Mariapia Giulivo, G
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Mariapia Giulivo GRAVIDANZA E CURA DEI NEONATI NEGLI USI E NEI PREGIUDIZI POPOLARI Da “Umanesimo della Pietra” - Martina Franca (Ta) - luglio ’91 È sempre vivo nella mia mente il racconto di una donna, madre di undici figli e vedova settantaseienne di un facoltoso massaro putignanese, relativo alla fortunosa venuta al mondo del suo terzogenito: una narrazione vivace, vagamente nostalgica, ricca di forza e vitalità. Dunque, le cose erano andate così. Era ormai prossima a sgravarsi e, in un tardo pomeriggio di autunno, le doglie erano sopraggiunte con una tale intensità, che il marito pensò bene di evitare inutili perdite di tempo e di portarla in paese a casa della mammara, anziché fare il contrario, come era d’uso, e condurre la levatrice alla masseria, che distava circa sette chilometri dal centro abitato. Durante il tragitto il massaro spronava i cavalli ad andare più forte, mentre la sciarretta traballava pericolosamente. La povera donna, attanagliata dai dolori, non riuscì a contenere il naturale impulso del parto e si sgravò li, sulla sciarretta, tenendosi stretto il suo bambino tra le gambe grazie ai grandi mutandoni di tela che portava sotto gli abiti. Giunse in paese livida e sfinita, appena in tempo per salvarsi e salvare il suo bambino. La mammara, non credendo ai propri occhi, tagliò soltanto il cordone ombelicale e prestò le cure necessarie alla puerpera ed al neonato. La donna mi raccontava che, mentre avveniva quel parto così insolito, pregava intensamente la Madonna e non si lagnava, tanto che don Ciccio, il marito, tutto preso dalla concitata guida dei cavalli, neppure si rese conto di quello che avveniva. Ella commentava, alla fine del racconto, che solo la Vergine l’aveva aiutata, che lei non era miracolosa, come le donne d’oggi; che una volta far figli era più naturale e sentito, che i figli sono la vera ricchezza di una casa. Ho voluto introdurre l’argomento che tratterò riferendo questa vicenda, accaduta circa sessant’anni fa, perché è già in grado di farci percepire quanto diversa era in passato la mentalità che riguardava la gravidanza, il puerperio e la cura dei figli. In questo ambito, schiettamente contadino, ancora una volta, sagge e pratiche consuetudini si mescolano ad un empirismo di tipo magico e fatalistico, al sacro e al profano. Il mistero, sempre affascinante della vita, si colora di pregiudizio e di fantastico, riportandoci in una dimensione quasi atemporale, in cui la ritualità e la superstizione sono quanto mai vive e degne di indagine. Scopriamo, così, un mondo quotidiano con i suoi principi, le sue usanze, i suoi simboli, e, soprattutto, termini ed oggetti desueti in un mondo contadino ancora molto lontano dalla civiltà dei consumi e dalla medicina ufficiale. Gesti quotidiani nella cura di un neonato di altri tempi. Un mondo che ho affrontato non solo come curiosità antropologica ma come specchio di una realtà, alla costante ricerca di risposte e sempre in lotta contro le forze occulte dell’ignoto. Gravidanza e superstizioni La gravidanza è un periodo molto importane nella vita di una donna: pur non essendo considerata un’ammalata, la donna incinta è fatta oggetto di particolari attenzioni. Nella tradizione popolare le attenzioni sono più d’una e quasi tutte intrise di superstizione e di fatalismo. 1 Di fondamentale importanza è soddisfare tutti i bisogni e i desideri alimentari della gestante, al fine di evitare le tanto temute voglie, che si possono tramutare, sul corpo della creatura che nascerà, in antiestetiche chiazze di diverso colore: rosata è, per esempio, una voglia di vino; marrone, una di caffè; scura e pelosa, una voglia di carne di maiale; rossa, è di fragola; e così via. Alle donne gravide si consiglia, quando sentono il goloso desiderio di un cibo, di grattarsi le natiche: in questo modo la voglia comparirà al neonato su quel punto del corpo poco visibile. Così forte è la preoccupazione di evitare le voglie, che si obbliga chiunque a non negare mai un alimento appetito da donna incinta, altrimenti, come conseguenza, vedrà comparire presto un orzaiolo vicino al suo occhio. Una donna gravida non deve mai neppure fissare persone o animali particolarmente brutti e sgradevoli, poiché questo potrà influenzare negativamente le fattezze del nascituro; deve, al contrario, circondarsi di graziose bambole e di oggetti armoniosi, perché