Prosegui - Comune di Beinasco
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7. La malaria Quando pensiamo al "buon tempo antico", ci configuriamo un ambiente in cui la fatica dell'uomo e la generale povertà sono mitigate da una natura integra: acqua e aria pure, vegetazione rigogliosa; un ambiente che non sa di inquinamenti insopportabili, di rumori assordanti, di nevrosi legate alla "civiltà del benessere". Le pochissime notizie ricavate dal libro di memorie di don Siro Ceruti cancellano l'idea fantastica di un idilliaco mondo perduto. A poco più di un secolo dalla peste del 1630 che spopola letteralmente Beinasco (il Perrachino, nella premessa alla "Causa della Comunità di Beynasco contro l'Illustrissima Città di Torino", 1664, tra l'altro annota: "Avanti il Contaggio erano in detto luogo cento, e più capi di casa e à causa di tal Contaggio e passaggi di Soldatesche... si è ridotto detto luogo oggidì ad otto capi di casa"), per le nostre contrade imperversa la malaria. In una nota non datata, ma presumibilmente anteriore al 1760, don Siro scrive: " Avendo patito questo luogo un rifluzzo durante tre anni di febri terzane, semplici e doppie, et quartane, e ciò sendosi attribuito al maceramento della canapa... si è racorso alla Camera... Doppo aver mandato sul luogo delegati per prendere le sommarie informationi, da detta Camera escì decretto, inibendo qualunque persona di mettere a macerar canapa nel Sangone... principiando dalle fini di Gunzole sino al di sotto la strada di Pinerolo che passa vicino alla Madona del Sangone". Trent'anni più tardi, in una delle sue ultime annotazioni, don Siro ricorda "Poiché il tumulo comune (il cimitero), sito fuori della Chiesa parochiale... e le sepolture in chiesa rendevano un fettore che amorbava cotesto luogo, e principalmente la casa parochiale, di modo che tutti li anni eravamo sogetti a febri terzane doppie... ", ecc. Non la macerazione della canapa, né il "fettore" (dovuto alla decomposizione dei cadaveri) che proviene dalla fossa comune posta a ridosso di San Giacomo Maggiore, ma la sicura presenza di acque stagnanti -- luogo ideale per lo sviluppo dell'anòfele, apportatrice della malaria -- é la causa unica del diffondersi della malattia tra la popolazione. Non esiste il benché minimo cenno su quanti tra i Beinaschesi sono colpiti dal suddetto "rifluzzo"; anche se i registri parrocchiali dei decessi non indicano la causa delle morti, si può fondatamente pensare che la malaria faccia non poche vittime tra gli abitanti del luogo. Infatti a metà '700 non esiste un rimedio efficace per debellare la malattia (il chinino come terapia contro la malaria troverà larga applicazione soltanto a partire dalla fine del secolo scorso); non si hanno notizie di lavori di bonifica delle zone acquitrinose lungo il Sangone (alcuni terreni prossimi al torrente sono di proprietà parrocchiale; don Siro, meticoloso nell'annotare tutte le entrate e le uscite che interessano San Giacomo Maggiore, avrebbe ricordato sicuramente le spese per la bonifica che riguardavano anche territotori di pertinenza della parrocchia). Così la popolazione resta nella plaga infestata e la malattia diventa endemica ("tutti li anni eravamo sogetti a febri terzane doppie..."). La "terzana" e la "quartana", di solito a decorso benigno, purché le persone colpite si allontanino dalle zone infette, possono diventare croniche, con effetti gravi, a causa delle possibili complicazioni. L'ignoranza sulle origini della malattia e la mancanza di una terapia efficace non possono non aver portato lutti nelle famiglie beinaschesi del tempo. Negli Stati delle anime del periodo considerato (1749-51) in pochi casi, accanto al nome del censito appaiono termini quali "fatuo", " Semifatuo", "muto". Se non esistono dubbi sul significato della parola "muto" (che sta per persona affetta da sordomutismo), il termine "fatuo" (nel senso di sciocco, vuoto, vano) indica, molto genericamente, soggetto ritardato e deficiente o con gravi disturbi psichici. Nella sola Beinasco-centro del 1751 le persone "fatue" sono 7, i "semifatui" 2 e altrettanti i muti (e su una popolazione di 459 anime, rappresentano all'incirca il 2,5% dei residenti); a causa della loro menomazione non possono accostarsi ai Sacramenti. Don Siro fa una sola eccezione: nell'elenco dei cresimandi del 1750, a proposito di un ragazzo muto, annota: " senza loquella, ma capacissimo di ragionare ", e lo include tra coloro che riceveranno la Cresima. I "fatui", nessuno dei quali lavora, sono