Aver cura dell`ora di teatro. Cooperazione tra insegnanti e operatori

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Aver cura dell`ora di teatro. Cooperazione tra insegnanti e operatori
Teatro Due Mondi
Comune di Faenza - Assessorato alla Cultura
con il contributo della
Fondazione Banca del Monte e Cassa di Risparmio di Faenza
AVER CURA
DELL’ORA DI TEATRO
COOPERAZIONE TRA INSEGNANTI E OPERATORI/TRICI
Relazione di supervisione al lavoro dei laboratori teatrali
nella Scuola dell’Infanzia e Scuola Primaria a Faenza
(Progetto teatro-scuola 2007-2008)
a cura di
Roberta Gandolfi
Fondazione Banca del Monte e C
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A conclusione del Progetto teatro-scuola 2007-2008, martedì 8 e giovedì 10
aprile 2008, si sono svolti i consueti scambi di lavoro tra i laboratori teatrali
attivati nelle Scuole dell’Infanzia e Primarie della città. Agli incontri ha assistito,
con compiti di supervisione, Roberta Gandolfi, a cui era stato richiesto di
focalizzare in particolar modo la questione del rapporto tra insegnanti e
operatori teatrali.
Chiunque senta la necessità di approfondire gli argomenti trattati può riferirsi
alla nostra Associazione, come alla relatrice stessa.
N.B. Le schede descrittive dei singoli laboratori a cui si fa concretamente
riferimento nel testo sono riportate in appendice.
Roberta Gandolfi ([email protected]) è Ricercatrice presso
l'Università di Parma, dove insegna Storia del teatro
contemporaneo. E' autrice di saggi e studi sullo spettacolo del
Novecento, riguardanti in particolare la regia teatrale, e
l'intreccio fra pratiche teatrali e storia delle donne. Si occupa
anche di teatro sociale e di pedagogia teatrale, in collaborazione
con realtà universitarie e artistiche: oltre alla collaborazione con
il Teatro Due Mondi di Faenza, negli ultimi anni ha curato il
progetto di pedagogia teatrale per le scuole primarie del Comune
di Cento per conto del Centro Teatro Universitario di Ferrara
(2006); ha condotto corsi teorico-pratici di aggiornamento sul
teatro, per gli insegnanti delle scuole primarie e secondarie,
insieme a Stefania Erriquez; da quest'anno coordina i laboratori
del Centro Teatro Universitario di Parma rivolti agli studenti
universitari.
tel. 0546 622999, mail [email protected], web
www.teatroduemondi.it
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«Nei laboratori di movimento coi bambini insegno ad
aver cura del piede, che mi sorregge; aver cura del
ginocchio, che si piega e mi fa camminare. La
pregnanza e gli echi dell’ora di teatro, la maniera in
cui l’esperienza attecchisce, cambiano anche a
seconda di quanto ci si prende cura di quella stessa
esperienza. Senza cura, poco attecchisce».
Vania Bertozzi, operatrice teatrale
I quattro scambi di lavoro fra scuole dell’infanzia e elementari che hanno
concluso, come d’abitudine, i laboratori teatrali offerti dal Teatro Due Mondi
alle scuole di Faenza, sono stati affiancati quest’anno da altrettanti rapidi ma
intensi incontri di valutazione, per sondare, a esperienza conclusa, le forme, i
problemi e la qualità dell’interazione avvenuta. L’obiettivo era quello di
soffermarsi in modo particolare sulle potenzialità e i limiti dell’interazione
reciproca fra i due soggetti adulti di questa pratica, gli operatori/ici e le
insegnanti (più che soffermarsi sul rapporto coi bambini).
Qui di seguito si cerca di rendere conto dei temi e nodi emersi durante questi
veloci sondaggi e di proporre alcuni spunti di riflessione.
Negoziare obiettivi e aspettative
Come si parte?
Ovvio e noto a tutti è il fatto che i laboratori di teatro nascono da richiesta
dell’insegnante/i rispetto a obiettivi specifici: è anzi prassi consolidata e positiva
della relazione fra Teatro Due Mondi e istituzioni scolastiche partire dalle
richieste e dagli obiettivi delle maestre per proporre l’operatore e il tipo di
laboratorio.
Così ad esempio, per quanto riguarda i laboratori di quest’anno:
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Scuola dell’infanzia Dente di leone. Le maestre hanno chiesto che
entrambi i laboratori lavorassero sull’arte e il colore, filo conduttore della
programmazione didattica di quest’anno per tutta la scuola.
Scuola dell’infanzia Arcobaleno. Qui hanno richiesto una cornice
narrativa che riguardasse il mare, tema conduttore della progettazione
annuale.
Scuola dell’infanzia Girasole. Più che relativa alla progettazione
didattica, la richiesta e l’aspettativa della maestra riguardava il fatto che l’ora
di teatro aiutasse le dinamiche relazionali di micro-comunità all’interno di
una classe obiettivamente difficile, con forte tendenza centrifuga, costruendo
corpo comune, interazione costruttiva, attenzione e concentrazione.
Scuola elementare De Amicis. Le classi coinvolte erano quattro,
tutte avevano già fatto teatro l’anno precedente ma con diversi operatori/ici.
Le richieste delle insegnanti si sono differenziate classe per classe: la
maestra della terza chiedeva di mettere in gioco un terreno di esperienza
riguardante la lettura a voce alta, l’uso della voce, l’espressione orale; quella
delle seconde voleva, per la sue classi, un lavoro sulle emozioni; la maestra
della quarta aveva chiesto un lavoro che tematizzasse le questioni della
diversità, in relazione a una classe che stava accogliendo un bambino
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straniero e ha un paio di casi di bambini certificati. Nella quinta infine,
seguendo i desideri dei bambini, si voleva sperimentare il teatro nella sua
dimensione più formalizzata, di recitazione e rappresentazione; si voleva
lavorare sulla storia di Giulietta e Romeo, che entusiasmava le bambine; al
contempo si puntava sul teatro, come già gli anni precedenti, come momento
prezioso di integrazione e espressione per i bambini portatori di handicap.
