San Francisco Chronicle

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San Francisco Chronicle
3 DICEMBRE 1969
10 CENT Garfield 1-1111
Il pilota del dirottamento sostiene che l’FBI
ha rischiato di causare
uno scontro a fuoco
La tattica ha messo in pericolo l’equipaggio e l’aereo
New York Times
New York
Il capitano Donald J. Cook Jr., 31
anni, comandante dell’imprevedibile volo 85
della Trans World Airline, ha fermamente
espresso sabato il suo disappunto, poiché gli
agenti dell’FBI hanno messo a repentaglio la
sua vita e quella del suo equipaggio, quando
l’aereo dirottato è atterrato all’aeroporto
internazionale Kennedy venerdì mattina.
“Il piano dell’FBI era destinato a
finire in una carneficina con l’uccisione
dell’intero equipaggio e la distruzione
dell’aereo,” riferisce il pilota.
“Avevamo predisposto che ci sarebbe
stato un minimo di personale a terra una volta
atterrati all’aeroporto Kennedy e raggiunta
l’area designata della pista di atterraggio 22.
Quando vi siamo giunti, abbiamo trovato sì
l’auto con l’equipaggio sostitutivo, ma anche
molti altri veicoli e uomini.
Alcuni di loro erano armati e
indossavano giubbotti antiproiettile.”
Raffaele Minichiello, il caporale
marine che aveva lasciato il corpo senza
permesso ufficiale, dirottatore dell’aereo
partito dalla California, ha visto gli agenti
avvicinarsi all’aereo, stando a quanto sostiene
il capitano.
“Il ragazzo non era uno sciocco,”
prosegue. “Era molto intelligente. È entrato
nel panico e ha iniziato a urlare. “Allontanate
quegli uomini dall’aereo.” Io dissi, “Posso
aprire il finestrino?” e mi chiese se fosse
necessario. Dato che gli risposi di sì, mi diede
il permesso e io mi sporsi fuori e cominciai a
urlare, “Vogliamo che tutti si allontanino
dall’aereo, altrimenti inizierà a sparare.”
Tuttavia, stando a ciò che dice Cook,
gli agenti hanno ignorato il suo ammonimento
e hanno continuato a muoversi in direzione
dell’aereo. A un certo punto il capitano ha
urlato a un uomo in piedi sotto l’ala vestito
con
l’uniforme
degli
addetti
alla
manutenzione della Trans World Airline, che
era certo non fosse un vero addetto alla
manutenzione.
“Dobbiamo andarcene da qui. Fai in
modo che ci muoviamo,” gli ha detto. E quel
pagliaccio – vorrei potergli mettere la mani
addosso – mi ha risposto “Vi faremo muovere
quando saremo pronti a farlo.”
Al passare dei minuti, dice Cook, il
panico del ragazzo aumentava sempre di più.
Quando si rese conto che il rifornimento di
carburante non era nemmeno iniziato, fu sul
punto di esplodere. “Vi ucciderò bastardi” e
“Mi avete ingannato. Tiratemi fuori di qui.”
Infine ha sparato un colpo al soffitto
della cabina di pilotaggio. Cook sostiene di
essere sicuro che si sia trattato di un
ammonimento per gli agenti che si trovavano
al di fuori dell’aereo. “Sono sicuro che avesse
già capito che io avevo compreso che voleva
fare sul serio” disse.
John F. Malone, assistente del
direttore in carica all’ufficio dell’FBI di New
York, si è rifiutato di rispondere alle accuse di
Cook.
Gli altri membri dell’equipaggio,
inclusa la hostess Tracey Coleman di Kansas
City, concordano invece con quanto riferito
dal comandante.
“Prima di atterrare all’aeroporto
Kennedy avevamo il ragazzo ben sotto
controllo. Ma in quel momento sembrava non
curarsi se avrebbe ucciso qualcuno o se
sarebbe rimasto ucciso lui stesso.” Ha detto
l’ingegnere di bordo Lloyd V. Hollarh, 32
anni.
“Sono convinti che avrebbe sparato a
tutti noi se l’FBI non si fosse allontanata,”
sotiene la signorina Coleman. Ha riferito,
inoltre, che successivamente Minichiello si è
rilassato.
