Gli uomini belli - Clepsydra Edition

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Gli uomini belli - Clepsydra Edition
Gli uomini belli
ed altri cortometraggi
Pier Maria Galli
Polaroid diciassette
Francesca Pellegrino
Gli uomini belli
ed altri cortometraggi
(2005-2007)
Pier Maria Galli
Prima edizione: marzo 2009
Ebook © Clepsydra Edizioni
*
certo le mie poesie d’amore in una chiarezza infantile
sono una cosa esilarante, e che illumina
più di tutte le mattine che hai messo insieme fino a ieri
cortometraggi sugli uomini belli
(questa mattina, mentre fuori dalla mia finestra c'era un altro giardino)
gli uomini belli cadranno tutti
ad uno ad uno
delittuosamente impreparati
a sparire
nella forma senza ragione
di un seno
non avranno torto
gli uomini belli
nel caso giungessero ad invecchiare
a dirsi felici
gli uomini belli sono quelli che sappiamo.
ma nessuno sa esattamente dove siano.
come quando ne scorgiamo uno tra la folla
e d'un tratto pensiamo inconsapevolmente
ad un apparecchio che decolla, noi,
noi che dovevamo restare qui.
gli uomini belli amano.
o comunque sanno amare.
o potrebbero pensare che dopotutto
c'è una possibilità di amare.
gli uomini belli posseggono da sempre una donna.
tuttavia sanno che sarebbe lontano dal vero scrivere:
gli uomini belli hanno sempre una donna.
gli uomini belli da bambini erano davvero bambini.
uscendo da scuola appendevano il grembiule ad un ramo.
di notte il grembiule passava di mano in mano ai colori. cresceva.
ma al mattino pareva del tutto simile al giorno precedente.
e questo continua ininterrottamente. anche ora.
gli uomini belli hanno sempre lo stesso colore addosso.
non sanno nulla di come lavora la notte.
forse per questo possono rinominarsi uomini belli.
gli uomini belli
gli uomini belli
gli uomini soltanto oggi per sempre belli
passeggiano sempre su un lungomare gli uomini belli.
e talora si arrampicano anche lungo un sentiero
per osservare dall'alto tutti quei fogli sparpagliati
e la loro scrivania ed i bagnanti che a sera rincasano nelle parole.
scrivono molto (ma non moltissimo) gli uomini belli
perché leggono molto.
perché se scrivessero moltissimo
dove troverebbero il tempo di leggere?
gli uomini belli percorrono sempre la stessa distanza ogni giorno,
tra il dove sono partiti ed il dove sono giunti.
il luogo non conta.
molto spesso accade agli uomini belli di essere felici
nella propria stanza o
mentre si pensano seduti sulla panchina di un parco in un'ora vuota.
ma lì nemmeno si accorgono di essere felici.
lo sanno, ma non si accorgono.
la felicità per essere davvero tale deve essere pubblica.
talora bisogna addestrarla. questo lo sanno.
un po' come gli animali da circo.
si circondano di cose apparentemente innocue gli uomini belli.
così che nessuno noti la loro inadeguatezza.
se li vedi, per esempio, con una tazzina di caffè accanto
è perché prima, quando la tazzina non c'era,
soffrivano di una solitudine così inaudita
che non si bastavano a se stessi.
sono una cosa inimmaginata ma plausibile gli uomini belli.
un po’ come il verosimile che giace dove l’inverosimile,
credendosi felice, suppone di essersi ormai concluso.
fumano. e fumano molto. e questo è male.
tutti lo dicono agli uomini belli.
ma senza rimprovero. senza convinzione.
perché tutti sanno che il fumo è solo un veleno
che s'aggiunge all'altro, assai più riprovevole, quello dell'aria,
che volteggia con la grazia di un acrobata assassino
nei polmoni degli uomini belli.
di solito gli uomini belli si circondano di donne assai belle
e che renderanno famose quando con l'età decadranno
quando tutti penseranno che non c’era mai stata ragione di pensarle tanto belle.
gli uomini belli verranno a cercarti un giorno.
busseranno a quell'unica finestra priva di tende
che si apre sul panorama incantevole della tua infelicità.
gli uomini belli poi se ne andranno
ad uno ad uno ma tutti concentrati
in una bolla di sapone.
così che possano stare sul palmo della tua mano:
1) così che possano stare dentro la tua mano aperta.