sarà sicuramente di buon auspicio. Queste strane superstizioni, che oggi fanno quasi sorridere, in realtà hanno origini antichissime ed erano già note agli antichi romani. Tra i tanti riferimenti, cito dal saggio del 1982 su Magia e medicina popolare in Italia di Cecilia Gatto Trocchi: si narra di Macrina, moglie del console Torquato, che ai tempi della Repubblica morì perché incinta non potè vedere un uomo guercio che passava per strada. A quei tempi alle donne oneste era vietato affacciarsi alla finestra; ma dopo questo fatto il Senato, dolente, concesse alle donne incinte molti privilegi; tra l’altro si ordinava che nulla a loro fosse negato in fatto di cibi. Altra cosa da evitare è di cingersi il collo con fili di cotone o di lana o con sciarpette e fazzoletti, altrimenti il neonato nascerà col cordone ombelicale attorcigliato intorno al collo, rendendo il parto non solo difficile ma estremamente pericoloso. Gravidanza e pronostici Sarà maschio o sarà femmina? L’interrogativo, oggi ormai superato grazie a sofisticati esami medici, ha un peso notevole nella tradizione popolare. Nel mondo contadino di stampo patriarcale è importante che almeno il primogenito sia un bel maschio: questo è il sogno di tutti i padri, l’orgoglio delle madri, la certezza che la continuità famigliare non sarà interrotta, che il nome del nonno non scomparirà dalla genealogia, che ci sarà un erede sicuro per le terre e per l’attività agricola. E, come sempre, di fronte ad un’incognita di tale portata, il popolo reagisce col pregiudizio cercando di darsi rassicuranti risposte. Esistono moltissimi pronostici atti a prevedere il sesso del nascituro, che hanno il fascino di tempi ormai trascorsi e l’indeterminata suggestione della casualità. Se una donna incinta, intenta alla cucina, brucia accidentalmente un lembo del sendie de nanz, si presta molta attenzione alla bruciatura del grembiule: se è sulla parte destra, la donna partorirà un maschio; se a sinistra, nascerà una femmina. Sotto osservazione sono tenute anche le pieghe prese dagli abiti sui corpo ingrossato della gestante: se il vestito forma una piega centrale, partendo dalla pancia, il nascituro sarà maschio; se le pieghe sono due e laterali al ventre, sarà una femmina. Inoltre il volto di una futura mamma che si chiazza di macchie color caffelatte fa prevedere la nascita di una femmina, così come la comparsa di gocce di latte alle mammelle circa trenta giorni prima del parto. Tra i pronostici ce n’è uno riportato dal Karusio nei suoi Pregiudizi popolari putignanesi, che descrive: Volendo indovinare se quella femmina incinta partorirebbe un bambino o una bambina, la si farebbe sedere a terra, quindi la si farebbe alzare. Se levandosi di terra, si sostenesse sul lato destro, darebbe alla luce un maschio, se sul lato sinistro, una femmina. 2 Un metodo semplice, appannaggio di donne anziane ed affidabili e tuttora in qualche caso praticato, è quello della collanina tolta dal collo della gestante e fatta cadere perpendicolarmente sul palmo aperto della sua mano: se la catenina cade a piombo e si ferma, nascerà un bambino; se, invece, oscilla, nascerà una bambina. Un pronostico è racchiuso persino in un vecchio adagio: Venta chiàtte annòsce a zappe / venta pzzòte annòsce u fòse (un ventre largo e piatto fa presagire un maschio, che sarà dedito alla zappa; un ventre stretto e appuntito porta dentro di se un fuso, cioè una femmina, che si dedicherà a lavori tipicamente femminili per tradizione). Concludo con i pronostici, citandone uno particolarmente curioso che denota lo stretto rapporto esistente in campagna tra uomini e animali, anch’esso raccolto dal Karusio: Un’asina gravida, che fosse montata da una donna pregna, se partorisce maschio, indicherebbe sgravo di femmina alla donna che l’ha cavalcata, e viceversa. Il parto e il puerperio Il parto è inteso dal popolo come evento collettivo, nel senso che parenti, amiche e comari, purché già madri, si danno da fare per aiutare la mammara o addirittura si sostituiscono ad essa in casi di emergenza, dando prova di tutta la loro esperienza. Per facilitare il parto si cinge la vita della partoriente con la funicella usata per legare le quattro zampe della pecora durante la tosatura: è usanza molto antica praticata soprattutto nelle nostre campagne. Inoltre si danno da bere alla donna infusioni particolari che evitano il pericolo di un parto asciutto e, quindi, doloroso; inoltre si