Carlos Salem NUDA È LA MORTE

Transcript

Carlos Salem NUDA È LA MORTE
Carlos Salem
NUDA È LA MORTE
Traduzione di Pierpaolo Marchetti
Tropea
Titolo originale: Matar y guardar la ropa
© 2008 Editorial Salto de Página y Carlos Salem
© 2012 Marco Tropea Editore s.r.l.
Corso Buenos Aires 36
20124 Milano
Tel: (0039) 02 36596750
Fax: (0039) 02 36596754
www.marcotropeaeditore.it
Prima edizione: luglio 2012
iSBN: 978-88-558-0220-8
NUDA È LA MORTE
A inés, per questo.
Ai miei figli, África e Nahuel.
A Héctor Koenig, «Kona», il mio più vecchio amico.
A Gonzalo Torrente Malvido, il mio vecchio Numero Tre.
E alla gloriosa combriccola di balordi del Bukowski club.
«Sa una cosa? Non si offenda, ma lei è stanco di tirare avanti.»
osvaldo sorIaNo, Un’ombra ben presto sarai
1.
Gli specchi dell’ascensore ci ripetono, creando a partire dai
quattro passeggeri una moltitudine di cloni. È un ascensore
moderno, come l’edificio, e un attimo fa, quando l’uomo in
abito blu e io siamo saliti al quattordicesimo piano, ho pensato
a un vecchio trucco da festa di paese, un trucco crudele, perché invece di deformarci, l’ottima qualità ottica degli specchi ci
mostrava con precisione. E questo fa male.
Al dodicesimo piano l’impulso morbido si è fermato e sono
entrate questa donna e la sua fotocopia ridotta, la stessa alterigia ripetuta in stature differenti. La Madre (perché è una Madre
con la M maiuscola) si incarica di istruire la bambina su quello
che deve e non deve fare quando vengono a trovare papà in
ufficio. Prolunga la parola ufficio dopo avermi guardato, perché
ciò che vede ratifica la mia condizione di probabile subalterno
del suo rispettato papà. Vede un uomo vicino ai quaranta, con
un paio di baffi anacronistici e i capelli allisciati per nascondere la possibile calvizie. Un uomo un po’ curvo, come se stesse
aspettando il prossimo colpo o smaltendo l’ultimo.
Niente di patetico.
Solo banale.
Un uomo che potrebbe essere bello se invece di quell’espressione bovina e amabile mostrasse un po’ di fierezza, un
pizzico di ambizione, una scintilla di felicità.
7
indosso un abito grigio non troppo usato. Di fatto, l’ho
messo solo una decina di volte. Però ha il mio stesso aspetto,
prematuramente appassito. Per questo la Madre, che si allarma
perché la bambina ha dimenticato qualcosa nell’ufficio di papà,
mi guarda come per dire che la mia fatica mediocre di presunto
impiegato in una di quelle aziende non è niente in confronto a
ciò che deve fare una Madre. Non riesco a sentire le sue parole,
ma l’uomo in abito blu, l’altro uomo, scuote la testa cavallerescamente e ferma l’ascensore con un gesto che non dipende
tanto dal suo dito sui pulsanti quanto dall’autorità che emana.
Poi preme di nuovo e riprendiamo a salire.
Non mi ha consultato.
Non ce n’è bisogno.
Lui non consulterà mai nessuno ma bastano l’oro dei suoi
anelli, l’orologio e il portachiavi della Mercedes ad avallarne le
decisioni.
Di nuovo il quattordicesimo piano. Madre e figlia escono
dopo aver ringraziato il signore e ignorato l’invisibile.
Scendiamo di nuovo. L’uomo in blu tira fuori un sigaro e lo
accende. Non mi consulta. Non ce n’è bisogno. Si limita a indirizzarmi dallo specchio un gesto complice, siamo tra uomini,
sistema i suoi gemelli d’oro e si gode il fumo. Anch’io. Ammiro
l’accendino (d’oro, naturalmente) che ha tenuto in mano per
consentirmi di ammirarlo, mentre lo apre e lo richiude con studiata semplicità. Allo specchio faccio un cenno indicando l’accendino. È una domanda e lui apprezza la mia timidezza e il
mio gesto rispettoso. Annuisce appena. Metto la mano in tasca
e lui mi anticipa avvicinando subito l’accendino per darmi del
fuoco come se mi concedesse una benedizione. Con la coda
dell’occhio guarda il suo avana, chiedendosi quale tabacco da
quattro soldi tirerò fuori. immagino che dentro di sé scommetta su una marca o sull’altra, così come punta al casinò, lasciando piovere le fiches sul tavolo verde. Si decide per la marca più
scadente di sigarette bionde, ne sono sicuro, e si prepara a far
sì che la sua espressione non lasci trasparire compassione. Può
darsi che valuti addirittura la possibilità di elevarmi offrendomi
8
uno dei suoi avana. Si nota che è soddisfatto, dei suoi affari e
di se stesso, del mondo che funziona come deve per le persone che hanno rango e possibilità, necessariamente poche in
quantità ma ricche di qualità. Perciò si sorprende quando vede
che il mondo non funziona più come deve, e che invece di un
pacchetto di sigarette scadenti tiro fuori dalla tasca la piccola
pistola nera, allungata dal silenziatore, gliela punto alla fronte
e sparo.
Due volte.
Si guarda allo specchio e presta più attenzione al suo aspetto generale che ai fori rossi e gemelli sulla sua fronte.
Poi muore.
Fermo l’ascensore al piano numero tre. Gli uffici di quel
piano sono in ristrutturazione ed è ora di pranzo. Come avvertivano le mie istruzioni. Ringrazio per l’esattezza delle sue
abitudini l’uomo caduto, e la Madre per la dimenticanza che
mi ha evitato di dover mettere in atto il piano B. Attendere fino
a sera per abbordarlo al ritorno dal club avrebbe aumentato il
rischio facendomi sprecare un tempo che non ho.
Esco e sistemo il piede calzato in una scarpa carissima per
impedire che si chiuda la porta dell’ascensore. La porta spinge.
il piede dell’uomo balla nell’aria. Scendo per le scale con aria
gioviale, fino al piano terra. Come prevedevano le mie istruzioni, è cambiato il turno e la guardia all’ingresso è diversa da
quella che mi aveva visto salire. Anch’io sono diverso, con la
giacca sulle spalle e i capelli scompigliati, un giovane manager
promettente, forse uno dei geni dell’informatica che regnano
in tutte le aziende che hanno sede ai piani superiori e i cui
nomi finiscono per punto com. i baffi antiquati viaggiano nella
mia tasca, insieme alla pistola.
Saluto la guardia ed esco sul paseo de la Castellana.
il sole bagna Madrid. Penso alla Madre dell’ascensore e al fatto che il suo arrivo aveva rischiato di farmi fare delle ore extra.
Ma la donna aveva ragione. io non ho alcun merito.
Essere un assassino a pagamento è facile.
il difficile è essere padre.
9