RECENSIONI
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RECENSIONI II Secondo Risorgimento. Scritti di A . G arosci, L . S alvatorelli, C. P r im ie ri , R . C adorna, M . B endiscioli, C. M ortati, P. G entile , M. F errara, F. M ontanari. Nel decennale della Resi stenza e del ritorno alla democrazia, 1945-1955. - Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, 1955, pp. V II, 495 Lire 1.000. Questo nutrito volume di saggi di sto ria dell’Italia contemporanea, analizzata nella lotta per la libertà che le sue più elette minoranze e, tra il 1943 e il 1945, la stessa grande massa della nazione, condussero, contro tirannidi antiche e recentissime, è a nostro giudizio senz’al tro il benvenuto. Non fosse che per l’i nevitabile tendenza politica del Comitato dei ministri, che ha predisposto, con le altre celebrazioni ufficiali del decennale della Resistenza, anche questa iniziativa editoriale, essa ha sollevato aspre criti che da sinistra. In effetti, gli scritti ac colti, e le esclusioni certamente non ca suali, hanno il loro fondamento, con al cune notevoli eccezioni, che vedremo, nell’ interpretazione della Resistenza come di una « restaurazione democratica », per dirla con Panfilo Gentile, dopo la paren tesi della dittatura fascista. Non si trat ta però di un giudizio dato col senno di poi soltanto, di un mero adeguamento pubblicistico alle forze e alla formula po litica risultate vittoriose nel decennio trascorso dalla caduta del fascismo. Du rante la Resistenza medesima, e anzi già durante la precedente cospirazione, del le correnti politicamente restauratrici e socialmente conservatrici si fecero largo nel movimento antifascista, in polemica latente con quelle rivoluzionarie e gio vandosi della « politica della mano tesa » adottata dalla maggior forza (la comuni sta) operante fra quest’ultime. Come si è visto poi, ma come già si sapeva al lora, l’ unanimità dell’ antifascismo non era che un espediente tatticamente ne cessario in un certo momento e che for se si ebbe il torto di non spezzare prima ancora dell’ avvento della Repubblica, ad opera delle energie di rinnovamento, o rivoluzionarie che dir si voglia. Comun que, essa fu spezzata dalle forze di re staurazione ed è giusto quindi, e utile a tutti, che ci si dia ragione, anche in sede di primo bilancio storico, degli ideali e delle considerazioni che le hanno mosse, tanto nella fase unitaria, quanto in quel la della successiva, e tuttora perdurante, differenziazione. In verità, a giudizio personale di chi scrive, l ’espressione Secondo Risorgimen to, per quanto giustificata dall’affinità dei gravi sacrifici volontariamente sostenuti per un amore sostanzialmente comune di patria e di libertà, tende a oscurare le differenziazioni che la storiografia mette invece, necessariamente, in luce, e che è il pregio di questo volume di lumeggiare concretamente, s ’intende che secondo il punto di vista de( suoi ideatori e autori, che non è precisamente il nostro. Anche il Risorgimento non ebbe l’ unità delle oleografie. Cavour escluse dal governo della cosa pubblica il partito d’azione che aveva pure liberato la Sicilia e gran par te del Mezzogiorno. Mazzini, ancora alla vigilia di morire, esule in patria, orga nizzava tentativi insurrezionali repubbli cani. La Resistenza portò all’accettazione della Repubblica, ormai voluta dalla mag gioranza del paese, anche da parte delle forze di conservazione. Sul problema del rinnovamento sociale, il dissenso fu però assai più grave, com’era naturale che fosse, data l’evoluzione economica inter corsa, che non tre quarti di secolo prima. Non vogliamo dire con questo che tut ti gli autori dei saggi qui raccolti siano dei conservatori. Anzi, Garosci e Salva torelli non lo sono affatto. Tanto lo scritto del primo, quanto quello del se condo fanno degnamente parte di quel la grande, idealmente eterna storiografia liberale, che è già sintesi del momento rivoluzionario e dell’assestamento con servativo. L ’intento di Garosci è senz’al tro di sintetizzazione, pienamente, bril lantemente riuscita a nostro avviso. Sal vatorelli procede per via analitica. Que sto spiega la mancata inclusione, nella sua indagine dettagliata, assai meritoria per la ricchezza dell’informazione non fa cile, dell’attività del partito comunista. E ’ naturale che ciò dispiaccia oggi ai co munisti. Ma, all’inizio della lotta anti fascista, quando erano ancora animati Recensioni dalla certezza della successione proletaria' sovietica al fascismo, i comunisti stessi avevano voluto isolarsi, con l ’orgoglio puritano peculiare agli autentici rivolu zionari, da coloro che miravano al ripri stino della democrazia parlamentare. Una volontà rivoluzionaria, di rivoluzione li berale, repubblicana, democratica o so cialista-liberale, che dir si volesse, si fe ce poi luce anche in seno a quest’ultimi, col perdurare della dittatura. Dal canto suo, il partito comunista dichiarò inat tuale, per la lotta contro il fascismo e il nazismo, dopo la presa hitleriana del po tere, la soluzione della dittatura sovieti ca del proletariato e si fece promotore esso stesso di una larghissima alleanza democratica. Questo il Salvatorelli lo ri conosce, e per quanto si possa certamen te desiderare che ne tratti più diffusa mente, conviene però notare che, in con clusione del suo scritto, quell’alleanza antifascista egli esplicitamente la giustifica « politicamente e moralmente, aven do, accettato il P.C .I. il piano democrati co per