Nazionalismo, crisi demografica, islam, debito - Europa

Transcript

Nazionalismo, crisi demografica, islam, debito - Europa
ANNO XXII NUMERO 36 - PAG I
IL FOGLIO QUOTIDIANO
SABATO 11 E DOMENICA 12 FEBBRAIO 2017
I NUOVI BARBARI
Nazionalismo, crisi demografica, islam, debito pubblico, ipertrofia, panem et circenses:
il crollo dell’antica Roma un monito per l’Europa d’oggi. Parla lo storico David Engels
l’individualismo e l’ipocrisia, non sembra in grado di fornire. In questa prospettiva, l’ascesa dell’islam e la lenta
scomparsa delle forme tradizionali di
cristianesimo, cattolico e protestante, è
l’esatto equivalente morfologico delle
religioni orientali che hanno sostituito
lentamente il declino della religione romana repubblicana nel Primo secolo a.
C. e nel Primo secolo d. C. Le prime sette cristiane nutrivano ostilità radicale
verso la società pagana e desideravano
cercare la propria morte, al fine di ottenere il paradiso…”.
Nel romanzo “Cuore di tenebra”, Joseph Conrad definì Bruxelles la città
dei sepolcri imbiancati. Il caso belga insegna qualcosa sul destino dell’Europa? “Appartengo alla minoranza di lingua tedesca del Belgio, quindi il mio
punto di vista è, in una certa misura, la
prospettiva di un estraneo e non può essere totalmente rappresentativo”, conclude Engels in questa intervista al Foglio. “Tuttavia, spesso mi chiedo se la
decisione dell’Unione europea di istituire la maggior parte delle sue istituzioni in Belgio sia stata davvero una
buona idea, o fino a che punto alcuni
problemi o modelli di comportamento
tipici del Belgio potrebbe rovesciarsi
sull’Unione europea. Così, esattamente
come l’Unione europea, il Belgio a che
fare con il problema di come definire la
propria identità e il modo di mediare
tra gli interessi contrapposti dei suoi
principali gruppi di popolazione, e cerca di escludere tutti i riferimenti alla
di Giulio Meotti
L
e cause della decadenza di Roma
costituiscono un tema dominante
del pensiero storico dal mondo antico
ai giorni nostri, quasi un paradigma. Ma
è vero anche che nelle storie di quella
decadenza gli europei occidentali amano rispecchiarsi. Uno storico belga, David Engels, legge la storia di Roma come un ammonimento all’Europa contemporanea. Engels lo ha appena detto
al maggiore quotidiano austriaco, Kronen Zeitung: “Seguiremo l’esempio della decomposizione della Repubblica romana. Proprio come la tarda Repubblica romana, anche l’Europa si trova su
un vulcano che può scoppiare in qualsiasi momento”.
Docente di Storia romana alla Libera Università di Bruxelles, un bastione
del secolarismo intellettuale, Engels su
questo tema ha scritto anche un libro
affascinante, “Le déclin”. Nel recensirlo, il Monde scrive che “la parte più incisiva del libro sta nella critica di una
concezione disincarnata della costruzione europea”. Engels, infatti, nel saggio spiega che “il disperato e infruttuoso tentativo di rifiutare i valori tradizionali del passato e costruire una nuova
identità collettiva europea basata su
ideali universalistici è più un sintomo
della crisi che la soluzione”.
Apriamo l’intervista a Engels partendo dai motivi del suo pessimismo. “Perché la storia sembra ripetersi e non vedo nulla di buono per le prossime ge-
“Come l’Ue, anche il mio paese,
il Belgio, cerca di escludere tutti i
riferimenti alla storia, alla cultura,
alla tradizione e alla religione”
Tante sono le somiglianze:
“Disoccupazione, immigrazione,
fondamentalismo, crisi della
famiglia, tecnocrazia, Molenbeek”
nerazioni di europei”, dice lo storico
belga al Foglio. “Ovviamente, come storico, evito di pensare in termini di pessimismo e ottimismo, e non ho una
agenda politica tale da sviluppare uno
sguardo realistico e pragmatico. La mia
prospettiva specifica sulla storia è condizionata dal metodo delle analogie storiche, ovvero sono persuaso che il presente e il futuro possano essere meglio
compresi paragonandoli a periodi simili del passato. Nel mio libro, ‘Le déclin’.
La crise de l’Union européenne et la
chute de la République romaine’, ho
cercato di spiegare che la presente crisi della società occidentale riflette gli
ultimi decenni della Repubblica romana: disoccupazione di massa, polarizzazione sociale, declino demografico, globalizzazione, materialismo, immigrazione di massa, cosmopolitismo, individualismo, scomparsa della tradizione
religiosa, fondamentalismo, declino
della famiglia, tecnocrazia, guerra
asimmetrica, politicamente corretto,
populismo, spesa sociale, apolitismo,
debito pubblico, lobbismo e una cultura basata su ‘panem et circenses’. Questi paralleli sono, ovviamente, poco lusinghieri per il presente, e le analogie
sono così ovvie e pericolose che penso
andremo incontro allo stesso destino
della Repubblica romana ”.