Questi brevi appunti servono a ricordare che in genere le aspettative rispetto al
laboratorio teatro si dispongono lungo un arco di obiettivi che vanno:
dal versante estetico-espressivo: sviluppare e esprimere competenze e risorse di
immaginazione e narrazione, di espressione corporea e emotiva, tramite il
metodo cooperativo che è proprio del teatro,
al versante sociale-relazionale: creare integrazione, gruppo, aiutare la realtà
multiculturale delle classi, sviluppare le competenze relazionali, le attitudini di
concentrazione e attenzione collettiva, nella direzione del corpo comune: perché
il teatro senza dubbio “fa comunità” (cfr. Claudio Bernardi, Il teatro sociale,
Roma, Carocci, 2004), contribuisce a sviluppare un’etica di gruppo, uno spirito
cooperativo.
La co-presenza di questi due tipi di aspettative, da parte delle insegnanti, è un
dato di fatto che dovrebbe essere tenuto presente con molta chiarezza anche
dagli operatori/ici: è bene argomentarlo, venirvi incontro, negoziarlo.
Ho notato infatti nel corso di questi incontri, che le insegnanti possono essere
positivamente spiazzate sul piano dei risultati estetico-espressivi (sono pronte ad
accettare e notare esiti e sbocchi e acquisizioni di competenze anche diverse da
quelle che si erano immaginate) ma maturano invece una certa delusione se il
teatro non mostra la sua efficacia sociale-relazionale. Nelle scuole elementari, in
particolare, le aspettative a questo livello sono più profonde e radicate, e sono
anche la spia di un disagio tutto contemporaneo dell’insegnante di fronte ai
problemi di socializzazione e ‘disciplina’ dei bambini di oggi (come dice senza
mezzi termini una insegnante della elementare De Amicis al termine del nostro
incontro: “Ah, se il teatro ci potesse insegnare come creare gruppo e mantenere
e attivare l’attenzione nella classe!”).
Come si procede?
Dopo la mediazione iniziale fornita dal Teatro Due Mondi, sono l’ insegnante e
l’operatore/ice a trovarsi faccia a faccia e nella concretezza degli incontri di
lavoro e ad esplicitare e mediare le loro richieste, aspettative, proposte.
Il piccolo sondaggio svolto mostra che in genere impostare la relazione
all’inizio del laboratorio non basta. Non è raro che si creino dall’una o dall’altra
parte difficoltà, dubbi o perplessità:
l’operatore/ice in genere si aspetta qualche forma di
accompagnamento e sostegno da parte della scuola. Quando questo non
avviene, tende a sentirsi sola e a stancarsi di più. E’ il caso di Vania Bertozzi
alle scuole d’infanzia Dente di leone e di Cristina Ghinassi alla scuola
d’infanzia Girasole.
l’insegnante può veder deluse alcune aspettative riguardanti
appunto, di frequente, l’efficacia social-relazionale dell’esperienza che si sta
portando avanti. Una maestra della quinta elementare De Amicis, dopo aver
espresso con umiltà la crescente delusione perché uno dei bimbi certificati
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della classe quest’anno è rimasto esterno ed estraneo all’attività
laboratoriale, ha esclamato: “Ma noi in fondo il laboratorio di teatro lo
facevamo per lui!!!” La reazione dell’operatore è stata emblematica di una
mancata comunicazione reciproca: “Ah, a saperlo!”
Sembrerà un’ovvietà, ma il bilancio di ‘soddisfazione reciproca’ tende a essere
più positivo, là dove questi dubbi sono stati esplicitati e espressi nel corso
dell’esperienza, dove insomma l’interazione insegnante/operatore/ice è stata più
forte.
Non sempre però questo avviene: non è facile legittimarsi delusioni o difficoltà.
L’insegnante può pensare di aver sbagliato la richiesta iniziale (“se mi stava così
a cuore l’integrazione del bambino portatore di handicap, ho sbagliato a
richiedere un laboratorio incentrato classicamente sulla
recitazione e
l’impersonificazione”); l’operatrice lasciata sola può pensare che il relativo
abbandono non dipenda da cattiva volontà, ma da condizioni strutturali di
programmazione didattica; nell’uno e nell’altro caso, si tende a pensare dunque
che sia inutile o che non valga la pena esprimere disagi, delusioni, difficoltà.
Queste percezioni, giuste o sbagliate che siano, spingono a un ritiro dal quadro
dialogico, sostengono e segnalano una cooperazione mancata. L’esperienza è
portata a termine, dà comunque alcuni frutti e risultati, ma nel bilancio di tutti,
rimane il dubbio che “magari un altro modo era possibile”.
Qui di seguito riporto allora alcune riflessioni attorno alle cure possibili, ispirate
dai nostri incontri, intercalandole con il racconto di buone tattiche di
cooperazione messe a frutto in alcuni laboratori; è un modo per indicare
strategie possibili, e adattabili, di interazione e di cura.
Le forme della cura
Forme di cura efficaci dell’ora di teatro presuppongono idealmente tre livelli di
azione:
1) la presenza di almeno una insegnante durante l’ora di teatro;
2)
un momento di dialogo, scambio e feed-back
fra insegnanti e
operatori/ici, successivo all’ora di teatro, a carattere formale o informale, che
valuta l’andamento e eventualmente negozia e riformula problemi, limiti,
obiettivi;
3)
la costante rielaborazione coi bambini delle esperienze vissute durante
l’ora di teatro, svolta in classe posteriormente agli incontri laboratoriali, e
condotta dalla/dalle insegnanti (nelle forme della simbolizzazione narrativa o
figurativa, col disegno o col linguaggio scritto o orale…)
E’ importante notare che i tre livelli di cura si implicano a vicenda: in
particolare, la mancanza del primo (presenza dell’insegnante all’ora di teatro)
pregiudica la possibilità d’azione sui piani successivi.
Nel laboratorio condotto presso la scuola Dente di Leone, con i bambini della
sezione B, le insegnanti sono riuscite ad essere presenti solo al primo e
all’ultimo incontro: loro stesse esplicitano la grossa difficoltà incontrata nel
guidare poi in classe le attività di simbolizzazione e ricomprensione
dell’esperienza, che pure hanno voluto condurre (“dovevamo ricostruire quanto
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avvenuto solo tramite i bambini”). L’operatrice da parte sua nota nei bambini, ad
ogni incontro, una carente memorizzazione delle attività svolte nel precedente
incontro, e la attribuisce anche proprio alla difficile conduzione del livello tre
(c’è da aggiungere che le rielaborazioni strutturate sono state discontinue anche
per il fitto programma di attività extra-curriculari previste per questa classe).