2) così che possano stare dentro la tua mano aperta che d'un tratto tu stringi.
[tentativo di donna sull'orlo del pomeriggio]
ci sono luoghi solitari.
luoghi dove tutto potrebbe accadere
senza che nessuno se ne accorga.
lei ha un rumore dentro la testa,
sente le nocche delle dita bussare
sul cranio e fanno anche un poco male.
vorrebbe almeno chiedessero il permesso,
prima, il permesso di entrarle tra i capelli.
certe sere si chiede chi.
e non si sgomenta davanti a questo indefinito,
non si abbandona mai a pensare
a tutta questa penuria di riferimenti,
a questa non intravista novità di lineamenti.
certe sere vorrebbe soltanto chi.
accade talora che legga.
accovacciata tra le mani di un libro,
odorosa di parole si appiattisce
dietro la siepe di un diario nascosto.
qui, ne è certa, sfugge ad ogni definizione,
ogni sguardo prodigiosamente la manca.
nella stanza accanto (perché c'è sempre una stanza accanto
nel paese che non ha più case) di mattina.
ha i seni piccoli, lo ha sempre saputo,
come i piccoli elmetti dei bambini
che giocano a farsi la guerra.
ha un giardino appena più grande
di quello che aveva sempre desiderato
e in fondo al giardino, dove il giardino finisce,
c'è un muro poco più alto
di quanto le potrebbe servire per sentirsi al sicuro.
al di là del giardino, in un'ora ben precisa,
giunge un rumore stridente, che rapido affoga nell'aria.
come quando, questo le sembra,
nuda scivola nella vasca vuota del bagno.
pensa ad un treno che, forse, puntualmente, passa.
spesso ha fame. e svogliatamente si porta i viveri alla bocca.
così, specie nelle ore notturne, svegliandosi,
o almeno le pare, uscendo dal proprio sguardo,
a poco a poco, quasi inavvertitamente,
con naturalezza si consuma.
perché qui si invecchia
mentre i giorni crescono.
la voce, nei mesi in cui le accade di dire,
trema sotto il peso delle parole.
ma quasi non ci bada. così come le gambe,
mentre si sposta da un pensiero all'altro,
barcollano sotto il peso sempre più chiaro del corpo.
il suo viso è come quello di una bambina,
quando ancora era bambina, e tutto assomigliava,
lei e gli oggetti intorno a lei, al viso di sua madre
seduta nel mezzo del giardino che ancora sconfinava,
senza interruzioni di luoghi, nel fondo del bosco
dove gli uomini smarriti accudivano ogni traccia odorosa di lei.
spesso la notte apre le gambe
e scivola con il corpo dentro le sue dita.
ogni volta che si pensa
si giudica.
spegne ogni luce della stanza
e si passa le dita sulle labbra
così che il suo corpo possa prendere una forma.
i suoi capelli bagnati in un pomeriggio di pioggia.
quando lei esce priva di un qualsiasi riparo
sotto la comprensibilità di un cielo dipinto.
studia frequentemente la sua assenza.
quella totalità compromettente di attributi amorosi
(le sue dita vanno sulle labbra ed i seni)
che un'idea di donna include in sé e
che non possono essere eliminati
senza che l'idea stessa (ora quasi
certamente di donna) venga distrutta.
lei ha una donna.
un'amante futile e disinibita
che le scrive di notte,
sino a visitarla.
quando da una posizione supina si solleva
assume una figura eretta ma inconcludente.
così, quando crede che si possa amare,
pronuncia frasi davvero d'amore
ma in una lingua sconosciuta,
come di una civiltà ormai sepolta.
sul viso vanno senza parole
le stanze più frequenti, l'umidità
negli angoli più remoti che la bocca oscura,
se poi parlando fosse la tenda che il vento sposta
a suo piacere, dentro una finestra
di lenzuola ripiegate che sembra primavera.
ogni cosa l'altra consola, legge.
senza staccarsi dalle mani.
senza cadere dalla pagina.
a volte accade
che si impadronisca del luogo.
gli spettri vanno solo sui bordi,
su quei margini innaturali ed inimmaginati
che separano una cosa dall'altra,
come la misura sempre provvisoria tra le sue dita
infestata da frammenti insostenibili di felicità.
