RECENSIONI

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RECENSIONI
RECENSIONI
II Secondo Risorgimento. Scritti di A .
G arosci, L . S alvatorelli, C. P r im ie ­
ri , R . C adorna, M . B endiscioli, C.
M ortati, P. G entile , M. F errara, F.
M ontanari. Nel decennale della Resi­
stenza e del ritorno alla democrazia,
1945-1955. - Roma, Istituto Poligrafico
dello Stato, 1955, pp. V II, 495 Lire 1.000.
Questo nutrito volume di saggi di sto­
ria dell’Italia contemporanea, analizzata
nella lotta per la libertà che le sue più
elette minoranze e, tra il 1943 e il 1945,
la stessa grande massa della nazione,
condussero, contro tirannidi antiche e
recentissime, è a nostro giudizio senz’al­
tro il benvenuto. Non fosse che per l’i­
nevitabile tendenza politica del Comitato
dei ministri, che ha predisposto, con le
altre celebrazioni ufficiali del decennale
della Resistenza, anche questa iniziativa
editoriale, essa ha sollevato aspre criti­
che da sinistra. In effetti, gli scritti ac­
colti, e le esclusioni certamente non ca­
suali, hanno il loro fondamento, con al­
cune notevoli eccezioni, che vedremo,
nell’ interpretazione della Resistenza come
di una « restaurazione democratica », per
dirla con Panfilo Gentile, dopo la paren­
tesi della dittatura fascista. Non si trat­
ta però di un giudizio dato col senno di
poi soltanto, di un mero adeguamento
pubblicistico alle forze e alla formula po­
litica risultate vittoriose nel decennio
trascorso dalla caduta del fascismo. Du­
rante la Resistenza medesima, e anzi già
durante la precedente cospirazione, del­
le correnti politicamente restauratrici e
socialmente conservatrici si fecero largo
nel movimento antifascista, in polemica
latente con quelle rivoluzionarie e gio­
vandosi della « politica della mano tesa »
adottata dalla maggior forza (la comuni­
sta) operante fra quest’ultime. Come si
è visto poi, ma come già si sapeva al­
lora, l’ unanimità dell’ antifascismo non
era che un espediente tatticamente ne­
cessario in un certo momento e che for­
se si ebbe il torto di non spezzare prima
ancora dell’ avvento della Repubblica, ad
opera delle energie di rinnovamento, o
rivoluzionarie che dir si voglia. Comun­
que, essa fu spezzata dalle forze di re­
staurazione ed è giusto quindi, e utile a
tutti, che ci si dia ragione, anche in sede
di primo bilancio storico, degli ideali e
delle considerazioni che le hanno mosse,
tanto nella fase unitaria, quanto in quel­
la della successiva, e tuttora perdurante,
differenziazione.
In verità, a giudizio personale di chi
scrive, l ’espressione Secondo Risorgimen­
to, per quanto giustificata dall’affinità dei
gravi sacrifici volontariamente sostenuti
per un amore sostanzialmente comune di
patria e di libertà, tende a oscurare le
differenziazioni che la storiografia mette
invece, necessariamente, in luce, e che è
il pregio di questo volume di lumeggiare
concretamente, s ’intende che secondo il
punto di vista de( suoi ideatori e autori,
che non è precisamente il nostro. Anche
il Risorgimento non ebbe l’ unità delle
oleografie. Cavour escluse dal governo
della cosa pubblica il partito d’azione che
aveva pure liberato la Sicilia e gran par­
te del Mezzogiorno. Mazzini, ancora alla
vigilia di morire, esule in patria, orga­
nizzava tentativi insurrezionali repubbli­
cani. La Resistenza portò all’accettazione
della Repubblica, ormai voluta dalla mag­
gioranza del paese, anche da parte delle
forze di conservazione. Sul problema del
rinnovamento sociale, il dissenso fu però
assai più grave, com’era naturale che
fosse, data l’evoluzione economica inter­
corsa, che non tre quarti di secolo prima.
Non vogliamo dire con questo che tut­
ti gli autori dei saggi qui raccolti siano
dei conservatori. Anzi, Garosci e Salva­
torelli non lo sono affatto. Tanto lo
scritto del primo, quanto quello del se­
condo fanno degnamente parte di quel­
la grande, idealmente eterna storiografia
liberale, che è già sintesi del momento
rivoluzionario e dell’assestamento con­
servativo. L ’intento di Garosci è senz’al­
tro di sintetizzazione, pienamente, bril­
lantemente riuscita a nostro avviso. Sal­
vatorelli procede per via analitica. Que­
sto spiega la mancata inclusione, nella
sua indagine dettagliata, assai meritoria
per la ricchezza dell’informazione non fa­
cile, dell’attività del partito comunista.
E ’ naturale che ciò dispiaccia oggi ai co­
munisti. Ma, all’inizio della lotta anti­
fascista, quando erano ancora animati
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dalla certezza della successione proletaria'
sovietica al fascismo, i comunisti stessi
avevano voluto isolarsi, con l ’orgoglio
puritano peculiare agli autentici rivolu­
zionari, da coloro che miravano al ripri­
stino della democrazia parlamentare. Una
volontà rivoluzionaria, di rivoluzione li­
berale, repubblicana, democratica o so­
cialista-liberale, che dir si volesse, si fe­
ce poi luce anche in seno a quest’ultimi,
col perdurare della dittatura. Dal canto
suo, il partito comunista dichiarò inat­
tuale, per la lotta contro il fascismo e il
nazismo, dopo la presa hitleriana del po­
tere, la soluzione della dittatura sovieti­
ca del proletariato e si fece promotore
esso stesso di una larghissima alleanza
democratica. Questo il Salvatorelli lo ri­
conosce, e per quanto si possa certamen­
te desiderare che ne tratti più diffusa­
mente, conviene però notare che, in con­
clusione del suo scritto, quell’alleanza
antifascista egli esplicitamente la giustifica « politicamente e moralmente, aven­
do, accettato il P.C .I. il piano democrati­
co per l ’azione e la vittoria comune ».