“Era molto rilassato, a suo agio e
abbiamo passato diverso tempo ad ascoltare la
musica,” dice la hostess.
Il capitano riferisce che al decollo da
New York, Minichiello teneva l’intero
equipaggio sotto tiro, all’interno della cabina
di pilotaggio.
Dopo circa 20 minuti, Cook è riuscito
a convincere Minichiello che l’equipaggio
non era responsabile delle azioni dell’FBI. Gli
ha detto: “Raffaele, dovresti saperlo. Siamo
stati con te abbastanza a lungo, per tre decolli
e tre atterraggi, e dovresti sapere che il nostro
solo interesse è rimanere in salvo e far sì che
l’aereo non vada distrutto.”
“Dopo di ciò ci ha trattato molto
bene.”
Durante la maggior parte del volo
Minichiello si è affaccendato attorno alla sua
carabina, caricandola e scaricandola e anche
smontandola per pulirla. In alcuni momenti
pare si sia allontanato lasciandola sul sedile, a
portata di mano di Cook, come se volesse
sfidarlo a impossessarsene.
Ma Cook aveva visto un coltello e una
pistola sporgere dalla cintura per le cartucce
indossata dal ragazzo. Dice che non aveva
idea di che tipo di addestramento al
combattimento avesse ricevuto Minichiello
nei marine e che non era sicuro se l’arma
fosse carica o meno quando la incustodita. Se
non fosse stata carica, il rischio era di farsi
uccidere mentre cercava di impossessarsene.
Nel caso contrario, era sicuro che sarebbe
stato lui a dover uccidere Minichiello.
Cook riferisce che il ragazzo parlava della
sparatoria che ci sarebbe stata all’atterraggio a
Roma e di come sarebbe scappato. Appena
dopo l’inizio del dirottamento aveva detto a
Cook che la sua destinazione finale era Roma,
ma aveva insistito che il pilota riportasse che
fosse Il Cairo per trarre in inganno i suoi
inseguitori.
Pensò che avrebbe avuto bisogno di
ostaggi a Roma e si preoccupava di quali
membri dell’equipaggio selezionare.
Minichiello ricordò a Cook che lui,
Minichiello, era single e che quindi era libero
di mettere a rischio la propria vita. “Non
importa cosa sarebbe successo,” rispose il
capitano, “disse che aveva solo uno o due
giorni da vivere.”
Minichiello si teneva sveglio assumendo
pillole alla caffina e ne offrì alcune a Cook.
“Gli dissi che le pillole alla caffeina non ti
tengono solo sveglio, ma ti rendono nervoso e
che io lo ero già a sufficienza,” riferisce il
capitano.
Anche dopo aver cominciato a elaborare il
piano che lo avrebbe portato a prendere in
ostaggio un membro delle forze dell’ordine a
Roma, continuava a essere preoccupato per la
sorte dei membri dell’equipaggio. A un certo
punto disse loro che avrebbe fatto in modo
che stessero nel migliore degli hotel se
fossero andati con lui. In un altro momento, si
preoccupò perché non sapeva se si sarebbe
potuto permettere di dare loro del denaro.”
Cook dice di aver detto a Minichiello
di non preoccuparsi perché la Trans World
Airline volava regolarmente su Roma e
sarebbero stati, quindi, in grado di riservare
loro il pernottamento in hotel.
“Ragazzi, vi ho messo in un mare di
guai,” disse Minichiello.
“Non importa,” dispose Cook. “Non la
prendiamo sul personale.”
“Cosa succede se l’FBI scopre che non
hai cercato di sottrarmi le armi quando ne hai
avuto l’occasione?” chiese Minichiello.
“Non preoccupartene,” rispose Cook.
“Il mio compito è quello di badare alla
sicurezza dell’equipaggio e del velivolo.”
All’arrivo a Roma, Minichiello e
l’equipaggio si davano del tu. “Addio, Don,”
ha detto Raffaele. “Mi spiace di avervi
causato tutti questi problemi.”
Cook gli ha detto: “Buona fortuna,
Raffaele.”