della vernice bianca. ogni pomeriggio
si prende il viso tra le mani ed i capelli
ruzzolando tra le dita coprono le mani
che si sono impadronite del viso.
quasi come fosse mattina.
lei è un'ora qualsiasi.
della vernice bianca.
ha i seni bambini.
probabilmente cresciuti per un uomo
che si abbandona a pensarla ogni notte.
lei questo sa.
probabilmente l'attesa è una stanza d'albergo.
gli asciugamani portano ricamate
sul margine più basso
le iniziali misteriose del luogo dal quale si è giunti.
ci sono luoghi dove ci si affolla.
luoghi dove tutto quello che poteva accadere è accaduto
e non restava altra cosa da fare che scriverne.
tu ricordi gli esseri solo accidentalmente acquatici
che apparvero al marinaio di coleridge e
sulla cui natura mietemmo un'intera estate ad interrogarci? o quella tazzina di caffè sopra il tavolino di un bar
dove un uomo siede solo e
tenendo tra le dita un rossetto traccia nell'aria
piccole ed indelebili bocche di felicità? si rispose.
mentre i fianchi le sfumano e le caviglie
appaiono un mezzo, un prodigioso
atteggiamento scenico o testuale, potrebbe scriversi.
trasparente movimento di una stanza. spazio acustico
(vedi il rumore delle labbra che si screpolano?)
in cui l'arte può trovare ispirazione o espiazione.
lei rilegge di loro.
ogni sera, prima di coricarsi.
piccole trappole, fragili tagliole
le dita di lui che attendono tra le lenzuola
le pagine furtive di lei, appiattite nell'oscurità,
dietro una siepe selvatica, accanto ad un ruscello
che fragoroso spezza il rumore delle parole.
tiene un diario.
nel senso, fra le dita.
non lo scrive. semplicemente
le detta ogni giorno che ha.
più che la finitezza prodigiosa dell'immaginario
lei ama
la teatralità del plausibile.
la recitazione dell'immaginario
nel disordine della settimana.
come quando si sdraia nel letto di mattina
facendosi buio. potrò mai osservarmi ad occhi chiusi?
il torpore è quella composizione di immagini
rimaste ad approfittarsi della fatica di un pomeriggio.
potremo mai modificare a nostro piacimento
la forma del nulla, del vuoto?
immagini, quelle del torpore, che non si stancano mai.
accade, come in certe favole scure,
che ci sia stata una volta.
quel modo
del tutto irreale di spogliarsi, crede.
non come ieri di fretta e
fuggendo in una stanza priva di nome
dove in un angolo sta la sala di lettura,
che qui solo la nudità del pomeriggio può venirci.
potremmo pensare di lei che sia inverno,
tutti questi lividi sulle foglie dei rami,
tra questi rami che non hanno più foglie.
l’ingresso del cinema
1
la burrasca qui ha i tempi dell'inverno,
dei biglietti strappati all'uscita di un cinema
2
uscirne per mano, attraverso
le spaccature laterali della bocca-viso
2 (ancora)
lui crede che la frase
- voglio scoparti pronunciata dalla bocca di lei
sia una poesia d'amore
3
calma piatta
spaventatissima, poi
4
come dentro un film francese,
dove c'è sempre una scalinata marginata da ortensie
che precipita verso il mare
5
come dentro un film francese,
dove c'è sempre una sala da ballo che studia
le fermate degli autobus in una serata ventosa
6
poi conclude il seno di lei come il tavolino di un bar
dove lui andrà a sedersi, solo.
come un film francese
7
dovrebbe avvilire il luogo degli interrogatori,
la sala vuota dopo la scena finale.
invece lì inizia una concretezza diversa.
i ruoli senza paesaggio della memoria,
la regia dei lamenti nudissimi
8
nel finale del poema distribuiscono volantini
sulla nostra mortalità. noi, per conforto,
diciamoci che è il tonfo docile di un portiera
9
oppure, scomodando le proporzioni linguistiche
della tristezza all’uscita di un cinema,
la parola addio alla fine di tutte le lettere
che non abbiamo mai letto
*
immagina che tutte queste rose
abbiano avuto inizio da quella rosa
nel mio primo scrivere la parola rosa.