Con gli scritti degli altri autori, il cri­
terio selettivo della « restaurazione de­
mocratica » è invece rigorosamente affer­
mato, sempre nei confronti dei comuni­
sti e anche di fronte al partito d’azione.
Nel che è del resto, ripetiamolo, il loro
particolare contributo. I contrasti interni,
la dialettica intima del movimento di L i­
berazione vengono messi a nudo e offer­
ti alla meditazione storica, precipuamente
per merito di Mario Bendiscioli e di Pan­
filo Gentile. A l Bendiscioli siamo anche
debitori di un’accurata, pregevolissima
bibliografia della Resistenza, che arric­
chisce considerevolmente il volume. Da
Raffaele Cadorna, comandante in capo
dei Volontari della Libertà, si sarebbe
invece desiderato una cronistoria militare
e un’ analisi della guerra partigiana non
meno ampie di quella fornita dal genera­
le Primieri per il contributo delle forze
armate regolari. Gli scritti di Mortati,
Mario Ferrara e Montanari chiudono l ’o­
pera con l’esame di quel che di positivo
si è restaurato e conseguito con la Re­
pubblica, la Costituzione, e poi la poli­
tica insieme conservatrice e riformatrice
del cosiddetto « centro democratico ». Non
è nè molto, nè poco. Ma noi stessi ne
abbiamo già fatto la disamina in altra
sede e il confronto delle diverse conclu­
sioni, che se ne possono trarre, è ancora
azione politica, più che giudizio storio­
grafico.
L eo V aliani
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A ngelo T a sc a : In Francia nella bufera
- Collana Clandestina, a cura di Ugo
Guanda - Modena, 1953, pp. 258.
Il motivo ispiratore di questo volume
del Tasca — ben noto quale autore di
documentati studi sul comunismo e sul
fascismo — va ricercato, se non andia­
mo errati, precipuamente in un intento
autobiografico e polemico per le accuse
di collaborazionismo con il governo petenista che al Tasca stesso furono mosse.
E l'autore dà qui ampio e dettagliato
conto della sua posizione rispetto agli
avvenimenti francesi post-armistizio, del
contributo che egli ebbe a prestare alla
Resistenza in un delicato impiego infor­
mativo il cui adempimento gli richiese
l’ ingresso nella cerchia amministrativa
del potere di V ichy, sia a scopo di co­
pertura personale, sia a vantaggio diret­
to dell’azione clandestina. Limpido e con­
vincente nella autodifesa, Tasca ricon­
ferma le sue doti positive di perspicuo
ricostruttore e osservatore storico-politi­
co nell'analisi della complessa realtà av­
veratasi in Francia dopo Compiègne, esaminando, con la consueta scioltezza di
taglio espositivo, i molti e spesso con­
tradditori aspetti attraverso cui passò la
crisi politica e psicologica della repub­
blica transalpina, la crisi dei suoi valori
morali ed istituzionali, dal momento del­
la tragedia del giugno del ’40 alle suc­
cessive fasi in cui ebbe a svilupparsi l’an­
titesi collaborazionismo-resistenza e da
cui scaturì la riscossa liberatrice. Sicché
la validità della memoria assume signi­
ficato di contributo lucido e fondato allo
studio di quel capitolo della storia di
Francia che riflette alcune prospettive esemplari della più ampia crisi europea
nel travaglio della seconda guerra mon­
diale.
Dirigente le emissioni radiofoniche go­
vernative per il settore italiano, l’ A . se­
guì i servizi amministrativi della Terza
Repubblica nei loro vari ripiegamenti
dinnanzi all’ avanzata tedesca, da Tours
a Bordeaux e infine a V ichy, divenuta
sede stabile del governo alla conclusione
dell’armistizio. Libero dall’incarico, do­
po la soppressione delle trasmissioni in
lingue estere, egli collaborò per un cer­
to tempo al quotidiano VEffort, pubbli­
cato da un gruppo di deputati socialisti
che, nella storica giornata del io luglio,
votarono i poteri al maresciallo Pétain;
dipoi, entrato in dissenso con l ’indirizzo
del giornale, nel seno del cui gruppo re­
dazionale avevano preso sopravvento le
5°
Recensioni
tendenze collaborazionistiche su quelle
orientate verso una piattaforma di di­
scussione dei « problemi gravi e inatte­
si » sorti, per la Francia, dalla « più
grave disfatta della sua storia » — e che
erano stati alla base del criterio di con­
dotta iniziale del foglio — Tasca rimase
per qualche tempo in appartata medita­
zione. Finche, nel febbraio del ’4 1, fu
avvicinato dall’incaricato dì affari del
Belgio, Pierre Cavyn, il quale stava or­
ganizzando una serie di servizi informa­
tivi e di espatrio clandestino in accordo
con le centrali londinesi della resistenza
belga. A Cavyn l’A . si collegò accettan­
do d'esserne collaboratore; onde costi­
tuirsi un riparo per la nuova attività,
egli riprese anche per un certo periodo
la collaborazione all 'Effort — sul quale
teneva una rubrica puramente informa­
tiva di politica estera — , entrando suc­
cessivamente neU’ufficio studi del Mini­
stero dell’Informazione, incarico che me­
glio del primo valeva ad assicurargli una
tal qual « copertura », mentre gli forniva
la possibilità di accedere a fonti docu­
mentarie assai utili per la missione alla
quale aveva iniziato a prestar la sua opera. Da un siffatto posto d ’osservazio­
ne, Tasca potè spaziare per tre anni sul
panorama politico, psicologico, spiritua­
le della Francia, formandosi la propria
opinione degli avvenimenti presenti e
delle prospettive future con materiale di
prima mano, da considerare, in un clima
come quello di Vichy ove s ’intrecciavano
i motivi più diversi e contrastanti della
realtà del Paese; dove — egli stesso ci
riferisce — s ’avevano i contatti più vari
e in cui convergevano, così da poter es­
sere visti in una luce rivelatrice, gli ele­
menti molteplici agitantisi al centro della
crisi profonda della Terza Repubblica.