sicuramente affetti da malattie gravi. La constatazione che si tratta in generale di giovani entro i 19 anni (unica eccezione: un uomo di 35 anni) potrebbe far ritenere che almeno alcuni tra i "fatui" sono affetti da mongolismo. I mongoloidi, poco resistenti alle infezioni e predisposti alle cardiopatie, di rado superano i 25 anni di età. 8. Luoghi dedicati al culto e compagnie. I luoghi dedicati al culto nella sola Beinasco-centro di meta '700 sono sicuramente sei: le chiese di San Giacomo Maggiore e di Santa Croce; le cappelle dedicate alla Madonna del Buon Consiglio, alla Madonna del Sangone, a San Sebastiano e a San Rocco. Secondo quanto scrive don Paolo Bertolino, autore di una Storia di Beinasco (Torino, 1960) "prima della chiesa parrocchiale, ora esistente, ve ne furono parecchie altre. Si premette che tutte le chiese parrocchiali occuparono lo stesso sito, benché avessero facciata e porta principale volte ad occidente... La più antica memoria della chiesa parrocchiale si ha dalla visita fatta dal vescovo di Lodi il 15 settembre 1538". Poiché il tempio rassomiglia piuttosto ad una stalla e minaccia rovina, il prelato ordina ai due sindaci rappresentanti la comunità la ricostruzione della parrocchia, sotto pena di 25 ducati d'oro. SAN GIACOMO: I due sindaci, Giacomo Merine e Amedeo De Merletti, prendono impegno e provvedono. La nuova chiesa, come risulta dalla visita del vescovo Peruzzi (agosto 1564), a meno di trent'anni dalla costuzione, già "minaccia rovina". Distrutta dai soldati francesi nel 1630 (purtroppo nell'incendio sono distrutti tutti i documenti che riguardano la comunità), al suo posto, verso il 1660 ne viene innalzata una terza su disegno del Planceri. "Eretta con fretta ed economia forzata", scrive ancora don Paolo Bertolino, "e per di più fondata sulle rovine di altre chiese, non presenta soverchia stabilità". Riparata nel 1728, la chiesa è demolita nel 1740. San Giacomo Maggiore, attuale parrocchia di Beinasco, è costruita tra il 1741 e il 1743 su disegno dell'architetto Tommaso Giovanni Pronotti, assistente di Filippo Juvarra nella costruzione della Palazzina di caccia di Stupinigi (1729). La chiesa ha una pianta a croce greca con ampio presbiterio e abside semicircolare. Le volte sono a botte verso l'ingresso, a crociera nella parte centrale e sopra il presbiterio, a semicatino sull'abside. A causa di numerose modifiche interne e di restauri, resi necessari da due incendi scoppiativi nel 1823 e 1886, all'interno della primitiva chiesa restano attualmente l'altar maggiore, l'altare della cappella del Sacro Cuore e parte dei pregevoli stucchi (opere di un certo Solaro, tra il 1743 e il 1760); il fonte battesimale; il dipinto su tela sopra l'altare del Sacro Cuore rappresentante la Madonna del Rosario con i santi Caterina e Domenico (di uno sconosciuto Curlando, al quale, don Siro corrisponde, per il lavoro svolto, 180 lire nel 1748); le due statue poste di fianco all'altare del Sacro Cuore: la Madonna con in braccio il Bambino (dello scultore Stefano Clementi) e San Giacomo Apostolo (di un certo monsù Nadetto, 1751); il pulpito con il sottostante confessionale degli scultori del legno Re e Rosso di Bruino (1733). La Confraternita di Santa Croce, di piazza Alfieri, è costruita nel 1750 al posto di una precedente eretta una ottantina di anni prima, demolita perché minacciava rovina. In una nota di don Siro della fine 1748 si legge: "(la chiesa di Santa Croce) si rende vieppiù irregolare per l'esercizio dei divini ufficj e come pure alcun tempo fa siasi scardinato un tratto di plafon con eccidio del Romita, serviente della Messa e quasi quasi dello stesso celebrante al quale solo lacerò di dosso la pianeta". Per il disegno si dà l'incarico a Bernardo Vittone, architetto, uno dei migliori allievi di Juvarra: la costruzione è realizzata in appena cinque mesi da due capomastri di Milano. "La chiesa --scrive Carlo Braida-- è un vano unico a forma di ottagono inserito in un ovale con volta a lunette... il presbiterio ed il coro, rettangolari, sono coperti rispettivamente da una volta a botte e da una a vela...La chiesa, benché vanti quale progettista un grande architetto, non riuscì come doveva, un'opera d'arte, perchè tale progetto fu malamente tradotto ed eseguito... ". La cappella della Madonna del Buon Consiglio, all'interno dell'asilo di via Maria Teresa Fornasio, è costruita nel 1756 per uso personale dell'allora proprietario del fabbricato, il conte Nomis di Villanova. Della Madonna del Sangone, di San Sebastiano