La sentenza definitiva della Commissione Militare

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La sentenza definitiva della Commissione Militare
La sentenza definitiva della Commissione Militare
Ferdinando Secondo
Per la Grazia di Dio Re del Regno delle Due Sicilie ecc.ecc.
L’anno mille ottocento quarantadue il giorno Tre Settembre in Aquila.
La Commissione Militare nel 2° Abruzzo ultra, Composta da Signori: (come al solito)
Riunita nella Camera di Udienza in questo Real Forte.
Sull’accusa di:
1. Francesco Antinossi
2. D. Giuseppe Cappa
3. Ludovico Iovenitti
4. Francesco Magnante
5. Fiore Guetti
6. Eusanio Masci
7. D. Vincenzo Mancini
8. Agostino Rubeis
9. Luigi Prosperini
10. Giuseppe Di Francesco
Accusati tutti
1. Del misfatto di Lesa Maestà concertato in epoca anteriore prossima agli 8 Sett. 1841
mediante attentato, e cospirazione ad oggetto di distruggere e cambiare il Governo, ed
eccitare i sudditi e gli abitanti del Regno ad armarsi contro l’Autorità Reale, con
cominciamento di atti non solo prossimi alla esecuzione, ma benanche eseguiti, mediante
omicidi, riunioni armate, attacco, e resistenza contro la forza pubblica, con omicidio, e
ferite, attentati di aver danaro dalle casse pubbliche, intercettazione di corriere di ufficio, e
disarmo di vari individui della forza pubblica Guardie Urbane.
2. Di associazione illecita organizzata all’epoca sopradetta in corpo con vincolo di segreto
sotto la denominazione della Setta “La Riforma della Giovane Italia”, artatamente
combinata senza fissa determinazione di luoghi, giorni, e persone.
Contro del suddetto Francesco Antinossi
Accusato pure di attacco, e resistenza contro la forza pubblica Militare in servizio, Guardie
Doganali, e Cittadini Cacciatori legalmente autorizzati con omicidio in persona di D. Onofrio
Nobilione Agente principale di Regia, ferite gravi perniciose di vita, e lievi a colpi di arma da fuoco
nelle persone dei soldati del 3° Battaglione Cacciatori di linea.
Udito il Commissario del Re nelle sue orali conclusioni…(viene ripetuto quanto riportato in data
Primo Settembre 1842).
Uditi i difensori degli accusati nelle difese.
Ritirata la Commissione Militare nella stanza di Consiglio, ove a’ udito l’uomo della Legge, che
poscia si è appartato.
Sulla quistione proposta dal Presidente così conseguita:
Costa
Che gli accusati tutti abbiano commesso il Misfatto a’ termini del titolo del processo epperò giusta
la orale conclusione del Commessario del Re?
La Commissione Militare
Sul fatto semplice rilevato nella decisione profferita ne di 20 Aprile ultimo, ed uditi nuovamente i
testimoni che indicano i fatti sul conto degli accusati, lette le dichiarazioni de’ correi assenti nel
luogo di pena, e tenute presenti le parti generiche, ed i reperti di oggetti criminosi in quelle
decisioni espressi, atti novellamente discussi nella presente pubblica discussione, non che ritenute
le considerazioni generali sulla sussistenza della Setta sotto il titolo“La Riforma della Giovane
Italia”, per la cospirazione, ed attentato di Lesa Maestà onde rovesciare il Governo ed altro
sostituirne.
Ritenute ancora le considerazioni generali sull’accusa di attacco, e resistenza contro la forza
pubblica militare in servizio, coll’omicidio in persona di D. Onofrio Nobilione, e ferite in persona
de’ Soldati Cacciatori di Linea.
Sul conto di D. Giuseppe Cappa
Considerando che le pruove a carico del medesimo risultano le seguenti:
1. Essere stato in contatto col Sindaco Barone Ciampella latitante con Luigi Falconi
condannato, Gregorio Calore, Romualdo Palesse, ed altri nella rivoluzione autori, correi, o
complici.
2. Che ebbe, sempre avanti gli 8 Settembre contatti coll’estero Livornese Carlo Emanuele
Pizzotti, sotto mentiti pretesti venuto in questa Città, e pronunziato Liberale, onde
rannodare, e rianimare i seguaci alla ribellione: contatti marcati fino ad andarlo a trovare
nella locanda ove era alloggiato di unita al Sindaco Ciampella, e con servizi dentro la
stanza.
3. Che siccome il suddetto Pizzotti non aveva il passaporto in regola si spinse ad implorare pel
medesimo presso del Sig. Intendente, e Burò di polizia una dilazione, onde farlo rimanere
qui per altri giorni, asserendo cose false cioè che doveva soddisfarlo del prezzo dello
zafferano vendutogli, come nello stesso interrogatorio a’ manifestato.
4. ch la sera del 5 Sett. 1841 in un caffè dopo aver conferito con Luigi Mari imputato latitante,
ed Alessandro Canciulli, ucciso nel conflitto, cercasse impronto di Ducati 25 al caffettiere,
e li passasse al Canciulli.
5. Che il 7 Sett. detto anno in casa di Romualdo Palesse, passasse a Raffaele Scipione, coriseo
materiale della rivoluzione la somma di Ducati 40, onde pagare le squadriglie, e
manifestasse in questo rincontro non aver altro denaro; e che ne’ giorni precedenti avea
ricevuto una fede di credito di 300 in 400 Ducati erogati per la sollevazione in modo che
avea chiesto a D. Giovanni Pezza Ducati 120 offrendo in pegno l’oro della moglie, perché
non avea altro denaro.
