Italiano, Classe III B Prof. Giovanni Godio 1 S. Francesco, Laudes

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Italiano, Classe III B Prof. Giovanni Godio 1 S. Francesco, Laudes
Italiano, Classe III B
Prof. Giovanni Godio
S. Francesco, Laudes creaturarum
Altissimu, onnipotente, bon Signore,
tue so’ le laude, la gloria e l’honore et onne benedictione.
Ad te solo, Altissimo, se konfano,
et nullu homo ène dignu te mentovare.
Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le tue creature,
spetialmente messor lo frate sole,
lo qual è iorno, et allumini noi per lui.
Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore:
de te, Altissimo, porta significatione.
Laudato si’, mi’ Signore, per sora luna e le stelle:
in celu l’ài formate clarite et pretiose et belle.
Laudato si’, mi’ Signore, per frate vento
et per aere et nubilo et sereno et onne tempo,
per lo quale a le tue creature dài sustentamento.
Laudato si’, mi’ Signore, per sor’aqua,
la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.
Laudato si’, mi’ Signore, per frate focu,
per lo quale ennallumini la nocte:
ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte.
Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre terra,
la quale ne sustenta et governa,
et produce diversi fructi con coloriti flori et herba.
Laudato si’, mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore
et sostengo infirmitate et tribulatione.
Beati quelli ke ‘l sosterrano in pace,
ka da te, Altissimo, sirano incoronati.
Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra morte corporale,
da la quale nullu homo vivente pò skappare:
guai a·cquelli ke morrano ne le peccata mortali;
beati quelli ke trovarà ne le tue sanctissime voluntati,
ka la morte secunda no ‘l farrà male.
Laudate e benedicete mi’ Signore et rengratiate
e serviateli cum grande humilitate.
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Italiano, Classe III B
Prof. Giovanni Godio
Dal latino alle lingue romanze
Dal latino sono derivate le lingue neolatine o romanze. La parola “romanza” deriva
dall’espressione romanice loqui, «parlare in lingua romana», contrapposta a barbarice loqui, «parlare
in lingua barbarica». Per capire come ciò sia avvenuto, bisogna tener presente la differenza fra la
lingua scritta e la lingua parlata. Accanto alla lingua scritta, più ricca, raffinata e complessa, il
sermo doctus («la lingua colta»), vi era il linguaggio parlato, usato nella vita di tutti i giorni, il sermo
vulgaris («la lingua volgare», cioè «del popolo», da vulgus, «il popolo»). Mentre il sermo doctus nel
volgere di alcuni secoli si fissò in forme e strutture definite, invece il sermo vulgaris si andò via via
modificando, riflettendo le differenze regionali esistenti tra i popoli romanizzati. Mentre cioè il
latino delle persone colte, insegnato nelle scuole e usato nei documenti ufficiali e nella produzione
letteraria in genere, era simile a Roma e nelle località periferiche dell’impero, come nella Dacia
(oggi Romania), nella Britannia o nelle regioni dell’odierno Portogallo, invece il sermo vulgaris andò
assumendo caratteristiche regionali che si tradussero in differenze sempre più marcate fra le varie
aree geografiche, a seconda delle vicende storiche e culturali di ogni regione: grado di
colonizzazione, presenza di eserciti e di funzionari romani, intensità di rapporti con la capitale ecc.
Il latino aveva soppiantato gli idiomi locali, ma non aveva cancellato abitudini di pronuncia,
residui dialettali e così via.
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