E’ possibile suggerire, a partire da questo caso, che i problemi di organizzazione
oraria, che spesso pregiudicano, alle materne, la possibilità di seguire l’ora di
teatro, potrebbero forse essere presi in considerazione dalle scuole fin dal
momento di programmare il laboratorio teatrale.
Livello uno: quale postura tenere durante l’ora di teatro?
Quando l’insegnante è presente all’ora di teatro, quale postura conviene tenere?
Gli scambi e le considerazioni emerse durante gli incontri a Faenza mi portano
alle seguenti considerazioni: la postura tenuta dalla/dalle insegnanti varia molto
da laboratorio a laboratorio, secondo una gamma di possibilità che va
dall’osservazione alla partecipazione: dalla possibilità di una osservazione
strutturata, come nel caso dell’insegnante della IV, elementare De Amicis
(laboratorio 8, cfr. più avanti alla voce “Programmare il dialogo e il feed-back
costante”); alla possibilità di una partecipazione attiva e creativa, come nel caso
dell’insegnante di sostegno della scuola d’infanzia Arcobaleno, che ha suonato
la chitarra e inventato una canzone insieme ai bambini e all’operatrice (cfr. la
scheda del laboratorio due). In mezzo c’è tutta una gamma di possibilità:
supporto all’operatrice, aiuto indirizzato esclusivamente a contenere la
confusione, ecc. Mi sono convinta che non c’è una strada privilegiata: gli stessi
operatori esprimono considerazioni differenti in merito al tipo di postura, di
aiuto, di coinvolgimento che desiderano/non desiderano da parte
dell’insegnante; è di nuovo dall’interazione fra singolo insegnante e singolo
operatore/ice che può nascere una forma costruttiva di presenza. Possiamo anche
formulare un breve schema astratto dei vantaggi e delle potenzialità delle
diverse posture (lo allego alla fine di queste pagine), ma è soprattutto importante
rimarcare che gli operatori sono concordi nell’indicare ciò che danneggia il
laboratorio: la non presenza degli insegnanti e la presenza distratta (esserci e
fare altro, dalle chiacchiere con le colleghe alla correzione dei compiti) o
sanzionatoria (che blocca di fatto l’esplorazione e interazione libera dei
bambini). Queste posture andrebbero certamente evitate.
E’ possibile rimediare alla mancanza di presenza all’ora di teatro?
Ove non sia davvero possibile esser presenti, è certo bene cercare rimedi:
così le maestre del laboratorio 1 (scuola d’infanzia Dente di Leone)
hanno chiesto all’operatrice di compilare ogni volta una scheda che
relazionasse sull’attività svolta, scheda da loro utilizzata come punto di
riferimento per condurre le attività di rielaborazione del vissuto dei bambini
(ma per loro stessa ammissione questo strumento non è riuscito a sostituire
l’osservazione diretta.)
La maestra del laboratorio 2 (scuola d’infanzia Arcobaleno) che era
presente usualmente solo durante una piccola parte dell’ora di teatro – ma
una sua collega, insegnante di sostegno, vi partecipava attivamente e a
tempo pieno – ha rimediato facendosi raccontare ogni volta a voce
dall’operatrice cosa aveva fatto. L’interazione verbale, dal vivo, può in parte
sopperire all’assenza.
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Livello due: ma il dialogo e il feedback come si impostano, quando e perché?
Esempi di buone pratiche
Programmare il dialogo e il feed-back costante. Giovanna Brondino, che ha
condotto il laboratorio 8 (classe quarta, scuola elementare De Amicis) propone
all’insegnante con cui collabora di tenere durante ogni incontro un diario,
secondo una griglia da lei stessa fornita, una scheda di osservazione aperta
(contiene quattro campi: descrizione delle attività, atteggiamenti dei destinatari,
risposta alle consegne, pensieri ed emozioni dell’osservatrice). Si tratta, come
spiega l’operatrice, di uno strumento messo a punto grazie alla pratica
accumulata in altri campi lavorativi, aventi a che fare con la mediazione sociale,
che prevedono costitutivamente forme di restituzione/valutazione. Questo
strumento, che invita metodicamente all’osservazione e all’autosservazione (e
dunque conduce a esplicitare eventuali perplessità, dubbi, delusioni), può
davvero portare a buone e positive sorprese: la stessa insegnante rivela il piacere
di esser svincolata dalla conduzione della classe, e di focalizzare l’attenzione sui
bambini in posizione esterna, notando così una serie di dinamiche impreviste.
Le schede dell’insegnante diventano poi la base del dialogo con l’ operatrice.
Ovviamente un approccio di questo genere, che richiede un lavoro
supplementare da parte dell’insegnante, non può essere imposto ma solo
proposto, ma ha il vantaggio di stimolare un’interazione aperta, cooperativa, e
denota un deciso registro di cura dell’esperienza.
Ricorrere al confronto, al dialogo, alla negoziazione quando sorgono perplessità
e dubbi sull’efficacia e la piega del lavoro svolto. Durante la lezione aperta del
laboratorio 2 ho notato un forte e positivo grado di cooperazione delle insegnanti
(cfr. la scheda relativa alla scuola d’infanzia Arcobaleno): è stata una sorpresa
realizzare poi, nell’incontro svolto dopo, che si trattava di uno sbocco positivo
ma non scontato, di una relazione fra operatrice e maestre che aveva anche avuto
momenti critici.
La maestra aveva constatato alcuni problemi e aveva sentito la necessità di
intervenire e dialogare apertamente con: “ho visto che l’operatrice aveva più
difficoltà con i bambini di tre anni e mi sono permessa di suggerirle come
raccogliere la loro attenzione, che a quest’età è per forza assai discontinua, e il
modo in cui poterlo fare, la necessità di richiamarli e riprenderli, e di tarare la
proposta narrativa a loro misura.” Ascoltare/accettare le critiche è premessa di
una buona evoluzione del confronto: l’operatrice ne è stata capace, ma non solo
per doti caratteriali, ma anche grazie alla base su cui si è impostato il dialogo: è
stato chiaro durante l’incontro che le due si sono in qualche modo accordate su
un registro comunicativo di rispetto reciproco, riconoscendosi a vicenda un
diritto di non invadenza nei rispettivi campi di competenza: la maestra non è
intervenuta sulla pertinenza degli strumenti teatrali proposti, l’operatrice ha
riconosciuto la maggior competenza della maestra circa lo sviluppo
psicologico/cognitivo dei bambini. Queste premesse di dialogo hanno permesso
di cambiare nel corso del lavoro alcune modalità e proposte, con buona
soddisfazione di tutti/e.