6. Che la sera degli 8 Sett., ritornato ubbriaco da una festa di campagna, si mostrasse nel
suddetto Caffè, e dopo aver ricevuta la infausta nuova della uccisione del Comandante, si
ritirò in casa, ed ebbero cura di accompagnarvelo tra gli altri non sospetti Ciampella e
Falconi, che mostratosi indifferente ne’ giorni seguenti, si appartasse dalla Città nel giorno
14 Sett., rendendosi latitante, e mantenendosi celato alle ricerche della giustizia per circa
10 mesi.
7. Che in data de’ 13 Sett. rilasciasse alla moglie qui in Aquila una generale procura, onde
agisse pe’ suoi interessi, protestando la di lui innocenza, e dandosi carico che veniva da’
malevoli calunniato.
8. Il giudizio che pe’ contatti co’ rivoltosi, per lo danaro pagato, e per essersi renduto
latitante, facesse parte nella direzione della rivoluzione.
A tutte queste pruove a carico il Cappa, oppose coll’interrogatorio e costituto, a discarico le qui
appresso reassunte posizioni.
1. Godere ottima riputazione nella Città, essersi reputato incapace d’immischiarsi nella
rivoluzione, che trattava indistintamente con tutti, che era proclive a rendere servizi, e
beneficare, che ne’ giorni seguenti all’8 Sett. dimorò qui tranquillo, ed indifferente, che anzi
si dolse col Sig. Intendente di non essere stato compreso nell’allistamento della Guardia
Civica.
2. Che nel giorno 8 Sett. si recò in Camarda ad una festa che ricorreva in quel comune, colà
voleva concertare con altri dilettanti suonatori una serenata, che poscia avea intenzione di
eseguire in questa Città, onde fare meglio quello, che altri aveano malamente eseguito.
3. Che Romualdo Palesse gli sia inimico da 5 anni perché fattosi surrogare ad altro creditore
per ricuperare un credito di Ducati 196,45, fattosi cedere il credito dal Sig. Cicchettani,
aveagli fatto espropriare la casa, cosa di cui si doleva il Palesse perché volea cacciarlo
dall’abitazione, e ridurlo in mezzo la strada.
4. Che nella sera del 5 Sett. consegnò ad Alessandro Canciulli e Luigi Mari la somma di
Ducati 25 in conto de’ lavori di fabbrica pendenti in Collepietro, che nella sera degli 8 Sett.
rimproverò Canciulli della tardanza di recarsi per tali lavori nel suddetto Comune.
Che nel giorno dopo la morte del Canciulli si lagnava di aver perduta quella somma; e che
il Giuseppe Micantonio dopo aver fatta la dichiarazione agl’istruttori del processo
manifestasse che il danaro si era consegnato per oggetto di fabbrica.
5. Essere falsa l’altra assertiva di Palesse di non aver più danaro, di aver ricevuto un rifiuto
dal Sig. Pezza di dargliene anche col pegno de’ monili della moglie, che anzi in quell’epoca
aver vistose somme, che non cercava d’introitare.
6. d’essersi allontanato da questa Città nel giorno 14 Sett. sol perché avea saputo che il suo
Germano D. Antonio in Navelli era malato, e che colà avendo saputo venir ricercato dalla
giustizia con una perquisizione eseguita in S. Nicandro altro domicilio di un altro Germano,
erasi definitivamente appartato.
7. Che anche mentisca Palesse nell’asserire la consegna de’ danari allo Scipione, onde
pagare le squadriglie, e perché lo Scipione impugnò questo fatto, anche tra gli ajuti della
Religione, e perché la di lui famiglia mancava di pane in quella sera, e perché anche la
Fiorenza Colabattista che vide la consegna del danaro non meriti fede perché tratta
abitualmente nella Taverna di Salmaggio ricovero di prostitute che ne han formato un
bordello sorvegliato dalla Polizia.
Sulla prima posizione
Considerando che se a’ ottenuto il giudizio sulla buona opinione, anche que’ probi esaminati non
lo reputano capace di essere cospiratore, tale giudizio che è sempre quello dell’uomo privato, e
dabbene, non sempre si può trovare di accordo colla pruova del processo, che s’ignorano da tali
soggetti, e l’esatto giudizio è quello che forma il Magistrato nello esame delle pruove, no essendo
mancato il giudizio non contrario, ed affermativo, cioè che il Cappa non venne reputato capace di
essere in mezzo alla rivolta.
Considerando che non può mettersi in dubbio, che trattava pure con altri, e che abbia pure
dimorato in questa Città per alquanti giorni dopo la rivolta ma ciò non lo può punto discolpare,
poiché altri marcati rivoltosi fecero lo stesso, non escluso il Sindaco Ciampella che si mostrò tanto
[…], onde far mostra onde la rivolta e serbare il buon ordine.
Considerando che sulle doglianze al Sig. Intendente presentate sorgono i seguenti rilievi.
1. Il Cappa doveva persuadersi, come dallo stesso discarico che egli non poteva essere
chiamato a far parte di quella guardia, perché in quei giorni furono convocati pel buon
ordine i Cittadini ascritti or sono 15 anni sotto l’Amministrazione dell’Intendente
Camerota, ed egli in quell’epoca non era segnato in quel ruolo.
2. Che ciò nonostante presentato il reclamo al Sig. Intendente, questi abbia assicurato di aver
date le disposizioni, ma sarebbe stato opportuno presentare l’ordine al Sindaco all’oggetto,
cosa non fatta, senza ricorrere alla testimonianza della prima Autorità della Provincia, che
al dire dello stesso Cappa chiamava col cordiale nome di Peppino mio, e nel processo è pur
provato che l’indicato soggetto negli anni scorsi fece graziosa impronta al Cappa della
vistosa somma di Ducati 7000.
