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San Francisco Chronicle 3 DICEMBRE 1969 10 CENT Garfield 1-1111 Il pilota del dirottamento sostiene che l’FBI ha rischiato di causare uno scontro a fuoco La tattica ha messo in pericolo l’equipaggio e l’aereo New York Times New York Il capitano Donald J. Cook Jr., 31 anni, comandante dell’imprevedibile volo 85 della Trans World Airline, ha fermamente espresso sabato il suo disappunto, poiché gli agenti dell’FBI hanno messo a repentaglio la sua vita e quella del suo equipaggio, quando l’aereo dirottato è atterrato all’aeroporto internazionale Kennedy venerdì mattina. “Il piano dell’FBI era destinato a finire in una carneficina con l’uccisione dell’intero equipaggio e la distruzione dell’aereo,” riferisce il pilota. “Avevamo predisposto che ci sarebbe stato un minimo di personale a terra una volta atterrati all’aeroporto Kennedy e raggiunta l’area designata della pista di atterraggio 22. Quando vi siamo giunti, abbiamo trovato sì l’auto con l’equipaggio sostitutivo, ma anche molti altri veicoli e uomini. Alcuni di loro erano armati e indossavano giubbotti antiproiettile.” Raffaele Minichiello, il caporale marine che aveva lasciato il corpo senza permesso ufficiale, dirottatore dell’aereo partito dalla California, ha visto gli agenti avvicinarsi all’aereo, stando a quanto sostiene il capitano. “Il ragazzo non era uno sciocco,” prosegue. “Era molto intelligente. È entrato nel panico e ha iniziato a urlare. “Allontanate quegli uomini dall’aereo.” Io dissi, “Posso aprire il finestrino?” e mi chiese se fosse necessario. Dato che gli risposi di sì, mi diede il permesso e io mi sporsi fuori e cominciai a urlare, “Vogliamo che tutti si allontanino dall’aereo, altrimenti inizierà a sparare.” Tuttavia, stando a ciò che dice Cook, gli agenti hanno ignorato il suo ammonimento e hanno continuato a muoversi in direzione dell’aereo. A un certo punto il capitano ha urlato a un uomo in piedi sotto l’ala vestito con l’uniforme degli addetti alla manutenzione della Trans World Airline, che era certo non fosse un vero addetto alla manutenzione. “Dobbiamo andarcene da qui. Fai in modo che ci muoviamo,” gli ha detto. E quel pagliaccio – vorrei potergli mettere la mani addosso – mi ha risposto “Vi faremo muovere quando saremo pronti a farlo.” Al passare dei minuti, dice Cook, il panico del ragazzo aumentava sempre di più. Quando si rese conto che il rifornimento di carburante non era nemmeno iniziato, fu sul punto di esplodere. “Vi ucciderò bastardi” e “Mi avete ingannato. Tiratemi fuori di qui.” Infine ha sparato un colpo al soffitto della cabina di pilotaggio. Cook sostiene di essere sicuro che si sia trattato di un ammonimento per gli agenti che si trovavano al di fuori dell’aereo. “Sono sicuro che avesse già capito che io avevo compreso che voleva fare sul serio” disse. John F. Malone, assistente del direttore in carica all’ufficio dell’FBI di New York, si è rifiutato di rispondere alle accuse di Cook. Gli altri membri dell’equipaggio, inclusa la hostess Tracey Coleman di Kansas City, concordano invece con quanto riferito dal comandante. “Prima di atterrare all’aeroporto Kennedy avevamo il ragazzo ben sotto controllo. Ma in quel momento sembrava non curarsi se avrebbe ucciso qualcuno o se sarebbe rimasto ucciso lui stesso.” Ha detto l’ingegnere di bordo Lloyd V. Hollarh, 32 anni. “Sono convinti che avrebbe sparato a tutti noi se l’FBI non si fosse allontanata,” sotiene la signorina Coleman. Ha riferito, inoltre, che successivamente Minichiello si è rilassato. “Era molto rilassato, a suo agio e abbiamo passato diverso tempo ad ascoltare la musica,” dice la hostess. Il capitano riferisce che al decollo da