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Utilizzare strumenti e figure di mediazione. I laboratori di Faenza, per il modo in
cui sono strutturati, hanno di fatto a disposizione un mediatore nella figura del
Teatro Due Mondi, e nella persona di Alessandro Gentili. E’ una risorsa
importante cui sia insegnanti che operatori possono certamente ricorrere
contando su una mediazione discreta e competente, anche per la conoscenza di
lunga data dei singoli contesti e delle situazioni scolastiche, data da anni di
lavoro sul territorio.
Ancora altre forme di cura: luoghi e spazi
Gli appunti proposti non esauriscono certo la gamma dei discorsi e delle
considerazioni emerse dagli incontri di valutazione. Voglio almeno segnalare,
sulla scia delle riflessioni dell’operatore Danilo Conti, un ulteriore livello di
cura, riguardante il luogo in cui si svolge il laboratorio.
Il laboratorio da lui svolto con la classe V delle Elementari De Amicis era
programmato per il lunedì mattina, ma lo spazio della palestra scolastica, usato
anche dagli altri laboratori, il lunedì era molto freddo (il week-end ovviamente
era chiuso il riscaldamento); così si è ripiegato sulla soluzione del lavoro in
classe, con ovvie e immaginabili ripercussioni negative per quanto riguarda le
possibilità di movimento e di esercizio teatrale.
Anche qui pare il caso di suggerire di non arrendersi troppo presto alle
condizioni ‘strutturali’ (spazi a disposizione, esigenze di programmazione, ecc.),
e di valutare insieme se non sia possibile aggirarle e risolverle evitando
soluzioni di ripiego che de-potenziano gli esiti dell’ora di teatro: non sempre
questo è possibile, ma forse qualche volta sì…
E infine: un breve pro-memoria. Come esser presenti all’ora di teatro?
Riallacciandomi alle considerazioni espresse sopra a riguardo del livello uno, vi
propongo un breve e schematico promemoria riguardante i tre tipi di posture
praticabili dall’insegnante durante l’ora di teatro: delega, partecipazione,
osservazione. Vediamo in astratto i pro e i contro (vantaggi e rischi) di ognuna:
Delega
La delega dell’insegnante all’operatore/ice si traduce nel non esser presente
durante l’ora di teatro (come spesso avviene nelle materne per motivi strutturali)
o nell’esser presenti ma dedicarsi ad altro (chiacchierare con colleghe, leggere o
correggere compiti, portarsi avanti con altre attività). Sono posture distruttive
che mettono a rischio il laboratorio: perché la maestra rispetto ai bambini non è
mai neutra, agisce da vettore di attenzione o disattenzione rispetto al lavoro
teatrale.
Partecipazione
Vantaggi e potenzialità
Tiene conto del legittimo desiderio di attivazione dell’insegnante.
Convoglia l’interesse dei bambini.
Libera nuove e diverse potenzialità del rapporto fra l’insegnante
e la sua classe.
Svantaggi e rischi
Il desiderio di partecipazione può essere male investito perché
può togliere spazio ai bambini.
Si rischia di portare dentro all’ora di teatro il quotidiano
scolastico, i ruoli e le sanzioni. E’ invece importante che il teatro apra un
diverso spazio di relazione!
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L’insegnante rischia di fare l’assistente dell’operatore
intepretandone magari male compiti e stili.
Osservazione
Vantaggi e potenzialità
L’insegnante funziona da vettore d’attenzione verso il lavoro
teatrale: agisce positivamente sui bambini perché lo valorizza.
Prelude a un costruttivo feed-back con l’operatore.
Non esclude la possibilità di una partecipazione ‘leggera’ (ad es.
ai rituali di apertura e chiusura dell’ora teatrale).
Svantaggi e rischi
I bambini/e possono intimorirsi di fronte all'insegnanteosservatrice – che magari prende appunti – sentendosi guardati e giudicati
(ma come nell'osservazione partecipante che si usa fare in campo
etnografico, la maestra può forse negoziare e esplicitare il suo ruolo con i
bambini, spiegando ad esempio che scrive e osserva per fare un diario e
avere memoria dell'esperienza comune…).
C'è certamente un rischio di noia nella postura dell'osservazione
(anche per questo le maestre tendono a partecipare più ai primi incontri e
meno agli ultimi). Può essere in parte controbilanciato se all'osservazione
segue sempre un momento di relazione e dialogo con l'operatore,
l'insegnante sa così di non aver osservato soltanto per se stessa.
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GLI SCAMBI DI LAVORO DI FAENZA:
SCHEDE DESCRITTIVE DEI LABORATORI NELLA SCUOLA DELL’INFANZIA
Laboratorio 1 – Scuola dell’infanzia Dente di Leone, sezione B
Insegnanti Loredana Barlotti e Vilma Murrone, operatrice Vania Bertozzi
Incontro dell’otto aprile mattina – Casa del Teatro
Titolo del progetto: Colori e natura
Organizzazione e uso dello spazio. Tutti i bambini si siedono insieme alle maestre sul fondo
della sala, costituendo un gruppo di osservatori frontale a quello degli altri bimbi spettatori. I
bambini che lavorano si staccano da questo gruppo, venendo a sedersi al centro dello spazio
scenico, in cerchio o in fila. L’avvicendamento fra un gruppo e l’ altro non è molto fluido.
