omelia nella solennita` di tutti i santi ed

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omelia nella solennita` di tutti i santi ed
OMELIA NELLA SOLENNITA’ DI TUTTI I SANTI
ED AMMISSIONE TRA I CANDIDATI AGLI ORDINI
DEL DIACONATO E DEL PRESBITERATO
DEL SEMINARISTA ANTONIO PEDACI
Tivoli, Basilica Cattedrale di S. Lorenzo M., Martedì 1° novembre 2011
Carissimi fratelli e sorelle!
Celebriamo con gioia, anche quest’anno, la Solennità di Tutti i Santi.
Lo facciamo in questa Cattedrale che fu già del Servo di Dio Mons. Guglielmo
Giaquinta al quale si deve la felice intuizione di celebrare in questa Solennità la
Giornata della santificazione universale, ossia del giorno in cui tutti desideriamo
richiamare a noi stessi e a ogni nostro fratello o sorella di fede la comune vocazione a
vivere la santità: “misura alta della vita cristiana ordinaria”.
Celebriamo l’odierna solennità, poi, quest’anno, con particolare gioia perché tra poco
ammetterò tra i candidati agli ordini del diaconato e del presbiterato un nostro caro
seminarista: Antonio Pedaci, che con il suo proposito chiaro di avviarsi verso il
diaconato e il sacerdozio ci ricorderà come tutti dobbiamo “muoverci”, darci da fare
per rispondere, secondo la chiamata particolare che il Signore rivolge al cuore di
ciascuno di noi, alla universale chiamata alla santità che ci è stata data attraverso il
Battesimo e che vuole orientare con modalità particolari e adatte a ciascuno di noi,
tutta la nostra esistenza verso la vita eterna.
Abbiamo appena ascoltato, nella prima lettura tratta dal libro dell’Apocalisse, le
parole di Giovanni che ci svelano il significato profondo di questa festa: “Dopo
queste cose vidi: ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni
nazione, tribù, popolo e lingua” una moltitudine che è l’insieme di “quelli che
vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole
candide nel sangue dell’Agnello”. Ossia la moltitudine dei santi, di tutti i santi che
attraverso le tribolazioni della vita presente sono ormai giunti nella beatitudine della
visione divina, redenti pienamente e completamente purificati dal sangue di Cristo.
Ed è questo il primo e fondamentale significato della solennità odierna: celebrando
tutti i santi noi desideriamo orientare più consapevolmente la nostra vita attuale verso
la sua destinazione finale: la vita eterna con il Signore.
Non sempre, per distrazione o superficialità, l’uomo lo fa, ma spesso avviene che si
ponga la domanda: “a che cosa sono destinato?”, “che senso ha vivere, soffrire,
impegnarsi, per poi morire?”. Se tutto termina lì, con la morte, a cosa serve la mia
vita? Perché impegnarmi ad amare, a vivere rapporti puri, di amore generoso e fedele,
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a mettermi a servizio di Dio e degli altri? Per Antonio oggi potrebbe significare:
perché impegnarmi ad orientare la mia vita verso il diaconato e il sacerdozio
ministeriale nella Chiesa che, come sappiamo, comporteranno la scelta del celibato
per il Regno dei cieli, la dedizione totale della mia vita a Dio e ai fratelli che il
Vescovo vorrà affidarmi come parte del gregge da pascere in nome di Cristo? Perché
impegnarmi davanti alla Chiesa e al mondo a prepararmi per divenire fedele ministro
di Cristo e del suo corpo che è la Chiesa che farò già tra poco?
Ma quando l’uomo, ciascuno di noi, viene a sapere, assume la consapevolezza, la
certezza che non è destinato interamente e definitivamente alla morte, ma alla vita
eterna, prende coscienza della sua altissima dignità. Comprende che egli è destinato
alla vita stessa di Dio e perciò, come dice il Concilio, nella Gaudium et spes al n. 22,
“non sbaglia a riconoscersi superiore alle cose corporali e a considerarsi più che
soltanto una particella della natura o un elemento anonimo della città umana”. E la
solennità di oggi è una risposta chiara a questa domanda: “a che cosa sono
destinato?”. San Cipriano risponderebbe: “Questa sarà la tua gloria e la tua felicità:
essere ammesso a vedere Dio, avere l’onore di partecipare alle gioie della salvezza e
della luce eterna insieme con Cristo”. E questo basta per dare una risposta.