New York, Minichiello teneva l’intero equipaggio sotto tiro, all’interno della cabina di pilotaggio. Dopo circa 20 minuti, Cook è riuscito a convincere Minichiello che l’equipaggio non era responsabile delle azioni dell’FBI. Gli ha detto: “Raffaele, dovresti saperlo. Siamo stati con te abbastanza a lungo, per tre decolli e tre atterraggi, e dovresti sapere che il nostro solo interesse è rimanere in salvo e far sì che l’aereo non vada distrutto.” “Dopo di ciò ci ha trattato molto bene.” Durante la maggior parte del volo Minichiello si è affaccendato attorno alla sua carabina, caricandola e scaricandola e anche smontandola per pulirla. In alcuni momenti pare si sia allontanato lasciandola sul sedile, a portata di mano di Cook, come se volesse sfidarlo a impossessarsene. Ma Cook aveva visto un coltello e una pistola sporgere dalla cintura per le cartucce indossata dal ragazzo. Dice che non aveva idea di che tipo di addestramento al combattimento avesse ricevuto Minichiello nei marine e che non era sicuro se l’arma fosse carica o meno quando la incustodita. Se non fosse stata carica, il rischio era di farsi uccidere mentre cercava di impossessarsene. Nel caso contrario, era sicuro che sarebbe stato lui a dover uccidere Minichiello. Cook riferisce che il ragazzo parlava della sparatoria che ci sarebbe stata all’atterraggio a Roma e di come sarebbe scappato. Appena dopo l’inizio del dirottamento aveva detto a Cook che la sua destinazione finale era Roma, ma aveva insistito che il pilota riportasse che fosse Il Cairo per trarre in inganno i suoi inseguitori. Pensò che avrebbe avuto bisogno di ostaggi a Roma e si preoccupava di quali membri dell’equipaggio selezionare. Minichiello ricordò a Cook che lui, Minichiello, era single e che quindi era libero di mettere a rischio la propria vita. “Non importa cosa sarebbe successo,” rispose il capitano, “disse che aveva solo uno o due giorni da vivere.” Minichiello si teneva sveglio assumendo pillole alla caffina e ne offrì alcune a Cook. “Gli dissi che le pillole alla caffeina non ti tengono solo sveglio, ma ti rendono nervoso e che io lo ero già a sufficienza,” riferisce il capitano. Anche dopo aver cominciato a elaborare il piano che lo avrebbe portato a prendere in ostaggio un membro delle forze dell’ordine a Roma, continuava a essere preoccupato per la sorte dei membri dell’equipaggio. A un certo punto disse loro che avrebbe fatto in modo che stessero nel migliore degli hotel se fossero andati con lui. In un altro momento, si preoccupò perché non sapeva se si sarebbe potuto permettere di dare loro del denaro.” Cook dice di aver detto a Minichiello di non preoccuparsi perché la Trans World Airline volava regolarmente su Roma e sarebbero stati, quindi, in grado di riservare loro il pernottamento in hotel. “Ragazzi, vi ho messo in un mare di guai,” disse Minichiello. “Non importa,” dispose Cook. “Non la prendiamo sul personale.” “Cosa succede se l’FBI scopre che non hai cercato di sottrarmi le armi quando ne hai avuto l’occasione?” chiese Minichiello. “Non preoccupartene,” rispose Cook. “Il mio compito è quello di badare alla sicurezza dell’equipaggio e del velivolo.” All’arrivo a Roma, Minichiello e l’equipaggio si davano del tu. “Addio, Don,” ha detto Raffaele. “Mi spiace di avervi causato tutti questi problemi.” Cook gli ha detto: “Buona fortuna, Raffaele.” Il ragazzo prese con sé il biglietto da visita di Cook con sopra l’indirizzo di Kansas City, così che avrebbe potuto scrivergli e fargli sapere come sarebbe andata a finire. Cook e l’equipaggio erano sollevati quando vennero a sapere che Minichiello era stato catturato senza essere ucciso. I membri dell’equipaggio pensavano che avrebbero