l ’azione e la vittoria comune ». Con gli scritti degli altri autori, il cri terio selettivo della « restaurazione de mocratica » è invece rigorosamente affer mato, sempre nei confronti dei comuni sti e anche di fronte al partito d’azione. Nel che è del resto, ripetiamolo, il loro particolare contributo. I contrasti interni, la dialettica intima del movimento di L i berazione vengono messi a nudo e offer ti alla meditazione storica, precipuamente per merito di Mario Bendiscioli e di Pan filo Gentile. A l Bendiscioli siamo anche debitori di un’accurata, pregevolissima bibliografia della Resistenza, che arric chisce considerevolmente il volume. Da Raffaele Cadorna, comandante in capo dei Volontari della Libertà, si sarebbe invece desiderato una cronistoria militare e un’ analisi della guerra partigiana non meno ampie di quella fornita dal genera le Primieri per il contributo delle forze armate regolari. Gli scritti di Mortati, Mario Ferrara e Montanari chiudono l ’o pera con l’esame di quel che di positivo si è restaurato e conseguito con la Re pubblica, la Costituzione, e poi la poli tica insieme conservatrice e riformatrice del cosiddetto « centro democratico ». Non è nè molto, nè poco. Ma noi stessi ne abbiamo già fatto la disamina in altra sede e il confronto delle diverse conclu sioni, che se ne possono trarre, è ancora azione politica, più che giudizio storio grafico. L eo V aliani 49 A ngelo T a sc a : In Francia nella bufera - Collana Clandestina, a cura di Ugo Guanda - Modena, 1953, pp. 258. Il motivo ispiratore di questo volume del Tasca — ben noto quale autore di documentati studi sul comunismo e sul fascismo — va ricercato, se non andia mo errati, precipuamente in un intento autobiografico e polemico per le accuse di collaborazionismo con il governo petenista che al Tasca stesso furono mosse. E l'autore dà qui ampio e dettagliato conto della sua posizione rispetto agli avvenimenti francesi post-armistizio, del contributo che egli ebbe a prestare alla Resistenza in un delicato impiego infor mativo il cui adempimento gli richiese l’ ingresso nella cerchia amministrativa del potere di V ichy, sia a scopo di co pertura personale, sia a vantaggio diret to dell’azione clandestina. Limpido e con vincente nella autodifesa, Tasca ricon ferma le sue doti positive di perspicuo ricostruttore e osservatore storico-politi co nell'analisi della complessa realtà av veratasi in Francia dopo Compiègne, esaminando, con la consueta scioltezza di taglio espositivo, i molti e spesso con tradditori aspetti attraverso cui passò la crisi politica e psicologica della repub blica transalpina, la crisi dei suoi valori morali ed istituzionali, dal momento del la tragedia del giugno del ’40 alle suc cessive fasi in cui ebbe a svilupparsi l’an titesi collaborazionismo-resistenza e da cui scaturì la riscossa liberatrice. Sicché la validità della memoria assume signi ficato di contributo lucido e fondato allo studio di quel capitolo della storia di Francia che riflette alcune prospettive esemplari della più ampia crisi europea nel travaglio della seconda guerra mon diale. Dirigente le emissioni radiofoniche go vernative per il settore italiano, l’ A . se guì i servizi amministrativi della Terza Repubblica nei loro vari ripiegamenti dinnanzi all’ avanzata tedesca, da Tours a Bordeaux e infine a V ichy, divenuta sede stabile del governo alla conclusione dell’armistizio. Libero dall’incarico, do po la soppressione delle trasmissioni in lingue estere, egli collaborò per un cer to tempo al quotidiano VEffort, pubbli cato da un gruppo di deputati socialisti che, nella storica giornata del io luglio, votarono i poteri al maresciallo Pétain; dipoi, entrato in dissenso con l ’indirizzo del giornale, nel seno del cui gruppo re dazionale avevano preso sopravvento le 5° Recensioni tendenze collaborazionistiche su quelle orientate verso una piattaforma di di scussione dei « problemi gravi e inatte si » sorti, per la Francia, dalla « più grave disfatta della sua storia » — e che erano stati alla base del criterio di con dotta iniziale del foglio — Tasca rimase per qualche tempo in appartata medita zione. Finche, nel febbraio del ’4 1, fu avvicinato dall’incaricato dì affari del Belgio, Pierre Cavyn, il quale stava or ganizzando una serie di servizi informa tivi e di espatrio clandestino in accordo con le centrali londinesi della resistenza belga. A Cavyn l’A . si collegò accettan do d'esserne collaboratore; onde costi tuirsi un riparo per la nuova attività, egli riprese anche per un certo periodo la collaborazione all 'Effort — sul quale teneva una rubrica puramente informa tiva di politica estera — , entrando suc cessivamente neU’ufficio studi del Mini stero dell’Informazione, incarico che me glio del primo valeva ad assicurargli una tal qual « copertura », mentre gli forniva la possibilità di accedere a fonti docu mentarie assai utili per la missione alla quale aveva iniziato a prestar la sua opera. Da un siffatto posto d ’osservazio ne, Tasca potè spaziare per tre anni sul panorama politico, psicologico, spiritua le della Francia, formandosi la propria opinione degli avvenimenti presenti e delle prospettive future con materiale di prima mano, da considerare, in un clima come quello di Vichy ove s ’intrecciavano i motivi più diversi e contrastanti della realtà del Paese; dove — egli stesso ci riferisce — s ’avevano i contatti più vari e in cui convergevano, così da poter es sere visti in una