3. in conchiusione sta che manca la pruova che il Cappa mentre che tanto si doleva di non
essere chiamato ad un servizio tanto utile, non a’ poi dimostrato che anche dopo gli ordini
l’avesse eseguito per una sola giornata, come praticarono altri solerti Cittadini.
Sulla seconda posizione
Considerando che non merita attenzione il proponimento di una cosa poscia non eseguita, che anzi
la condizione del Cappa superiore all’altra classe ribelle, che doveva materialmente agire era
appunto quella di mostrarsi indifferente da far penetrare i meditati disegni, ed il punto positivo del
concerto da scoppiare la rivoluzione, essendo quello delle ore 8, perciò niuno vietava che anche
prima si potesse eseguire una serenata.
Sulla terza posizione
Considerando che comunque […] provata la posizione, pure in fatto essendo risultato, che quella
casa rilevando la feccia della cospirazione, e conteneva il deposito delle armi, che dovevano
servire a’ ribelli, era necessario che Palesse uno de’ primi fabbri della rivoluzione non venisse
rimosso da quel domicilio, ed infatti ne restò tranquillo possessore, senza che Cappa si fosse data
la premura di espellerlo, tanto è lontano che perciò gli fosse nemico, ed oltre a ciò in buona
ragione è risaputo che un giudizio d’espropria di un fondo urbano, giova anziché nuocere al
debitore.
Sulla quarta posizione
Considerando che uniformemente i due caffettieri Micantoni deposero nel processo scritto che
nella sera de’ 5 Sett. consegnasse il Cappa Ducati 25 ad Alessandro Canciulli presente Mari, co’
quali avea parlato, e non seppero indicarne la ragione.
Solo il Giuseppe Micantoni spiegò, che chiese ad esso in impronto la suddetta somma, e siccome
Mari e Canciulli eran Mastri fabbricatori così gl’istruttori accorti, onde scorgerne per quale
oggetto era seguito quel pagamento, chiamato il genitore del defunto Canciulli, questi assicurò che
suo figlio da mesi precedenti aveva qui in Aquila dimorato, lavorando a Ciampella, Ciulina, ed
altri, e mai lavorato per conto del Cappa.
Considerando che carpita tale idea dalla difesa, e Cappa in latitanza allorché si trattava la causa
di altri imputati, il Caffettiere Giuseppe Micantoni spontaneamente volle soggiungere, che il Cappa
in quella sera della consegna del danaro parlava con Mari della perizia fatta nella Taverna, e che
era alterata.
Riconvenendo il Micantonio di questo fatto non manifestato, che toglieva il fastidio agl’istruttori di
esaminare altri, convenne di non averlo detto perché allora non lo rammentò, ond’è che venne
posto in esperimento.
Richiamato qualche giorno dopo contraddicendosi sostenne di a quel fatto agl’Istruttori
manifestato, ma che essi non vollero registrarlo perché formava un discarico, ed è perciò che
sorgendo sospetti di falsità venne rilasciato sotto obbligo di presentarsi ad ogni ordine.
L’altro caffettiere intanto sostenne senza aggiunzioni ciò che aveva deposto, solo a’ ripetuto nella
pubblica discussione, ove sostenendo sommamente che in quel rincontro non si parlò di fabbriche,
e che se ciò fosse seguito egli lo avrebbe avvertiti perché era nella medesima stanza, e poco
discosto dal germano, e dagli altri.
Ma sin di allora non fu il solo Giuseppe Micantoni a far tali aggiunzioni, poiché Massimo
Pancione, che avea riferito i discorsi, il contegno di Cappa nella sera degli 8 Sett., mentre era in
compagnia di Santacroce, Ciavola, ed altri, gratuitamente in quella prima pubblica discussione
asserì che pagando Alessandro Canciulli, Cappa lo rimproverasse di ritardare ancora i lavori
nella Taverna di Collepietro.
Considerando perciò che tutte tali assertive spontanee sin d’allora, ed ora anche aumentate dalla
recente doglianza del Cappa di aver perduto con Canciulli quella somma, e di aver fatto con questo
al Micantoni di aver parlato agl’Istruttori del motivo della consegna del denaro, che prima non
avea manifestato, risultano assertive […], e quindi non attendibili, anche perché risulta
inverosimile, che Canciulli si occupasse di lavori, o appalti di rifazione di una […] Taverna alla
distanza di 20 Miglia da questa residenza, e comunque provato, che uno che si disse chiamarsi
Luigi Mari in Aquila vi si fosse recato, ed avesse pur vista la Taverna, e che lavori vi fossero
eseguiti, ed in parte terminati appunto nel finire il mese di Agosto 1841, è certo che Alessandro
Canciulli mai vi si sia recato.
Considerando che sulla esibizione di alcuni fogli scritto, e sottoscritti dal Luigi Mari non sia
sfuggito alla Commissione Militare che secondo asseriscono il Tavernaro, la Moglie, e Nuora
(dipendenti del Cappa) Mari si recò colà nel mese di Aprile, ed infatti la perizia de’ lavori da farsi,
si vede datata a’ 2 Aprile 1841 in Collepietro, mentre che in un altro foglio che precede si parla di
notamenti fatti in Agosto 1841 epoca in cui non si è dimostrato che mari si recasse in Collepietro,
ed oltre a ciò in tali notamenti di lavori fatti in Agosto, e di perizia di quel che dovea farsi in Aprile
si rimarca che sono scritti sulla medesima carta, stesso colorito d’inchiostro, e medesima tiratura
di penna, ed anche al foglio 15 un’aggiunzione di ricevuta (dopo essersi il Luigi mari sottoscritto, e
dichiarato creditore di Ducati 18 e Grana 23) così espressa: più a’ 6 Settimane altri Ducati 25.