dovuto trattare Minichiello come una persona emotivamente disturbata e non come un criminale. Cook riporta che “La polizia di Roma ha fatto fare brutta figura all’FBI. Questi ultimi si preoccupavano solo di giocare a allo sceriffo, aprendo uno scontro a fuoco con un presunto criminale per assicurarlo alla giustizia. Sarebbe finita con la morte del ragazzo senza che fosse necessaria, con la probabile distruzione di un aereo da 7 milioni di dollari e con grossi rischi per i quattro membri dell’equipaggio. “Il fatto che poi tutto ciò sia stato evitato rinforza il nostro punto di vista: si è speso meno in polvere da sparo e un po’ in più in carburante.” 31 marzo 2009 Dr. Jeffery Heider, Phd. Kalispell Dr. Heider, La prego di accettare la presente come mio resoconto scritto per il riconoscimento del DPTS (Disturbo Post Traumatico da Stress) presentato dal Sig. Raffaele Minichiello. Egli merita di ricevere le cure necessarie per il trattamento della sua condizione presso gli organismi predisposti per i veterani. Nel periodo in cui ha prestato servizio per il suo paese, egli è stato esposto in maniera prolungata a livelli elevati di stress da combattimento e a circostanze traumatiche. Nel corso dell’espletamento dei suoi doveri all’interno dell’Area Tattica di Responsabilità “I Corps” (della ex Repubblica del Vietnam del Sud) si è, inoltre, trovato a tollerare situazioni caratterizzate da grande sconforto, deprivazione, contaminazione e presenza di malattie. Ho avuto modo di conoscere e di prestare servizio con il Sig. Minichiello dalla fine del 1967 a luglio del 1968, ossia durante i primi sette mesi in cui egli era stato assegnato all’area di combattimento con la compagnia H, nel secondo battaglione, nona divisione dei Marine. L’incarico di comandante assegnato alla sua squadra di fanteria mi rendeva responsabile dell’orientamento, dell’addestramento al combattimento e dello schieramento della suddetta squadra. In quel periodo il Sig. Minichiello ha adempiuto le sue responsabilità in qualità di tiratore e si è fatto carico di buona parte della mole di lavoro della sua unità. Eseguiva gli ordini di battaglia come richiesto e ciò lo rendeva un Marine su cui si poteva fare affidamento. È da notare anche che il Sig. Minichiello è entrato a far parte del nostro plotone in seguito alle campagne estremamente dure del periodo estivo e autunnale del 1967 e prima dell’accentuarsi delle ostilità, che sarebbero culminate nel 1968 nella “Offensiva del Têt” dell’esercito nord vietnamita e nella controffensiva statunitense. Rientrano tra le altre operazioni chiave svoltesi in quel periodo: l’operazione Lancaster I, Napoleon/Saline e Pegasus. Il nostro plotone, compagnia e battaglione sono stati sottoposti a dura prova nel corso delle operazioni menzionate e non siamo riusciti a dare attenzione sufficiente a ciascuna delle attività assegnateci a causa dell’eccessivo carico di lavoro. Il Sig. Minichiello ha prestato servizio in una realtà operativa estremamente dura, che ha creato sfide psicologicamente molto stressanti. So per esperienza che il suo periodo di servizio nel “I Corps” è stato una causa più che sufficiente a scatenare il Disturbo Post Traumatico da Stress con cui, senza dubbio, si è ritrovato a fare i conti. Quelli di noi che si sono trovati a prestare servizio con il Sig. Minichiello hanno grande stima di lui e ritengono che gli spetti l’accesso al servizio di consulenza psicologica che viene riconosciuto a tutti i veterani, in generale, e ai veterani combattenti, in particolare. Sarò lieto di fornire qualsiasi tipo d’informazione aggiuntiva per interventi medici, in supporto al suo caso. Cordialmente, John F. H. Scandia, MN Myron K. H. Sacramento, CA 