recitano accorate preghiere a Sant’Anna, ritenuta la protettrice delle partorienti. Dopo il parto la donna è sottoposta a cure attente: la si nutre principalmente con delicato brodo di colombo, perché si crede abbia la virtù di far scendere il latte; chi non se lo può permettere, somministra un brodo preparato con ceci neri, che ha la stessa proprietà. Si evita, invece, di nutrirla con il pesce, perché è ritenuto di cattivo auspicio. I capezzoli delle puerpere vengono delicatamente massaggiati con olio d’oliva, per essere opportunamente preparati all’ allattamento. Il nutrimento al seno da parte del bambino si protrarrà, infatti, per lungo, tempo, anche a svezzamento avvenuto con pancotto e farina cotta e a volte anche dopo il primo anno di vita, poichè il latte materno è ritenuto un alimento insostituibile. Se una puerpera non ha quantità sufficiente di latte per nutrire il proprio nato, si ricorre ad una mamma u llàtte, cioè una nutrice che si presta, dietro compenso, a fornire al neonato il prezioso alimento. Cura e abbigliamento del neonato Poco dopo che il bambino vede la luce, viene reciso il cordone ombelicale. Una certa importanza avrà il luogo dove esso sarà riposto quando si disseccherà e si staccherà dal corpo del bambino: è d’uso avvolgerlo in un pezzo di tela e nasconderlo sul pizzinurro più alto di un trullo o, comunque, in un luogo elevato, per assicurare al bambino una voce intonata, limpida e squillante. Se il bambino piange, lo si lascia strepitare, perché si pensa che così si rafforzino i polmoni; oppure, si prepara u pupèdole, un succhiotto casalingo fatto con garza e ovatta imbevuta di decotto d’orzo, d’infuso di camomilla, o riempito di zucchero. Se il neonato è particolarmente nzullènte (capriccioso, nervoso), si somministra a papàgne, decotto fortissimo preparato con il papavero officinale (Papaver somnzferum), un’abitudine davvero rischiosa poiché la pianta in questione, comune nelle nostre campagne, è un oppiaceo. Ma l’aspetto più interessante riguarda sicuramente l’abbigliamento e la fasciatura del neonato, poichè ci 3 tramanda una serie di complicati indumenti, meticolosamente studiati ed ormai sostituiti da altri più pratici e funzionali. E il caso di dire che i bambini di una volta hanno, rispetto a quelli di oggi, troppa roba addosso. Sulla pelle delicata indossano una leggera camicina di cotone, poi un cacciamàn, bustino aderente di piquet o di flanella e le magliettine di lana. I sparghene, i panni, sono di tela fattincasa e vengono fissati con spille francesi, u peraròle, un triangolo di stoffa, serve per avvolgere i piedini; inoltre con una lunga fascia di cotone pesante si nfàsse il bambino, avvolgendo strettamente il suo corpo fino a renderlo un rigido cilindro ed evitando allegri sgambettii che, si pensa, rendano storte le gambe. Così fasciato, lo si infila in un sacchetìdde, un sacchetto di millerighe o di piquet grazioso e ricamato e gli si lega intorno al collo a varvaròl, il bavaglino che raccoglie i vàv (le bave), soprattutto quando spuntano i primi dentini. La testa viene protetta dal freddo o dai colpi di sole per mezzo di una cuffietta di lana o di cotone e in inverno completa l’abbigliamento un giubbettino di lana lavorato ai ferri e ornato generalmente di merletti o nastrini. La cuffietta di lana si toglie ai neonati soltanto il Sabato Santo, dopo il Gloria, perchè solo così si evitano raffreddori e colpi d’aria. Per tenere fermo il neonato, mentre ci si dedica ad altre faccende, si usa u squànne, una sorta di sediolina fissa con un foro centrale in cui si infila il corpo del bimbo rigidamente fasciato; per il suo riposo si prepara a nach, la culla a dondolo di legno, dotata di materassi- no di crine, di una buttètell (trapuntina imbottita di lana) e di u uasce, preparato con un’ incerata per evitare che il bimbo possa bagnare il materasso. Quando il neonato comincia a crescere si sostengono i suoi primi passi con i tranze, grosse bretelle di tela con delle redini; oppure lo si mette nello scapelatòrer, antenato povero del girello, un oggetto artigianale fatto di legno, dotato di ruote per permettere al bimbo i primi spostamenti senza il pericolo di cadute. Per l’igiene del neonato si fa grande uso di olio di oliva, che si strofina sulla pelle per addolcirla o per eliminare con delicatezza le croste lattee; per il culetto arrossato, invece, si usa sostituire il pannetto bianco con uno nero, perché è