e poi disponi le ultime grandi piogge
a difesa dell'orizzonte.
solo a fine poema odorerai di quel muro che frana,
tra il giardino e la pagina aperta
[riduzione in progressione alfabetica di un film girato all’indietro]
a) c'è un pontile che si protrae per ore nel lago
b) ad un tratto, supponiamo al 4° o 5° giorno di ripresa, sappiamo degli amanti poiché nei
titoli di testa scorrono 2 nomi
c) in realtà i corpi degli amanti non appariranno mai (ma questo ancora non lo sappiamo)
d) i visi degli amanti, per metterci al riparo da equivoci, mutano ad ogni cambio di scena,
pur mantenendo le stesse bocche, gli stessi sguardi, lo stesso sempre
e) il riflesso di due teste calve nell'acqua che si dicono cose dolcissime ed un attimo dopo si
baciano
f)
g) il film è d'amore, quindi dura sempre qualche anno in più rispetto alla durata delle
riprese necessarie alla realizzazione del film
h) la presenza di una bambina è accertata da una fila interminabile di cavalli a dondolo che
cinta l'intera sponda del lago sino a quando le due estremità della stessa finiscono per
toccarsi
i) i cavalli a dondolo oscillano lievemente a causa di una fila interminabile di manine che
stringono il collo dei cavalli a dondolo provocando uno stato di inspiegabile soffocamento
negli spettatori
l) la mattina finisce verso le 19.30 quando i cavalli a dondolo esausti fissano immobili la
superficie dell'acqua dove il riflesso delle 2 teste calve cessa il bacio
m) qualcuno resta sul chi vive, qualcuno che qualche sequenza più avanti deporrà pareri
autorevoli sull'inopportunità che gli sceneggiatori sappiano in anticipo sui tempi la
conclusione di tutte le trame, di tutte le vite in vita nel tragitto non scritto che separa una
ripresa dall'altra
n) la mancanza di un filo conduttore nel film (salti improvvisi di luogo, tagli a metà dialogo,
risa inspiegabili inserite sullo sfondo di dialoghi drammatici laddove i protagonisti muoiono
più volte, ecc.) lascia supporre la presenza di almeno 2 registi che non comunicano tra loro
o) le scene di sesso servono ad illustrare le tre misure di base 1) primo piano: la testa di lei
occupa l'intero schermo. si sottolinea con enfasi ed ingrandimento l'interno della bocca
costantemente spalancata come per sottrarre alla vista degli spettatori la provenienza della
voce data dalla lingua di lei che si protrae all’esterno e per ore nel lago. 2) campo medio: i
due corpi stesi sul divano che occupa l'intera visione. il movimento di lei su di lui ricorderà
agli spettatori la scena dei cavalli a dondolo che oscillavano lievemente. ad un tratto lui le
avvolge i seni con le mani schiacciandoli uno verso l'altro sino a combaciarli (un po' come il
riflesso delle due teste calve che si dicevano cose dolcissime, ecc.). 3) campo lungo: la
cinepresa, attraverso un complicato sistema di tiranti, viene issata sul tetto della casa dove
dentro stanno i due amanti e quindi agganciata ad un'antenna televisiva. su una metà dello
schermo si vedrà con chiarezza i dettagli di diverse tegole. sull'altra metà il punto esatto
dove queste finiscono, in una ampia lamiera convessa, somigliante ad un braccio scavato.