21 Agosto 2009 A chi di competenza Raffaele Minichiello ha servito sotto il mio comando in Vietnam da dicembre del 1967 fino a giugno del 1968 nel terzo plotone, compagnia H, secondo battaglione, nono Marine, terza divisione dei Marine. Io ero il comandante di questo plotone e Raffaele Minichiello era caporale fuciliere. Raffaele riusciva anche a portare tre o quattro LAAW (arma leggera anti carro). Ha assolto i propri incarichi in modo esemplare e professionale. Ha sempre obbedito agli ordini assegnatigli senza discutere. Raffaele era benvoluto e rispettato da tutti i membri del terzo plotone. Una volta Raffaele è stato morso da un ratto. Il nostro battaglione si stava spostando per una missione di ricerca e distruzione. Invece di rimanere nelle retrovie, Raffaele si è portato sul campo le iniezioni da farsi per il morso, dato che non voleva sottrarsi ai propri obblighi. In Vietnam Raffaele Minichiello si è dimostrato essere un marine d’eccellenza. Se dovessi prendere di nuovo le armi, vorrei che Raffaele Minichiello fosse al mio fianco. [firma] M. K. H. CHIESA DEL NAZARENO DI KALISPELL KALISPELL, MONTANA 59901 ED KOTESKEY, PASTORE La chiesa perfetta per coloro “che non sono” 11 agosto 2009 A chi di competenza Scrivo questa lettera per fornire ogni forma di supporto possibile a Raffaele Minichiello. Il mio nome è pastore Ed Koteskey, della prima Chiesa del Nazareno di Kalispell, Montana. Il 2 agosto 2009 Raffaele ha condiviso con la nostra comunità la sua esperienza di combattente e la lotta che ha dovuto portare avanti con la lingua inglese e con i costumi statunitensi. Raffaele ha inoltre raccontato l’intera storia del suo dirottamento di un aereo fino in Italia, ciò che lo ha condotto a una simile azione e le conseguenze con cui si è ritrovato a fare i conti da quel momento in poi. Quella è stata la prima volta in cui ha parlato del suo passato di fronte a un pubblico. In certi momenti ha dovuto interrompersi e respingere le lacrime dovute all’emozione e al rimorso. Sono pastore da venticinque anni e mi sono ritrovato ad avere a che fare con ogni genere di persona. Sono in grado di distinguere una persona sincera da una falsa. Raffaele non ha finto nulla. Ha parlato dal profondo del suo cuore con grande spirito e atteggiamento. Non è trasparita rabbia o risentimento nei confronti di nessuno. Si è ritrovato, infatti, più volte a ripetere quanto amasse l’America e quale grande nazione siamo. Ciò che ha fatto in passato è stato condizionato dalla sua esperienza in guerra, ma ora la sua vita è cambiata e Dio lo ha reso una nuova persona. Nella Bibbia, nella Seconda Lettera ai Corinzi (5,17) troviamo quanto segue: “Se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove”. Raffaele è quella nuova creatura. Un veterano della Seconda Guerra Mondiale una volta mi disse che “nulla si spinge nel profondo tanto quanto gli orrori scatenati dalla guerra - fatta eccezione per lo Spirito Santo”. Lo Spirito Santo del Signore può toccare l’uomo più nel profondo rispetto alle cicatrici fisiche ed emotive della guerra ed è in grado di curare, liberare e regalare vita nuova. E Raffaele sta proprio facendo esperienza di questo. Raffaele mi è stato affidato da Bob Sporleder, ex-marine, ferito in Vietnam, che ora si prende cura di coloro che soffrono del Disturbo Post-Traumatico da Stress. È probabile che Raffaele abbia ancora bisogno di assistenza psicologica e supporto da parte della Veterans Administration e dalla nazione che ama. Vorrei anche incoraggiarvi a rivedere in positivo il suo livello di congedo. Io non perdono ciò che Raffaele ha fatto in passato, ma da quello che posso capire non è più l’uomo di una volta. Sono convinto che la