luce rivelatrice, gli ele menti molteplici agitantisi al centro della crisi profonda della Terza Repubblica. L ’A . li passa in rassegna sulla traccia di alcuni filoni fondamentali che servono, a parer suo, a mettere a fuoco come la dualità collaborazionismo-resistenza sia stata in Francia un fenomeno che ha avuto caratteri non afferrabili con il sem plicismo della contrapposizione Vichyclandestinità, ma valutabili soltanto se si tengono presenti la connessione fra i due piani, almeno per ciò che riguarda la parte ed il contributo che dallo stesso apparato governativo petenista venne al la organizzazione ed alla vita della resi stenza operante; d ’altro lato l’indagine aiuta a comprendere nella sostanza quan to la scossa della sconfitta abbia disorien tato le coscienze, messo in moto le for ze opposte e latenti del più chiuso spi rito di revanche come della più ango sciosa ricerca, per strade spesso diver genti, di un rinnovamento totale, rivo luzionario, della democrazia partitica ca duta alla prova del conflitto. L ’assunto da cui inizia l’esame del Tasca e che, in fondo, è il tessuto connettivo della sua analisi dell’intero quadro della Fran cia ’40-’45, si rifà alle debolezze interne del sistema parlamentare e democratico della Terza Repubblica precedenti alla guerra. La Francia era in crisi da alme no vent’anni, negli uomini responsabili, negli istituti, nei costumi. La sconfitta del giugno del '40 non fu che il punto cruciale del processo che durava da lun ga data. Di colpo, infrantosi il mito del l’esercito invincibile (al quale lo stesso Leon Blum aveva fatto credito), il Paese piombò nel marasma ipolitico e morale. Dove cercare un’àncora di sostegno in tanto sfacelo? Dove concentrare attorno ad un « qualcosa » la speranza che la sconfitta non trascinasse con sè l’intero patrimonio della unità, della civiltà francese? 11 vincitore di Verdun offrì « la sua persona » e sembrò ai francesi, da destra a sinistra, che egli solo potesse incarnare in quell’ora la suprema istan za della dignità della patria piegata ma concorde nella volontà di sopravvivere. Pétain ebbe i pieni poteri dall’Assemblea Nazionale e ne usò oltre e contro i li miti di mandato che il parlamento aveva inteso di affidargli, mirando — secondo Tasca — a separare il destino della Francia da quello del resto dell’ Europa in lotta contro il nazismo, col calcolo di preparare silenziosamente la nazione a schierarsi all’ultimo momento a fianco dei tedeschi e perciò ad ottenere un ruo lo nel futuro « nuovo ordine » continen tale. Dietro questo miope pensiero in politica estera, Pétain celava poi l’inten zione di creare le premesse per la liqui dazione della repubblica e del regime parlamentare, con cui il maresciallo ave va di fatto rotto i legami ideali all’ epoca del Fronte Popolare (posto che mai ne avesse nutriti) sulla scia dei risentimenti della destra militare e politica francese per il regime da cui poteva uscire un potere delle sinistre operaie e socialiste. Nel ripudio del soldato per i partiti, pe rò, vi era un coefficiente naturale e giu stificato dallo scadimento che era inter venuto nel gioco democratico e quindi nel costume generale della vita politica del Paese: eguale sentimento avvicinava Pétain a De Gaulle e, su un piano di reazione immediata, al grosso dell’opi- Recensioni nione pubblica nazionale. Anche i poli tici, da destra a sinistra, purché onesta mente preoccupati delle sorti della Re pubblica, intuivano che la crisi della de mocrazia era crisi di equilibrio morale, di insufficienza istituzionale, di carenza di tutta la macchina statale. Ciò indusse la maggioranza dei francesi a stringersi attorno al maresciallo, gli diede una qua si unanimità di consensi per il gesto di dedizione con cui egli volle presentarsi nei momento funesto della sconfitta : Pétain riassumeva allora le speranze al tempo stesso della sopravvivenza della Francia e di una sanatoria avvenire dei suoi mali mortali. La Camera ed il Senato votarono la revisione della Costituzione. « Il sottin teso di quel voto — scrive l’A . — era chiarissimo : la totalità dei parlamentari riconosceva che c’era qualcosa di gua sto, d’inadatto, d ’insufficiente nelle isti tuzioni... e che queste manchevolezze avevano concorso alla disfatta militare... Se al di là di questo denominatore co mune le divergenze cominciarono e si rivelarono presto assai forti, su un punto solo l’ accordo era totale: l ’artefi ce ed il garante della revisione doveva essere il maresciallo Pétain ». Ventiset te deputati, nella riunione comune delle due Camere del io giugno, votarono contro concentrandosi su una mozione che non negava la necessità dei pieni po teri al maresciallo ma rifiutava il con senso al progetto di revisione, ritenuto tale da provocare « ineluttabilmente » la « sparizione del regime repubblicano ». Tuttavia essi pure non dissentivano dalle dichiarazioni di Pétain di voler conclude re la pace « con onore », il che valeva a confortare ogni progetto atto a togliere la nazione dal calderone del conflitto ed a tenerla in una specie di quarantena : dove essa avrebbe curato le sue ferite e si sarebbe cullata in quei motivi del ri torno alla « douce France » — retorici e insulsi al pari dei miti militari coltivati all’insegna della grandezza — sui quali indugiava la prosa di Giraudoux (e che Aldo Garosci ha ben illustrato nella sua « Storia della Francia moderna »). Se Pétain era tuttavia prigioniero di una concezione ristretta e