firma nuovamente Luigi Mari, ed in mezzo a tante spiattellate contraddizioni rimane perciò sempre
non provato che quella somma si fosse così con tanta urgenza pagata in una sera in un caffè fino a
farsi improntare dal Caffettiere il danaro, e che servisse per soddisfare il Canciulli che si vuole
socio con Mari di tanto appalto a 20 Miglia di distanza, e che esso Canciulli ricevé il danaro in un
Caffè a’ 5 Settembre, e mari non si sa dove ne segna la ricevuta a 6 Settembre, e finalmente risulta
sempre gratuita, e non provata l’assertiva che que’ notamenti sieno scritti, e sottoscritti dal
latitante condannato in contumacia Luigi Mari, onde è che deve ritenersi a buona ragione che per
tutt’altra causa al cospiratore Canciulli siasi pagata quella somma.
Sulla quinta posizione
Considerando che niuno a’ imputato a Cappa che quel danaro pagato a Scipione, o da altri veniva
sborsato di proprio.
Il Palesse diceva che Cappa aveva ricevuta anche una fede di credito di 300 o 400 Ducati, ciò che
deve far credere che da altra mano veniva il danaro (non essendosi potuto sul proposito penetrare
il tenebroso giro della Setta), e che Cappa come incapace di profittarne lo distribuisce, e da ciò ne
risulta che appunto non bramando sborsare altro numerario per proprio conto al sotterfugio
ricorresse in quel rincontro; ad esempio di tali ripieghi ne a’ dato il Cappa, poiché per impetrare
dall’Intendente dilazione per Pizzotti asserì una falsità, cioè che vi contrattava vendita di
Zafferano; che la procura segreta in Aquila alla Moglie in data 13 Sett. 1841 l’avesse formata in
Navelli coll’antidata; or dopo tali fatti, che sicuramente non rilevano l’uomo candido, e lindo come
presume, è ozioso d’intrattenersi di vantaggio su di altri rilievi su di tale posizione, e qui pur giova
rilevare, su di un’altra frazione di discarico, che anche a ripiego deve attribuirsi quelle parole
sprezzanti manifestate a D. Ignazio Antonelli contro del Pizzotti, poiché essendo conosciuto che
l’Antonelli sia ora avverso a’ rivoltosi era pur mestiere che col medesimo tenesse quel linguaggio.
Sulla sesta posizione
Considerando che pur gratuita è risultata l’assertiva della malattia del Germano in Navelli ne l’a’
potuto affiancare che colla pruova di aver ciò manifestato ad un testimone che lo incontrò a poca
distanza da questa Città, mentre che se ciò fosse stato vero in Navelli non mancavano Professori
che potevano attestare questo fatto, e perciò è a ritenersi che non per la pretesa malattia del
Germano da qui si allontanò, ma perché si era appartato […] appena perduta la speranza della
generale rivoluzione.
In fatti con un Intendente amico, circondato di tanti rapporti, di tante conoscenze, se sentivasi
innocente era quello il momento di reclamare; ed oltre a ciò le prime nozioni della di lui reità non
sorsero qui, presso della Polizia Ordinaria, che allora istruiva, e di cui vi è sempre capo il Sig.
Intendente, che dalle seconde e posteriori manifestazioni di Palesse de’ 16, e 19 Settembre, e dalla
dichiarazione della Fiorenza Colabattista a’ 21 del suddetto mese; prima di tali date nulla offre la
processura a di lui carico,e perciò ne risulta, che l’apparto a’ 14 Settembre come a’ asserito,
derivasse da rimorsi della coscienza, e dalla tema della meritata pena, poiché è a riflettersi pure
sul proposito che Palesse venne arrestato agli 11 Settembre.
Sulla settima posizione
Considerando che lo Scipione uno de’ più esaltati rivoltosi non poteva essendo tanto balordo a far
eco alle rivelazioni del Palese, e farsi sciente dalla premeditata rivoluzione, e perciò per trovarsi
d’accordo col suo interrogatorio adottò il contegno di negare di aver ricevuto quel danaro dal
Cappa, onde pagare le squadriglie, e se risulti vero quel che si è fatto deporre cioè che
passeggiando nella Cappella esprimesse a’ […] essere falso di aver ricevuto danaro, senza
nominare da chi, perché Palesse non poteva vederlo dalla finestra, questo fatto non si è mica
indicato dal Palesse, ma venne deposto da Fiorenza Colabattista nella pubblica discussione, per
cui è a conchiudersi che se vero sia che quel feroce rivoluzionario si fosse espresso in quel modo,
non proseguiva, che ne’ suoi mendaci.
Considerando che sull’assertiva che Scipione facesse mancare il pane alla famigli, specialmente
nella sera del 7 Sett., a’ provato solo che malamente l’alimentava, ma che esso mancasse di danaro
non mica, poiché è un fatto provato, ne’ impugnato dallo stesso Scipione allorché venne giudicato,
che appunto nel giorno 7 Sett. spedì in qualità di corriere Berardino Salmaggio alla Barete a
chiamare Luigi Di Muzio altro imputato in causa abilitato provvisoriamente, Comune non distante
da questa Città che scarse 10 Miglia, e per questo servizio, per notorio, da ricompensarsi tutto al
più con 3 o 4 Carlini, lo Scipione pagò il Salmaggio con 12 Carlini; se vero sia che faceva restare
in desco di pane la famiglia, è pur cosa certa che per l’andamento dalla rivoluzione profondeva
danaro.