Lezione aperta. Agiscono tre diversi gruppi suddivisi per fasce d’età, secondo la modalità
adottata in fase laboratoriale. I giochi e le attività esplorano il gesto e il movimento corporeo,
in una dimensione tesa alla percezione e conoscenza di sé e del proprio corpo, in relazione
allo spazio, a un oggetto e agli altri bambini. Il primo gruppo dei tre anni, seduto in cerchio e
lavorando a specchio con l’operatrice, di cui ripete i movimenti, sviluppa un semplice e
efficace riscaldamento delle diverse parti del corpo, prima in posizione seduta, poi in
ginocchio, quindi carponi, infine in piedi. Segue un lavoro individuale con foulard trasparenti
di diversi colori: su indicazione dell’operatrice, i bimbi provano a tenerli in testa, poi a
passeggiare coi loro foulard, quindi a stenderli a terra, sdraiarvici e rotolarvi sopra, infine a
lanciarli in aria. Altre attività con i foulard sono esplorate dal gruppo dei cinque anni, che ha
memorizzato brevi sequenze e modalità individuali e di piccolo gruppo di relazione
all’oggetto-foulard, e ce le mostra in successione. L’ultimo gruppo, ancora dei tre anni,
esplora invece le possibilità del movimento a terra divertendosi a rotolare avanti indietro in
posizione supina, agganciati per le mani a due a due, sperimentando così la sintonia dei due
corpi che formano un’unica figura dinamica.
Oggetti. I foulard colorati dalla texture leggera sono oggetti al contempo evocativi, magici
(stimolano l’immaginazione e sono piacevoli al tocco e alla vista) e sufficientemente “neutri”
e trasformabili, perché si prestano a varie possibilità manipolative e immaginative
funzionando bene come partner di relazione per l’attività psico-motoria.
Musica. Brani di musica etnica sono usati frequentemente, a volume alto, per scandire gli
esercizi e le attività, colorandole di un’ atmosfera sonora. L’intenzione è probabilmente quella
di associare all’attività corporea una dimensione di ascolto e immaginativa, che favorisca la
concentrazione, però nel contesto della dimostrazione di lavoro davanti ad altri bambini, la
musica risulta un’operazione aggiuntiva che l’operatrice deve delegare alla persona alla
centralina, creando una certa dispersione.
Ruolo dell’operatrice. Molto concentrata sulla conduzione delle attività, forse dimentica o
trascura la ricerca di relazione con il pubblico degli spettatori.
Ruolo delle insegnanti. Cercano di mantenere la calma fra i bimbi che momentaneamente
non lavorano, o corrono in aiuto dell’operatrice, su richiesta, in momenti di difficile
conduzione del gruppo.
Note. L’interazione di questo lavoro psico-motorio con il tema dei colori è poco visibile negli
esercizi mostrati. Si osserva poi una relativa mancanza di concentrazione nei tre gruppi
(tendenza a una certa dispersione, non integrazione di tutti i bambini).
Nella riunione ristretta che segue la lezione aperta, l’operatrice considera che anche durante il
laboratorio c’è stata una certa difficoltà delle bambine/i a memorizzare e sedimentare il lavoro
svolto, e la attribuisce sostanzialmente a due cause: la difficoltà di memorizzare esercizi che si
svolgevano lungo un percorso “molto astratto e non narrativo” come quelli dei colori
(l’operatrice si assume la responsabilità di questa scelta che però a esperienza compiuta, le
pare problematica), e una certa carenza di cura verso l’ora di teatro da parte dell’ambiente
scolastico (cfr. le pagine di approfondimento).
Laboratorio 2 – Scuola dell’infanzia Arcobaleno, sezione unica
Insegnanti Diana Mingozzi, Cristina Dalla Fabbriche e Gigia Carcioffi, operatrice Beatrice
Cevolani
Incontro dell’otto aprile mattina – Casa del Teatro
Titolo del progetto: Storie del mare: L’Odissea
Spazio. Bambine/i occupano l’area scenica disponendosi inizialmente a grande cerchio, poi
durante il lavoro tendono a riempire tutto lo spazio, un po’ casualmente.
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Lezione aperta. Le bambine/i lavorano tutti insieme a grande cerchio (a scuola invece il
laboratorio si svolgeva in due gruppi distinti, con identici contenuti), mostrandoci alcune delle
improvvisazioni compiute durante il percorso laboratoriale: le hanno selezionate con
l’operatrice e le maestre. Si tratta di giochi teatrali corali di improvvisazione guidata, intorno
alla storia dell’Odissea. Le bambine/i si immaginano tutti marinai, sono i marinai della nave
di Ulisse, e iniziano il laboratorio col rituale collettivo del risveglio del marinaio, divertente
specie di automassaggio ritmico, dove si sono fissati semplici gesti per ogni azione evocata
dall’operatrice (“ci si stira… ci si sveglia… i marinai si lavano la faccia… poi si asciugano…
pestano la nave… ora tirano l’ancora… ah, che fatica!”). Altro momento corale ritualizzato
(un refrain del laboratorio) è la canzone del marinaio, che tutti cantano accompagnati alla
chitarra della maestra Gigia; i versi inventati con i bambini narrano le dieci giornate di
viaggio di Ulisse e i suoi marinai (ognuna di esse ha corrisposto a un incontro laboratoriale).
La classe poi ci mostra le avventure della decima giornata. Sempre seguendo gli stimoli
narrativi/immaginativi del racconto a voce alta dell’operatrice, i bambini-marinai dormono
sdraiati a coppie sul pavimento, sotto tante coperte; quando si svegliano e si accorgono che si
stanno avvicinando alla terra, aprono i loro sacchi di marinaio, quindi salutano verso riva e
verso il pubblico… Successivamente si cimentano in una semplice animazione di burattini a
coppie, dove le divinità di Zeus e Atena commentano il ritorno dei marinai secondo brevi
scambi dialogici liberi.
Musica. La canzone collettiva, creata con il contributo attivo di una delle maestre (alla
chitarra), è strumento di identificazione comune: aiuta a sentirsi gruppo e a darsi un compito
(il refrain dice: “Questa è l’Odissea, la storia di Ulisse”).
Oggetti. Le coperte e i sacchi-borse dei marinai aiutano ad ambientare e ad agire la storia.
Ruolo dell’operatrice. Si riserva il ruolo di narratore-guida: oltre a indirizzare i bambini al
lavoro, si preoccupa efficacemente di costruire un ponte verso gli altri spettatori-bambini “La
scena la facciamo per noi, e anche per i bimbi che ci stanno guardando…”; è un ponte di
comprensione efficace perché crea attenzione, infatti a fine lavoro vengono poste parecchie
domande.
Ruolo delle maestre. Comportamento fortemente cooperativo delle insegnanti, come aiutanti/
coadiuvanti dei giochi di improvvisazione, soprattutto nella preparazione e uso degli oggetti
di scena (gonfiano i sacchi dei marinai, aiutano Beatrice a distendere i bambini sotto le
coperte). Si nota insomma un buon affiatamento con l’operatrice; inoltre una maestra di
sostegno partecipa attivamente alle attività, suonando la chitarra e accompagnando il canto.