L ’A . li passa in rassegna sulla traccia di
alcuni filoni fondamentali che servono,
a parer suo, a mettere a fuoco come la
dualità collaborazionismo-resistenza sia
stata in Francia un fenomeno che ha avuto caratteri non afferrabili con il sem­
plicismo della contrapposizione Vichyclandestinità, ma valutabili soltanto se si
tengono presenti la connessione fra i
due piani, almeno per ciò che riguarda
la parte ed il contributo che dallo stesso
apparato governativo petenista venne al­
la organizzazione ed alla vita della resi­
stenza operante; d ’altro lato l’indagine
aiuta a comprendere nella sostanza quan­
to la scossa della sconfitta abbia disorien­
tato le coscienze, messo in moto le for­
ze opposte e latenti del più chiuso spi­
rito di revanche come della più ango­
sciosa ricerca, per strade spesso diver­
genti, di un rinnovamento totale, rivo­
luzionario, della democrazia partitica ca­
duta alla prova del conflitto. L ’assunto
da cui inizia l’esame del Tasca e che,
in fondo, è il tessuto connettivo della
sua analisi dell’intero quadro della Fran­
cia ’40-’45, si rifà alle debolezze interne
del sistema parlamentare e democratico
della Terza Repubblica precedenti alla
guerra. La Francia era in crisi da alme­
no vent’anni, negli uomini responsabili,
negli istituti, nei costumi. La sconfitta
del giugno del '40 non fu che il punto
cruciale del processo che durava da lun­
ga data. Di colpo, infrantosi il mito del­
l’esercito invincibile (al quale lo stesso
Leon Blum aveva fatto credito), il Paese
piombò nel marasma ipolitico e morale.
Dove cercare un’àncora di sostegno in
tanto sfacelo? Dove concentrare attorno
ad un « qualcosa » la speranza che la
sconfitta non trascinasse con sè l’intero
patrimonio della unità, della civiltà
francese? 11 vincitore di Verdun offrì « la
sua persona » e sembrò ai francesi, da
destra a sinistra, che egli solo potesse
incarnare in quell’ora la suprema istan­
za della dignità della patria piegata ma
concorde nella volontà di sopravvivere.
Pétain ebbe i pieni poteri dall’Assemblea
Nazionale e ne usò oltre e contro i li­
miti di mandato che il parlamento aveva
inteso di affidargli, mirando — secondo
Tasca — a separare il destino della
Francia da quello del resto dell’ Europa
in lotta contro il nazismo, col calcolo di
preparare silenziosamente la nazione a
schierarsi all’ultimo momento a fianco
dei tedeschi e perciò ad ottenere un ruo­
lo nel futuro « nuovo ordine » continen­
tale. Dietro questo miope pensiero in
politica estera, Pétain celava poi l’inten­
zione di creare le premesse per la liqui­
dazione della repubblica e del regime
parlamentare, con cui il maresciallo ave­
va di fatto rotto i legami ideali all’ epoca
del Fronte Popolare (posto che mai ne
avesse nutriti) sulla scia dei risentimenti
della destra militare e politica francese
per il regime da cui poteva uscire un
potere delle sinistre operaie e socialiste.
Nel ripudio del soldato per i partiti, pe­
rò, vi era un coefficiente naturale e giu­
stificato dallo scadimento che era inter­
venuto nel gioco democratico e quindi
nel costume generale della vita politica
del Paese: eguale sentimento avvicinava
Pétain a De Gaulle e, su un piano di
reazione immediata, al grosso dell’opi-
Recensioni
nione pubblica nazionale. Anche i poli­
tici, da destra a sinistra, purché onesta­
mente preoccupati delle sorti della Re­
pubblica, intuivano che la crisi della de­
mocrazia era crisi di equilibrio morale,
di insufficienza istituzionale, di carenza
di tutta la macchina statale. Ciò indusse
la maggioranza dei francesi a stringersi
attorno al maresciallo, gli diede una qua­
si unanimità di consensi per il gesto di
dedizione con cui egli volle presentarsi
nei momento funesto della sconfitta :
Pétain riassumeva allora le speranze al
tempo stesso della sopravvivenza della
Francia e di una sanatoria avvenire dei
suoi mali mortali.
La Camera ed il Senato votarono la
revisione della Costituzione. « Il sottin­
teso di quel voto — scrive l’A . — era
chiarissimo : la totalità dei parlamentari
riconosceva che c’era qualcosa di gua­
sto, d’inadatto, d ’insufficiente nelle isti­
tuzioni... e che queste manchevolezze avevano concorso alla disfatta militare...
Se al di là di questo denominatore co­
mune le divergenze cominciarono e si
rivelarono presto assai forti, su un
punto solo l’ accordo era totale: l ’artefi­
ce ed il garante della revisione doveva
essere il maresciallo Pétain ». Ventiset­
te deputati, nella riunione comune delle
due Camere del io giugno, votarono
contro concentrandosi su una mozione
che non negava la necessità dei pieni po­
teri al maresciallo ma rifiutava il con­
senso al progetto di revisione, ritenuto
tale da provocare « ineluttabilmente » la
« sparizione del regime repubblicano ».
