A secco gli Scuola Bus,Sono quattro anni che denuncio queste cose
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A secco gli Scuola Bus,Sono quattro anni che denuncio queste cose
A secco gli Scuola Bus Ormai la definizione che più viene usata per il carburante per autotrazione è l’Oro nero. La scarsità del prodotto causata dallo sciopero dei trasporti ma contestualmente quello dei distributori di carburante, ha fatto scarseggiare questo prezioso ed ormai irrinunciabile bene causando non pochi disagi alla normale circolazione delle merci e delle persone. Una necessità per le aziende e per le famiglie e questo lo hanno capito bene quelli che normalmente sono attenti all’andamento dei mercati, quello nero. E così l’altra notte, si suppone un gruppo di persone, attrezzate con taniche e tubi di plastica si sono recati indisturbati all’interno dell’ex area macello comunale in Via XXVI ottobre, dove sono parcheggiati i pullmans scuola bus ed i mezzi attualmente utilizzati da un’associazione Onlus che sopperisce alla mancanza di mezzi comunali in manutenzione. Uno alla volta hanno svuotato tutti i serbatoi dei mezzi ma ad un certo punto, deve essere accaduto qualcosa di imprevisto perché sono state rinvenute sul posto alcune taniche non riempite, forse a causa dell’improvvisa fuga dei malviventi, probabilmente allertati da qualche rumore sospetto. Ancora una volta dobbiamo scrivere la cronaca di un fatto grave che ha interessato il patrimonio comunale. Sono trascorsi pochi giorni dal famoso furto con scasso della cassaforte comunale che comportò l’asportazione di 8mila euro oltre ai danni alle suppellettili ed alla stessa cassaforte. Ormai non ci si fermano davanti a niente, i malviventi si fanno sempre più intraprendenti e non c’è settore che non sia stato interessato alle loro attenzioni. La vicenda ha creato enormi disagi al normale servizio di accompagnamento degli alunni presso i relativi plessi scolastici ma soprattutto sconforto nel dovere constatare che questo genere di criminalità si va sempre più diffondendo creando giustificato allarme da parte dei cittadini. Severino Cipullo Sono quattro anni denuncio queste cose che Caro direttore, non sto qui a ricordare che sono ben quattro anni che denuncio sul tuo giornale le disfunzioni , o meglio le vessazioni che la cittadinanza subisce ad opera di persone distratte , incompetenti ed incapaci , ma voglio analizzare il perché si verificano queste cose. L’analisi obiettiva non può che condividere il prof Persico quando afferma che “ i politici utilizzano la burocrazia per ottenere consensi e la burocrazia utilizza la politica per conquistare continui vantaggi “. E certamente questo concetto contrasta con la legge 267\2000 , meglio definita come Testo Unico che regola le attività degli Enti Locali, laddove recita che il compito dell’amministratore locale è di indirizzo e di controllo sull’operato della burocrazia ( cioè dei dipendenti ). E qui faccio notare che il testo unico utilizza il termine di amministratori locali e non di politici. Vale a dire che chi dirige una collettività locale deve comportarsi come l’amministratore di un condominio, quindi deve fare gli interessi del condominio e non di altri. Poiché questo concetto è chiarissimo ai comuni mortali ma non ai nostri “cosiddetti” politici, ne vengono fuori le disfunzioni che tanti di noi lamentano. Il fatto poi che sono diverse le persone che si lamentano significa che il concetto di bene comune comincia a farsi strada e che le promesse facili ( posti di lavoro ed altro ) cominciano a perdere la loro efficacia perché tante persone stanno sperimentando sulla propria pelle quanto costa il vecchio detto “ tanto paga pantalone “ . A questo punto la domanda è se ci sono speranze di ribaltare questo stato di fatto. Dobbiamo considerare che il potere è inscindibile dalle relazioni che riesce a stabilire fra la gente e che unisce diverse persone intorno ad obiettivi di volta in volta specifici. Ma questo potere per dare i frutti deve essere per forza esercitato nei confronti della burocrazia, e questo significa rischiare uno scambio spesso squilibrato di possibilità. E anche in questo ci viene in soccorso il testo unico nel quale è sancito che il potere decisionale del sindaco diventa necessario per il cambiamento di mentalità , perché permette di eliminare il rapporto negativo : compromessi, accordi segreti, abusi etc etc. Il potere decisionale deve consentire , quindi , una evoluzione dei rapporti verso nuove configurazioni eliminando o quantomeno riducendo al minimo consentito vecchi modelli di scambio , purtroppo tutt’ora vigenti. Occorre mettere in connessione diversa le componenti sociali presenti nell’organizzazione comunale, aggregare le energie disponibili sui progetti per la città : rendere i soggetti attivi e partecipi di un processo verso una nuova dignità , un nuovo tipo di scambio non subordinato al politico , ma aperto ai bisogni emergenti della società. Solo così , penso, che la città possa ottenere una risposta positiva ai problemi quotidiani. Ermanno Rea nel suo libro “ Mistero Napoletano” racconta di una ragazza che piangeva senza ritegno tanto che sembrava un pianto di gioia…Quella ragazza stava scoprendo in quell’istante un’emozione nuova : quella della speranza come bene collettivo, sociale oltre che individuale. Quella ragazza era la nostra Città,…la nostra Teano! Carmine Corbisiero Per riflettere, meditare comprendere dimenticare... e non Améry Jean Intellettuale a Auschwitz Jean Améry, come molti altri ebrei, fu internato ad Auschwitz, Buchenwald e