Engels continua con la rievocazione.
“Negli ultimi decenni della Repubblica
romana , ossia a metà del Primo secolo
a. C., era diventato evidente che lo stato romano non era più in grado di affrontare le numerose crisi che ho appena elencato e impostare le riforme politiche, istituzionali ed economiche necessarie per la propria sopravvivenza.
Infatti, da un lato, l’élite senatoriale ricca e potente si era sclerotizzata nelle
proprie rivalità interne nonché nell’impossibilità costituzionale di prendere
decisioni a lungo termine. D’altra parte,
l’ascesa di politici populisti, come Catilina o Clodio, aveva contribuito a destabilizzare ulteriormente l’intero sistema
attraverso l’emanazione di leggi dema-
L’ascesa di politici populisti come Catilina o Clodio contribuì a destabilizzare ulteriormente l’intero sistema (Cesare Maccari, “Cicerone denuncia Catilina”, 1889, Roma, Palazzo Madama)
gogiche e pericolose. In combinazione
alla crescente insoddisfazione e alla povertà della gente, questo alla fine ha
portato al disastro economico e politico,
allo scoppio della decennale guerra civile e, alla fine, all’ascesa al potere di
un individuo, Augusto, che ha restaurato legge e ordine, ma al prezzo della libertà politica. Temo che questo possa
essere il modello esatto del destino dell’Europa nei prossimi due o tre decenni: un immobilismo crescente, l’ipocrisia e la corruzione delle élite politiche,
la compromissione degli ultimi residui
di stabilità attraverso la rivolta delle
masse, e un aumento di movimenti populisti ovunque in occidente (Trump è
solo l’inizio), il tutto portando a una graduale perdita di controllo dello stato e
“L’assurdo è che, mentre la
cultura ‘europea’ si sta diffondendo
in Asia e in Africa, l’Europa
diventa sempre meno europea”
allo scoppio della grande guerra civile”.
Contrariamente a Roma, però, Engels non si aspetta la guerra tradizionale, quanto la guerriglia stile Molenbeek,
il nido jihadista di Bruxelles: “Sarà
piuttosto una situazione in cui gran parte delle città saranno dominate da milizie in competizione e da gruppi religiosi, in cui la legge ufficiale diventerà
così inefficace che i problemi saranno
regolati con i capi locali, dove la sicurezza sociale diventerà più o meno inesistente e la differenza tra ricchi e poveri aumenterà ancora di più, e dove l’odio tra i fondamentalisti, i gruppi euro-
pei e gli immigrati porterà a continui atti di terrorismo. Tutto questo porterà alla rovina economica dell’Europa e, alla
fine, quando la gente sarà diventata così disperata da pensare di non avere
nulla da perdere, all’affermarsi della
dittatura. Come Augusto con la sua ‘Res
publica restituta’, questo nuovo governo
proclamerà il ‘restauro’ della democrazia, della legge e dell’ordine, ma, in
realtà, avrà istituito un governo autoritario di lunga durata, non dissimile dalla Russia di Putin. E come a Roma, temo che la gente applaudirà, piuttosto
che opporsi aì essa”.
Engels indica il paradosso della cattiva coscienza europea. “Ancora una
volta, come storico, credo che il nostro
stato politico mentale attuale, caratterizzato da insicurezza e cattiva coscienza, debba essere visto in una prospettiva a lungo termine, e mi sembra interessante notare che nel mondo antico
tardo-ellenistico e tardo-repubblicano
vediamo un’evoluzione abbastanza simile. Sappiamo che a Roma anche la
legittimità di espansione imperiale è
stata fortemente discussa, che le differenze etniche o culturali sono state criticate e sostituite dalla fede nel cosmopolitismo e nell’umanesimo, e la religione tradizionale è stata combattuta
nel nome della ragione e della logica.
Naturalmente, la contemporanea ‘correttezza politica’ è molto più influente
di duemila anni fa, a causa delle esperienze traumatiche delle guerre mondiali e della decolonizzazione, e ha raggiunto un grado di disgusto di sé abbastanza unico nella storia, tanto che è diventata una corrente di pensiero criticare la cultura occidentale in tutti i
suoi aspetti – politica, religione, cultura, economia, ecc. – per i suoi precedenti crimini storici e chiedere scusa
per la nostra mera esistenza, mentre,
allo stesso tempo, siamo invitati a valorizzare, a volte anche ad abbracciare,
culture straniere al fine di mostrare la
nostra ‘tolleranza’ e la redenzione. Questa antinomia mi sembra molto pericolosa, tanto più che la presunta ‘apertura’ è in ultima analisi basata sulla prospettiva eurocentrica, dove i valori occidentali specifici e ancora abbastanza
giovani - la democrazia rappresentativa, l’ultra-liberalismo, il secolarismo, il
materialismo, la radicale uguaglianza
di genere - sono unilateralmente considerati come diritti ‘umanisti’ onnicomprensivi e più o meno brutalmente imposti in tutto il mondo sui popoli e culture con una prospettiva molto diversa
su come una società ideale e armonica
dovrebbe essere”.