Il ragazzo prese con sé il biglietto da
visita di Cook con sopra l’indirizzo di Kansas
City, così che avrebbe potuto scrivergli e
fargli sapere come sarebbe andata a finire.
Cook e l’equipaggio erano sollevati quando
vennero a sapere che Minichiello era stato
catturato senza essere ucciso.
I membri dell’equipaggio pensavano
che avrebbero dovuto trattare Minichiello
come una persona emotivamente disturbata e
non come un criminale.
Cook riporta che “La polizia di Roma
ha fatto fare brutta figura all’FBI. Questi
ultimi si preoccupavano solo di giocare a allo
sceriffo, aprendo uno scontro a fuoco con un
presunto criminale per assicurarlo alla
giustizia. Sarebbe finita con la morte del
ragazzo senza che fosse necessaria, con la
probabile distruzione di un aereo da 7 milioni
di dollari e con grossi rischi per i quattro
membri dell’equipaggio.
“Il fatto che poi tutto ciò sia stato
evitato rinforza il nostro punto di vista: si è
speso meno in polvere da sparo e un po’ in più
in carburante.”
31 marzo 2009
Dr. Jeffery Heider, Phd.
Kalispell
Dr. Heider,
La prego di accettare la presente come mio resoconto scritto per il riconoscimento del DPTS
(Disturbo Post Traumatico da Stress) presentato dal Sig. Raffaele Minichiello. Egli merita di
ricevere le cure necessarie per il trattamento della sua condizione presso gli organismi predisposti
per i veterani. Nel periodo in cui ha prestato servizio per il suo paese, egli è stato esposto in maniera
prolungata a livelli elevati di stress da combattimento e a circostanze traumatiche. Nel corso
dell’espletamento dei suoi doveri all’interno dell’Area Tattica di Responsabilità “I Corps” (della ex
Repubblica del Vietnam del Sud) si è, inoltre, trovato a tollerare situazioni caratterizzate da grande
sconforto, deprivazione, contaminazione e presenza di malattie.
Ho avuto modo di conoscere e di prestare servizio con il Sig. Minichiello dalla fine del 1967
a luglio del 1968, ossia durante i primi sette mesi in cui egli era stato assegnato all’area di
combattimento con la compagnia H, nel secondo battaglione, nona divisione dei Marine. L’incarico
di comandante assegnato alla sua squadra di fanteria mi rendeva responsabile dell’orientamento,
dell’addestramento al combattimento e dello schieramento della suddetta squadra. In quel periodo il
Sig. Minichiello ha adempiuto le sue responsabilità in qualità di tiratore e si è fatto carico di buona
parte della mole di lavoro della sua unità. Eseguiva gli ordini di battaglia come richiesto e ciò lo
rendeva un Marine su cui si poteva fare affidamento.
È da notare anche che il Sig. Minichiello è entrato a far parte del nostro plotone in seguito
alle campagne estremamente dure del periodo estivo e autunnale del 1967 e prima dell’accentuarsi
delle ostilità, che sarebbero culminate nel 1968 nella “Offensiva del Têt” dell’esercito nord
vietnamita e nella controffensiva statunitense. Rientrano tra le altre operazioni chiave svoltesi in
quel periodo: l’operazione Lancaster I, Napoleon/Saline e Pegasus. Il nostro plotone, compagnia e
battaglione sono stati sottoposti a dura prova nel corso delle operazioni menzionate e non siamo
riusciti a dare attenzione sufficiente a ciascuna delle attività assegnateci a causa dell’eccessivo
carico di lavoro.
Il Sig. Minichiello ha prestato servizio in una realtà operativa estremamente dura, che ha
creato sfide psicologicamente molto stressanti. So per esperienza che il suo periodo di servizio nel
“I Corps” è stato una causa più che sufficiente a scatenare il Disturbo Post Traumatico da Stress con
cui, senza dubbio, si è ritrovato a fare i conti.
Quelli di noi che si sono trovati a prestare servizio con il Sig. Minichiello hanno grande
stima di lui e ritengono che gli spetti l’accesso al servizio di consulenza psicologica che viene
riconosciuto a tutti i veterani, in generale, e ai veterani combattenti, in particolare. Sarò lieto di
fornire qualsiasi tipo d’informazione aggiuntiva per interventi medici, in supporto al suo caso.