L’uomo, cioè, comprende che non è solo un essere che cammina e vive nel mondo
quasi rifiutando di interrogarsi sul suo destino finale, limitando il suo desiderio
soltanto nell’attimo presente, ma è un essere che si domanda il senso ultimo del suo
esistere e morire e trova la risposta nella vita eterna, nella vita eterna che ci attende in
compagnia di tutti i santi e che ci libera da quella situazione di dubbio radicale circa
il senso della vita che potrebbe portarci con facilità a vivere nello scetticismo o
nell’indifferenza, nell’apatia, senza passione per Dio e quindi per la vita nostra e dei
nostri fratelli.
E invece, la festa di oggi, vuole orientarci proprio a contemplare quanto deve attrarre
il nostro cuore e dà senso al nostro esistere. Sempre San Giovanni, nella seconda
lettura, ci ha detto: “vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati
figli di Dio, e lo siamo realmente!”.
In altre parole: la contemplazione della gloria di tutti i santi nella vita eterna non ci
svela solo la destinazione finale della nostra vita ma anche cosa sta all’origine della
medesima, quale ne è l’origine: “Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre…”.
Se la nostra destinazione finale è la vita eterna è perché ciascuno di noi è stato
pensato, voluto, cioè creato, come figlio di Dio. All’origine del nostro esserci c’è
questo grande atto di amore di Dio, questo “grande amore” che il Padre ci ha dato. E
se è vero che ogni figlio ha la stessa natura del padre che lo ha generato anche
ciascuno di noi, attraverso il Battesimo, è stato reso partecipe della stessa natura del
Padre che lo ha generato, della sua stessa natura divina per cui a ragione può dire con
l’Apostolo Giovanni: “noi fin d’ora siamo figli di Dio!”.
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E così oggi possiamo contemplare la bellezza e grandezza della gloria di tutti i santi
nella vita eterna senza evadere neppure per un momento dalla nostra vita quotidiana:
dalla sua ordinarietà che a volte diventa pesante, dalle prove inevitabili che essa ci
presenta, ecc. E tutto questo perchè “noi fin d’ora siamo figli di Dio”. Ossia già da
ora siamo in possesso della stessa vita divina di cui godono i santi nell’eternità. Già
da ora è stato deposto in noi quel germe per cui “quando Cristo si sarà manifestato,
noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è”. Quindi, per essere
orientati alla vita eterna non ci è chiesto di evadere nemmeno un istante dal nostro
quotidiano ma solo di mantenere viva questa tensione interiore perché, come ci dice
la Parola di Dio: “chiunque ha questa speranza in Lui, purifica se stesso, come Egli è
puro”.
Ecco cosa significa essere orientati alla vita eterna: togliere dalla nostra condizione
umana, terrena, tutto ciò che è contrario alla dignità, alla verità, alla bontà del nostro
essere “figli di Dio” perché, come abbiamo ascoltato nel Salmo: “Chi potrà salire il
monte del Signore? Chi potrà stare nel suo luogo santo? Chi ha mani innocenti e
cuore puro, chi non si rivolge agli idoli”.
Non si sale, infatti, il monte del Signore, non si starà nel suo luogo santo se non si
posseggono quelle condizioni indicate nel vangelo delle Beatitudini, le beatitudini
che sono le indicazioni che Gesù ci offre non per chi vuole raggiungere una
perfezione morale ma le condizioni estremamente necessarie per entrare e vivere la
vita eterna. E così possiamo dire che l’ideale che oggi ci viene presentato non è un
certo livello di perfezione morale o religiosa ma è semplicemente la strada per
rimanere in cammino verso il Paradiso. Se no siamo fuori strada: se non diventiamo
poveri in spirito, puri di cuore, affamati ed assetati di giustizia e così via siamo fuori
strada.