guerra in Vietnam lo ha toccato nel profondo, e si è creata confusione a causa della diversità e l’adattamento linguistico e culturale. Ma egli è un cittadino americano che ama con tutto il cuore la propria patria. Apprezzerò ogni tipo di aiuto che possa venire dato a questa umile persona. Rispettosamento vostro, Pastore Ed Koteskey A chi di competenza Sono arrivato in Vietnam il 10 dicembre 1967 e sono stato assegnato alla compagnia H, secondo battaglione, nono Marine. Il mio arrivo è coinciso all’incirca con quello di Raffaele Minichiello e abbiamo prestato servizio sempre assieme. Da ora in avanti mi riferirò a lui chiamandolo “Mini”, che era il nome che tutti noi usavamo. Ho tuttora ricordi vividi del Vietnam. Eravamo appena diciannovenni e ventenni e abbiamo vissuto esperienze che nessuno dovrebbe provare, perciò spesso mi ritornano in mente. La storia può etichettare il Vietnam come vuole, ma per noi è stata una “guerra” e tutto ciò che una guerra si porta dietro. Eravamo di frequente alle prese con colpi di mortai, bombardamenti di artiglieria, le famose trappole esplosive dei Viet Cong e dei Nord Vietnamiti, le piogge monsoniche (che portavano a rimanere bagnati per settimane senza mai riuscire ad asciugarsi completamente), la morte di camerati, la lontananza da casa, la consapevolezza di essere parte di una guerra impopolare (venendo etichettati come “baby killers”). Questi sono solo alcuni degli aspetti che ci trovavamo ad affrontare. E la lista non è di certo completa. Mi torna in mente in modo particolare il ricordo di quando il nostro battaglione è stato mandato in ricognizione dopo un attacco aereo al napalm. Abbiamo trovato molti corpi appartenenti all’esercito nord vietnamita, rimasti uccisi negli attacchi. L’odore era asfissiante. I corpi erano dilatati fino a raggiungere due o tre volte la loro normale misura. Se si andava a urtare un braccio o una gamba dei corpi deceduti, si staccavano. Per me è stato un giorno che ricorderò sempre e che mi torna spesso in mente. Di fronte alla stessa situazione o serie di circostanze le persone reagiscono in molte maniere differenti. Mentre è vero che ho visto alcuni veterani tentare di sfruttare il sistema per riuscire ad ottenere tutto il possibile, ho visto anche molti veterani della guerra del Vietnam che hanno e stanno affrontando dei problemi reali. Il Raffaele Minichiello che ho conosciuto parlava sempre del suo amore per gli Stati Uniti d’America e del suo desiderio che da tempo lo aveva attratto a diventare un Marine. A volte lo chiamavamo “John Wayne”. Mini voleva essere visto come un buon Marine e diceva che non voleva deludere le aspettative del Corpo. I miei ricordi legati a Mini sono quelli di quel tipo di Marine che vorresti ti fosse vicino quando ti trovai improvvisamente nei guai. Ricordo anche che i momenti in cui riuscivamo a tornare nelle retrovie per un po’ di riposo, una doccia o del cibo caldo potevano rivelarsi fonte di nervosismo per Mini. Ci si aspettava sempre che ci dessero poco preavviso prima di rimandarci indietro sul campo. Secondo me Mini non era perfettamente in grado di gestire quel tipo di stress. Probabilmente quello che sto cercando di dire è che riusciva a gestire meglio la tempesta piuttosto che la calma. Io credo che Mini sia stato un marine esemplare, era orgoglioso e devoto al Corpo. Per me è stato un buon camerato e un amico. Per concludere posso solo sperare che qualsiasi udienza o procedimento penale che lo coinvolgano, prenda in considerazione l’intero quadro di Mini. Per una volta che è crollato, il sistema gli è caduto addosso. Mi rendo conto della gravità del suo gesto, ma ritengo che con il passare degli anni si potrà stabilire che