Note. Questo tipo di lavoro lascia all’operatrice la responsabilità e il compito narrativo,
mentre alle bambine/i si chiede di immaginare e interpretare coralmente la storia, di viverla in
prima persona da personaggi, di agirla senza preoccuparsi di raccontarla. Il piacere suscitato
dai giochi immaginativi del ‘fare i marinai’ è molto evidente; a questo si sommano
l’acquisizione di alcune competenze, come la memorizzazione corale e cooperativa dei gesti e
delle azioni, della canzone e delle scene.
Laboratorio 3 – Scuola dell’infanzia Dente di Leone, sezione A
Insegnante Enrica Bucci, operatrice Elisa Fontana
Incontro del dieci aprile mattina – Casa del Teatro
Titolo del progetto: Colori
Spazio.Viene efficacemente sfruttata la possibilità di usare i colori come pattern strutturante
lo spazio (cfr. sotto)
Lezione aperta. Per quanto riguarda la relazione fra l’operatrice e le bambine/i, la lezione
aperta è in continuità con il lavoro svolto l’anno precedente con la stessa classe: Elisa ha
continuato anche quest’anno a proporsi nella veste del personaggio-animatore con la valigia
matta, guidando i bambini, come già in precedenza, lungo varie attività ludiche a carattere
psicomotorio, sia inventandole ad hoc, sia appoggiandosi a rielaborazioni di giochi classici
(come quello dei bambini-topini che corrono sotto ai bambini-ponte). Il tema dei colori, che è
progetto-guida annuale alla scuola dell’infanzia Dente di leone (vd. anche laboratorio 1)
struttura felicemente lo spazio e le azioni: così ad esempio, i bambini divisi in due squadre dei
gialli e dei blu hanno al polso nastri del rispettivo colore, e si dispongono lungo due file a
specchio, perpendicolari alla platea, segnate per terra da Elisa con scotch di colore appunto
giallo e blu. Alcune attività in particolare mescolano l’aspetto ludico con la conoscenza,
l’osservazione e la relazione al colore: ad esempio, le due bottiglie di plastica con liquidi
giallo e blu, poste alla fine delle due file a mò di simpatico segnaposto, alla fine vengono
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versate dai bambini, un po’ per ciascuno, dentro a ciotole trasparenti; i liquidi colorati
vengono miscelati e l’operatrice-animatrice propone loro di osservare la nuova tinta verde;
poi srotola un bel tappeto di moquette verde sulla quale i bambini in coppia (un giallo e un
blu) sono invitati a fare piccole azioni: due saltellano, due mimano il tiro alla fune, ecc.
Musica. L’operatrice usa musica registrata per creare un’atmosfera sonora differenziata a
seconda delle proposte ludiche.
Oggetti. Bottiglie, liquidi e nastri colorati concretizzano il tema dei colori.
Ruolo dell’operatrice. Personaggio-guida delle azioni e dei giochi.
Ruolo delle maestre. Alcune si dispongono molto tranquillamente fra il pubblico,
interpretando il loro ruolo come spettatrici; una aiuta lo svolgersi della lezione aperta stando
fra i bimbi seduti in fila, con ruolo di indirizzo, non di contenimento, cioé aiutandoli a
indirizzare l’attenzione.
Laboratorio 4 – Scuola dell’infanzia Il girasole, sezione II A
Insegnanti Elena Maggi e Raffaella Tirelli, operatrice Cristina Ghinassi
Incontro del dieci aprile mattina – Casa del Teatro
Spazio. Cristina delimita un’area performativa quadrata segnandone gli angoli con lo scotch,
ma la proposta non è efficace per i bambini che tendono a non rispettare i confini di questo
quadrato immaginario.
Lezione aperta. Come per il secondo laboratorio (scuola Arcobaleno) assistiamo a delle
improvvisazioni corali, guidate dalla voce narrante dell’operatrice. Anche qui il lavoro utilizza
e fortifica il muscolo dell’immaginazione e accende la dimensione tipicamente teatrale del
“come se”, dell’agire mondi possibili. Cristina Ghinassi ha proposto alle maestre di lavorare
su storie di divinità, e ha adattato per la drammatizzazione alcuni episodi della cosmogonia
tibetana (la caduta degli Dei sul continente terrestre). Questi Dei, ci dice Cristina all’inizio,
“possono volare, dormire, meditare e trasformarsi”: quindi guida le bambine/i Dei a agire la
storia. Su musica registrata e lungo il filo della voce narrante di Cristina, assistiamo al rituale
del lavaggio mattutino, quando i brutti sogni vengono buttati via; segue il risveglio degli Dei
sul gelido continente azzurro e la ricerca di un riparo (improvvisazioni di esplorazione dello
spazio, con fermate e partenze guidate, e giochi di trasformazione in diversi animali); infine
viene agito un episodio di forte accensione emotiva, quando gli Dei, compatti, attraversano lo
spazio scenico avanzando incuriositi e intimoriti verso una misteriosa luce rossa (accesa sul
muro di una parete laterale), cercano di toccarla, ma al cambiare della musica, scappano
spaventati tutti insieme. E’ forte e visibile il piacere dei bambini nell’esorcizzare così
collettivamente i sentimenti di paura.
Musica. Una colonna sonora registrata di musiche e canti tibetani, di deciso impatto
vibratorio e di accento esoterico (le voci sembrano provenire da un altro mondo), accompagna
e scandisce le diverse improvvisazioni, creando una forte e suggestiva ambientazione e
atmosfera.
Oggetti. Si fa a meno di oggetti scenici e costumi, l’incorporazione della storia è tutta agita
attraverso il corpo senza strumenti ausiliari o prolunghe.
Ruolo dell’operatrice. L’operatrice conduce la narrazione usando curiosamente un
microfono. L’effetto di sovrapposizione di due alti volumi, uno vocale (voce-guida) e uno
sonoro (musica registrata) è leggermente frastornante per chi guarda, ma i bambini in azione
paiono invece molto concentrati, bene appoggiati su queste due sonorità-guida. L’operatrice
mi spiega poi la scelta della sperimentazione col microfono: mirava a non separare il
racconto/spiegazione dallo svolgimento dell’improvvisazione, voleva trovare un canale per
far agire i bambini in contemporanea al percorso narrativo.