Tuttavia essi pure non dissentivano dalle
dichiarazioni di Pétain di voler conclude­
re la pace « con onore », il che valeva a
confortare ogni progetto atto a togliere
la nazione dal calderone del conflitto ed
a tenerla in una specie di quarantena :
dove essa avrebbe curato le sue ferite e
si sarebbe cullata in quei motivi del ri­
torno alla « douce France » — retorici e
insulsi al pari dei miti militari coltivati
all’insegna della grandezza — sui quali
indugiava la prosa di Giraudoux (e che
Aldo Garosci ha ben illustrato nella sua
« Storia della Francia moderna »). Se
Pétain era tuttavia prigioniero di una
concezione ristretta e aristocratica, fuori
della storia e della realtà europea e mon­
diale dell’ora, i gruppi e gli uomini della
destra che gravitavano attorno a Vichy
o nella stessa compagine governativa, ave vano piani più precisi e pratici. Lavai
perseguiva un disegno ambizioso di com­
pleto legame del Paese alla Germania,
§t
che egli riteneva sicura vincitrice della
guerra; l’estremismo di Doriot e quello
di Maurras agivano in due direzioni di­
verse, il primo per giungere al potere ed
assumere una veste di « Quisling », il
secondo per riportare la Francia ai « fa­
stigi » della monarchia, tramite sempre
Pétain; e volontà di collaborazionismo,
speculazioni personali, desiderio d ’av­
ventura, odi, s’aggrovigliavano in una
matassa inestricabile. Il regime di V ichy,
ritornato Lavai alla vice-presidenza del
Consiglio dopo la parentesi Darían, si
avviò decisamente per la china del col­
laborazionismo, con la rélève, la pratica
del reclutamento di lavoratori da inviare
in Germania in cambio dei prigionieri,
con le persecuzioni antisemite e la cac­
cia agli oppositori del nazismo. Ebbe co­
si inizio, contemporaneamente ai primi
réseaux organizzati da ufficiali e da
agenti alleati nella Francia del nord oc­
cupata dai tedeschi, la resistenza anche
in zona « libera ». Essa si configurò es­
senzialmente come sparsa attività di cen­
tri d’ informazione collegati a Londra,
Algeri e Lisbona, e come aiuto ai perse­
guitati perché potessero sfuggire con l’ e­
spatrio alla Gestapo. A tale attività —
testimonia il Tasca — i servizi ammini­
strativi e del controspionaggio di Vichy
diedero un aiuto diretto o indiretto, sot­
to svariate forme, ma comunque in una
misura che l’autore reputa rilevante per
la fase iniziale del moto clandestino. E
fino alla svolta sovietica del giugno del
’4 1, che rovesciò le posizioni del P.C .F.
dal neutralismo (spintosi fino a collusioni
più o meno aperte con gli occupanti na­
zisti) alla immissione dei comunisti nella
Resistenza, il carattere della clandestinità
francese rimase quello della rete informa­
tiva in mano ad ex militari o diretta da
agenti paracadutati di Londra. L ’evento
clamoroso dell’entrata in guerra della
Unione Sovietica contro la Germania ca­
povolse la situazione politica interna por­
tando in primo piano il problema del­
l’ unita della Resistenza e della lotta ad
oltranza. Solo dopo l’acquisizione dei co­
munisti alla causa anti-nazista, sorse il
tnaquis, si inaugurò la fase dei sabotag­
gi e dei colpi di mano degli armati, nac­
quero le forze francesi di liberazione
strutturate soprattutto sulla base dei nu­
clei di guastatori, dei centri d ’ informa­
zione capillarmente estesi, dei reparti
clandestini organizzati in vista dell’ insur­
rezione, che doveva coincidere con gl!
sbarchi alleati sul territorio metropolita­
no.
52
Recensioni
Tasca dedica la seconda metà del suo
libro alle esperienze della Resistenza che
si sviluppò dal ’ 42 nel Paese e che va
ricordato (e l’A . non omette di notarlo),
non manifestò se non in modo assai localizzato e modesto gli aspetti della
« guerra di bande » attuatasi in Italia do­
po 1*8 settembre ’43. I comunisti ne fu­
rono il fattore di catalizzazione militare
e politica con le formule unitarie lancia­
te quali parole d ’ordine del movimento
popolare di riscossa. Crearono in gran
percentuale essi i nuclei dei « Frane
Tireurs et Partisans » (FTP) e nominal­
mente li inquadrarono nelle cosidette
« Forces Françaises de l ’Intérieur », sen­
za però lasciarli assorbire dall’organismo
di direzione unitaria della lotta armata ed
anzi valendosene come forza autonoma,
soggetta alle direttive del partito. « C ’era
— scrive l’A ., a questo proposito — tra
gli uomini dell’ Armée Secrète e gli F T P
un divario che risultava anche dal di­
verso piano a cui si ispiravano i loro di­
rigenti. I comunisti volevano addestrare
gli F T P alla guerriglia... alla lotta quo­
tidiana, col proposito di portare comun­
que e ovunque i maggiori colpi possibili
al nemico. Gli ufficiali dell’A S riteneva­
no che convenisse preparare soprattutto
formazioni capaci di agire su più larga
scala il giorno « J » dello sbarco alleato
in Francia ». E , più avanti, aggiunge:
« ...Salvo alcuni pochi e gloriosi episodi,
l’azione dei maquis francesi non cercò
il corpo a corpo coi tedeschi: solo una
parte si impegnò, nelle ultime settimane,
in operazioni di vero carattere milita­
re... ». Questo mondo della Resistenza,
comunque, è scrutato da Tasca nella sua
essenzialità morale e politica; esso rap­
presentava una rottura con « il modo
partigiano e grottesco » con cui il regi­
me di V ichy esercitava il potere, ma
solo in piccola parte riabilitava — ri­
tiene l’A . — il « vecchio regime ». Le
ragioni ideali e psicologiche che avevano
spinto una cospicua percentuale dei
francesi e dei loro uomini politici a con­
fortare il maresciallo con l’assenso ad
un mandato dittatoriale, cioè le illusioni
di un rinnovamento costituzionale e spi­
rituale, auspice il trionfatore di Verdun,
permanevano a determinare il distacco fra
resistenti metropolitani e gruppi politici
tradizionali e lo stesso Comitato londi­
nese del generale De Gaulle. I soli co­
munisti avevano una linea coerente per
il futuro: ed era quella di reinserirsi
nello stato democratico borghese per agire come forza distaccata a tutela degli
interessi di politica estera dell’U R SS.