e di San Rocco non si conoscono date di costruzione. Si presume tuttavia che siano state innalzate dai fedeli tra la fine del 1500 e del 1600. La Madonna del Sangone, a pochi passi dal torrente (alla sinistra del ponte, in direzione di Orbassano) era una piccola cappella, formata da due locali; più volte gravemente danneggiata dalle ricorrenti piene, è distrutta nella primavera del 1945 quando truppe tedesche in ritirata fanno brillare le mine sotto il ponte sul Sangone. Nella cappella, testimonia don Siro Ceruti in una nota del 1749, " si celebra di tanto in tanto la Messa nei giorni feriali e il dì della Natività di Maria". La cappella di San Sebastiano, forse la più antica di Beinasco, gravemente danneggiata dalle intemperie, e demolita in tempi recenti (1958) in occasione dell'ampliamento dell'attuale cimitero. La cappella di San Rocco si trovava in aperta campagna (a poche centinaia di metri dall'attuale campo sportivo, in direzione di Orbassano). Colpita durante un bombardamento aereo alla fine del 1942, è quasi completamente distrutta e non sarà più ricostruita. I santi Sebastiano e Rocco sono i protettori contro le epidemie in generale. Le cappelle loro dedicate erano poste in una posizione isolata rispetto all'allora centro abitato. Poiché era triste tradizione, soprattutto dell'Italia del Nord, che durante le pestilenze le persone infette venissero portate nelle cappelle dedicate ai due santi o nelle immediate vicinanze, non è da escludere che anche a Beinasco le due piccole costruzioni di San Sebastiano e San Rocco si siano trasformate in lazzaretto durante le epidemie di peste del 1599 e 1630. SANTA CROCE: L'attaccamento della comunità alla Chiesa e alle sue tradizioni religiose è molto forte: i Beinaschesi accorrono alle frequenti novene e alle processioni non soltanto in occasione delle maggiori solennità, ma anche per le feste dedicate ai santi più cari alla popolazione: san Giacomo, patrono del paese, san Rocco, san Sebastiano, sant'Antonio da Padova. L'intera comunità ha l'obbligo di provvedere alla manutenzione e alle riparazioni della parrocchia; fornisce le candele per l'illuminazione e l'olio per le lampade votive; concorre, secondo le proprie possibilità, alla colletta del grano a favore della parrocchia che provvederà a distribuirlo ai poveri. A metà '700 ci sono ia Beinasco-centro tre compagnie religiose (del Ss. Sacramento, del Rosario, del Corpus Domini) e la confraternita di Santa Croce (la quale, fin dal 1664, dispone di una chiesa propria). Ne fa menzione don Siro citando alcune consuetudini in vigore al momento del suo ingresso in Beinasco (3 giugno 1748): "(Per la compagnia del Rosario) il parroco è tenuto cantare una Messa la prima Domenica d'oggi mese all'altare d'essa Compagnia, recitare al vespro il Rosario, far la processione...". "La compagnia del Ss.mo Sacramento paga L. 16 attualmente... il parroco canta tutti i mesi una messa la terza Domenica, fa la procezione e da la Benditione, come pure fa le fonzioni del corpo del Signore...", ecc. ecc. Delle sopracitate associazioni religiose, tutte rette da laici, attualmente resta in vita soltanto Santa Croce. Nata oltre quattro secoli e mezzo fa, imponeva ai numerosissimi iscritti del tempo alcune regole (Regolamento del 1717): intervenire ad alcune funzioni religiose, visitare gli infermi; segnalare ai "Priori" laici (responsabili della compagnia) le condizioni di disagio dei Beinaschesi più bisognosi. La compagnia ha un reddito annuo di 18 sacchi di grano e di segala, distribuiti agli anziani e ai poveri. Nel 1749 i confratelli di S. Croce chiamano il Vittone per la nuova chiesa che faranno erigere a proprie spese l'anno successivo. A pochi anni di distanza i confratelli costruiranno anche, a fianco della loro chiesa, una casa per adunanze (i Beinaschesi non più giovanissimi ricorderanno quell'edificio, adibito in tempi recenti a locale caserma dei carabinieri, abbattuto per far posto alla nuova sezione dei vigili urbani su viale Cavour). Gli ampi locali della casa dei confratelli di S. Croce accoglieranno, verso il 1770, una scuola, retta da insegnanti religiosi, per i soli bambini del paese (a quel tempo si riteneva che per le bambine la pur semplice istruzione elementare fosse inutile o superflua). Note Ricerche storiche di Domenico Colombo. Le ricerche sono state effettuate su documenti originali presenti nell'archivio della Parrocchia di San Giacomo Apostolo di Beinasco e pubblicati sul giornale parrocchiale "L'Incontro" nell'anno 1981.