Quanti orfani hai lasciato paradiso perduto del Sessantotto!

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Quanti orfani hai lasciato paradiso perduto del Sessantotto!
Firenze. La città. 5 Marzo 1982.
Quanti orfani hai lasciato paradiso
perduto del Sessantotto!
Caldo successo al teatro Affratellamento per «Pesci Banana»
di Cristiano Censi. Uno spettacolo di sferzante ironia che
ricorda a tratti Nanni Moretti, a tratti Woody Allen.
Maggio francese di Marcuse e di Sartre. Primavera di Praga. Guerra nel
Vietnam. Occupazione dell’ Università. Libretto rosso di Mao. Molotov e
cariche della polizia. In una sola parola: Sessantotto. E’ stato un anno che ha
fatto epoca. Come le guerre mondiali anche il ‘68 ha lasciato ai lati della
strada un’ infinità di orfani. Di un altro tipo, s’intende. Lo spettacolo Pesci
banana (il titolo è tratto da una novella di Salinger) in scena fino a lunedì al
teatro Affratellamento è un ritratto ben riuscito della generazione sessantottina. Orfani trentenni o quarantenni alle prese con una profonda crisi
d’identità. Il paradiso perduto del ‘68, dove si lottava spalla a spalla in preda
ad eroici furori contro «la società fascista governata dal regime capitalborghese», è definitivamente perduto.
Cristiano Censi, autore e regista di Pesci banana, ha riecheggiato nello
spettacolo i fumetti di Claire Bretécher, valente disegnatrice della rivista
«Linus». Come nelle strisce della Bretecher, di Altan o di Feiffer, protagonisti
sono proprio gli ex-contestatori di ieri, oggi affermati professionisti perfettamente integrati nel sistema.
Nella prima parte di PescI banana si ha una lunga sequenza di vignette
sotto forma di sketch. In un mondo a metà strada fra il Moretti di Sogni d’oro
e Piso Pisello vivono i vari personaggi. Muovendosi nella giungla multicolore
dei cuscini o dei piumoni (la sedia è stata una delle poche vittime detronizzate daI ‘68) i quattro eroi del nostro tempo esprimono le loro alienazioni e
frustrazioni.
Gli ideali di un tempo sono crollati senza lasciare alternative. Disorientati e
malconci i superstiti del 68 (quelli che non sono partiti per I’India o non hanno
messo su una cooperativa agricola) trascorrono le loro giornate in una
dolente abulia ideologica. In preda a raptus di vitalismo cercano di dare un
senso al grigiore della loro vita, troppo simile a quella contestata un tempo.
C’è chi partecipa ad un corso aziendale sulla creatività, chi invece legge libri
sulla semiologia di Eco o la «fellatio senza pene» di Dacia Maraini. C’è la
giornalista alla caccia di un disoccupato ad hoc per un’intervista, c’è la moglie
insoddisfatta sessualmente del marito. Un girotondo frenetico di gag, di
situazioni divertenti e ironiche, che coglie direttamente nel segno.
Nel secondo tempo il ritmo concitato dell’azione rallentata per concedere
spazio alla serata-tipo di due coppie. Come succede un po’ nelle storie di
Woody Allen, i quattro si scambiano confessioni e riflettono le proprie
angosce l’uno sull’altro. Con ironia e humour Cristiano Censi ha ben dipinto la
psicologia dei personaggi. Ognuno cerca di risolvere la crisi individuale e
coniugale lanciandosi verso una propria salvezza. Ma anche per oggi non si
vola.
Il finale ricorda Ecce Bombo, non tanto come situazione ma come stato
d’animo. Dopo i carri armati russi a Praga, le barricate per la vie del centro a
Roma, restano oggi solo il vuoto, la solitudine e tanta nostalgia. Venditti
cantava nel «compagno di scuola ti sei salvato o sei entrato in banca pure
tu». La risposta è in questi «Pesci banana». Alida Cappellini, Toni Garrani,
Cristiano Censi e Isabella Del Bianco si sono dimostrati ben affiatati. In
particolare Censi è apparso tragicamente somigliante all’uomo di mezza
età dei nostri giorni. La Del Bianco si è proposta come la nuova
«signorina snob», asso nella manica del cabaret di Franca Valeri. Alida
Cappellini è una deliziosa femminista pentita e Toni Garrani un valido
sinistroide distratto. Le scene e i costumi sono di Giovanni Licheri. Le
musiche, simpatiche e gradevoli, sono di Piero Umiliani.
Il pubblico ha applaudito più volte a scena aperta, ridendo allegramente di cuore. Alla fine nuovi calorosi e ripetuti applausi.
GIOVANNI CIATTINI