De Gaulle riabilitò i partiti e rimise nel­
l’ alveo della legalità il P .C .F ., chiaman­
dolo a collaborare ad un’opera che era
per il presente di lotta comune contro
un nemico comune e per l’avvenire di
concorde rinnovamento dello stato: que­
sto almeno nella visione che, sebbene
gravida d ’equivoci, aveva consensi da
ogni settore. Per cui, la vittoria sotto la
bandiera del Comité degollista, conclude
Tasca, rappresentò anche in un certo
senso l’arresto di qualsiasi processo di
chiarificazione ed il ritorno ad un com­
promesso sui vecchi schemi delle vec­
chie forze. Il contrasto effettivo era fra
le mire degolliste — che andavano non
disgiunte di troppo dalle vedute « aristo­
cratiche » ed autocratiche del maresciallo
Pétain in ordine ai mutamenti da impor­
re alla « Francia malata » per richiamar­
la a nuova vita, — e quelle comuniste,
intese a far coprire al partito un ruolo
dirigente nella nascente Quarta Repub­
blica. Il coordinamento per l ’obbiettivo
della vittoria contro i nazisti compromi­
se lo « scopo finale » della lotta « che
consisteva appunto nel far prevalere le
strutture politiche e sociali atte a libe­
rare, il più possibile, il mondo dalla
schiavitù, dalla miseria e dalla guerra ».
11 volume dello scrittore che fu uno dei
maggiori esponenti del comuniSmo italia­
no, contiene tutta una serie di rilievi e di
esami di valore storico e politico sui
quali varrebbe la pena di soffermarsi,
ma che le esigenze di una recensione
non possono permettere di trattare. In
complesso, se si fa eccezione per alcune
parti del pensiero dell’ autore sui pro­
blemi del « rinnovamento » francese ed
europeo alla luce della crisi degli ultimi
vent’ anni, parti che appaiono nebulose
e avvolte in una cortina talvolta intrisa
d’astrattezza, le pagine di Tasca sono un
serio contributo allo studio, non soltan­
to dei fenomeni del collaborazionismo e
della Resistenza d ’oltralpe, ma anche
della validità o meno dei valori tradizio­
nali che l’Europa vide in pericolo nel
corso del conflitto e che hanno ripreso
a pesare profondamente nel ricostituito
quadro post-bellico. Attuale oltre ogni
altra, rimane la sua analisi della prospet­
tiva storica del comuniSmo e dei suoi
elementi dinamici in rapporto con le
problematiche di libertà e di democrati­
cità delle strutture degli stati e della
convivenza pacifica fra i popoli, malgra­
do che l’A . non vada esente nella sua
speculazione su questi temi da taluni
Recensioni
apriorismi che alterano sovente la linearità dei suoi rilievi.
M ario G iovana
C u riel : Classi e generazioni
nel secondo Risorgimento - Edizioni di
E ugenio
Cultura Sociale - Roma, 1955, pp. 282.
Per chi ha rivolto l’interesse alla sto­
ria politica italiana degli ultimi anni e
in particolare a quella della Resistenza,
nel suo svolgimento, prima e durante la
guerra di Liberazione, la figura di Euge­
nio Curiel è certamente famigliare e la
sua attività di cospiratore e di organiz­
zatore del Fronte della Gioventù è sta­
ta sicuramente oggetto di attenzione co­
me quella di uno degli uomini che più
intensamente operarono contro il fasci­
smo.
Ora, in unico volume, le Edizioni di
Cultura Sociale presentano i suoi scritti
in una raccolta che comprende probabil­
mente tutto quanto si è potuto di essi
conservare o ricuperare, perchè, come
avvisa la prefazione, « la sorte ha vo­
luto che la parte più elaborata dei suoi
scritti andasse smarrita dopo la sua mor­
te ».
Questi scritti sono raggruppati in tre
ben distinti capitoli. Il primo « L ’azione
legale contro il fascismo » contiene prin­
cipalmente articoli del Curiel comparsi
sul giornale fascista « Il Bo » quando
egli, in base alle istruzioni ricevute dal
partito comunista, al quale già clandesti­
namente apparteneva, svolse un’azione
di propaganda sindacale e sociale nei li­
miti e nella forma concessi dal regime
fascista. Il secondo « Il Governo di V en­
tatene », riproduce le lettere scritte dal
Curiel dal carcere di S. Vittore a Milano
e dal confino nell’ isola di Ventotene ed
appunti di lezioni e conversazioni, da lui
tenute durante il confino con i suoi com­
pagni di sorte, e di studi sui quali pure
si soffermò in quel periodo. Il terzo, « Il
secondo Risorgimento d ’Italia » contiene
articoli e relazioni preparati da lui solo
o in collaborazione con altri esponenti del
partito comunista durante la guerra di
Liberazione e comparsi specialmente sul
giornale clandestino « La lotta politica ».
La comprensione e la valutazione di
questi scritti non sono, spesso, di facile
accesso, perchè si tratta per lo più di
semplici appunti, estremamente sintetici,
a noi pervenuti inoltre di seconda mano,
trascritti da altri, o di articoli apparsi
53
sulla stampa fascista, quando egli certo
non poteva esporre con chiarezza tutto
il suo pensiero per evidenti ragioni di
censura, o di lettere dal carcere e dal
confino, che ovviamente evitavano una
chiara esposizione d ’idee e di sentimenti.
Anche gli articoli del tempo della guerra
di Liberazione, sebbene stilati con piena
chiarezza, richiedono spesso una chiave
interpretativa per intendere i limiti nei
quali debbono essere considerati, in
quanto scritti nell’incalzare della lotta e
suggeriti da contingenti motivi politici.
Ad aiutare il lettore nell’intendimento
di questa difficile lettura giova l’ampia
prefazione di settantun pagine di Enzo
Modica, che non offre soltanto un valido
commento agli scritti del Curiel, ma che
presenta anche un quadro ordinato del­
la vita e dell’opera sua, frutto di atten­
te ed affettuose ricerche e di precisa do­
cumentazione.