sulla terza metà il cortile decine di metri più sotto. sarà affidato allo spettatore immaginare o
avvertire il senso di vuoto o vertigine (questo dipende dal grado di consapevolezza di
ciascun spettatore nel possedere un corpo pesante, soggetto a leggi gravitazionali, mentre
precipita sul corpo accidentato della persona amata da quell’altezza incalcolabile della
parola stupore)
p) gli organi sessuali degli amanti verranno ripresi, ed evidenziati con interminabili primi
piani, durante situazioni insignificanti (per esempio, mentre lui entra nella vasca del bagno
provvidenzialmente vuota; o lei che si riveste con una fretta inquietante, non avendo nulla
da fare in seguito)
q) qualche sera lui le legge alcune pagine di poesia, mentre lei ascolta alcune pagine che
parlano di poesia
r) lei non parla mai nel film e gli spettatori chiedono quale nome abbia nella finzione
scenica, ma l'attore non sa rispondere. replica soltanto che lei dice ininterrottamente, tra una
sequenza e l’altra, di chiamarsi lei
s) ad un certo punto la trama prende, cogliendo di sorpresa gli attori stessi, una piega
eliottiana, con quell'oh esclamato all’unisono: oh, spostiamo le sedie più in alto di lei prima
che l'acqua sfoghi sul pavimento cancellando le tracce dei nostri passi impauriti. con quel
pontile che protraendosi per ore giunge nella stanza all'improvviso, attraverso la porta
lasciata incautamente aperta, e portando con sé la chiara impressione che il lago sia ovunque
e ovunque possa trascinare il riflesso delle 2 teste calve che ora potremo anche chiamare
nuche o mani schiacciate sui seni o altro che potrebbe eccitare in modo morboso o
degenerato una nostra tristezza o una nostra opportunamente documentata felicità
t) le poche comparse vagheranno sullo sfondo delle stanze, con i visi sfuocati, ma con il resto
del corpo messo perfettamente, quasi ossessivamente, a fuoco. Suscitando, questa modesta
metafora, discutibili e contrastanti interpretazioni sul ruolo della memoria o delle parole
non dette che lasciano dietro di sé conseguenze trascurabilissime o inintelligibili passaggi a
vuoto, da uno schermo all’altro
u) improvvisamente si accedono le luci in sala, ma la pellicola (chi può avvertire una
pellicola?) procede ugualmente e spedita
v) soltanto nella scena conclusiva, anzi nell'ultimo istante della pellicola, appare sullo
schermo una mano che inchioda alla parete, di una stanza che si percepisce vuota, la
locandina che nessuno aveva mai visto prima. Non ha titolo, ma compaiono perfettamente
disegnate due figure, un uomo ed una donna, che sembrano occupate in un dialogo fitto
fitto ed esposte ciascuna alle parole dell'altro e parlano così per ore
z) la cinepresa non inquadra mai il cielo, non determinando così quell'espediente tecnico di
spostare da una estremità all'altra le condizioni emotive degli attori come abitualmente è in
uso proponendo situazioni meteorologiche favorevoli o meno. (solo quando l’ultimo dei due
nomi presenti anche nei titoli di coda sarà completamente scivolato tra i posti a sedere della
sala lo schermo verrà interamente colmato da un cielo così blu da mozzare il fiato e tagliato
da piccole ed esili nuvole bianchissime, dalle forme rapidamente volubili ed inafferrabili,
così che si pensi sia primavera. ma a quel punto del film, benché ci sia ancora molto da
vedere, gli spettatori saranno già andati via, imboccando quell'unica uscita laterale che li
mette su un pontile che si protrae per ore, e ormai privo di trama, nel lago
*
in particolare màndati a memoria
la manodopera dei tuoi seni
che fabbrica, in una scena
dove sdefiniscii fanciulli
sino a fallibili itinerari,
la perpetuità delle darsene
dagli archivi vuoti, ed i nostri polsi
andati in fiore senza fine
nella congettura mai profetica
del nudo accudire delle magnolie
(da dove ti scrivo,
aprile dura da millenni)
[presto prestissimo cancellalo]
(attraverso o. blakeston)
ci arrivo in fretta.
se è vero che il materiale base per la sceneggiatura di un film è il movimento (dicono),
partiamo dall'anticipazione comica del dramma.
ossia dall'evoluzione.
prima appunto:
la mia evoluzione ai margini amorosi della specie umana è il luogo più naturale
dell'autopercepito concepimento,
quello che segue delittuosamente la composizione irrinunciabile ed irrisanabile delle forme.
poi leggo che l'ingresso del vento in una camera vuota ispessirà il senso di vuoto se
non vi sarà alcuna mano che fermi le tende ondeggianti o
che chiuda il libro aperto, arrestando (si noti come il chiudere ed il fermare siano quindi
movimenti
occupati a sparecchiare l'enfasi in eccesso del vuoto) il rapido sfogliarsi delle pagine.
fuori da questo, ossia in un esterno fonogenico, immagino una strada documentata da un
traffico ininterrotto
e priva di passaggi pedonali,
ossia un proiettore sonoro a pista magnetica in uso in certi formati amatoriali
(il vecchio 8 mm e Super 8),
qui l'ombra di una donna mentre passa sulla casa della stanza vuota
costituisce un commento cinematografico.