aristocratica, fuori della storia e della realtà europea e mon diale dell’ora, i gruppi e gli uomini della destra che gravitavano attorno a Vichy o nella stessa compagine governativa, ave vano piani più precisi e pratici. Lavai perseguiva un disegno ambizioso di com pleto legame del Paese alla Germania, §t che egli riteneva sicura vincitrice della guerra; l’estremismo di Doriot e quello di Maurras agivano in due direzioni di verse, il primo per giungere al potere ed assumere una veste di « Quisling », il secondo per riportare la Francia ai « fa stigi » della monarchia, tramite sempre Pétain; e volontà di collaborazionismo, speculazioni personali, desiderio d ’av ventura, odi, s’aggrovigliavano in una matassa inestricabile. Il regime di V ichy, ritornato Lavai alla vice-presidenza del Consiglio dopo la parentesi Darían, si avviò decisamente per la china del col laborazionismo, con la rélève, la pratica del reclutamento di lavoratori da inviare in Germania in cambio dei prigionieri, con le persecuzioni antisemite e la cac cia agli oppositori del nazismo. Ebbe co si inizio, contemporaneamente ai primi réseaux organizzati da ufficiali e da agenti alleati nella Francia del nord oc cupata dai tedeschi, la resistenza anche in zona « libera ». Essa si configurò es senzialmente come sparsa attività di cen tri d’ informazione collegati a Londra, Algeri e Lisbona, e come aiuto ai perse guitati perché potessero sfuggire con l’ e spatrio alla Gestapo. A tale attività — testimonia il Tasca — i servizi ammini strativi e del controspionaggio di Vichy diedero un aiuto diretto o indiretto, sot to svariate forme, ma comunque in una misura che l’autore reputa rilevante per la fase iniziale del moto clandestino. E fino alla svolta sovietica del giugno del ’4 1, che rovesciò le posizioni del P.C .F. dal neutralismo (spintosi fino a collusioni più o meno aperte con gli occupanti na zisti) alla immissione dei comunisti nella Resistenza, il carattere della clandestinità francese rimase quello della rete informa tiva in mano ad ex militari o diretta da agenti paracadutati di Londra. L ’evento clamoroso dell’entrata in guerra della Unione Sovietica contro la Germania ca povolse la situazione politica interna por tando in primo piano il problema del l’ unita della Resistenza e della lotta ad oltranza. Solo dopo l’acquisizione dei co munisti alla causa anti-nazista, sorse il tnaquis, si inaugurò la fase dei sabotag gi e dei colpi di mano degli armati, nac quero le forze francesi di liberazione strutturate soprattutto sulla base dei nu clei di guastatori, dei centri d ’ informa zione capillarmente estesi, dei reparti clandestini organizzati in vista dell’ insur rezione, che doveva coincidere con gl! sbarchi alleati sul territorio metropolita no. 52 Recensioni Tasca dedica la seconda metà del suo libro alle esperienze della Resistenza che si sviluppò dal ’ 42 nel Paese e che va ricordato (e l’A . non omette di notarlo), non manifestò se non in modo assai localizzato e modesto gli aspetti della « guerra di bande » attuatasi in Italia do po 1*8 settembre ’43. I comunisti ne fu rono il fattore di catalizzazione militare e politica con le formule unitarie lancia te quali parole d ’ordine del movimento popolare di riscossa. Crearono in gran percentuale essi i nuclei dei « Frane Tireurs et Partisans » (FTP) e nominal mente li inquadrarono nelle cosidette « Forces Françaises de l ’Intérieur », sen za però lasciarli assorbire dall’organismo di direzione unitaria della lotta armata ed anzi valendosene come forza autonoma, soggetta alle direttive del partito. « C ’era — scrive l’A ., a questo proposito — tra gli uomini dell’ Armée Secrète e gli F T P un divario che risultava anche dal di verso piano a cui si ispiravano i loro di rigenti. I comunisti volevano addestrare gli F T P alla guerriglia... alla lotta quo tidiana, col proposito di portare comun que e ovunque i maggiori colpi possibili al nemico. Gli ufficiali dell’A S riteneva no che convenisse preparare soprattutto formazioni capaci di agire su più larga scala il giorno « J » dello sbarco alleato in Francia ». E , più avanti, aggiunge: « ...Salvo alcuni pochi e gloriosi episodi, l’azione dei maquis francesi non cercò il corpo a corpo coi tedeschi: solo una parte si impegnò, nelle ultime settimane, in operazioni di vero carattere milita re... ». Questo mondo della Resistenza, comunque, è scrutato da Tasca nella sua essenzialità morale e politica; esso rap presentava una rottura con « il modo partigiano e grottesco » con cui il regi me di V ichy esercitava il potere, ma solo in piccola parte riabilitava — ri tiene l’A . — il « vecchio regime ». Le ragioni ideali e psicologiche che avevano spinto una cospicua percentuale dei francesi e dei loro uomini politici a con fortare il maresciallo con l’assenso ad un mandato dittatoriale, cioè le illusioni di un rinnovamento costituzionale e spi rituale, auspice il trionfatore di Verdun, permanevano a determinare il distacco fra resistenti metropolitani e gruppi politici tradizionali e lo stesso Comitato londi nese del generale De Gaulle. I soli co munisti avevano una linea coerente per il futuro: ed era quella di reinserirsi nello stato democratico borghese per agire come forza distaccata a tutela degli interessi di politica estera dell’U R SS. De Gaulle riabilitò i partiti e rimise nel l’ alveo della legalità il P .C .F ., chiaman dolo a collaborare ad un’opera che era per il presente di lotta comune contro