Qui entra in gioco un paradosso: “Il
risultato assurdo è che, mentre la cultura ‘europea’ si sta diffondendo in Asia
e in Africa e fa scattare risentimenti
crescenti, la stessa Europa è sempre
meno europea, diventando la casa di
gruppi stranieri che vogliono beneficiare delle straordinarie opportunità materiali offerte dalla nostra società, mentre sono paradossalmente rafforzati nel
loro desiderio di non essere assimilati
da un’interpretazione di ciò che ‘tolleranza’ dovrebbe significare”.
E’ l’islam che sta fratturando il sistema europeo o è l’ermegenza islamista
una conseguenza della faglia? “Nel mio
punto di vista comparativo, non è l’islamismo che frattura il progetto europeo,
ma piuttosto l’autoscioglimento della
cultura occidentale che sta portando in
tutto il mondo all’ascesa di gruppi religiosi o movimenti identitari che cercano di opporsi a ciò che percepiscono come la decadenza, aggrappati a una interpretazione tradizionalista dell’identità, spesso totalitaria. In questa prospettiva, l’islamismo radicale mi sembra in continuità diretta con i movimenti anarchici, comunisti e fascisti della
prima metà del XX secolo, e non c’è da
meravigliarsi che la guerra civile siriana assomiglia in molti aspetti alla Guerra civile spagnola degli anni Trenta: i
giovani delusi dalla superficialità spirituale e intellettuale della loro società,
disgustati dalla ingiustizia del sistema
politico e giuridico, ed esclusi dalla mobilità sociale, sviluppano un nuovo, ‘to-
“Non è l’islamismo che frattura
l’Europa, ma l’autoscioglimento
della cultura occidentale che porta
all’ascesa dell’islamismo”
tale’ sistema utopico di pensiero in cui
ognuno ha il proprio posto. La differenza principale sembra, ovviamente, il fatto che l’islam è in qualche modo ‘importato’ in Europa da gruppi esteri. Tuttavia, è da notare che la maggior parte dei
terroristi fondamentalisti ha goduto di
una socializzazione tipica occidentale,
e che sempre più giovani europei che
vivono nella periferia tentacolare delle
nostre megalopoli si stanno convertendo all’islam al fine di trovare un nuovo
senso di appartenenza sociale e la spiritualità della loro vita che la cultura
occidentale con il suo materialismo,
storia, cultura, tradizione e religione.
Esattamente come l’Unione europea, i
politici belgi hanno anche sviluppato
una vera e propria maestria nell’arte
del compromesso e del ‘bricolage’ istituzionale, che è quello di non prendere mai una decisione vera ma piuttosto
di spingere i problemi sempre crescenti da una legislatura all’altra, con il risultato negativo che la loro soluzione diventa semplicemente a poco a poco impossibile. Esattamente come l’Unione
europea, e in nome della sussidiarietà e
del federalismo, il Belgio troppo spesso ha sviluppato le sue istituzioni ufficiali fino a un tale grado di complessità
e di ipertrofia che è diventato assolutamente impossibile realizzare una riforma a lungo termine o di reagire adeguatamente alle numerose minacce dei
tempi pericolosi in cui viviamo. Inoltre,
esattamente come l’Unione europea, il
Belgio ha messo a punto una politica di
frontiere aperte e di multiculturalismo
e, grazie alla sua complessità interna, è
diventato un obiettivo del terrorismo
islamico. E, infine, esattamente come
l’Unione europea, il Belgio, invece di
ammettere apertamente i suoi numerosi problemi interni, continua a promuovere una immagine di sé grandiosa e
anacronistica composta da un curioso
misto di ricordi di tempi ormai passati
quando il Belgio è stato tra i paesi più
sviluppati del mondo, e da un orgoglio
pieno di sé, della propria tolleranza e
‘correttezza politica’ tale che, paradossalmente, cresce nella stessa misura in
cui la società belga è piagata da terrorismo, criminalità e populismo”.
Dopo la Repubblica fu l’Impero. E
nel giro di una sola generazione il crollo. Cominciò con un affanno fatto di incubi mascherati, ansie, presentimenti,
lucidità dolente, nostalgie e cattiva coscienza. Sotto l’apologia, si sentiva il tedio del presente e la paura del futuro. E
anche questa fase successiva ci appare
come il dejavù di un’epoca del disincanto, fatta di disperata rinuncia ed elegante scetticismo, che tiene di mira
l’Europa contemporanea.