Considerando che la difesa bene avvertendo l’importanza della dichiarazione di Fiorenza
Colabattista a’ cercato di atterrarla colla calunnia, indicandola come donzella che frequentava un
bordella, ma questa donna, che ferma nel manifestare il vero, e sprezzando tutto, è pur riuscita
pura dalla massima delle ingiurie, di cui voleva ricoprirsi, poiché avanti l’esaminarsi il discarico
interrogata se si recava in quella taverna, francamente asserì, che ciò praticava in ogni mattina per
andare a vestire la sua Zia moglie del Tavernaro, che è impedita a ciò fare perché storpia.
Su i tale posizione altro non è risultato, che in quella Taverna praticandovi una donna cognomi
nata Costanza, perché destava sospetti di perduti costumi, venne dalla Polizia allontanata; che in
quella Taverna che si voleva elevare a Bordello, non vi sia ombra di scandalo, ed i testimoni
esaminati nella loro coscienza han manifestato non aver sospetti ad elevare contro la Colabattista.
Considerando perciò che così analizzato un architettato discarico, nulla ne risulta di positivo, che
possa affievolire la pruova a carico, che anzi un ammasso di stentate assertive non provate, come si
desiderava, ed alcune provate che gli ritornano contro, e sopra di ogni altro la calunnia vibrata
contro di una oscura donzella onesta, che a’ avuto la fermezza di deporre, e nel processo scritto, e
due volte nella pubblica discussione sotto la santità del giuramento che essa vide consegnare il
danaro dal Cappa a Raffaele Scipione nel giorno 7 Sett. nella casa Palesse.
Considerando finalmente, ed in conchiusione, che la reità di questo accusato, ad onda di tanti
conati, onde affievolirla, è restata salda, poiché Palesse non si è dimostrato inimico del Cappa,
asserendo fatti così semplici, confirmati in una pubblica discussione, e fermamente in faccia
nientemeno che a 110 correi, e complici, circostanze di fatto, e dichiarazioni che montano tutta la
credenza benché sorgono da un correo, perché sono appoggiate dalla pura testimone Colabattista
da contatti che lo stesso Cappa avea col Sindaco Ciampella, ed altri faziosi, e principalmente
coll’Estero Carlo Emanuele Pizzotti fino ad implorare per lo stesso favori, asserendo falsità, non
che dall’apparto non giustificato appena venissero meno le speranze della sommossa
rivoluzionaria in altri luoghi.
Considerando d’altronde che tranne questa parte di pagatore della Setta, e di cospiratore
null’altro si è potuto verificare finora contro del Cappa, non potendo perciò ritenersi come un
principale promotore della cospirazione, e dell’attentato di Lesa Maestà, risulta perciò un
complice, che appartenendo alla Setta, abbia scientemente facilitato le azioni de’ ribelli, e con
cooperazione tale, che anche senza di essa i reati sarebbero avvenuti.
Sul conto di Francesco Antinossi
Considerando che questo accusato, oltre di essere stato altra volta imputato come cospiratore, era
dipendente del Sindaco Ciampella, e che si occupò nel giorno 6 Sett. di noleggiare un cavallo per
Antrodoco, ove allora stava il Ciampella, e poi di unita al Germano Innocenzo Latitante, richiese
anche a nome del Ciampella stesso una carrozza, onde andare colà rilevarlo, ed infatti venne
eseguito, poiché nella mattina degli 8 Sett. Ciampella fece qui ritorno.
Considerando che fu tra coloro che precedentemente si occupava di fare i cartucci, e specialmente
a fondere le palle in casa Palesse tanta scienza aveva della meditata rivoluzione.
Considerando che nella sera degli 8 stessa unito sempre a Ciampella, ed altri si occupò a riunir
gente, e portarla in casa Palesse; che dalla casa medesima armata di fucile uscì facendo parte
della pattuglia, che pugnò con la forza pubblica, uccise Nobilione, e ferì i Cacciatori di Linea.
Considerando che dopo ciò si recò a Porta Rivera colà si dolse di essere stato ferito, mostrando un
faccio letto legato al braccio, che seguì l’orda armata in Mammarella, ove si mostrò intrinseco di
Camillo Moscone, e del Cordarello, e colà replicò le doglianze di essere stato ferito.
Considerando che proseguendosi nella marcia in Collebrincione si dimostrò attivo sommamente
nella distribuzione de’ cibari chiesti, e per raccogliere la rispettiva tangente, onde pagare ciò che
si era mangiato.
Considerando che nel giorno 10 Sett. sempre nella speranza di rannodare la rivoluzione, di unita
ad altri marcati ribelli si recò nella Taverna di Civita di Bagno, e da colà la masnada si sciolse
all’apparire della Guardia Urbana sulla strada consolare che chiamata da Solmona si recava in
questa Città.
Considerando che da quell’epoca si rendette latitante; colla pruova a discarico a’ somministrata
quella che si aggirava col fratello Innocenzo, e con Berardino Salmaggio (poscia arrestato, ed indi
condannato) nelle vicinanze del Mulino de’ Signori Cannella.
Considerando che si recò poscia in Borgo Collefegato nel palazzo di Ciampella, e colà disse che il
padrone, volendo con ciò indicare il Ciampella, glielo aveva fatto fare, ed esso doveva pensarci, o
come altri vuole, che il padrone lo aveva fatto fa Carbonaro, sebbene ciò non siasi voluto
contestare dal testimone da cui partiva tale narrazione.
Considerando che dopo si marcata latitanza, si è presentato volontariamente, ed in faccia a tanta
pruova si appigliò al partito di asserire, che Canciulli, e Scipione l’avevano obbligato d’andare in
casa Palesse.
Considerando che tra le altre cose inconcludenti per provare tale violenza, di due testimoni
esaminati, e presenti allo stesso fatto uno dice che Scipione, e Canciulli l’andiedero a chiamare
nella casa ove diceva di aver dolore di denti, l’altra per favorirlo depose, che lo portarono via per
forza.