un nemico comune e per l’avvenire di concorde rinnovamento dello stato: que sto almeno nella visione che, sebbene gravida d ’equivoci, aveva consensi da ogni settore. Per cui, la vittoria sotto la bandiera del Comité degollista, conclude Tasca, rappresentò anche in un certo senso l’arresto di qualsiasi processo di chiarificazione ed il ritorno ad un com promesso sui vecchi schemi delle vec chie forze. Il contrasto effettivo era fra le mire degolliste — che andavano non disgiunte di troppo dalle vedute « aristo cratiche » ed autocratiche del maresciallo Pétain in ordine ai mutamenti da impor re alla « Francia malata » per richiamar la a nuova vita, — e quelle comuniste, intese a far coprire al partito un ruolo dirigente nella nascente Quarta Repub blica. Il coordinamento per l ’obbiettivo della vittoria contro i nazisti compromi se lo « scopo finale » della lotta « che consisteva appunto nel far prevalere le strutture politiche e sociali atte a libe rare, il più possibile, il mondo dalla schiavitù, dalla miseria e dalla guerra ». 11 volume dello scrittore che fu uno dei maggiori esponenti del comuniSmo italia no, contiene tutta una serie di rilievi e di esami di valore storico e politico sui quali varrebbe la pena di soffermarsi, ma che le esigenze di una recensione non possono permettere di trattare. In complesso, se si fa eccezione per alcune parti del pensiero dell’ autore sui pro blemi del « rinnovamento » francese ed europeo alla luce della crisi degli ultimi vent’ anni, parti che appaiono nebulose e avvolte in una cortina talvolta intrisa d’astrattezza, le pagine di Tasca sono un serio contributo allo studio, non soltan to dei fenomeni del collaborazionismo e della Resistenza d ’oltralpe, ma anche della validità o meno dei valori tradizio nali che l’Europa vide in pericolo nel corso del conflitto e che hanno ripreso a pesare profondamente nel ricostituito quadro post-bellico. Attuale oltre ogni altra, rimane la sua analisi della prospet tiva storica del comuniSmo e dei suoi elementi dinamici in rapporto con le problematiche di libertà e di democrati cità delle strutture degli stati e della convivenza pacifica fra i popoli, malgra do che l’A . non vada esente nella sua speculazione su questi temi da taluni Recensioni apriorismi che alterano sovente la linearità dei suoi rilievi. M ario G iovana C u riel : Classi e generazioni nel secondo Risorgimento - Edizioni di E ugenio Cultura Sociale - Roma, 1955, pp. 282. Per chi ha rivolto l’interesse alla sto ria politica italiana degli ultimi anni e in particolare a quella della Resistenza, nel suo svolgimento, prima e durante la guerra di Liberazione, la figura di Euge nio Curiel è certamente famigliare e la sua attività di cospiratore e di organiz zatore del Fronte della Gioventù è sta ta sicuramente oggetto di attenzione co me quella di uno degli uomini che più intensamente operarono contro il fasci smo. Ora, in unico volume, le Edizioni di Cultura Sociale presentano i suoi scritti in una raccolta che comprende probabil mente tutto quanto si è potuto di essi conservare o ricuperare, perchè, come avvisa la prefazione, « la sorte ha vo luto che la parte più elaborata dei suoi scritti andasse smarrita dopo la sua mor te ». Questi scritti sono raggruppati in tre ben distinti capitoli. Il primo « L ’azione legale contro il fascismo » contiene prin cipalmente articoli del Curiel comparsi sul giornale fascista « Il Bo » quando egli, in base alle istruzioni ricevute dal partito comunista, al quale già clandesti namente apparteneva, svolse un’azione di propaganda sindacale e sociale nei li miti e nella forma concessi dal regime fascista. Il secondo « Il Governo di V en tatene », riproduce le lettere scritte dal Curiel dal carcere di S. Vittore a Milano e dal confino nell’ isola di Ventotene ed appunti di lezioni e conversazioni, da lui tenute durante il confino con i suoi com pagni di sorte, e di studi sui quali pure si soffermò in quel periodo. Il terzo, « Il secondo Risorgimento d ’Italia » contiene articoli e relazioni preparati da lui solo o in collaborazione con altri esponenti del partito comunista durante la guerra di Liberazione e comparsi specialmente sul giornale clandestino « La lotta politica ». La comprensione e la valutazione di questi scritti non sono, spesso, di facile accesso, perchè si tratta per lo più di semplici appunti, estremamente sintetici, a noi pervenuti inoltre di seconda mano, trascritti da altri, o di articoli apparsi 53 sulla stampa fascista, quando egli certo non poteva esporre con chiarezza tutto il suo pensiero per evidenti ragioni di censura, o di lettere dal carcere e dal confino, che ovviamente evitavano una chiara esposizione d ’idee e di sentimenti. Anche gli articoli del tempo della guerra di Liberazione, sebbene stilati con piena chiarezza, richiedono spesso una chiave interpretativa per intendere i limiti nei quali debbono essere considerati, in quanto scritti nell’incalzare della lotta e suggeriti da contingenti motivi politici. Ad aiutare il lettore nell’intendimento di questa difficile lettura giova l’ampia prefazione di settantun pagine di Enzo Modica, che non offre soltanto un valido commento agli scritti del Curiel, ma che presenta anche un quadro ordinato del la vita e dell’opera sua, frutto di atten te ed affettuose ricerche e di precisa do cumentazione. Appare così più chiaro lo sviluppo del pensiero di Eugenio Curiel, che dai dub bi e dalla perplessità sul sistema