egli si sia pentito e che ha vissuto in maniera obediente e produttiva all’interno della società. La maggior parte di noi era già diretta in Vietnam quando l’inchiostro sui nostri diplomi di scuola superiore era ancora umido. Vi chiedo di prendere in considerazione il servizio onorevole di Mini come marine e come cittadino americano. Grazie, Charles T. R. Frostburg, MD John M. Roberson, Kalispell, MT A CHI DI COMPETENZA Scrivo la presente lettera per fornire ogni forma di supporto possibile a Raffaele Minichiello, un ex marine che ha servito sotto il mio comando approssimativamente per tre mesi. L’unità in cui entrambi prestavamo servizio era una sub-unità n. 1, HQ CO, HQ BN, quinta divisione marine, Camp Pendleton, CA. La missione primaria dell’unità era di tipo amministrativo, prestando servizio a più di 1450 marine in tutto il mondo, alcuni in ospedale, alcuni in periodi di assenza non autorizzati, disertori, e persino alcuni in attesa di giudizio alla Corte Marziale, come era il caso di Raffaele. Mi ricordo abbastanza bene di lui, poiché avevamo un contatto quotidiano. Uno dei suoi compiti era quello di mantenere pulito il mio ufficio. Ho notato che era molto tranquillo e cortese (Sì, Signore – No, Signore), l’uniforme era sempre in ottimo stato. Un giorno, mentre stava pulendo l’ufficio, alzai la testa dalle mie carte e gli dissi: “Minichiello, che diavolo hai combinato per finire sotto la Corte Marziale?”. Mi raccontò quindi la sua storia che lo portò a entrare nello spaccio della base. Voleva vendicarsi con il Corpo, avendo la sensazione che gli avessero restituito meno di quanto gli spettava del denaro che aveva messo nel programma di risparmio del 10% mentre si trovava in Vietnam. Ero in grado di comprendere la sua storia poiché avevo un amico, un Sergente Maggiore, che aveva avuto lo stesso problema con i suoi risparmi. Ho trovato la storia di Raffaele piuttosto interessante. Ho preso il suo fascicolo di servizio e ho scoperto che aveva prestato servizio in Vietnam con una compagnia di tiratori dei marine e tutti i giudizi sulla sua competenza e condotta erano molto positivi. La sola nota negativa che ho trovato era l’essere stato deferito alla Corte Marziale Speciale. Dopo aver parlato con lui e aver controllato il suo fascicolo, ho deciso di parlare della Corte Marziale di Raffaele con il mio Ufficiale Comandante, il maggiore Townsend. Gli ho esposto il suo problema riguardante il denaro lasciato nel programma di risparmio e il suo timore di finire in carcere. Il Maggiore ha parlato con Raffaele e gli ha assicurato che avrebbe fatto i dovuti controlli. Il Maggiore si è informato con il dipartimento delle finanze e gli è stato comunicato che a Raffaele non spettava altro denaro. Credo che il Maggiore Townsend abbia a sua volta informato Raffaele dell’esito del suo controllo. Il Maggiore ed io abbiamo parlato del caso di Raffaele e di tutte le prove attenuanti della sua intrusione nello spaccio della base. Il Maggiore era bene a conoscenza di quanto io fossi coinvolto nel caso di questa Corte Marziale e di come io credessi che questo problema avrebbe potuto essere trattato a livello di compagnia con l’Articolo 15 del Codice di Giustizia Militare. Il Maggiore mi ha chiesto se sarei potuto andare io a parlare con il comandante del battaglione riguardo il caso della Corte Marziale di Raffaele e, in tal caso, se avessi potuto io gestire la cosa con tutti. Gli ho detto che ci avrei pensato io. Ho ragguagliato il Colonnello Simmons sulla storia di Raffaele e, dopodiché, il Colonnello Simmons ha detto: “Sergente Maggiore, sa che non posso fermare la Corte Marziale, ma quando passerò in rassegna il caso, prometto che non ci sarà