Considerando che ciò non merita la menoma attenzione del Magistrato, poiché la serie de’ fatti
marcati ben dimostra che dipendente del Capo della sommossa libero sempre, e armato agì per lo
scopo prefisso in tanti diversi luoghi.
Considerando perciò che avendo agito in dipendenza di altri, debba ritenersi come cospiratore con
attentato di Lesa Maestà, per aver scientemente assistiti, e facilitato gli autori con cooperazione
tale, che anche senza di essa i misfatti sarebbero avvenuti, non che come settario.
Considerando egualmente che ignorandosi per opera di chi fosse ferito a morte Nobilione, e feriti i
Cacciatori di Linea, deve ritenersi anche come complice in secondo grado in tali reati.
Sul conto di Ludovico Iovenitti
Considerando che questo imputato venne arrestato nello Stato Pontificio nella latitanza sotto il
finto nome di Ottavio Rossi di Sassa, e da quel Governo consegnato ond’essere giudicato.
Considerando che interrogato appena si appigliò alla nuda negativa, e che nel costituto poi asserì
che recandosi per suoi affari in Sassa fosse stato nelle vicinanze di Mammarella preso a forza da
persone incognite, e così obbligato a seguire la marcia de’ rivoltosi fino a Collebrincione.
Considerando che tra le cose di niun valore, che si sono deposte per di lui discarico, neanche è
riuscito a provare di essere stato violentato, ed anche che lo avesse provato le di lui azioni durante
la marcia si offrono tutte volontarie.
Considerando che le medesime risultano ben marcate, poiché si mostrò in Monticchio indi in
Mammarella armato cogli altri rivoltosi, e poscia in Collebrincione.
Considerando che specialmente in quest’ultimo Comune spiegò molta energia, ed era reputato
come un comandante, si occupò infatti di richiedere con insistenza le armi, domandando anche la
nota di coloro che le possedevano.
Considerando che oltre a ciò si occupò pure di distribuire il cibo a’ ribelli raccogliendo ciascuno
la rispettiva quota, e soddisfare che avea somministrato i generi.
Considerando perciò che tanto zelo impiegato ben lo dimostra settario, e cospiratore di Lesa
Maestà, ma sempre secondarie le di lui azioni in quest’ultimo reato lo indicano come un complice
che scientemente a’ assistito, e facilitato gli autori con cooperazione tale, che anche senza di essa il
misfatto sarebbe avvenuto.
Sul conto di Fiore Guetti
Considerando che il medesimo armato di sciabola seguì gli altri suoi concittadini Di Fabio,
Tarquinio, Piccinini, e Domenico Guetti ribelli già tutti condannati alla pena di anni 25 di ferri, e
seguì tutta la marcia in Onna, e Mammarella, e che poscia alle Tre Vasche si allontanò, e si ritirò
al paese.
Considerando che offrendosi chiara la pruova di tale marcia, dopo condannato anche in
contumacia nel presentarsi disse che da altri fu obbligato a seguire i ribelli dalla patria che è
appunto il Comune di Bazzano, ove si riunì la fazione de’ settari rivoltosi che lo portarono in Onna.
Considerando che con testimonianze a discarico anche da riputarsi di niun valore, lungi di provare
di essere stato coartato nella sera del di 8 Sett., a’ ottenuto che nella mattina del giorno 9 fu allora
che venne minacciato.
Considerando perciò che deve reputarsi come un settario che avendo agito di concorso con gli altri
correi nella cospirazione per un giorno stabilito per la rivoluzione, ed indi concorso nell’attentato
di Lesa maestà, come tale deve ritenersi, ma con complicità di 2° grado per aver scientemente
assistito, e facilitato gli autori principali.
Sul conto di Luigi Prosperini
Considerando che questo accusato nell’epoca del reato avea l’età di anni 17, mesi 6, e giorni 12.
Considerando che ciò non ostante fece parte de’ rivoltosi, poiché è restato pienamente provato che
nella sera degli 8 Sett. armato di fucile, patroncina, e stile, si mostrò cogli altri in Porta Rivera,
seguì la fazione in Mammarella, indi in Collebrincione e poscia sbandata la massa andò con altri
nella Taverna di Pile.
Considerando che è stato latitante per circa 11 mesi, ci si è presentato che dopo aver sentita la
mite condanna contumaciale per ragione dell’età.
Considerando che nell’interrogatorio asserì che a un’ora e mezza della sera degli 8 Sett. si bussò
alla porta della di lui stalla, che resta nell’interno della strada di S. Maria Cascinella, e Giovanni
Berardi alias l’arrotinello l’obbligò a marciare con minacce e violenze, e fu armato a Porta Rivera.
Considerando che onde secondare tale assertiva col discarico non è mancata la deposizione di una
dona, la quale a’ asserito che abitando nella strada Maestra nel Palazzo Carli, dalla finestra, che
non a’ visuale colla porta della stalla, vide venire dalla Strada di Sopra S. Margherita molte
persone unite, che credette sulle prime una pattuglia, le quali fermate innanzi il forno del genitore
del Prosperini udì sulle prime la voce di una persona che diceva di voler essere lasciata, poscia
alle replicate insistenze, ed allora riconobbe il Luigi, rimarcò che con violenza lo trascinavano
lungo la via che mena a Porta Rivera.
Considerando che non risulta attendibile tale violenza, e perché l’accusato dice essergli stata
bussata la porta della stalla, e da colà violentato, la testimone asserisce di aver rinvenuto la
violenza in altro punto, e di poi sarebbe strano il ritenere che cospiratori si accaniti avessero tanto
pressato per aver seco loro un giovinetto senza che prima fosse stato allistato nel criminoso
progetto della cospirazione, e della Setta.