questa precaria intuizione viene poi confermata qualche pagina dopo,
che l'ombra in moto è un movimento illustrativo.
tuttavia, benché nessuna mano fermi la tenda o chiuda il libro,
appare chiaro che la stanza è vuota nel senso che è priva di movimenti, di soggetti in
evoluzione,
ma non di cose, vediamo
in un quasi primo piano il profilo della parte posteriore della testa di lei.
qui la macchina da presa sembra ancheggiare,
perché all'improvviso noi invertiamo la neutralità dell'inquadratura,
appaiandoci dietro il profilo posteriore della testa di lui appare chiarissimo il viso di lei.
e solo chiudendo gli occhi
noi potremmo voltare la schiena all'obiettivo, sollevare la ripresa frontale da quella
posteriore,
ch'erano aderite una contro l'altra e tanto a mezz'aria,
trascinando la prima verso il pavimento e la seconda in direzione del soffitto.
e solo riaprendo gli occhi,
l'ordine naturale delle cose, la sovrapposizione di queste sequenze emotive, riprenderà il
suo posto tra noi.
ecco. il posto tra noi.
il ronzio dello sguardo.
la diretta delle parole.
gli elementi complementari sono rappresentati dalle necessità tecniche che occorrono
per intrecciare i vari elementi della storia, leggo.
quindi, la donna esterna non si vede, la sua ombra sì, che si muove,
accanto a lei la registrazione del traffico su una bobina secondaria.
gli spettatori non sanno nulla.
la donna procede come se stessero camminando per incontrarsi.
le entrate e le uscite dei personaggi, in relazione al modo di presentarli,
devono essere ben definite e logiche.
la cinepresa non va considerata né troppo rigidamente
né troppo fine a se stessa.
nella stanza ad un tratto suona il telefono.
il vento scosta la tenda.
la donna in strada sente e si ferma.
camminavano per incontrarsi.
scrivo.
accanto alla donna (che non vediamo), dentro al marciapiede, cresce una magnolia.
l'inquadratura si sofferma. la magnolia fiorisce. nel dare quest'impressione diciamo che è
fiorita
(impercettibile ma inseguibile movimento, tanto che)
si percepisce che è primavera.
volutamente questo dato ci viene imposto.
nella stanza una mano (di chi?) solleva il ricevitore.
un'altra, quella di lui, trattiene la tenda.
il libro seguita ed essere sfogliato del tutto casualmente. ma non fa rumore.
nessuno vuole che si registri il fruscio della carta quando
le entrate e le uscite dei personaggi non sono né definite né logiche.
comunque il movimento della tenda ora irrigidita basterà a lenire in parte il senso di vuoto.
la donna (che non vediamo) in strada procede di nuovo,
come se stessero camminando per incontrarsi.
il telefono ha cessato.
il rumore del traffico giace nella bobina secondaria.
quindi non vi è più nulla da ascoltare.
la magnolia inghiottita.
ma noi possiamo seguire solo un'ombra che si sposta lungo la parete.
a certi pomeriggi bastano dei commenti illustrativi.
[seconda antologia inespressiva] (provvisoria)
una colonna d'automobili che si muove.
gente che sfolla da un locale seminterrato.
case residenziali ed un'espressione visibile dentro.
un'attrice sul muro di cinta accanto a lui.
voci e attenzioni dal basso e sguardi benevoli dalle bocche.
colline di sabbia colline di sabbia
nell'elenco ancora colline di sabbia chissà se dopo il mare.
parti di fantasie sessuali nella cassetta delle lettere.
all'interno di riviste analogamente alle due di mattina.
le mani smilitarizzate le mani sui capelli d'arance
le mani su una poesia di eluard quando di colpo sterza e colpisce.
il mio volto sereno più volte e di diverse misure e capienze patologiche.
molta gente usa il sesso per esplorare le proprie incertezze si sussurra.
gli anni settanta, più sul loro finire, seguitano ad esaminarmi.
un nudo commerciale sul legno eroso di una panchina.
un disastro simulato tra le case di due amanti di mattina prestissimo.
una partita a bocce su molteplici superfici abbandonate.