Ruolo delle maestre. Sono esterne al gruppo che agisce, lo guardano dal di fuori, e si
occupano fondamentalmente di tenere vicino a sé i tre bambini difficili, che evidentemente
non hanno partecipato all’ora di teatro (ma seguono i compagni con grande attenzione).
Note. La classe è attraversata da dinamiche relazionali di tipo centrifugo, spazialmente come
emotivamente: lo si vede dai movimenti delle bambine/i nello spazio e dalla tendenza alla
dispersione fra un episodio improvvisato e l’altro. Tuttavia durante le singole improvvisazioni
si nota una grande concentrazione collettiva, e le risposte delle bambine/i ai loro compagni
spettatori rivelano una buona memorizzazione e incorporazione della storia degli Dei. Il
lavoro ha sicuramente saputo mobilitare e attivare le corde emotive/immaginative di questi
bambini. Peccato che alcuni di loro ne siano rimasti esclusi.
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GLI SCAMBI DI LAVORO DI FAENZA:
SCHEDE DESCRITTIVE DEI LABORATORI NELLE SCUOLE PRIMARIE
Laboratorio 5, III elementare De Amicis
Insegnanti Costanza Benzi e Ivana Fabbri, operatrice Yuni Balmaseda
Incontro dell’otto aprile pomeriggio – Elementare De Amicis
Spazio. Nella grande e dispersiva palestra della scuola la classe concentra la rappresentazione
intorno a un siparietto, posto al centro dello spazio scenico, che funziona come sfondo per le
azioni, e come una quinta dietro alla quale si rifugiano i personaggi che non sono in scena.
Lezione aperta. Come racconta all’inizio l’operatrice, le bambine/i sono partiti da una favola,
Il pirata Barbagrossa e il calzino puzzolente, e nel corso del laboratorio hanno svolto tanti
giochi di animazione teatrale e di costruzione di scene e costumi. Per questo scambio di
lavoro hanno preparato una classica drammatizzazione, un racconto lineare (in realtà non
sempre comprensibile per la voce bassa dei bambini) dove le scene si susseguono davanti a un
siparietto, e ogni bambino ricopre un diverso ruolo individualizzato: è personaggio, musicista
o animatore delle scene e dei burattini. Questo registro espressivo di taglio tradizionale, se da
un lato corre il rischio della scenetta, d’altro lato permette di mettere in gioco e di applicare,
con evidente piacere e orgoglio dei bambini, tutte le acquisizioni del laboratorio: il trucco, la
musica realizzata insieme, i costumi e le scene costruite dai bambini.
Musica. C’è poca musica ma è autoprodotta: una piccola orchestrina nascosta dietro al
siparietto suona il motivo che dà inizio allo spettacolo.
Oggetti. Abbondante e eterogenea presenza di accessori e oggetti di scena, costruiti
artigianalmente durante il laboratorio. La scenografia innanzitutto: si sono realizzate in
cartone grandi onde marine, che coppie di bambine/i dispongono e sorreggono nella parte
anteriore dello spazio scenico, poi un paio di pesci, che altri bambine/i muovono dietro alle
onde con piacevole effetto visivo, e ancora una sagoma di barca... Poi ci sono gli accessori dei
personaggi: trucchi e costumi, semplici casacche realizzate con sacchi di plastica e
decorazioni in carta crespa, infine oggetti di scena quali gli animali-peluche attaccati a un
bastone, che vengono mossi dai bambini-animatori dietro al siparietto, a mò del teatro di
figura. La manipolazione di oggetti e forme (sagome e burattini) caratterizza senz’altro questa
esperienza laboratoriale, rimandando a una dimensione materica del gioco teatrale.
Ruolo dell’operatrice. Regista-animatrice dell’esperienza. Durante la drammatizzazione,
guida i bambini dal di dentro, nascosta fra le quinte.
Ruolo delle maestre. La maestra non si mette affatto da lato ma preferisce un ruolo piuttosto
interventista, che si esplica nella documentazione fotografica dell’evento ma anche nel
commento diretto rivolto alla performance di alcuni bambini, di timbro vagamente
sanzionatorio.
Note. La grande agitazione e effervescenza pre-spettacolo, con le bambine che si truccano, i
maschi che fanno esercizio ripetendo il movimento della barca a remi, mentre altri compagni
ancora provano i burattini, indica il grado di piacere ma anche di responsabilizzazione che i
bambini provano, tesi alla realizzazione cooperativa del loro spettacolo.
Laboratorio 6: II A e II B, elementare De Amicis
Insegnanti Sabrina Di Pinto, Maria Angela Dalmonte e Sabrina D’Alessandro, operatore
Alessandro Gentili
Incontro dell’otto aprile pomeriggio – Elementare De Amicis
Spazio. Strutturazione dell’azione fra due sponde di spettatori. Il pubblico è disposto lungo i
due lati brevi della palestra, mentre le due classi formano un grande cerchio al centro del
pavimento.
Lezione aperta. Assistiamo a un performance corale piuttosto compatta della durata di circa
venti minuti, completamente autogestita dai bambini che mostrano un buon grado di
memorizzazione e assorbimento della struttura performativa. La prima parte è una sorta di
riscaldamento collettivo, sul posto e in movimento nello spazio, scandito su motivi di musica
classica che guidano e indirizzano la partitura gestuale. La seconda parte accosta per analogia
dei brevi micro-racconti, scanditi a voce alta da alcuni bambini, e brevi azioni corali, eseguite
da altri compagni. Ad esempio, la narrazione è: “c’era una vecchia che vide un ladro nel suo
orto” e l’azione parallela dei compagni è l’immobilità. Le azioni non hanno mai carattere
illustrativo ma tendono piuttosto a visualizzare e concretizzare simbolicamente il colore
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emotivo della situazione raccontata. La performance si conclude dopo circa otto microracconti con un’azione rituale collettiva: le bambine/i ricompongono il grande cerchio
iniziale, girandosi questa volta verso il pubblico, e scandiscono in coro: “Larga è la foglia e
stretta è la via, dite la vostra che ho detto la mia!”.