Appare così più chiaro lo sviluppo del
pensiero di Eugenio Curiel, che dai dub­
bi e dalla perplessità sul sistema fascista,
nel quale era cresciuto, e dallo stato di
insoddisfazione che ne derivava, passò
alla critica di quel sistema e poi al suo
rifiuto per cercare nell’antifascismo una
nuova e più solida via, che egli trovò
nel comunismo. Il travaglio del pensiero
politico del Curiel si manifesta attraver­
so i suoi scritti come caratteristico di
quegli italiani che appartengono alla ge­
nerazione di mezzo e che, pur educati
nel clima fascista, intesero la gravità di
quel sistema e lo criticarono prima e lo
avversarono poi per ricongiungersi infi­
ne a quegli uomini della generazione pre­
cedente che il fascismo lo avevano ri­
fiutato e combattuto fin dall’ inizio e che
divennero loro guida nelle cospirazioni e
loro compagni nella guerra partigiana.
Nella testimonianza di questa crisi, che
le pagine del Curiel presentano, sta si­
curamente il maggior valore storico dei
suoi scritti ed anch’egli certo lo intese,
come lo dimostra la sua costante preoc­
cupazione di guidare i giovani per lo
stesso cammino che egli già aveva così
pensosamente percorso. In questo ordine
di idee organizzò il Fronte della Gioven­
tù, che non doveva rappresentare sol­
tanto una soluzione unitaria per tutti i
giovani antifascisti, come la politica con­
tingente sviluppata dal partito comuni­
sta suggeriva in quel momento, ma do­
veva essere soprattutto il centro di rac­
colta di tutta la gioventù italiana per
svincolarsi dal fascismo e procedere alla
54
Recensioni
ricostruzione della nuova Italia, dopo i
disastri della terribile guerra:
« E ’ tra queste rovine e queste speran­
ze che deve affermarsi, libera e possente,
la forza della gioventù. Tradita dal fa­
scismo che l’ha gettata in guerre ingiu­
ste ed antinazionali, sfruttata dalla vec­
chia classe dirigente che ne soffocava la
capacità facendo della cultura privilegio
di pochi e ne mortificava la libera ini­
ziativa nell’angusto quadro di interessi di
classe, la gioventù italiana dovrà essere
la forza che salverà l’Italia riportandola
alla libertà ed alla dignità nazionale ».
Il centro di questa forza rigenerata è
naturalmente per il Curiel la gioventù
comunista, alla quale spetta di continua­
re e di sviluppare il progresso dell’ Italia
verso la libertà, che gli uomini del R i­
sorgimento avevano iniziato e che i fa­
scisti hanno poi ostacolato quali rappre­
sentanti delle classi più conservatrici.
Alla classe operaia e specialmente ai
giovani di questa classe è affidato il com­
pito di continuare l'opera che nel secolo
XIX aveva intrapreso la borghesia più
evoluta per il risorgimento del Paese. E
qui è interessante notare come sia vicino
il Curiel al pensiero del Gramsci, che
egli certo non aveva conosciuto e del
quale nemmeno aveva potuto leggere gli
scritti dal carcere, in questo sforzo d’in­
serimento del comuniSmo nella storia
d ’ Italia, che egli tenta con vigoroso in­
gegno, e che ripete in più occasioni nei
suoi studi con impronta originale anche
se non sempre riesce a trovare gli argo­
menti convincenti. Più caduche appaiono
invece quelle pagine che riecheggiano
motivi obbligati del comunista militante,
ma anche lì non va mai perduta una no­
ta di seria meditazione, che sempre ac­
compagna i suoi scritti e li rende degni
della più attenta considerazione.
T ullio L u s s i
E nea F ergnani : Un uomo e tre numeri
- Milano-Roma, Edizioni Avanti, 1955,
pp. 237 - L . 350.
Questo libro fu pubblicato una prima
volta dall’Editore Speroni nell’immediato
dopoguerra, quando questa Rassegna non
aveva ancora visto la luce; le edizioni
« Avanti! » ne hanno curato la ristam­
pa, rendendo facilmente accessibile ad
un vasto pubblico di lettori un’opera
che è un notevole documento storico ed
una viva, umana testimonianza.
Il racconto del Fergnani ci fa assistere
alle tappe del lungo e doloroso calvario,
per troppi conclusosi fatalmente, che con­
dusse un gran numero di patrioti italia­
ni ai famigerati campi di eliminazione,
dove erano condannati ad una morte
lenta e crudele coloro che si opponeva­
no all’ instaurazione del cosidetto «nuovo
ordine » di Hitler e coloro la cui sem­
plice esistenza costituiva una contraddi­
zione da eliminare per i teorici delle con­
cezioni razziste.
S. Vittore, Fossoli, Mauthausen: sono
queste le tre tappe alle quali si riferi­
scono i tre numeri di matricola ai quali
l'autore allude nel titolo : attraverso un
susseguirsi di episodi di una drammati­
cità sempre crescente, l’autore ci condu­
ce con il suo racconto dal carcere mila­
nese, regno incontrastato dell’ aguzzino
nazista Franz (« Egli sembrava costrutto
pezzo su pezzo da un genio malefico per
crearne uno strumento perfetto di tortu­
ra, intelligente e crudele. Dal suo aspet­
to bestiale ha tratto origine il nome col
quale è da tutti conosciuto. Questo per­
secutore d’uomini, terrore degli Ebrei, è
noto con l’appellativo di porcaro ».), al
campo di Fossoli dove il Fergnani è te­
stimone, sia pure indiretto, della tragica
fine di Poldo Gasparotto e poco dopo
dell’assassinio degli altri settanta patrio­
ti, i cui nomi sono riportati nelle ultime
due pagine del libro.