fascista, nel quale era cresciuto, e dallo stato di insoddisfazione che ne derivava, passò alla critica di quel sistema e poi al suo rifiuto per cercare nell’antifascismo una nuova e più solida via, che egli trovò nel comunismo. Il travaglio del pensiero politico del Curiel si manifesta attraver so i suoi scritti come caratteristico di quegli italiani che appartengono alla ge nerazione di mezzo e che, pur educati nel clima fascista, intesero la gravità di quel sistema e lo criticarono prima e lo avversarono poi per ricongiungersi infi ne a quegli uomini della generazione pre cedente che il fascismo lo avevano ri fiutato e combattuto fin dall’ inizio e che divennero loro guida nelle cospirazioni e loro compagni nella guerra partigiana. Nella testimonianza di questa crisi, che le pagine del Curiel presentano, sta si curamente il maggior valore storico dei suoi scritti ed anch’egli certo lo intese, come lo dimostra la sua costante preoc cupazione di guidare i giovani per lo stesso cammino che egli già aveva così pensosamente percorso. In questo ordine di idee organizzò il Fronte della Gioven tù, che non doveva rappresentare sol tanto una soluzione unitaria per tutti i giovani antifascisti, come la politica con tingente sviluppata dal partito comuni sta suggeriva in quel momento, ma do veva essere soprattutto il centro di rac colta di tutta la gioventù italiana per svincolarsi dal fascismo e procedere alla 54 Recensioni ricostruzione della nuova Italia, dopo i disastri della terribile guerra: « E ’ tra queste rovine e queste speran ze che deve affermarsi, libera e possente, la forza della gioventù. Tradita dal fa scismo che l’ha gettata in guerre ingiu ste ed antinazionali, sfruttata dalla vec chia classe dirigente che ne soffocava la capacità facendo della cultura privilegio di pochi e ne mortificava la libera ini ziativa nell’angusto quadro di interessi di classe, la gioventù italiana dovrà essere la forza che salverà l’Italia riportandola alla libertà ed alla dignità nazionale ». Il centro di questa forza rigenerata è naturalmente per il Curiel la gioventù comunista, alla quale spetta di continua re e di sviluppare il progresso dell’ Italia verso la libertà, che gli uomini del R i sorgimento avevano iniziato e che i fa scisti hanno poi ostacolato quali rappre sentanti delle classi più conservatrici. Alla classe operaia e specialmente ai giovani di questa classe è affidato il com pito di continuare l'opera che nel secolo XIX aveva intrapreso la borghesia più evoluta per il risorgimento del Paese. E qui è interessante notare come sia vicino il Curiel al pensiero del Gramsci, che egli certo non aveva conosciuto e del quale nemmeno aveva potuto leggere gli scritti dal carcere, in questo sforzo d’in serimento del comuniSmo nella storia d ’ Italia, che egli tenta con vigoroso in gegno, e che ripete in più occasioni nei suoi studi con impronta originale anche se non sempre riesce a trovare gli argo menti convincenti. Più caduche appaiono invece quelle pagine che riecheggiano motivi obbligati del comunista militante, ma anche lì non va mai perduta una no ta di seria meditazione, che sempre ac compagna i suoi scritti e li rende degni della più attenta considerazione. T ullio L u s s i E nea F ergnani : Un uomo e tre numeri - Milano-Roma, Edizioni Avanti, 1955, pp. 237 - L . 350. Questo libro fu pubblicato una prima volta dall’Editore Speroni nell’immediato dopoguerra, quando questa Rassegna non aveva ancora visto la luce; le edizioni « Avanti! » ne hanno curato la ristam pa, rendendo facilmente accessibile ad un vasto pubblico di lettori un’opera che è un notevole documento storico ed una viva, umana testimonianza. Il racconto del Fergnani ci fa assistere alle tappe del lungo e doloroso calvario, per troppi conclusosi fatalmente, che con dusse un gran numero di patrioti italia ni ai famigerati campi di eliminazione, dove erano condannati ad una morte lenta e crudele coloro che si opponeva no all’ instaurazione del cosidetto «nuovo ordine » di Hitler e coloro la cui sem plice esistenza costituiva una contraddi zione da eliminare per i teorici delle con cezioni razziste. S. Vittore, Fossoli, Mauthausen: sono queste le tre tappe alle quali si riferi scono i tre numeri di matricola ai quali l'autore allude nel titolo : attraverso un susseguirsi di episodi di una drammati cità sempre crescente, l’autore ci condu ce con il suo racconto dal carcere mila nese, regno incontrastato dell’ aguzzino nazista Franz (« Egli sembrava costrutto pezzo su pezzo da un genio malefico per crearne uno strumento perfetto di tortu ra, intelligente e crudele. Dal suo aspet to bestiale ha tratto origine il nome col quale è da tutti conosciuto. Questo per secutore d’uomini, terrore degli Ebrei, è noto con l’appellativo di porcaro ».), al campo di Fossoli dove il Fergnani è te stimone, sia pure indiretto, della tragica fine di Poldo Gasparotto e poco dopo dell’assassinio degli altri settanta patrio ti, i cui nomi sono riportati nelle ultime due pagine del libro. Ma la parte più terribile ed orrenda di quella « avventura » doveva ancora ve nire; ed infatti, dopo una breve sosta nel campo di smistamento di Bolzano, la triste carovana dei deportati giunge al « Konzentrationlager » di Mauthausen; qui la narrazione assume un carattere veramente apocalittico : « Come in una visione dell’inferno dantesco, come in Malebolge, noi siamo dannati a un sup plizio che non sembra avere mai più fi ne e la nostra pena