vendute all'anno nel
mondo.
Come si fa a far volare un prodotto?
Per avere le ali, un prodotto deve essere innanzitutto unico. Dietrich
Mateschitz, il fondatore, traendo ispirazione da alcune bevande toniche popolari in Asia ha inventato da zero un
mercato. Deve poi essere un bene non
di nicchia, ma di cui tutti hanno bisogno, in certi momenti della vita. Deve
insomma rispondere a un desiderio
umano: chi non vorrebbe vivere al massimo delle proprie capacità?
E’ infine necessario creare un brand
intorno al prodotto e un posizionamento che ne rispecchi la personalità. Red
Bull è smart, professionale, autoironi-
ca, non conformista, premium ma non
arrogante.
Da qui il pay off “stimola anima e
corpo”, presente in tutte le comunicazioni Red Bull, con il toro che simboleggia la forza del corpo e le ali che
rimandano all'anima.
La comunicazione e il marketing sono
sempre stati strumenti importanti nella
strategia di affermazione sul mercato
di Red Bull, che ad oggi vi investe il
30% delle proprie entrate. Per far conoscere un prodotto che non esisteva ha
esordito girando nelle città con delle
Mini personalizzate con lo stile Red
Bull, dotate di frigo. A queste prime
attività si sono poi affiancati gli spot:
oltre 1000, usciti nei vari Paesi, tutti
caratterizzati da un tono molto autoironico.
Negli anni Red Bull ha legato il suo
brand al mondo sportivo, cominciando
da sport estremi come windsurfing,
base jumping, snowboarding, cliff
diving e allargandosi poi a sport più
tradizionali come il calcio e la Formula
1. Ha inoltre creato tutta una serie di
iniziative speciali e di eventi divertenti. Una su tutte: la Flugtag, la competizione rivolta ai costruttori delle macchine volanti più buffe e pazze, che
coinvolge minimo 100.000 persone
ogni volta.
Tutte le sponsorizzazioni, nel mondo
della cultura e dello sport e per ribadire il binomio anima e corpo, rimarcano la volontà del marchio di creare
nuovi interessi: Red Bull non vuole
percorrere terreni già battuti ma fare
tendenza e continuare ad essere un
passo avanti per attrarre i giovani.
Nel prossimo futuro Red Bull svilupperà un canale tv globale e un'iniziativa
su Facebook e Twitter e anche in questo caso l’idea sarà innovativa.
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Philip M. Napoli - docente di media measurement della Fordham University - NY
La misurazione parte dai social media.
In tempi in cui i social media sono
ormai un fenomeno dilagante sono
necessarie nuove metriche di misurazione per le nuove audience che si
vanno via via affermando.
L'evoluzione dell'audience è da ascrivere principalmente a due fattori: da
una parte la trasformazione del consumo dei media e la sua frammentazione
su molteplici piattaforme, dall’altra l'affermazione di nuovi meccanismi di
feedback e di nuovi strumenti di informazione sulle media audience.
“black boxes audience”: si conosce
l’output, i dati delle audience, ma
non è dato sapere con esattezza
come si è arrivati a produrlo. Un motore di ricerca, ad esempio, è una black
box.
Una seconda questione è rappresentata dal determinismo dei dati, vale a
dire dall’accettazione acritica del fatto
che tutti i dati disponibili sulla audience siano utili e possano migliorare le
performance.
Si stanno oggi affermando degli strumenti di analisi dei social media, che
E’ oggi possibile misurare aspetti diver- possono dare informazioni molto
importanti sull'evoluzione dell'audiensi oltre alla semplice esposizione al
ce: sulla quantità dei commenti onlimezzo e al messaggio: siamo in un
ne, sullo share, sul sentiment e della
'post-exposure marketplace', in cui
partecipazione del target. Forniscono
l'esposizione sta perdendo valore,
affiancata sempre di più da nuovi crite- dati sulla qualità dei contenuti (dei
ri che rientrano sotto il grande cappello personaggi e delle trame), una stima
della performance dell'advertising e
dell'engagement: l’apprezzamento e
l’emozione, il ricordo e l’atteggiamento, del product placement e indici di affinità tra marca e programma o tra proil comportamento.
grammi e programmi. Danno infine
Non esiste a tutt’oggi una definizione
condivisa di cosa si intenda per “enga- dati di analisi della audience in termini demografici, di influenza e di
gement”. Negli USA il dibattito sulla
nuova currency è quanto mai aperto e copertura.
I dati provenienti dalle fonti dei social
vivace.
media (Facebook, Twitter, ecc...) venUna problematica di rilievo riguarda la
gono analizzati da algoritmi e sincro-
nizzati con un programma ad hoc che
consente di stabilire in modo puntuale
cosa è stato detto in un preciso
momento o punto del programma.