Ma la parte più terribile ed orrenda di
quella « avventura » doveva ancora ve­
nire; ed infatti, dopo una breve sosta
nel campo di smistamento di Bolzano, la
triste carovana dei deportati giunge al
« Konzentrationlager » di Mauthausen;
qui la narrazione assume un carattere
veramente apocalittico : « Come in una
visione dell’inferno dantesco, come in
Malebolge, noi siamo dannati a un sup­
plizio che non sembra avere mai più fi­
ne e la nostra pena è di essere sferzati
e arroncigliati da questi demoni che ci
abbaiano attorno battendoci tutti come
presi da un delirio omicida ». Qui la
lotta per la sopravvivenza prevale troppo
spesso su ogni sentimento di umana so­
lidarietà, sul senso di dignità e di ri­
spetto reciproco; vien fatto di ricordare,
a questo proposito, l ’acuta ed impressio­
nante analisi psicologica fatta dal Caleffi sulla progressiva distruzione della per­
sonalità che si operava nei campi di ster­
minio nazisti, dove ogni traccia di di­
gnità veniva cancellata, dove, per le più
immediate esigenze e per i più elemen­
tari bisogni della vita, anche l’amico o
Recensioni
l’ex compagno divenivano nemici. Basti
citare le amare riflessioni che provoca nel
Fergnani il contegno dell’ex combattente
repubblicano spagnolo Pedro che a Mau­
thausen assolveva alle funzioni di capoStube.
Eppure quale consolazione doveva es­
sere, in mezzo a quel deserto di abiezio­
ne, di atrocità, di malvagità, di egoismi
e di miseria umana trovare una fresca
oasi di bontà, un luminoso esempio di
sublime abnegazione, il senso non sopito
della carità fraterna, il richiamo costante
di una coscienza vigile ai più alti ideali
umani, l’appello alla dimensione di una
dignità umana irriducibile ed indistrutti­
bile! Ed ecco l ’avvocato Otto Popper, no­
bile figura di infaticabile soccorritore dei
sofferenti, « l ’ultimo degli amici, il più
nobile, il più generoso, quello che tutto
chiedeva per gli altri e nulla per sè, che
spartiva ogni giorno il suo pane e la sua
zuppa, che illuminava con la sua infinita
bontà le tenebre di questo campo ».
Ma doveva anche giungere, finalmente,
la liberazione preceduta dall’inquietante
alternarsi di speranze, alimentate dalla
vittoriosa avanzata delle truppe sovieti­
che e americane, e di disillusioni: le fe­
roci SS disarmate e divenute a loro volta
prigioniere delle loro ex vittime sono
condotte col moschetto puntato nel luo­
go dei loro crimini; « Su questo stesso
piazzale, fra l’ infermeria e il luogo dove
poche ore prima sorgeva la forca, comin­
cia l’opera sacra della Giustizia ». Con
queste semplici e solenni parole la nar­
razione ha termine.
Crediamo in sostanza che, in questo
decennale della Resistenza, non esista mi­
gliore valutazione dell’utilità di quest’o­
pera, di quella espressa dal compianto se­
natore Luigi Gasparotto nella sua prefa­
zione alla prima edizione del libro; ri­
chiamandosi a coloro che i crimini fasci­
sti avevano tollerato per viltà o oppor­
tunismo, Gasparotto così si esprimeva :
« Ora, è bene che questi sciagurati leg­
gano queste pagine; che vedano quanti
lutti e quante lacrime ha recato al Paese
la loro insensibilità morale o la loro avi­
dità patrimoniale; è bene che sentano
nelle loro orecchie, se non nel loro cuo­
re, il pianto di tante madri e di tanti
fanciulli; che trovino almeno intorno ad
essi il peso del pubblico disprezzo. Oh,
gli Italiani sono così facili a dimenticare
che siano benvenuti i libri, come questo,
che fermano sulla carta le oscure impron­
te dei tristi e dei vili e i luminosi inse­
gnamenti dei martiri e degli eroi ». Di
55
quegli eroi che non hanno combattuto
con le armi, ma hanno vinto le loro bat­
taglie, forse più dure e più atroci, testi­
moniando, nel silenzio del loro dolore
fisico e morale, la loro fedeltà incondi­
zionata ai più puri ideali di civiltà, li­
bertà e dignità umana, affinchè non an ■
dassero smarriti in un mondo sconvol/o
da concezioni disumane e barbare: un
esercito di eroi e di martiri, dunque, che
degnamente si affianca all’altro grande
esercito dei Caduti nell’operante, viva ed
attiva lotta di Liberazione.
F ranco P edone
C harles C allan T an sill , Il giuoco di­
plomatico tra le due guerre - Bologna,
Cappelli, 1955, pp. 820.
Charles Callan Tansill, professore di
storia
diplomatica
nell’Università
di
Georgetown e, a più riprese, consigliere
tecnico della Commissione degli Esteri
del Senato degli Stati Uniti d’America,
è da circa un ventennio un sostenitore
dell’ indirizzo isolazionistico americano a
favore del quale ha scritto due opere no­
tevoli: America goes to ~War del 1938
e, recentemente, Back door /or W ar che
nella traduzione italijna reca il titolo :
Il giuoco diplomatico tra le due guerre.
Ciò che può attirare lo studioso in que­
st’ultimo libro è l’attualità di un inte­
resse, il bisogno di approfondire la cono­
scenza di una posizione politica che la
distensione internazionale in corso sem­
bra invitare ad un processo di revisione
e rivalutazione critica. Si scorge ora, in­
fatti, come nella guerra fredda fra Orien­
te ed Occidente degli anni scorsi la ten­
denza isolazionistica non rappresentasse
soltanto una tradizione superata della
politica estera americana ma, nel cercare
di evitare certe forme di oltranzismo, in­
terpretasse anche delle legittime esigenze
per una politica più elastica che oggi è
in fase di lenta elaborazione. Rimane pe­
rò da dimostrare se il voluminoso studio
del Tansill riesca ad appagare tale inte­
resse o se invece rispetto ad esso si ri­
veli deludente.
La sua tesi generale è che l’America
cominciò a sbagliare quando con Teodo­
ro Roosevelt cominciò ad intervenire
nelle questioni extracontinentali e poi
con Wilson e F. D. Roosevelt venne a
partecipare sempre più intensamente ai
problemi europei ed asiatici. Grazie alla
sua posizione geografica l’America era
sfuggita ai pericoli dei ricorrenti conflitti
56
Recensioni
che avevano fatto cadere le mura delle
antiche civiltà e spazzato l ’eredità mate­
riale e spirituale che gli uomini si erano
assicurata. Wilson prima e poi Roosevelt
in apparenza agirono per salvare le sor­
ti della democrazia nel mondo, in realtà
furono dei guerrafondai che con le loro
avventure hanno turbato la prosperità
americana e complicato l ’equilibrio del­
l ’ Europa e dell’Asia.