è di essere sferzati e arroncigliati da questi demoni che ci abbaiano attorno battendoci tutti come presi da un delirio omicida ». Qui la lotta per la sopravvivenza prevale troppo spesso su ogni sentimento di umana so lidarietà, sul senso di dignità e di ri spetto reciproco; vien fatto di ricordare, a questo proposito, l ’acuta ed impressio nante analisi psicologica fatta dal Caleffi sulla progressiva distruzione della per sonalità che si operava nei campi di ster minio nazisti, dove ogni traccia di di gnità veniva cancellata, dove, per le più immediate esigenze e per i più elemen tari bisogni della vita, anche l’amico o Recensioni l’ex compagno divenivano nemici. Basti citare le amare riflessioni che provoca nel Fergnani il contegno dell’ex combattente repubblicano spagnolo Pedro che a Mau thausen assolveva alle funzioni di capoStube. Eppure quale consolazione doveva es sere, in mezzo a quel deserto di abiezio ne, di atrocità, di malvagità, di egoismi e di miseria umana trovare una fresca oasi di bontà, un luminoso esempio di sublime abnegazione, il senso non sopito della carità fraterna, il richiamo costante di una coscienza vigile ai più alti ideali umani, l’appello alla dimensione di una dignità umana irriducibile ed indistrutti bile! Ed ecco l ’avvocato Otto Popper, no bile figura di infaticabile soccorritore dei sofferenti, « l ’ultimo degli amici, il più nobile, il più generoso, quello che tutto chiedeva per gli altri e nulla per sè, che spartiva ogni giorno il suo pane e la sua zuppa, che illuminava con la sua infinita bontà le tenebre di questo campo ». Ma doveva anche giungere, finalmente, la liberazione preceduta dall’inquietante alternarsi di speranze, alimentate dalla vittoriosa avanzata delle truppe sovieti che e americane, e di disillusioni: le fe roci SS disarmate e divenute a loro volta prigioniere delle loro ex vittime sono condotte col moschetto puntato nel luo go dei loro crimini; « Su questo stesso piazzale, fra l’ infermeria e il luogo dove poche ore prima sorgeva la forca, comin cia l’opera sacra della Giustizia ». Con queste semplici e solenni parole la nar razione ha termine. Crediamo in sostanza che, in questo decennale della Resistenza, non esista mi gliore valutazione dell’utilità di quest’o pera, di quella espressa dal compianto se natore Luigi Gasparotto nella sua prefa zione alla prima edizione del libro; ri chiamandosi a coloro che i crimini fasci sti avevano tollerato per viltà o oppor tunismo, Gasparotto così si esprimeva : « Ora, è bene che questi sciagurati leg gano queste pagine; che vedano quanti lutti e quante lacrime ha recato al Paese la loro insensibilità morale o la loro avi dità patrimoniale; è bene che sentano nelle loro orecchie, se non nel loro cuo re, il pianto di tante madri e di tanti fanciulli; che trovino almeno intorno ad essi il peso del pubblico disprezzo. Oh, gli Italiani sono così facili a dimenticare che siano benvenuti i libri, come questo, che fermano sulla carta le oscure impron te dei tristi e dei vili e i luminosi inse gnamenti dei martiri e degli eroi ». Di 55 quegli eroi che non hanno combattuto con le armi, ma hanno vinto le loro bat taglie, forse più dure e più atroci, testi moniando, nel silenzio del loro dolore fisico e morale, la loro fedeltà incondi zionata ai più puri ideali di civiltà, li bertà e dignità umana, affinchè non an ■ dassero smarriti in un mondo sconvol/o da concezioni disumane e barbare: un esercito di eroi e di martiri, dunque, che degnamente si affianca all’altro grande esercito dei Caduti nell’operante, viva ed attiva lotta di Liberazione. F ranco P edone C harles C allan T an sill , Il giuoco di plomatico tra le due guerre - Bologna, Cappelli, 1955, pp. 820. Charles Callan Tansill, professore di storia diplomatica nell’Università di Georgetown e, a più riprese, consigliere tecnico della Commissione degli Esteri del Senato degli Stati Uniti d’America, è da circa un ventennio un sostenitore dell’ indirizzo isolazionistico americano a favore del quale ha scritto due opere no tevoli: America goes to ~War del 1938 e, recentemente, Back door /or W ar che nella traduzione italijna reca il titolo : Il giuoco diplomatico tra le due guerre. Ciò che può attirare lo studioso in que st’ultimo libro è l’attualità di un inte resse, il bisogno di approfondire la cono scenza di una posizione politica che la distensione internazionale in corso sem bra invitare ad un processo di revisione e rivalutazione critica. Si scorge ora, in fatti, come nella guerra fredda fra Orien te ed Occidente degli anni scorsi la ten denza isolazionistica non rappresentasse soltanto una tradizione superata della politica estera americana ma, nel cercare di evitare certe forme di oltranzismo, in terpretasse anche delle legittime esigenze per una politica più elastica che oggi è in fase di lenta elaborazione. Rimane pe rò da dimostrare se il voluminoso studio del Tansill riesca ad appagare tale inte resse o se invece rispetto ad esso si ri veli deludente. La sua tesi generale è che l’America cominciò a sbagliare quando con Teodo ro Roosevelt cominciò ad intervenire nelle questioni extracontinentali e poi con Wilson e F. D. Roosevelt venne a partecipare sempre più intensamente ai problemi europei ed asiatici. Grazie alla sua posizione geografica l’America era sfuggita ai pericoli dei ricorrenti conflitti 56 Recensioni che avevano fatto cadere le mura delle antiche civiltà e spazzato l ’eredità mate riale e spirituale