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Ecco come saranno i computer del futuro
Il fascino delle microenergie, dispositivi invisibili e autoalimentati al centro della lectio
magistralis di Luca Gammaitoni al Festival della Scienza di Genova
24 ottobre 2013
di
Simona Regina - website: javascript:void(0);
I computer del futuro? Saranno pervasivi, ovunque intorno a noi, e trasparenti, pressoché
al limite dell’invisibilità, grandi come granelli di polvere. Parola di Luca Gammaitoni, 52
anni, professore di fisica sperimentale all’Università di Perugia, dove dirige il Noise in
Physical Systems Laboratory (NiPS). Un laboratorio dove si progettano computer e
sensori elettronici di nuova generazione. “ Certo, continueremo a usare computer dalle
dimensioni necessariamente simili a quelle attuali, ma la nuova frontiera delle
telecomunicazioni e dell’elettronica è a livello delle nano e microscale”, racconta a Wired.it
prima della lectio magistralis al Festival della Scienza di Genova: Il mio telefonino fa il
caffè.
Un titolo profetico?
"Se 15 anni fa le avessi detto che avrei usato il telefono anche per fare fotografie mi
avrebbe dato del matto, perché all’epoca il telefono era un oggetto ingombrante, che
tenevamo in casa, in salotto sopra un mobile. Quello che sembrava assurdo però è
diventato realtà. Oggi sembra assurdo sostenere che un telefonino possa fare il caffè, ma
cosa succederà fra venti anni? Quale sarà l’evoluzione dei sistemi che usiamo per
comunicare? Del resto esistono già dei prototipi che ci offrono uno squarcio sul futuro:
sistemi di telecomunicazioni distribuiti ovunque e miniaturizzati in grado di interfacciarsi
con noi esseri umani, ma anche di comunicare con gli oggetti e tra di loro".
Computer sempre più piccoli necessariamente avranno bisogno di batterie miniaturizzate.
È questa la sfida da affrontare?
Cialtroni e creduloni
Bufale
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"L’alimentazione dei microcomputer è in effetti il collo di bottiglia: siamo in grado infatti di
progettare computer piccoli quanto i granelli di polvere ma non sappiamo come
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alimentarli. Non possiamo collegarli, infatti, a una normale presa di corrente. Servono
sorgenti portabili di energia, come le batterie, ma è necessario pensare a batterie di
nuova concezione, che non esauriscono la loro carica perché, potete immaginare, non
sarebbe pratico sostituirle oltre a doverle poi smaltire come rifiuti".
Quindi?
"Quindi è necessario trovare soluzioni alternative per garantire energia elettrica ai
microdispositivi elettronici. Per esempio possiamo ricorrere all’energia presente in varie
forme nell’ambiente per costruire i generatori del futuro, per produrre cioè l’energia
necessaria ad alimentare i computer di nuova generazione. Su questo fronte si sta
lavorando a livello internazionale e Stati Uniti e Europa in particolare si contendono il
primato. Si tratta di un settore indubbiamente strategico, perché studiare le microenergie
significa in fondo studiare i principi fondamentali di funzionamento della natura con
ricadute tecnologiche molto importanti, sia per realizzare sensori e alimentare computer
microscopici, sia per ridurre il consumo di energia dei grandi computer aumentandone
quindi la loro potenza. Pensate infatti quanta energia i computer attuali consumano
scaldandosi - una grande quantità di energia si trasforma in calore, prodotto a livello
microscopico, che non serve alla potenza di calcolo – e a quanti soldi vengono spesi per
raffreddarli per evitare che brucino".
Anche il suo laboratorio, all’Università di Perugia, è impegnato in questa corsa verso la
miniaturizzazione dei computer sfruttando le microenergie?
"Sì. Ci occupiamo dei principi di trasformazione dell’energia alle microscale sia a livello
teorico sia sperimentale, per progettare nuovi tipi di transistor (in fondo i computer sono
un insieme di porte logiche che utilizzano transistor) e costruire dispositivi elettronici che
utilizzino le microvibrazioni ambientali per produrre energia elettrica, consumandone
poca. E abbiamo fondato anche uno spin off universitario, Wisepower, per promuovere il
trasferimento tecnologico delle nostre ricerche. In pratica noi cerchiamo di estrarre
energia dalle vibrazioni meccaniche, come quelle che produce la carrozzeria di un auto
quando è in movimento. È possibile infatti trasformare queste vibrazioni in energia
elettrica per alimentare, senza bisogno di batterie, sistemi di sensori. Noi ne abbiamo
realizzato uno, si chiama Hat ( Hybrid autonomous transceiver) ed è un sistema integrato
che si autoalimenta sfruttando le vibrazioni della carrozzeria ed è in grado di monitorare la
temperatura dell’auto e trasmettere le informazioni al computer centrale di bordo".
Dunque si tratta di dispositivi piccoli ed ecosostenibili. Quali saranno secondo lei le più
importanti applicazioni di dispositivi elettronici di questo tipo?
"Possiamo sbizzarrirci con l’immaginazione. Per esempio sensori di questo tipo potranno
essere utilizzati per monitorare la stabilità di edifici e ponti stradali e verificare che
infiltrazioni d’acqua non ne indeboliscano la struttura. Oppure potranno essere utilizzati
per controllare le condizioni di salute di una persona, semplicemente spalmandoli sulla
pelle o ingerendoli, così come potranno essere usati per la produzione di tessuti innovativi
in grado, per esempio, di cambiare il grado di permeabilità in relazione alla temperatura
esterna o all’umidità".
(Credit per la foto: Getty Images)
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