superstizione credere che il nero permetta di guarire le scaldature. Un proverbio, in ogni caso, avverte che piccènne de iente a nache / na deje ienghie, iia dej devach (bimbo della culla un giorno è tondo e roseo, un altro è pallido e magro) e che, quindi, nessuna preoccupazione devono destare deperimenti o improvvisi cali di peso. Tra pregiudizio e magia Fra le cure del neonato rientrano indubbiamente pratiche empiriche e pregiudizi inspiegabili, che testimoniano il tipico timore del popolo nei confronti di forze sconosciute e misteriose. Un bambino è un essere fragile ed indifeso, perciò deve essere protetto da qualunque tipo di aggressione. Prima del battesimo, cioè prima che la sua anima venga purificata, si pensa che il neonato sia particolarmente esposto a vari pericoli. Tra il parto e il giorno del battesimo, quindi, dalla casa in cui è nato un bimbo non devono mai uscire sale o fiammiferi, perché questo porta male. Inoltre la mamma non partecipa mai all’evento, chi prepara il bambino per la cerimonia è la mammara o la commara: l’intervento materno è ritenuto di cattivo auspicio per la futura vita del bimbo. Prima del battesimo si usa preparare l’abbetène, un sacchetto di stoffa imbottito con immagini di santi, che si porta in dono al bambino e che viene benedetto durante la cerimonia religiosa. Da questo 4 momento il neonato lo porterà sempre nascosto negli indumenti e l’insolito amuleto lo preserverà da l’affàscene, dalla malia e dall’incantesimo. Sempre prima che il bimbo si purifichi e diventi cristiano non lo si deve mai baciare, nè è opportuno prelevare fuoco pagano dal camino o dal braciere della sua casa per portarlo in altra abitazione. Fino a quando non viene battezzato, inoltre, è anche sorvegliato durante la notte per tenere lontano il monacello o altri spiriti maligni che potrebbero danneggiarlo. Se, invece, si ritiene che il neonato sia stato vittima di un affascino, nonostante le attente precauzioni, si tengono sospesi sulla sua testa due oggetti simbolici: le mutande del padre o un paio di forbici aperte, perché si ritiene scaccino il malocchio. Concludo con i pregiudizi citando una credenza curiosa. Chi taglia per la prima volta le unghie ad un neonato è da considerarsi il suo compare o la sua commara. Va detto che questi due ruoli hanno una importanza notevole, che si è persa nel corso degli anni: sono infatti le persone più prossime ad occuparsi del bambino in caso di impossibilità da parte dei genitori ed hanno il compito di guidare saggiamente il proprio comparello o la propria commarella. La sintesi in un proverbio Questa mia breve indagine potrà apparire forse troppo distaccata e documentaristica, dato che si limita a fornire notizie ed evita commenti o riflessioni sugli argomenti presentati. In realtà ho usato il presente proprio per dare al mio scritto un tono da cronaca quotidiana perché di piccoli avvenimenti famigliari è fatta la tradizione. Ma è indubbio che i suoi linguaggi, i suoi contenuti ed i suoi simboli sono oltremodo complessi. Resta, però, immutabile il fatto che per il popolo certi riti e pregiudizi erano questioni da affrontare senza sentimentalismi e con pratica determinazione non ci si poneva domande sui perché di gesti e di segni e neppure sull’efficacia dei risultati. Soltanto alcuni dei pregiudizi descritti sono sopravvissuti nella cultura della città, dove, perlopiù, è mutato l’atteggiamento nei confronti di essi. Nel caso specifico, la maternità, il parto, i figli erano valori basilari, perché la nascita dell’uomo era il fondamento dell’amore e della famiglia, del lavoro e della continuità. Essere sterili era un’onta grave per una donna che, essendo dedita solo al matrimonio e alla famiglia, si sentiva mutilata ed esclusa. Spesso le donne più sfortunate si affidavano a San Francesco da Paola, affinché attraverso la loro preghiera le rendesse feconde. Le considerazioni finali le lascio ad un proverbio del nostro vernacolo, Lasse a murènte i fosce a’ parturènte, che contiene davvero la sintesi di tutto il discorso. Lascia chi sta morendo, ci dice, e corri da chi sta partorendo. Accorri con sollecitudine per aiutare una vita che nasce, non ti curare di una vita che muore e per la quale non puoi fare più nulla. La sentenza può apparire persino disumana ma è fattiva, concreta e ci fornisce la chiave di lettura di una cultura articolata ed irrazionale, spesso difficile da interpretare nel modo corretto. °°°°° 5