il carcere per lui.” Non potevo dire a Raffaele ciò che il Colonnello mi aveva detto. La mattina del 31 ottobre 1969 Raffaele ha dirottato un aereo fino in Italia. Nessuno è rimasto ferito in questa impresa. Non giustifico il dirottamento e soprattutto non credo che Raffaele avrebbe dovuto essere deferito alla Corte Marziale Speciale. La vita di questo ex marine è cambiata. È stato a causa della guerra in Vietnam? Della Corte Marziale? È forse stato perché non gli ho detto che sarebbe finito in carcere? L’unica cosa che so per certo è che nei tre mesi in cui ho avuto la possibilità di conoscere Raffaele Minichiello si è rivelato essere un marine eccezionale. Ho suggerito a Raffaele la possibilità di cercare supporto psicologico attraverso la Veterans Administration e gli ho detto che c’è una possibilità che il suo periodo di servizio in Vietnam sia stato in parte la causa del suo scarso giudizio in passato e che un adeguato supporto avrebbe potuto aiutarlo in futuro. Vi chiedo di tenere presente il servizio che questo ex-marine ha reso per il suo Paese. Rispettosamente, [firma] Sergente Maggiore M. Roberson US Marine Corps (in congedo) Lettera aperta al Sig. Wenzel M. Williams e agli equipaggi del volo TWA85 – 31 ottobre – 1 novembre 1969 Sig. Williams: Come prima cosa, noi sopravvissuti del terzo plotone, compagnia H, secondo battaglione, della nono Marine diamo il benvenuto a lei e a sua moglie in occasione della nostra riunione nel 2009 qui a Branson. Questa è un’occasione molto speciale per i marine qui presenti e ci sentiamo privilegiati che voi abbiate scelto di unirvi a noi e di incontrare il nostro fratello d’armi, Raffaele Minichiello. Siamo qui per riconoscerle il coraggio e la professionalità dimostrata in qualità di Primo Ufficiale del volo 85 e per ringraziare gli altri membri dell’equipaggio e coloro che hanno prestato servizio volontario in supporto all’equipaggio originale: Capitano Donald Cook Hostess – Primo Ufficiale Wenzel Williams Sig.na Tanya Novacoff Piloti volontari – Hostess volontaria – Ingegnere di bordo Lloyd Hollrah Sig.na Roberta Johnson Capitano R.H. Hastings Sig.na Charlene Delmonico Capitano Billy Williams Sig.na Tracey Coleman L’intento è quello di dimostrare il nostro rispetto e il massimo riconoscimento al personale della TWA, sotto la guida del Capitano Cook, che ha reagito nel migliore dei modi e con grande responsabilità in condizioni straordinarie. Lodiamo i membri dell’equipaggio per essere riusciti a portare in salvo tutti i passeggeri e per aver aiutato il nostro fratello Minichiello a evitare seri danni. Siamo rammaricati per il fatto che i passeggeri e il personale della TWA siano stati messi in pericolo. Una riunione di veterani combattenti riguarda amicizia, famiglia e fratellanza. Parla anche di ricordo, umiltà e gratitudine. Abbiamo svolto il nostro servizio militare in un periodo instabile e in circostanze estremamente difficili. Gli ex-marine che state incontrando hanno affrontato enormi pericoli in condizioni estreme e ardue. Hanno portato avanti quotidianamente il loro compito per 13 mesi. Noi, fratelli in armi, abbiamo sopportato violenze, deprivazioni, lesioni fisiche e traumi. Alcuni dei nostri fratelli, troppi di loro, non sono sopravvissuti. Data la nostra storia in circostanze spaventose, noi, veterani combattenti, ci rendiamo conto dell’ardua prova che vi siete trovati ad affrontare. Elogiamo la vostra reazione equilibrata, distaccata e calma a una situazione di pericolo. Non dimenticheremo mai ciò che avete fatto nel 1969. Vi ringraziamo per il nostro fratello Raffaele. Con grande rispetto e riconoscenza, I veterani del terzo plotone alla riunione del 2009 – Branson, Missouri