Cordialmente,
John F. H.
Scandia, MN
Myron K. H.
Sacramento, CA
21 Agosto 2009
A chi di competenza
Raffaele Minichiello ha servito sotto il mio comando in Vietnam da dicembre del 1967 fino a
giugno del 1968 nel terzo plotone, compagnia H, secondo battaglione, nono Marine, terza divisione
dei Marine. Io ero il comandante di questo plotone e Raffaele Minichiello era caporale fuciliere.
Raffaele riusciva anche a portare tre o quattro LAAW (arma leggera anti carro). Ha assolto i propri
incarichi in modo esemplare e professionale. Ha sempre obbedito agli ordini assegnatigli senza
discutere. Raffaele era benvoluto e rispettato da tutti i membri del terzo plotone.
Una volta Raffaele è stato morso da un ratto. Il nostro battaglione si stava spostando per una
missione di ricerca e distruzione. Invece di rimanere nelle retrovie, Raffaele si è portato sul campo
le iniezioni da farsi per il morso, dato che non voleva sottrarsi ai propri obblighi.
In Vietnam Raffaele Minichiello si è dimostrato essere un marine d’eccellenza. Se dovessi prendere
di nuovo le armi, vorrei che Raffaele Minichiello fosse al mio fianco.
[firma]
M. K. H.
CHIESA DEL NAZARENO DI KALISPELL
KALISPELL, MONTANA 59901
ED KOTESKEY, PASTORE
La chiesa perfetta per coloro “che non sono”
11 agosto 2009
A chi di competenza
Scrivo questa lettera per fornire ogni forma di supporto possibile a Raffaele Minichiello. Il mio
nome è pastore Ed Koteskey, della prima Chiesa del Nazareno di Kalispell, Montana. Il 2 agosto
2009 Raffaele ha condiviso con la nostra comunità la sua esperienza di combattente e la lotta che ha
dovuto portare avanti con la lingua inglese e con i costumi statunitensi. Raffaele ha inoltre
raccontato l’intera storia del suo dirottamento di un aereo fino in Italia, ciò che lo ha condotto a una
simile azione e le conseguenze con cui si è ritrovato a fare i conti da quel momento in poi. Quella è
stata la prima volta in cui ha parlato del suo passato di fronte a un pubblico. In certi momenti ha
dovuto interrompersi e respingere le lacrime dovute all’emozione e al rimorso. Sono pastore da
venticinque anni e mi sono ritrovato ad avere a che fare con ogni genere di persona. Sono in grado
di distinguere una persona sincera da una falsa. Raffaele non ha finto nulla. Ha parlato dal profondo
del suo cuore con grande spirito e atteggiamento. Non è trasparita rabbia o risentimento nei
confronti di nessuno. Si è ritrovato, infatti, più volte a ripetere quanto amasse l’America e quale
grande nazione siamo. Ciò che ha fatto in passato è stato condizionato dalla sua esperienza in
guerra, ma ora la sua vita è cambiata e Dio lo ha reso una nuova persona. Nella Bibbia, nella
Seconda Lettera ai Corinzi (5,17) troviamo quanto segue: “Se uno è in Cristo, è una nuova
creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove”. Raffaele è quella nuova
creatura. Un veterano della Seconda Guerra Mondiale una volta mi disse che “nulla si spinge nel
profondo tanto quanto gli orrori scatenati dalla guerra - fatta eccezione per lo Spirito Santo”. Lo
Spirito Santo del Signore può toccare l’uomo più nel profondo rispetto alle cicatrici fisiche ed
emotive della guerra ed è in grado di curare, liberare e regalare vita nuova. E Raffaele sta proprio
facendo esperienza di questo.