che gli uomini si erano assicurata. Wilson prima e poi Roosevelt in apparenza agirono per salvare le sor ti della democrazia nel mondo, in realtà furono dei guerrafondai che con le loro avventure hanno turbato la prosperità americana e complicato l ’equilibrio del l ’ Europa e dell’Asia. Sebbene l’ autore sostenga le sue idee con assoluta onestà di intenti e con l’ap poggio di una vasta mole di documenti tratti dalla corrispondenza diplomatica riservata degli Archivi di Washington, i suoi giudizi dànno troppo l’ impressione che egli consideri i fatti diplomatici co me gli unici del processo degli avveni menti, per cui si prova una certa disar monia fra la valorizzazione delle testimo nianze, che segna un contributo auten tico, e la insufficiente considerazione de gli altri fattori che muovono la storia. Dell’ intervento americano nella prima guerra mondiale, ad esempio, egli scrive che se gli Stati Uniti non fossero inter venuti in Europa, la guerra sarebbe giunta ad un punto morto e un equili brio di forze si sarebbe stabilito in Eu ropa, credendo con questa semplice af fermazione di togliere ogni validità alla politica di Wilson. Sulla politica di Roo sevelt egli osserva che, mentre il Presi dente agiva perchè Mussolini restasse neutrale nel gran conflitto che devastava l’ Europa, egli stesso non faceva che spin gere l’America sulla strada della guerra. A l che non è difficile rispondere che fra il ’ 39 e il ’ 40 la guerra era già una real tà di fatto scatenata dalla Germania e che a chi ben guardi i due atteggiamenti di Roosevelt non erano fra loro contraddi tori poiché i preparativi bellici e gli ap poggi che dava all’ Inghilterra contempo raneamente alle esortazioni di pace a Mussolini non erano che strumenti indi spensabili per evitare che, col crollo del le nazioni amiche, la sua voce si ridu cesse a quella di un profeta disarmato ed impotente. A d ogni modo il Tansill stesso docu menta la resistenza che Roosevelt mosse alle richieste di Churchill circa la conse gna dei cinquanta cacciatorpediniere e per la legge degli affitti e prestiti. A tale proposito l’ autore ha il merito di avere messo in chiara luce il rapporto Churchill-Roosevelt nei semestri immediata mente precedenti l’entrata in guerra del l’America; Churchill seppe fare risuona re una profonda nota di allarme che sa peva bene avrebbe impressionato il Pre sidente: se l’Inghilterra fosse stata « ab bandonata al suo fato dagli Stati Uniti », poteva esservi il pericolo, assai positivo, che la flotta britannica sarebbe stata con segnata ai tedeschi a titolo contrattuale. Tansill cerca di demolire la condotta tenuta da Roosevelt, o mediante discus sioni di diritto, dimostrando che dal punto di vista del diritto internazionale ¡’affare dei cacciatorpediniere era illega le, o sottolineando le contraddizioni fra le promesse fatte nel periodo elettorale e quella che fu la linea effettiva della sua azione, o citando la stampa d ’oppo sizione, in particolare cattolica, che non aveva peli sulla lingua per criticare la politica presidenziale; ma al di là di que ste polemiche che hanno un valore con tingente e che non costituiscono vere ar gomentazioni storiche, egli è ben lonta no dal convincere che una politica paci fista degli Stati Uniti sarebbe stata più saggia per il mondo quando già i totali tarismi avevano scatenato la guerra. Il suo si rivela così un candido otti mismo la cui equivoca ispirazione Carlo Rosselli aveva coraggiosamente battuto in breccia fin dal 1932 proclamando, nel famoso articolo « La guerra che torna », che con l’ascesa di Hitler al potere l’ il lusione della pace era finita e preveden do che « il pacifismo miope e gretto del le democrazie, perpetuamente oscillante tra i principi e l’interesse immediato, fi glierà la catastrofe che travolgerà l’Eu ropa ». Malgrado l’interpretazione avversa alla diplomazia americana, l ’autore non viene tuttavia per nulla a difendere e scagio nare per partito preso quella degli Stati totalitari. Sulla crisi etiopica non nascon de che nell’agosto ’35 la Francia e l’ In ghilterra per impedire il conflitto fecero a Mussolini delle proposte che riducevano ad un’ombra la sovranità dell’Abissinia, « ma il duce ormai voleva tutta la mela etiopica, polpa e scorza ». Cita un interessante giudizio di Kennedy da cui esce assai malconcia la figura di Ciano ed in genere la diplomazia italiana: « Non mi sono mai imbattuto in vita mia con un più pomposo vanesio. Ha de dicato la maggior parte del suo tempo a condurre delle giovani donne in qualche angolo per chiacchierare e, durante il pranzo, non ci fu modo di sentirlo par lare seriamente per il timore che aveva di perdere di vista le due ragazze o tre Recensioni che erano state invitate per convincerlo a venire... Partii con la convinzione che noi avremmo ottenuto molto di più man dando a Roma una dozzina di belle ra gazze di teatro che non una schiera di diplomatici od una squadra di aerei... Ci gni qualvolta il duce apre bocca nessuno del Gabinetto di Roma è capace di dire mezza parola per il resto della giornata ». Nel complesso l’opera del Tansill è 57 una vasta documentazione ed una utilis sima puntualizzazione del giuoco diplo matico fra le due guerre; il titolo della traduzione italiana sembra perciò più ri spondente all’effettivo significato del li bro che non il titolo originale che rivela immediatamente il fondamentale e non convincente assunto implicito nelle tesi dell’autore. F ernando M anzotti