foglietti del thistle hotel di edimburgo dell'11 novembre 2002
cosa mi manca? scrivi i figli la loro voce al telefono la routine dell'assoluto.
l'equivoco che produce la parola, noi invece più approssimativi che ambigui.
sul registro delle partenze un volto poco più che un volto e un'andatura patinata e mia
madre.
l'espressione di t.s. eliot sul dorso di un libro poco prima di prepararmi un caffè.
il fastidio moribondo di un volto bello di ragazza e la tappezzeria di una camera d'albergo.
tra le guarigioni possibili l'incuria di una bocca che parte dal basso sfamando il giardino.
quasi due seni dal vero in un paesaggio quotidiano che va ad imbrunire.
guardandoti dal letto e le mie poesie al tavolino di un bar per nulla allarmate.
immagina io ed una te new york in una sera del '54 e charlie parker con lover man e si fuma
e si pensa.
fumiamo e pensiamo che questa sera facciamo che sia inverno e che probabilmente fuori stia
nevicando.
i vasi capillari ed i cavi sotterranei lungo una tangenziale d'inverno rimettono in gioco
seriamente la vita.
chiedimi nel romanzo della nostra città dove troveremo il mite parere di un'insegna
disabitata?.
un distributore di doveri analfabeti più una pensilina sdraiata su un'aria perbene.
dietro la baracca e dentro ulteriori segni di vita del custode che non c'è più.
abbandonarsi ad un viso sulla tua spalla mentre piego il viso sulla tua spalla.
certe parole come pomeriggio o seni necessariamente mi appaiono aggettivi o comunque
notizie inadeguate di per sé.
una campagna pubblicitaria ed una campagna rovesciata nell'autunno contengono bocche
assimilabili.
adoperarmi la mani addosso o forse soltanto decorare la memoria.
quella direzione che si sbaglia a scrivere dentro una poesia di costa.
nel lamento di un frammento sono sfiorite le rose e le narrazioni cadute e quel viaggio che
chiamavano amore.
qualche ora di pellicola dopo la mia donna distribuisce volantini davanti a porte scorrevoli.
corsie di un supermercato che attenuano da queste vene di bellezza in poi coppie con le
mani protese verso tristezze straordinarie.
tutti ricordano il titolo ma nessuno la trama di quel film dove c'é l'uomo che non dorme mai.
sa che le comparse femminili trattano con interesse materno la natura umana di un solo
istante di felicità.
da fuori possiamo osservare le finestre inondate di luce restando appoggiati ad un muro con
la consueta sigaretta.
in qualche sequenza lo si vede a lato di un’autostrada esitare davanti a noi che gli offriamo
un passaggio sulla pagina.
un parco-giochi dentro una serata autunnale che sorveglia questo quasi pensarti.
via delle inquietudini disciplinate a due incroci pericolosi da qui ed io che guido piano.
se separi le mie mani dall'attimo infinito delle tue dita…
ora la forma e come apre le mani al luogo ed un sedia nuda e le parole rimaste.
..............
[appunti sull’origine del nudo]
1
... e quindi che sia grazia
il traffico dei tuoi capelli nella mia bocca,
per quella sola ora di tragitti e smarrirsi;
che sia grazia la mappa del lago per il natante
che villeggia nelle quattro mura in fondo a
quel tuo certo parlare nella mia bocca;
che sia grazia la visione di quel film muto e decisivo
nel cine d’essai dove anni fa operai delle immagini ritrovate
hanno sgombrato tutte le pellicole dai posti a sedere
e scaricate alla rinfusa negli scatoloni sui quali ora sediamo
mentre scene forse da amarsi scorrono sotto di noi;
che sia grazia quel mezzo tra i due cuscini che posano le nuche nude
su questo mio sommamente
saper bene come dispormi male in parole che scrivo, che ti detterò;
che sia grazia la vista appannata in un pomeriggio di pioggia
mentre guidiamo piano e sarà sul parabrezza riflessa
l’argenteria ammutolita dai nostri visi chiari, riusciti;
e che sia grazia la campagna di sabato sera
quando i seni della donna, nella sua complicata tenerezza,
vengono morsi, dalla mia dimora lontana, senza sfaldarsi;
che sia grazia la ciotola di pagliarani rovesciata per troppo amore;
e sia grazia infine la poesia delle bellezze faticose pubblicata sulla tristezza,
quella tristezza che non è grazia né arte, ma dove qui si arriva a cessare
come già fossimo l'idea-grazia di una pagina, i canali lumininosi di come resta la mattina,
a tv spenta, dentro la posizione più comoda giunta al nostro divano...
