Recensione a Considerazioni sul processo “crimi
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Recensione a Considerazioni sul processo “crimi
LE IDEE DEGLI ALTRI FEDERICO GAITO Recensione a Considerazioni sul processo “criminale” italiano, Torino, di G. SPANGHER L’opera in commento si presenta come un ragionamento “a tutto tondo” sullo stato dell’arte del nostro sistema processualpenalistico: agile e ragionato, il libro riesce nel compito prefisso ovvero analizzare senza banalizzare, inquadrare con serietà e taglio critico-costruttivo alcuni istituti o realtà, senza cadere nel rischio -sempre forte in materia- di generalizzare o appesantire. Snelle ma ottimamente pensate, le “considerazioni” prendono il via innanzitutto fornendo al lettore una delle chiavi di lettura da adoperare: il processo italiano deve essere necessariamente inquadrato ed “immerso” in quello che è il contesto nazionale storico, sociologico e filosofico. A poco, dunque, può servire un generico richiamo a principi e meccanismi tipici (spaziando dalla Francia all’Inghilterra, passando per la Germania) di realtà ideologicamente distanti, benché geograficamente attigue: con ciò non si vuole escludere a priori l’utilità qualunque tipo di ragionamento comparativo, ma si sottolinea l’esigenza di procedere con accortezza e cognizione laddove si volesse procedere in tal senso. Quanto alle analisi e agli interrogativi indirettamente posti dall’autore: in primis l’attenzione deve esser posta sulle politiche “criminali” perseguite e professate nel tempo dal legislatore. Le esigenze da soddisfare e i bilanciamenti effettuati, il più delle volte differenziatisi negli anni (basti ad esempio, in tema di utilizzo della custodia carceraria, il passaggio da una politica repressivo/punitiva -all’indomani del periodo di risposta al terrorismo, prima, e di lotta alla mafia,poi- ad una politica che, anche in base alla spinta europea, risulta improntata alla ricerca di strumenti per così dire- alternativi), hanno contribuito a realizzare l’attuale status dell’ordinamento italiano, cosicché risulterebbe parzialmente monca -o dal significato quantomeno oscuro- una disamina che non tenga conto di questi fattori. L’opera, come anticipato, è di ampio respiro e di larghe vedute in grado così di confrontare le evoluzioni con le “involuzioni del modello”; i temi toccati con lucidità e brillantezza sono -per lo più- quelli che animano da tempo i dibattiti tanto in dottrina quanto in giurisprudenza: dalle indagini all’imputazione, dai poteri delle parti alla prova scientifica, dai riti speciali alle impugnazioni. ARCHIVIO PENALE 2015, n. 2 Ma non solo. L’autore si porta “avanti con il lavoro” catapultando il lettore in scenari razionalmente prospettabili e futuribili: anche in questo caso a largo raggio il ragionamento abbraccia gli interventi effettuati recentemente dal legislatore e le possibili ripercussioni sulle aree riformate ad esempio in tema di processo in absentia e consapevole partecipazione all’udienza da parte dell’imputato; o ancora focalizzandosi sullo stato di “crisi” del giudicato accertata -prima- dalla revisione “europea” ed aggravata -poi- dalla possibile rescissione ex art. 625ter c.p.p.; comparando infine il sistema di (ingenti) “costi” e “benefici” (esigui) della giustizia con gli oneri relativi ai costi dei diritti (in breve sintesi «se il costo delle attività giudiziarie può determinare il contenimento delle attività superflue, il riconoscimento dei diritti non può essere sacrificato dai suoi costi»). Non poteva mancare, poi, una serie di considerazioni (per l’appunto) conclusive: in chiave politica e metodologica, tra «incrostazioni culturali di matrice inquisitoria» ed «indicazioni di segno garantista delle fonti sovranazionali», un sistema processuale teso alla attuazione ed alla celebrazione di un giusto processo non può non passare attraverso una seria considerazione di sé stesso, ed in particolar modo riguardante la doverosa ed opportuna (quasi fantomatica, verrebbe da dire) divisione/separazione dei poteri all’interno della magistratura. Naturale epilogo dell’opera -allora- è la condivisibile affermazione per cui «il giurista non ha certezze; ha dubbi, legge tra gli interstizi delle norme, negli spazi bianchi dei commi, ricompone i dati normativi, elabora dove si pensa che tutto sia già stato detto. In questo stesso modo, l’avvocato inizia il suo lavoro (e lo riversa nel processo), quando per gli altri non c’è più niente da fare, anche perché spesso –sempre più spesso- i legittimi diritti si smarriscono nel labirintoso percorso di una giustizia che risulta ostile». Piccola postilla conclusiva: l’opera – già di per sé – illuminante, è impreziosita da un costante raffronto alla fine di ogni capitolo con dei passaggi estratti dalle precedenti “Considerazioni sul processo criminale” sviluppate da Francesco Mario Pagano nel 1787, consentendo così di (ri)scoprire il pensiero assolutamente all’avanguardia dell’illustre predecessore e di considerare (anche malinconicamente, forse) come certe esigenze di fondamentale importanza fossero già avvertite oltre due secoli fa e quanto poco ci si sia evoluti in questo senso. 2