Mi prendo cura di… TE!

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Mi prendo cura di… TE!
PROXXIMA-mente, novembre 2013, NUmero 10
Mi prendo cura di… TE!
Marco, già quando aveva pochi mesi, piangeva tanto. Piangeva di notte, piangeva di giorno, non si capiva
mai cosa avesse… La mamma, esausta, cercava di calmarlo dandogli il latte o il ciuccio con un po’ di miele.
Solo così sembrava trovare un po’ di tranquillità e riusciva ad addormentarsi per un po’. Crescendo, Marco
impara che se fa il bravo si guadagna un bel dolcetto, di cui è goloso, e questo gli dà grande soddisfazione
e lo fa sentire amato. A volte si annoia un po’, quando deve passare molto tempo in casa, e allora guardando i suoi cartoni preferiti, cosa c’è di più rilassante che mangiare un bel sacchetto di patatine o una
buona merendina?
Sarebbe tutto perfetto, se solo non ci fosse questo corpo che non vuole più stare nei panni. A scuola
cominciano anche a prenderlo in giro e, oltre tutto, il dottore dice che così non va bene, che fa male alla
salute.
Il problema è che, nel momento in cui il cibo diventa un modo per consolare degli stati d’animo negativi, una strategia per alleviare noia o depressione, questo modello viene interiorizzato e diventa una
modalità che persiste anche da adulti.
Del resto il cibo è una cosa accessibile, facile da trovare ovunque, è la risposta più semplice ed immediata: se però la domanda non è legata alla fame di cibo ma, magari, di affetto, di coccole, di attenzione, la
risposta non può essere soddisfacente a lungo termine. In un primo momento esso può dare un senso di
piacere, di gratificazione, ma poi non basta e allora se ne vuole ancora e ancora, fino ad innescare meccanismi che somigliano alla dipendenza.
Alcuni scienziati avevano fatto, diversi anni fa, degli esperimenti con delle scimmiette, per verificare se
l’esigenza primaria di un cucciolo fosse il cibo. Mettendo il piccolo in un ambiente con due “mamme”
finte, una di freddo metallo che, però, aveva un bel biberon con il latte, ed una di morbido peluche senza
nulla da mangiare egli, dopo aver succhiato il latte per lo stretto necessario, passava poi il resto del tempo
abbracciato alla mamma morbida e calda.
Questa è la chiave per capire che, quando la domanda del bambino è di avere attenzione e carezze, la risposta non deve essere il cibo. Altrimenti si dà l’avvio ad una serie di meccanismi attraverso i quali si utilizza
il cibo per riempire tutti i possibili vuoti esistenziali.Quando le abitudini e le scelte alimentari cominciano
ad essere troppo connesse a stati emotivi e non, invece, a delle percezioni sensoriali, lì incominciano i
problemi che espongono a variazioni patologiche dello stile di vita e del peso.
COSA FARE?
Certo, non è facile avere delle “ricette” applicabili ad ogni situazione ma possiamo certamente cercare di
immaginare una sorta di decalogo per comprendere i primi segnali di disagio e prevenire comportamenti
a rischio per la salute.
1) Il bambino (e anche l’adulto…) associa il cibo ad una emozione. Spesso alcuni alimenti possono essere preferiti perché collegati ad eventi piacevoli: le patatine con una festa, il fast food perché si è divertito
quando ci è andato con la mamma e il papà… Proviamo, allora, ad associare cibi più “sani” ad eventi
piacevoli, divertenti, a situazioni ambientali positive.
2) Evitiamo di utilizzare il cibo come premio o punizione. Soprattutto se la punizione sarà mangiare la
verdura, si assocerà ad essa un sentimento negativo, perdendo ogni possibilità di proporla poi come cibo
sano.
3) Non è consigliabile associare dei “tabù” a determinati cibi come la famosa crema alle nocciole o le merendine: non ci sono alimenti “cattivi” in assoluto e, soprattutto, il divieto può stimolare un desiderio.
4) Preoccupiamoci non solo di “quanto” deve mangiare ma anche del “quando” e del “dove”: è importante che siano rispettati gli orari, perché questo corrisponde ad un ritmo biologico dell’organismo, ed è
opportuno mangiare a tavola e non davanti al televisore o al computer o giocando o facendo i compiti…
le regole sono molto importanti per il bambino: gli danno dei confini e lo fanno sentire al sicuro.
5) Non è necessario, né consigliabile chiedere al bambino cosa voglia mangiare, perché gli pone un problema ed espone a trattative, spesso estenuanti, dove si può innescare poi un meccanismo di “scambio”
poco educativo. Ogni tanto, invece, è molto utile programmare e preparare insieme dei pasti particolari
(feste ecc.) permettendo al bambino di manipolare il cibo e seguirne in prima persona la preparazione.
6) Soprattutto, il bambino impara ciò che vive. Non c’è scuola migliore di quella che possono fare i
genitori avendo essi stessi, per primi, delle buone abitudini alimentari, sia nella scelta dei cibi e sia nel
modo di consumare i pasti insieme a tutta la famiglia, condividendo pietanze ed emozioni. Il libro “Ricette
spaziali-diventare cuochi galattici per preparare piatti semplici e sani con mamma e papà”, appena uscito
in libreria e visibile sul sito www.erickson.it (sezione video e audio), da cui è tratto l’articolo, rappresenta
un ottimo strumento per incoraggiare bambini e genitori a cucinare insieme e a preparare piatti gustosi e
genuini, davvero… spaziali!!!
Simonetta Marucci
nutrizionista, endocrinologa, esperta in Disturbi del Comportamento Alimentare, socia promotrice di ProXXIma
La sperimentazione del progetto I tech care-Mi prendo cura
è stata avviata grazie ad un contributo di Fondazione Cariplo
stili di vita per i cittadini del futuro associazione di
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