2
(ti leggerò in seguito ma femme di breton) e poi
l'opposizione dei critici a quel montaggio tipografico
contemplare da in cima alle scale
(salirò sui tuoi capelli verso orizzonti inoffensivi)
e come apparve la tua nuca
nel candore sperimentale sotto di me
ecco prendi pag. 61 dove chiude
dans l'obscure signalisation terrestre
appena 5 righe di testo e poi nulla
(persino la numerazione sta in alto a destra)
(annoto 16 cm circa di pagina bianca
sottostante e come anche lì la tua nuca sia)
al di sotto di noi - quel chiarore restante
che collabora senza sforzo con la bellezza
e lì puoi immaginare ch'io legga
(l'orario delle rose sbiadite o sbadate?)
o (l'isolamento della voce
sull'idea-limite dei tuoi capelli) e
(nello svoltare in altre parole
conservami piuttosto le mani)
3
a)
l'erotismo novecentesco
dei prati di sera
in quell'aria di bambine rimaste
e di contadine semivive
che accarezzano la lealtà dei fienili
b)
o considera il mio cranio
che indurisce i disegni della terra
in una giornata di vento
c)
mentre la metà di un bacio.
poi bambini che giocano
sotto tramonti lentissimi
senza mai capovolgere
l'altra metà del cielo
4
sarebbe un delitto terreno non dire, e non diffondere
sulle dita rimaste a parlare d’altro
l’orlo tagliente di una poesia.
dovremmo conversare sul modo in cui
i pomeriggi eccetera eccetera, oppure
sul perché in quel film loro fanno all’amore
senza toccarsi e gettandoci nel
panico eccetera eccetera; dovremmo
prepararci separatamente il mio caffè e
le tue foglie e posare le tazze sul tavolo
e metterle in discussione prima che le bocche
le svuotino e disegnino quella forma dell’alba
che hanno le tazze dopo che le abbiamo
scavate con la prima bocca che la mattina
ci ha dato; dovremmo spogliarci in luoghi
che si staccano dai corpi cadendo per terra
insieme a noi, mentre i vestiti restano ad osservarci
dall’alto disordinato di una sedia; dovremmo
passare più tempo ad ascoltare il rumore
delle labbra che si screpolano; dovremmo
abbandonare i tuoi seni ed il mio sesso
sui posti a sedere di un cine abbandonato
sopra la locandina dove 2 corpi siedono
sopra la stessa sedia e si vede solo la sedia
e nel film non c’è nessuno; dovremmo
ripetere mille volte il gesto di entrare in una
vasca vuota e uscirne ripuliti e con la pelle
bagnata da quell’aria che sappiamo inventare;
dovremmo prepararci con meno bianco assoluto
quei frammenti di burrasca che sono i parcheggi
sotterranei di un ipermercato nelle ore deserte
della notte; dovremmo cambiare ogni sera
il corso delle vene sui polsi, rimescolando
l’orientarsi della mappa sui nostri corpi;
dovremmo scambiarci gli specchi del bagno
per scoprire i nostri visi appena svegli e
senza concluderli mai; dovremmo confessare
la pagina nera quando ci asciughiamo gli occhi e
portarci il cibo alla bocca con le mani sotto il tavolo;
dovremmo spiegare a chi ci ha amato o ci ama
la casa che hanno costruito sull’altro lato della strada
dove non ci sono mai state case ma solo un fiume
ed ora l’inizio di un lago e perché nessuno
ci ha mai visto prima di addormentarci affacciati alle finestre
e chiudere le persiane come una tremenda notizia personale;
dovremmo sederci sulle ginocchia e nello stesso istante
io sulle tue e tu sulle mie, e ancora così, e non finire
di salirci sopra, crescendo nei corridoi di quei rami
in un prato dove c’è solo erba che entrano dalla finestra
graffiandoci la pelle e spesso l’impalcatura dove operai
senza un progetto in cima alle dita ci fabbricano il cuore
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Copertina © Federico Federici
Ebook © Clepsydra Edizioni