Raffaele mi è stato affidato da Bob Sporleder, ex-marine, ferito in Vietnam, che ora si prende cura
di coloro che soffrono del Disturbo Post-Traumatico da Stress. È probabile che Raffaele abbia
ancora bisogno di assistenza psicologica e supporto da parte della Veterans Administration e dalla
nazione che ama. Vorrei anche incoraggiarvi a rivedere in positivo il suo livello di congedo. Io non
perdono ciò che Raffaele ha fatto in passato, ma da quello che posso capire non è più l’uomo di una
volta. Sono convinto che la guerra in Vietnam lo ha toccato nel profondo, e si è creata confusione a
causa della diversità e l’adattamento linguistico e culturale. Ma egli è un cittadino americano che
ama con tutto il cuore la propria patria.
Apprezzerò ogni tipo di aiuto che possa venire dato a questa umile persona.
Rispettosamento vostro,
Pastore Ed Koteskey
A chi di competenza
Sono arrivato in Vietnam il 10 dicembre 1967 e sono stato assegnato alla compagnia H, secondo
battaglione, nono Marine. Il mio arrivo è coinciso all’incirca con quello di Raffaele Minichiello e
abbiamo prestato servizio sempre assieme. Da ora in avanti mi riferirò a lui chiamandolo “Mini”,
che era il nome che tutti noi usavamo.
Ho tuttora ricordi vividi del Vietnam. Eravamo appena diciannovenni e ventenni e abbiamo vissuto
esperienze che nessuno dovrebbe provare, perciò spesso mi ritornano in mente.
La storia può etichettare il Vietnam come vuole, ma per noi è stata una “guerra” e tutto ciò che una
guerra si porta dietro. Eravamo di frequente alle prese con colpi di mortai, bombardamenti di
artiglieria, le famose trappole esplosive dei Viet Cong e dei Nord Vietnamiti, le piogge monsoniche
(che portavano a rimanere bagnati per settimane senza mai riuscire ad asciugarsi completamente), la
morte di camerati, la lontananza da casa, la consapevolezza di essere parte di una guerra impopolare
(venendo etichettati come “baby killers”). Questi sono solo alcuni degli aspetti che ci trovavamo ad
affrontare. E la lista non è di certo completa.
Mi torna in mente in modo particolare il ricordo di quando il nostro battaglione è stato mandato in
ricognizione dopo un attacco aereo al napalm. Abbiamo trovato molti corpi appartenenti all’esercito
nord vietnamita, rimasti uccisi negli attacchi. L’odore era asfissiante. I corpi erano dilatati fino a
raggiungere due o tre volte la loro normale misura. Se si andava a urtare un braccio o una gamba dei
corpi deceduti, si staccavano. Per me è stato un giorno che ricorderò sempre e che mi torna spesso
in mente.
Di fronte alla stessa situazione o serie di circostanze le persone reagiscono in molte maniere
differenti. Mentre è vero che ho visto alcuni veterani tentare di sfruttare il sistema per riuscire ad
ottenere tutto il possibile, ho visto anche molti veterani della guerra del Vietnam che hanno e stanno
affrontando dei problemi reali.
Il Raffaele Minichiello che ho conosciuto parlava sempre del suo amore per gli Stati Uniti
d’America e del suo desiderio che da tempo lo aveva attratto a diventare un Marine. A volte lo
chiamavamo “John Wayne”. Mini voleva essere visto come un buon Marine e diceva che non
voleva deludere le aspettative del Corpo.
I miei ricordi legati a Mini sono quelli di quel tipo di Marine che vorresti ti fosse vicino quando ti
trovai improvvisamente nei guai. Ricordo anche che i momenti in cui riuscivamo a tornare nelle
retrovie per un po’ di riposo, una doccia o del cibo caldo potevano rivelarsi fonte di nervosismo per
Mini. Ci si aspettava sempre che ci dessero poco preavviso prima di rimandarci indietro sul campo.
Secondo me Mini non era perfettamente in grado di gestire quel tipo di stress. Probabilmente quello
che sto cercando di dire è che riusciva a gestire meglio la tempesta piuttosto che la calma.
Io credo che Mini sia stato un marine esemplare, era orgoglioso e devoto al Corpo. Per me è stato
un buon camerato e un amico.
Per concludere posso solo sperare che qualsiasi udienza o procedimento penale che lo coinvolgano,
prenda in considerazione l’intero quadro di Mini. Per una volta che è crollato, il sistema gli è caduto
addosso. Mi rendo conto della gravità del suo gesto, ma ritengo che con il passare degli anni si potrà
stabilire che egli si sia pentito e che ha vissuto in maniera obediente e produttiva all’interno della
società.