Considerando che seguì la marcia de’ rivoltosi senza mai dolersi ed a Porta Rivera, ed a
Mammarella di essere stato violentato, ne manca in processo la pruova che altri che veramente
furono presi a forza fecero tali genuine manifestazioni.
Considerando che non risulta attendibile la pruova che dal perché di buon costume siasi mostrato
precedentemente non poteva poi essere stato sedotto, ed immischiarsi nella rivoluzione.
Considerando egualmente che se ad alcuni testimoni è piaciuto indicarlo non di mente elevata,
anche per la poca età, sotto di questo rapporto la Legge avendo l’accusato oltrepassato l’anno 14°
non impone la quistione sul discernimento, ma per l’art. 66 LL.PP. gli accorda una sensibile
minorazione di pena, e se in principale de’ ferri, la modera anche nel presidio.
Considerando per tutte le cose esposte che dovendosi reputare come settario, egualmente non come
autor principale, ma coma complice di 2° grado per gli altri reati.
Sul conto di D. Vincenzo Mancini
Considerando che sul conto dell’accusato la processura scritta ed orale a’ rilevato i seguenti
indizi:
1. Il trovarsi annotato ne’ registri di polizia come Settario, Cavalier di Tebe, e Patriarca
Europeo.
2. L’aver dichiarato Romualdo Palesse che le notizie per la Setta venivano somministrate dal
Mancini agli altri imputati nelle passeggiate dopo averle attinte da D. Pietro Marrelli.
3. Opinione di un testimone che reputava Mancini influente nella meditata rivoluzione.
4. L’essersi visto il Mancini una sola volta unito coll’Estero Pizzotti avanti ad un Caffè con
Ciampella, Marrelli, ed altri marcati rivoltosi.
5. L’aver deposto Fiorenza Colabattista che una sola volta avea visto il suddetto Mancini in
Casa Palesse discorrere in segreto.
6. L’aver manifestato il correo Geremia Di Mario d’aver saputo dal già condannato Filippo
Calore, che in Aquila erano alla direzione della rivolta il Sindaco Ciampella, D. Luigi
Falconi, D. Pietro Marrelli, D. Gregorio Calore,e D. Vincenzo Mancini, e ciò non per
cognizione positiva che ne avesse il suddetto Filippo Calore, ma per averglielo asserito il di
lui congiunto D. Gregorio Calore.
7. Che nel Caffè di Micantonio il Mancini unito con altri imputati mentre tra di loro
discorrevano e si avvicinava un giovine del Caffè il Mancini lo allontanasse chiamandolo
spia.
Considerando che gli esposti rilievi non risultano punto sufficienti a basare la convinzione contro
dell’accusato in tanti misfatti, non essendovi niuno positivo testimone che abbia deposto in fatto
che gli costasse direttamente, e che fosse criminoso.
Considerando che indifferenti sono risultate le di lui mosse udita appena la uccisione del
Comandante, che anzi trovandosi presso di una bottega pel Corso di questa Città prestò aiuto alle
figlie del Capitano Agri, che si trovavano in compagnia del marito, e si esibì di ricoverarle in sua
casa.
Considerando che in quella notte si chiuse in casa, ne si ammosse dalla famiglia, e dalle altre che
coabitano nello stesso Palazzo, ne diede alcun sospetto neanche ne’ giorni seguenti.
Sul conto di Francesco Magnante
Considerando che il medesimo era ligato in buona corrispondenza col famoso Camillo Moscone,
ed altri di lui seguaci.
Considerando che coll’interrogatorio no a’ negato di aver seguita la marcia col Moscone ma
asserendo di essere stato preso a forza da Raffaele Moscone, che pel braccio lo portava.
Considerando che un testimone lo porta a Mammarella, ed altri, che quivi affatto sia stato veduto.
Considerando che dal detto di probo testimone si a’ che questo accusato anche prima degli 8 Sett.
veniva reputato come uno de’ più marcati seguaci di Camillo Moscone, circostanza che altro probo
testimone a’ ritrattata in pubblica discussione.
Considerando che appena spuntato il giorno 9 Sett. fu visto da un testimone nella sua propria casa,
e che alle ore 6 circa della notte degli 8 Sett. venne da altri incontrato mentre nel paese si
restituiva.
Considerando per tali rilievi che dubbia rimane la reità dell’accusato.
Sul conto di Eusanio Masci ed Agostino Rubeis
Considerando che tali accusati vennero giudicati in contumacia, e condannati sulla pruova del
processo scritto di essersi cioè nel giorno 9 Sett. visti uniti ed armati di fucile seguirono D. Angelo
Pellegrini già condannato a’ ferri, dal Comune di Villa S. Angelo fino a quello di S. Eusanio e
propriamente nell’attigua contrada, ove il Pellegrini si sbandò co’ suoi senza altro operare, e
riunirsi al Capo rivoluzionario Camillo Moscone.
Considerando che fattisi presente in giudizio non negarono questo fatto, ma dichiararono, che
l’uno occupato ad arare, e l’altro a trasportar legna nel suddetto giorno 9 furono obbligati dal
suddetto D. Angelo Pellegrini a seguirlo, e che loro venissero dati fucili.
Considerando che han provato questo fatto di essere stati distratti dalle loro faccende, ed anche
con una certa violenza fisica a prendere le armi, violenza che risultava anche morale per la
imponenza di un galantuomo su di miseri travagliatori di campagna, ed il Rubeis a’ in fitto i
territori del Pellegrini.