Musica. La musica registrata non è usata come sottofondo d’atmosfera, bensì come guida e
appoggio della gestualità e dell’azione (come in un balletto).
Oggetti. Assenti.
Ruolo dell’operatore. L’operatore agisce da regista e non da animatore: considera un suo
obiettivo educare alla ritualità dell’evento teatrale, la cui scansione e struttura ritmica deve
reggere e sostenere dall’interno la memoria dei giovanissimi performer.
Note. Il lavoro sulle emozioni e l’affettività, che era stato richiesto dalle maestre, si è tradotto
nella proposta dell’operatore non tanto nei termini dell’accensione emotivo/catartica o
nell’espressione affettiva corale e liberatoria, ma piuttosto in termini estetico/formali, della
ricerca rigorosa di una stilizzazione visiva e spaziale degli affetti.
Laboratorio 7 – V elementare De Amicis
Insegnanti Melissa Zaccaria e Michela Ponti, operatore Danilo Conti
Incontro del dieci aprile pomeriggio – Elementare De Amicis
Spazio: Il grande spazio rettangolare della palestra viene predisposto per una visione frontale
e strutturato per la performance. Sul lato corto opposto a quello del pubblico si dispongono le
bambine/i che non stanno agendo, davanti a loro ci sono dei materassi sui quali sono posti i
pupazzi che dovranno essere animati, mentre al centro della palestra ci sono le due aree
performative: una fila orizzontale di banchi sulla quale si muoveranno i pupazzi, e davanti un
materassino sul quale si siederanno bambine e bambini doppiatori (le voci).
Lezione aperta. Nel corso del laboratorio i bambini hanno imparato ad animare grandi
pupazzi secondo la tecnica del bunraku, per cui i movimenti e la voce sono agiti da differenti
animatori. Nella lezione aperta ci mostrano con questa tecnica alcune scene della storia di
Giulietta e Romeo, che hanno letto nell’adattamento omonimo di Roberto Piumini. Sono
divisi in tre gruppi: i presentatori, che aprono ogni scena con un breve prologo, leggendolo
frontalmente rivolti verso il pubblico; i manipolatori/animatori (tre per ogni grande pupazzo),
infine i doppiatori, che seduti di spalle al pubblico, guardando i pupazzi, ne fanno le voci
(poco udibili). Ci presentano tre scene: la prima e l’ultima hanno a protagonisti due grandi
pupazzi che si parlano ai due lati opposti del palchetto realizzato con i banchi messi in fila, e
poi si muovono l’uno incontro all’altro. La scena di mezzo, che eccita gli spettatori, usa
invece un differente tipo di figura, un grande e suggestivo fantasma che viene animato sempre
a tre, ma a differenza degli altri si indossa, e si muove ondeggiando vicinissimo al pubblico,
avanzando e retrocedendo.
Musica. Una colonna sonora allegra e fischiettante viene usata all’inizio per dare il via allo
spettacolo.
Oggetti. I grandi e raffinati pupazzi appartengono all’attrezzeria dell’animatore. E’
interessante l’apprendimento dei bambini di una precisa tecnica di manipolazione che
richiede, oltre alla relazione alle figure, una buona sincronia cooperativa dei movimenti fra i
tre operatori (e di questi con i doppiatori). Un limite forse sta in una mancanza di
corrispondenza visiva-figurativa fra queste figure e la storia raccontata. I pupazzi e la loro
tecnica di movimento incuriosiscono molto gli spettatori.
Ruolo dell’operatore. Resta esterno all’azione scenica puntando all’autonomia dei bambini
nel realizzare le sequenze performative (ma la sua compagna, seduta tra i bambini, li aiuta
dall’interno).
Ruolo delle maestre. Sono spettatrici, e tengono accanto a loro un bambino certificato che
non si è inserito nel lavoro laboratoriale.
Laboratorio 8 – IV elementare De Amicis
Insegnante referente Paola Carpineti, operatrice Giovanna Brondino
Incontro del dieci aprile pomeriggio – Elementare De Amicis
Spazio. Lo spazio vuoto è riempito dalle bambine/i secondo una coreografia a semicerchio,
che è il pattern di base al quale sempre ritornano anche quando si muovono al centro per
sequenze di gesti e azioni o interazioni.
Lezione aperta. Assistiamo ad attività corali psico-motorie, di personificazione e
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tematizzazione di pensieri e emozioni, intorno ai temi dell’amicizia e dell’accettazione e
relazione fra le diversità. Come materiale narrativo di partenza si è usato il libro di Paola
Mastrocola, Che animale sei?. Le bambine/i disposti a semicerchio portano tutti in testa una
corona con la figura di un diverso animale (“quello che ci rappresenta”, come risponde poi un
bambino a una domanda di un compagno spettatore) e nel corso del saluto iniziale collettivo,
fatto sul ritmo del botta-risposta, si presentano ognuno con un gesto che gli altri imitano a
specchio. Lo stesso semplice dispositivo, di eco del gruppo all’azione/verbalizzazione del
singolo, è usato in altri esercizi di autorappresentazione e racconto di sé: ad esempio, ogni
bambino dice cosa vuol buttare via di se stesso e cosa tenere, e gli altri gli fanno eco: “via,
via!”. Oppure ognuno avanza al centro spiegando la scelta del proprio animale: “io sono
coniglio perché è dolce”, “io sono drago perché sputa fuoco e vola”, e così via. I bambini
animali realizzano anche, tre a tre, brevi improvvisazioni ritmico-sonore con il loro verso, e ci
mostrano altri giochi che hanno amato, come quello della bolla (a coppie, poi a tre, poi a
quattro, devono muoversi come se fossero insieme dentro a una bolla.) Alla fine ci regalano
dei fogliettini con brevi frasi sull’amicizia, composte da loro. Il lavoro armonioso non punta
tanto all’acquisizione di competenze teatral-espressive quanto all’ascolto e alla accettazione
emotiva di sé e dell’altro, attraverso forme espressive che puntano alla consapevolezza di sé e
del gruppo di appartenenza.
Musica. Una musica registrata dà il via all’azione scenica.
Oggetti. Le corone-personaggio sono un importante supporto per la proiezione identitaria.
Ruolo dell’operatrice. Tende a rimanere esterna alla partitura di azioni ma è disponibile
come figura di appoggio per i bambini.
Ruolo delle maestre. Esterno, di osservazione.
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