Sebbene l’ autore sostenga le sue idee
con assoluta onestà di intenti e con l’ap­
poggio di una vasta mole di documenti
tratti dalla corrispondenza diplomatica
riservata degli Archivi di Washington, i
suoi giudizi dànno troppo l’ impressione
che egli consideri i fatti diplomatici co­
me gli unici del processo degli avveni­
menti, per cui si prova una certa disar­
monia fra la valorizzazione delle testimo­
nianze, che segna un contributo auten­
tico, e la insufficiente considerazione de­
gli altri fattori che muovono la storia.
Dell’ intervento americano nella prima
guerra mondiale, ad esempio, egli scrive
che se gli Stati Uniti non fossero inter­
venuti in Europa, la guerra sarebbe
giunta ad un punto morto e un equili­
brio di forze si sarebbe stabilito in Eu­
ropa, credendo con questa semplice af­
fermazione di togliere ogni validità alla
politica di Wilson. Sulla politica di Roo­
sevelt egli osserva che, mentre il Presi­
dente agiva perchè Mussolini restasse
neutrale nel gran conflitto che devastava
l’ Europa, egli stesso non faceva che spin­
gere l’America sulla strada della guerra.
A l che non è difficile rispondere che fra
il ’ 39 e il ’ 40 la guerra era già una real­
tà di fatto scatenata dalla Germania e che
a chi ben guardi i due atteggiamenti di
Roosevelt non erano fra loro contraddi­
tori poiché i preparativi bellici e gli ap­
poggi che dava all’ Inghilterra contempo­
raneamente alle esortazioni di pace a
Mussolini non erano che strumenti indi­
spensabili per evitare che, col crollo del­
le nazioni amiche, la sua voce si ridu­
cesse a quella di un profeta disarmato ed
impotente.
A d ogni modo il Tansill stesso docu­
menta la resistenza che Roosevelt mosse
alle richieste di Churchill circa la conse­
gna dei cinquanta cacciatorpediniere e
per la legge degli affitti e prestiti. A tale
proposito l’ autore ha il merito di avere
messo in chiara luce il rapporto Churchill-Roosevelt nei semestri immediata­
mente precedenti l’entrata in guerra del­
l’America; Churchill seppe fare risuona­
re una profonda nota di allarme che sa­
peva bene avrebbe impressionato il Pre­
sidente: se l’Inghilterra fosse stata « ab­
bandonata al suo fato dagli Stati Uniti »,
poteva esservi il pericolo, assai positivo,
che la flotta britannica sarebbe stata con­
segnata ai tedeschi a titolo contrattuale.
Tansill cerca di demolire la condotta
tenuta da Roosevelt, o mediante discus­
sioni di diritto, dimostrando che dal
punto di vista del diritto internazionale
¡’affare dei cacciatorpediniere era illega­
le, o sottolineando le contraddizioni fra
le promesse fatte nel periodo elettorale
e quella che fu la linea effettiva della
sua azione, o citando la stampa d ’oppo­
sizione, in particolare cattolica, che non
aveva peli sulla lingua per criticare la
politica presidenziale; ma al di là di que­
ste polemiche che hanno un valore con­
tingente e che non costituiscono vere ar­
gomentazioni storiche, egli è ben lonta­
no dal convincere che una politica paci­
fista degli Stati Uniti sarebbe stata più
saggia per il mondo quando già i totali­
tarismi avevano scatenato la guerra.
Il suo si rivela così un candido otti­
mismo la cui equivoca ispirazione Carlo
Rosselli aveva coraggiosamente battuto
in breccia fin dal 1932 proclamando, nel
famoso articolo « La guerra che torna »,
che con l’ascesa di Hitler al potere l’ il­
lusione della pace era finita e preveden­
do che « il pacifismo miope e gretto del­
le democrazie, perpetuamente oscillante
tra i principi e l’interesse immediato, fi­
glierà la catastrofe che travolgerà l’Eu­
ropa ».
Malgrado l’interpretazione avversa alla
diplomazia americana, l ’autore non viene
tuttavia per nulla a difendere e scagio­
nare per partito preso quella degli Stati
totalitari. Sulla crisi etiopica non nascon­
de che nell’agosto ’35 la Francia e l’ In­
ghilterra per impedire il conflitto fecero
a Mussolini delle proposte che riducevano ad un’ombra la sovranità dell’Abissinia, « ma il duce ormai voleva tutta la
mela etiopica, polpa e scorza ». Cita un
interessante giudizio di Kennedy da cui
esce assai malconcia la figura di Ciano
ed in genere la diplomazia italiana:
« Non mi sono mai imbattuto in vita
mia con un più pomposo vanesio. Ha de­
dicato la maggior parte del suo tempo a
condurre delle giovani donne in qualche
angolo per chiacchierare e, durante il
pranzo, non ci fu modo di sentirlo par­
lare seriamente per il timore che aveva
di perdere di vista le due ragazze o tre
Recensioni
che erano state invitate per convincerlo
a venire... Partii con la convinzione che
noi avremmo ottenuto molto di più man­
dando a Roma una dozzina di belle ra­
gazze di teatro che non una schiera di
diplomatici od una squadra di aerei... Ci­
gni qualvolta il duce apre bocca nessuno
del Gabinetto di Roma è capace di dire
mezza parola per il resto della giornata ».
Nel complesso l’opera del Tansill è
57
una vasta documentazione ed una utilis­
sima puntualizzazione del giuoco diplo­
matico fra le due guerre; il titolo della
traduzione italiana sembra perciò più ri­
spondente all’effettivo significato del li­
bro che non il titolo originale che rivela
immediatamente il fondamentale e non
convincente assunto implicito nelle tesi
dell’autore.
F ernando M anzotti