Considerando che pure han provato di essere reputati uomini dabbene, e semplicissimi, ed a ciò si
aggiunge che niuna mossa si è verificata sul di loro conto ne nel giorno 8 Sett., ne nella notte, che
era il segnale stabilito per la rivoluzione.
Considerando che perciò, che non solamente dubbia risulta la di loro reità onde ritenersi come
autori, o complici di tanto misfatto, ma sorge chiara la presunzione d’innocenza null’altro
offrendosi che aver seguito un fazioso per poco, senza nulla operare, ne scienti affatto di ciò che si
doveva fare.
Considerando che giusta i precedenti giudicati non si è potuta ritenere per fazione quella del
Circondario di S. Demetrio, e tutti, tranne il Pellegrini già condannato, hanno ottenuto la libertà
assoluta.
Sul conto di Giuseppe Di Francesco
Considerando che il medesimo veniva investito dalla dichiarazione di Michele Scarsella, il quale
asseriva di averlo visto in casa di Romualdo Palesse nella notte degli 8 Sett..
Considerando che niun’altro di tanti riuniti colà lo a’ nominato.
Considerando che l’accusato nel sentirsi nominare da quest’unico nella pubblica discussione, a’
francamente asserito che gli sia inimico perché vi entrò in briga, e che sguainasse un coltello, onde
ferirlo, e lo Scarsella non a’ potuto negare questo fatto, negando la impugnazione del coltello, ma
convenendo di aver ricevuta una percossa dal Di Francesco.
Considerando che il suddetto Scarsella a’ avuto in causa altri germani, uno condannato a 25 anni
di ferri, e l’altro per deficienza di pruove posto in libertà provvisoria, ed anche esso stesso si
mostrò in casa Palesse, ond’è che non può arrestarsi la Commissione sulle di lui nude assertive,
anche sotto di tale rapporto, e principalmente per la provata inimicizia.
Considerando che il Di Francesco a’ provato che sia stato sempre tranquillo nel suo mestiere, ed
in questa Città, ne seppe la imputazione, che colla pubblicazione del giudizio contumaciale, ond’è
che volontariamente si è presentato in giudizio.
Considerando che il medesimo deve reputarsi innocente del reato di cui è stato accusato.
Per le di sopra citate considerazioni
La Commissione Militare alla unanimità dichiara constare
Che D. Giuseppe Cappa abbia commesso reato di associazione alla Setta “La Riforma della
Giovane Italia”, nonché misfatto di complicità nell’attentato di Lesa Maestà, e cospirazione contro
il Governo, onde rovesciarlo ed altro sostituirne, per avere scientemente facilitando gli autori nelle
azioni, con cooperazione tale, che anche senza di essa il misfatto sarebbe avvenuto.
Alla unanimità dichiara constare
Che Francesco Antinossi abbia commesso
• Misfatto di associazione alla suddetta Setta.
• Reato di attacco, e resistenza contro la forza pubblica, Cacciatori di Linea in servizio, Guardie
Doganali, e Cittadini legittimamente armati, e misfatto di complicità nell’omicidio del Sig.
Nobilione, e ferite nelle persone de’ Cacciatori di Linea per avere scientemente assistito gli
autori di tali reati, e con cooperazione tale, che anche senza di essa sarebbero stati commessi i
misfatti.
• Altro misfatto di complicità nella cospirazione, ed attentato di Lesa Maestà per rovesciare il
Governo, scientemente assistendo, e facilitando gli autori nelle azioni, con cooperazione tale,
che anche senza di essa sarebbe avvenuto tale misfatto.
Alla unanimità dichiara constare
Che Ludovico Iovenitti e Luigi Prosperini abbiano commesso
• Misfatto di associazione alla suddetta Setta.
• Altro misfatto di complicità nella cospirazione, ed attentato di Lesa Maestà per rovesciare il
Governo, scientemente assistendo, e facilitando gli autori nelle azioni, con cooperazione tale,
che anche senza di essa sarebbe avvenuto tale misfatto.
Alla maggioranza di 4 voti sopra di 2 dichiara constare
Che Fiore Guetti abbia commesso
• Misfatto di associazione alla suddetta Setta.
• Altro misfatto di complicità nella cospirazione, ed attentato di Lesa Maestà per rovesciare il
Governo, scientemente assistendo, e facilitando gli autori nelle azioni, con cooperazione tale,
che anche senza di essa sarebbe avvenuto tale misfatto.
Alla maggioranza di 4 voti sopra di 2 dichiara non constare
Che D. Vincenzo Mancini abbia commesso i reati de’ quali è stato accusato
Alla maggioranza di 5 voti sopra di 1 dichiara non constare
Che Francesco Magnante abbia commesso i reati de’ quali è stato accusato.
Alla unanimità dichiara non constare
Che Eusanio Masci, Agostino Rubeis, e Giuseppe Di Francesco abbiano commesso i reati de’
quali erano accusati.
La Commissione Militare
Condanna
1.
2.
3.
4.
5.
Ludovico Iovenitti alla pena di anni 30 di ferri nel Bagno
D. Giuseppe Cappa alla pena di anni 25 di ferri nel Bagno
Francesco Antinossi alla pena di anni 25 di ferri nel Bagno
Fiore Guetti alla pena di anni 25 di ferri nel Bagno
Luigi Prosperini alla pena di anni 13 di ferri nel Presidio
Ordina che
6. D. Vincenzo Mancini
7. Francesco Magnante
Si ponghino in istato di libertà provvisoria passandosi a cura del Commissario del Re a
disposizione della Polizia Generale.
Ordina infine che
8. Agostino Rubeis
9. Euanio Masci
10. Giuseppe Di Francesco
A cura del suddetto Commessario del Re siano posti in libertà