La maggior parte di noi era già diretta in Vietnam quando l’inchiostro sui nostri diplomi di scuola
superiore era ancora umido. Vi chiedo di prendere in considerazione il servizio onorevole di Mini
come marine e come cittadino americano.
Grazie,
Charles T. R.
Frostburg, MD
John M. Roberson, Kalispell, MT
A CHI DI COMPETENZA
Scrivo la presente lettera per fornire ogni forma di supporto possibile a Raffaele Minichiello, un ex
marine che ha servito sotto il mio comando approssimativamente per tre mesi. L’unità in cui
entrambi prestavamo servizio era una sub-unità n. 1, HQ CO, HQ BN, quinta divisione marine,
Camp Pendleton, CA. La missione primaria dell’unità era di tipo amministrativo, prestando servizio
a più di 1450 marine in tutto il mondo, alcuni in ospedale, alcuni in periodi di assenza non
autorizzati, disertori, e persino alcuni in attesa di giudizio alla Corte Marziale, come era il caso di
Raffaele. Mi ricordo abbastanza bene di lui, poiché avevamo un contatto quotidiano. Uno dei suoi
compiti era quello di mantenere pulito il mio ufficio. Ho notato che era molto tranquillo e cortese
(Sì, Signore – No, Signore), l’uniforme era sempre in ottimo stato.
Un giorno, mentre stava pulendo l’ufficio, alzai la testa dalle mie carte e gli dissi: “Minichiello, che
diavolo hai combinato per finire sotto la Corte Marziale?”. Mi raccontò quindi la sua storia che lo
portò a entrare nello spaccio della base. Voleva vendicarsi con il Corpo, avendo la sensazione che
gli avessero restituito meno di quanto gli spettava del denaro che aveva messo nel programma di
risparmio del 10% mentre si trovava in Vietnam. Ero in grado di comprendere la sua storia poiché
avevo un amico, un Sergente Maggiore, che aveva avuto lo stesso problema con i suoi risparmi. Ho
trovato la storia di Raffaele piuttosto interessante. Ho preso il suo fascicolo di servizio e ho scoperto
che aveva prestato servizio in Vietnam con una compagnia di tiratori dei marine e tutti i giudizi
sulla sua competenza e condotta erano molto positivi. La sola nota negativa che ho trovato era
l’essere stato deferito alla Corte Marziale Speciale. Dopo aver parlato con lui e aver controllato il
suo fascicolo, ho deciso di parlare della Corte Marziale di Raffaele con il mio Ufficiale
Comandante, il maggiore Townsend. Gli ho esposto il suo problema riguardante il denaro lasciato
nel programma di risparmio e il suo timore di finire in carcere. Il Maggiore ha parlato con Raffaele
e gli ha assicurato che avrebbe fatto i dovuti controlli. Il Maggiore si è informato con il
dipartimento delle finanze e gli è stato comunicato che a Raffaele non spettava altro denaro. Credo
che il Maggiore Townsend abbia a sua volta informato Raffaele dell’esito del suo controllo. Il
Maggiore ed io abbiamo parlato del caso di Raffaele e di tutte le prove attenuanti della sua
intrusione nello spaccio della base. Il Maggiore era bene a conoscenza di quanto io fossi coinvolto
nel caso di questa Corte Marziale e di come io credessi che questo problema avrebbe potuto essere
trattato a livello di compagnia con l’Articolo 15 del Codice di Giustizia Militare.
Il Maggiore mi ha chiesto se sarei potuto andare io a parlare con il comandante del battaglione
riguardo il caso della Corte Marziale di Raffaele e, in tal caso, se avessi potuto io gestire la cosa con
tutti. Gli ho detto che ci avrei pensato io. Ho ragguagliato il Colonnello Simmons sulla storia di
Raffaele e, dopodiché, il Colonnello Simmons ha detto: “Sergente Maggiore, sa che non posso
fermare la Corte Marziale, ma quando passerò in rassegna il caso, prometto che non ci sarà il
carcere per lui.” Non potevo dire a Raffaele ciò che il Colonnello mi aveva detto. La mattina del 31
ottobre 1969 Raffaele ha dirottato un aereo fino in Italia. Nessuno è rimasto ferito in questa
impresa. Non giustifico il dirottamento e soprattutto non credo che Raffaele avrebbe dovuto essere
deferito alla Corte Marziale Speciale.