Credo che tali riflessioni illuminino a sufficienza questa giornata, la nostra chiamata
alla santità che per ciascuno ha un nome diverso: matrimonio, vita consacrata nelle
sue diverse forme, diaconato, presbiterato, episcopato… E per te, carissimo Antonio,
ad avviarti con la tua storia, con i tuoi anni, con i tuoi doni e i tuoi limiti, in maniera
decisa in quel tratto di strada che ti attende da oggi in poi per portare a termine la
preparazione al diaconato e al sacerdozio e a impegnarti nella formazione spirituale
per divenire fedele ministro di Cristo e del suo corpo che è la Chiesa.
La tua chiamata, così, caro Antonio, come è per tutti, non annulla nulla di ciò che sei
e che sarai. Non annulla che tu sia nato in una sana famiglia di Gallipoli, che tu abbia
perduto dieci anni fa il tuo caro papà che ci piace oggi sentire vicino nella comunione
dei santi, che tu abbia fatto un cammino lungo, passando attraverso la preziosa
esperienza dei Fratelli delle Scuole Cristiane e alcuni importanti incontri per giungere
ad una età non più giovanissima a dire il tuo sì a Cristo per la via che ti condurrà
verso il sacerdozio. La tua chiamata non annulla neppure né deve annullare la tua
bella umanità, la tua capacità di adattamento anche nelle situazioni non facili, il tuo
sorriso e la tua passione educativa. La tua chiamata ti chiede soltanto di orientare
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tutto ciò che sei e che hai verso la vita eterna, verso questo grande Amore che ci
attende e che ti attende e che ti chiede risposta nell’oggi della tua storia nella gioia di
sentirti amato da Dio, chiamato a vivere il tuo Battesimo e la tua santità per la via del
progressivo avvicinamento all’ordinazione sacerdotale, donando tutto te stesso a Dio
e ai fratelli.
Solo una cosa ti è chiesta, come del resto è chiesta a ogni cristiano. Che la tua
preghiera, ossia il tuo stretto, forte, legame con Dio non venga meno.
Se tutto ciò che facciamo e siamo lo facciamo e siamo perché siamo orientati dove è
il nostro tesoro, ossia il Cielo, allora il nostro pensiero deve sempre rivolgersi a quel
luogo. Solo così sperimenteremo anche durante la vita la felicità di sapere che ci
avviciniamo alla meta che ci preme, all’Amore che ci preme e che nella preghiera si
fa già sentire o quando non si facesse sentire – perché nella preghiera sono permessi
anche ai santi i momenti di aridità, di apparente assenza di Dio – il desiderio ci farà
sperimentare il possesso dell’Amore che solo nella preghiera possiamo e dobbiamo
incontrare e che, unica, sostiene a lungo andare, ciò che siamo e compiamo.
Caro Antonio, si può anche diventare preti ma se non si prega c’è il rischio di
rimanere dei funzionari del sacro che hanno perso la strada, l’orientamento verso
l’eternità e quindi degli infelici, preda di loro stessi, dei loro pensieri, delle loro
azioni che man mano ci si allontana da Dio rischiano di perdere di senso e anziché
dare felicità provocano amarezza, aridità frustrazione.
A te, dunque, agli altri seminaristi, a tutti i sacerdoti, religiose, consacrati, fedeli qui
presenti auguro di non venir mai meno alla preghiera assidua, quotidiana, che
accompagni il tuo e vostro respiro giornaliero e nello stesso tempo spero che
ciascuno di noi sappia trovare periodi di tempo, anche lungo, da dedicare ad essa
affinché la nostra via verso l’eternità, la via della santità sia sempre bella, luminosa,
coinvolgente altri fratelli e sorelle, nostri compagni di strada, verso la pienezza della
vita.
Che tutti i santi e Maria santissima, Regina di tutti i santi, intercedano per noi e
soprattutto per te, carissimo Antonio, affinché il Signore porti a compimento l’opera
che con la chiamata battesimale e particolare rivolta a ciascuno di noi ha voluto
iniziare per la felicità nostra e del mondo intero. Amen.
 Mauro Parmeggiani
Vescovo di Tivoli
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