I sistemi di misurazione delle società
che operano sul mercato sono molto
diversi tra loro in termini di fonti dei
dati, algoritmi, criteri di ricerca, periodi
di misurazione (si va da 3 ore ad alcuni giorni prima e dopo il programma),
granularità (grado di dettaglio dei dati
rilevati).
Ponendo a confronto per alcune trasmissioni televisive, i dati che emergono da questo approccio con quelli
rilevati da Nielsen, si nota una differenza sostanziale in termini di attenzione e general sentiment.
Quindi, cosa è opportuno fare per evitare il determinismo dei dati?
Un confronto rigoroso tra sistemi di
misurazione alternativi, una valutazione approfondita dell’effettiva rilevanza
delle metriche proposte in funzione
delle performance da misurare, oltre
ad esigere una maggiore trasparenza
con l’apertura delle “scatole nere” da
parte dei fornitori di dati.
Michael Tchong - fondatore di Social Revolution
Michael Tchong parla dei fenomeni che
stanno modificando il nostro stile di
vita. Una macrotendenza che comprende diverse tendenze.
1) Accelerazione della vita, attuata
attraverso la compressione dei tempi.
Tutto va più veloce. Ci siamo trovati
coinvolti in una rivoluzione cominciata
da un venditore tunisino (Mohamed
Bouazizi, si dà fuoco il 17 dicembre
2010 per protestare contro la confisca del suo banco di frutta e le percosse della polizia) e resa possibile
da Facebook e Twitter. Per celebrare la
rivoluzione, un padre egiziano chiama
Facebook il suo primogenito neonato.
Seguendo le conversazioni in rete si
possono ricavare in tempo reale molte
informazioni rilevanti: per esempio, i
primi dati sulla diffusione di epidemie
come il colera ad Haiti si sono ricavati
esaminando conversazioni online.
2) Stili di vita digitali
Ossigeno online. Oggi si passa più
tempo sui social network che spedendo email. Molte persone sono davvero
dipendenti e c’è chi arriva a twittare
perfino durante le ultime fasi di un
parto in casa. E ora, grazie a General
Motors e a Chevrolet, si può andare su
Facebook anche viaggiando in auto.
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segue M. Tchong
Condivisione. La fotocamera digitale
ormai è stata resa obsoleta dalla fotocamera del telefonino, oggi il più diffuso tipo di fotocamera nel mondo.
FOMO (Fear Of Missing Out). Paura di
perdersi qualcosa. È la cultura dell’essere sempre connessi.
Multimedia Tasking: il 69%dei proprietari di iPad guarda la televisione e contemporaneamente naviga sul web. Ma
se si fanno più cose nello stesso
tempo, si dimenticano anche più cose
e si verifica MCI (Mild Cognitive
Impairment): un dolce indebolimento
cognitivo che è parte del nostro stile di
vita digitale. E questo è un megatrend
con cui chi lavora coi media e la comunicazione dovrà fare i conti.
3) La società iPadizzata: stiamo modificando il nostro intero modo di usare i
media: molte persone preferiscono
guardare la tv su iPad invece che sul
televisore, anche se potrebbe farlo.
Questo fenomeno non coinvolge solo i
consumatori, ma anche i professioni-
sti: il 26% dei medici europei usa
l’iPad per motivi professionali. Ci
sono alberghi che prendono ordinazioni per il room service grazie a
iPad collocati nelle camere, e si ordina al ristorante via iPad. La distribuzione si sta modificando grazie
all’iPad che, per esempio, permette
di comprare libri e pagarli strisciando la carta di credito.
4) I media Ipadizzati: ormai i programmi televisivi vengono progettati
per essere guardati su iPad. E le
persone sono propense a guardare
video per il 30% più a lungo sul
tablet invece che sul computer.
L’industry dei media si sta attrezzando (accordo Disney-ABC/Nielsen) per
valutare l’impatto del fenomeno, che
sembra significativo. Negli Stati Uniti
il numero dei televisori posseduti
dalle famiglie sta diminuendo, anche
se il numero dei gruppi familiari sta,
contemporaneamente aumentando.
È un cambiamento drammatico, per
una società dipendente dalla tv.
Anche il modo di considerare le riviste
sta cambiando: due lettori su tre le
vorrebbero formattate in modo uniforme, vorrebbero poter comprare beni
cliccando sugli annunci, vorrebbero
avere annunci personalizzati, e soprattutto preferiscono leggere su tablet e
non su carta.
Su iPad si può comporre la propria
pizza preferita e ordinarla. Ma si può
anche tracciare il percorso di una valigia spedita in aereo.
Insomma: tutto sta cambiando molto
rapidamente e può darsi che i marketing manager non tengano il passo e
perdano alcune opportunità.
Le presentazioni e gli interventi audio
e video dei relatori sono disponibili sul
sito dell’Upa
www.upa.it
Si ringrazia Annamaria Testa per la sintesi delle relazioni di Giavazzi, Salmann, Campo Dall’Orto e Tchong.
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