La vita di questo ex marine è cambiata. È stato a causa della guerra in Vietnam? Della Corte
Marziale? È forse stato perché non gli ho detto che sarebbe finito in carcere? L’unica cosa che so
per certo è che nei tre mesi in cui ho avuto la possibilità di conoscere Raffaele Minichiello si è
rivelato essere un marine eccezionale.
Ho suggerito a Raffaele la possibilità di cercare supporto psicologico attraverso la Veterans
Administration e gli ho detto che c’è una possibilità che il suo periodo di servizio in Vietnam sia
stato in parte la causa del suo scarso giudizio in passato e che un adeguato supporto avrebbe potuto
aiutarlo in futuro.
Vi chiedo di tenere presente il servizio che questo ex-marine ha reso per il suo Paese.
Rispettosamente,
[firma]
Sergente Maggiore M. Roberson US Marine Corps (in congedo)
Lettera aperta al Sig. Wenzel M. Williams e agli equipaggi del volo TWA85 –
31 ottobre – 1 novembre 1969
Sig. Williams:
Come prima cosa, noi sopravvissuti del terzo plotone, compagnia H, secondo battaglione,
della nono Marine diamo il benvenuto a lei e a sua moglie in occasione della nostra riunione nel
2009 qui a Branson. Questa è un’occasione molto speciale per i marine qui presenti e ci sentiamo
privilegiati che voi abbiate scelto di unirvi a noi e di incontrare il nostro fratello d’armi, Raffaele
Minichiello. Siamo qui per riconoscerle il coraggio e la professionalità dimostrata in qualità di
Primo Ufficiale del volo 85 e per ringraziare gli altri membri dell’equipaggio e coloro che hanno
prestato servizio volontario in supporto all’equipaggio originale:
Capitano Donald Cook
Hostess –
Primo Ufficiale Wenzel Williams
Sig.na Tanya Novacoff
Piloti volontari –
Hostess volontaria –
Ingegnere di bordo Lloyd Hollrah
Sig.na Roberta Johnson
Capitano R.H. Hastings
Sig.na Charlene Delmonico
Capitano Billy Williams
Sig.na Tracey Coleman
L’intento è quello di dimostrare il nostro rispetto e il massimo riconoscimento al personale
della TWA, sotto la guida del Capitano Cook, che ha reagito nel migliore dei modi e con grande
responsabilità in condizioni straordinarie. Lodiamo i membri dell’equipaggio per essere riusciti a
portare in salvo tutti i passeggeri e per aver aiutato il nostro fratello Minichiello a evitare seri danni.
Siamo rammaricati per il fatto che i passeggeri e il personale della TWA siano stati messi in
pericolo.
Una riunione di veterani combattenti riguarda amicizia, famiglia e fratellanza. Parla anche di
ricordo, umiltà e gratitudine. Abbiamo svolto il nostro servizio militare in un periodo instabile e in
circostanze estremamente difficili. Gli ex-marine che state incontrando hanno affrontato enormi
pericoli in condizioni estreme e ardue. Hanno portato avanti quotidianamente il loro compito per 13
mesi. Noi, fratelli in armi, abbiamo sopportato violenze, deprivazioni, lesioni fisiche e traumi.
Alcuni dei nostri fratelli, troppi di loro, non sono sopravvissuti.
Data la nostra storia in circostanze spaventose, noi, veterani combattenti, ci rendiamo conto
dell’ardua prova che vi siete trovati ad affrontare. Elogiamo la vostra reazione equilibrata,
distaccata e calma a una situazione di pericolo. Non dimenticheremo mai ciò che avete fatto nel
1969. Vi ringraziamo per il nostro fratello Raffaele.
Con grande rispetto e riconoscenza,
I veterani del terzo plotone alla riunione del 2009 – Branson, Missouri