Bergen-Belsen. Vi rimase per due anni e riuscì a sopravvivere per caso. Nei venti anni successivi alla sua liberazione, avvenuta nel 1945, non affrontò mai, da letterato e da intellettuale, la sua esperienza della Shoah. Nel 1964, quando a Francoforte iniziò il grande processo ad Auschwitz, Améry decise di infrangere il suo personalissimo silenzio scrivendo il primo articolo sull’esperienza del Terzo Reich, un pezzo dedicato alla figura dell’intellettuale ad Auschwitz: “Quando però, grazie alla stesura del saggio su Auschwitz sembrò essersi infranta una confusa proibizione, sentii improvvisamente l’esigenza di dire tutto: così è nato questo libro”. “Intellettuale a Auschwitz” è composto da cinque saggi diversi, accostati senza rigore cronologico, ma solo dall’intento, da parte dell’autore, di confessarsi e meditare su un vissuto che gli appartiene. Il titolo originale del libro è più articolato di quello scelto per la versione italiana, infatti, nell’edizione tedesca l’opera è intitolata: “Jenseits von Schuld und Sühne – Bewältigungsversuche eines Überwältigten” ossia “Al di là della colpa e dell’espiazione – tentativo di un sopraffatto”. Lo stesso Améry, in chiusura della prefazione, afferma: “Con questo libro non mi rivolgo ai miei compagni di sventura. Loro già sanno. Ciascuno di loro deve sopportare a proprio modo il peso di questa esperienza. Ai tedeschi invece, che nella loro schiacciante maggioranza non si sentono, o non si sentono più, responsabili degli atti al contempo più oscuri e più caratterizzanti nel Terzo Reich, spiegherei volentieri alcune circostanze che forse non sono state loro ancora rivelate”. L’intellettuale a Auschwitz altri non è che lo stesso Améry o, per estensione, quel genere di persona che, secondo la definizione dello scrittore, ha predisposizioni per le discipline umanistiche e filosofiche e che ha scelto come suo sistema di riferimento quello spirituale. Un uomo che ha dedicato la propria vita allo studio, che è in possesso di nozioni approfondite e portato al ragionamento astratto. Come può sopravvivere un intellettuale nell’inferno di Auschwitz? Le difficoltà sono immani poiché in un luogo che annienta la dignità, che disumanizza ogni essere umano, la speculazione e la contemplazione sono decisamente inservibili. Quando ciò che muove gli istinti sono soprattutto la fame, il freddo, la sopravvivenza, è impensabile concedersi il lusso dello spirito. L’intellettuale è isolato ed odiato, diverso ed avulso. Odiato dalle SS per il fatto di essere ebreo, disprezzato dagli altri perché giudicato differente. Il tentativo stesso di rivendicare la propria identità di intellettuale di formazione culturale tedesca, all’interno di Auschwitz, è del tutto assurdo visto che “il patrimonio spirituale ed estetico era ormai divenuto indiscussa e indiscutibile proprietà del nemico”. L’ebreo, seppur di cultura tedesca, non poteva dichiarare la sua appartenenza a quel mondo perché oramai socialmente rinnegato e destinato all’annientamento. “Lo spirito nella sua totalità nel Lager si dichiarava incompetente. Rinunciava a porsi come strumento utile ad affrontare i problemi che ci venivano posti. Tuttavia – e qui tocco un punto essenziale – esso tornava utile al "superamento di sé", e non era cosa da poco”. [Lankelot.it] "TARANTELLE" Monaco di Giulio De Terminano quelle dell’avv. Piccolo e della girandola dei pretendenti alla successione piciernesca e incomincia il tormentone della cosidetta giornata della memoria. Niente contro, anzi. Gli Ebrei con la loro proverbiale finezza e ‘invadenza’ sono stati capaci di monopolizzare la ferocia nazista a loro vantaggio. Prova palmare è lo stesso termine ebraico "imposto" a una commemorazione doverosa per non scordare a quanto può arrivare un certo tipo di efferata crudeltà. Bene ,in questo giorno funereo e greve la tv trasmette films: alcuni belli, altri rivoltanti e grotteschi. Naturalmente il protagonista assoluto è l’Ebreo perseguitato, macerato, vilipeso etc. Dimenticando che gli Ebrei, costituendo lo stato d’Israele, hanno letteralmente svilito, e non aggiungo altro, il martire popolo palestinese. Ricordo anche che vittime delle atrocità naziste furono anche altre etnie, inclusi caterve di Zingari che ora chiamiamo con termine più elegante e eufemistico Rom. Non parliamo poi di quello che subirono i soldati italiani poco più che ventenni in maggioranza. Fu due anni fa circa che stomacato da queste appropriazioni enfatizzanti e monopolizzatrici, con grande sforzo per pubblicarlo, mi decisi a rendere palese un "diario" di prigionia di mio zio Nicola scritto minuziosamente e con particolari agghiaccianti su un libro mastro tedesco. Lo ripresi, lo "aggiustai" , gli diedi un titolo "La rosa di Bochum" e lo pubblicai. Ne riporto un brevissimo stralcio:"Tra una notizia e l’altra venne l’alba del 25 dicembre 1943,triste e piovigginosa. Il Trippone aveva fatto sapere il giorno prima che avrebbe distribuito un regalo della ditta mineraria agli uomini del campo. Si presentò vestito solennemente da gerarca nazista e dietro di lui vennne il ‘regalo’ . Panettoni? Dolci? Indumenti? No. Una bottiglia di birra da mezzo litro e 25 grammi di un infame tabacco russo simile assai a segatura. Il ‘regalo’ era più miserabile della sua animaccia nera e ancor più miserabile della miserabile Germania nazista. Dopo la distribuzione, il Trippone ebbe la faccia tosta di pronunciare in tedesco una specie di discorso che tradussi alterandolo.Un risolino generale inseguì la mia ironia, ma il Trippone credette che gli uomini fossero contenti e andò via soddisfatto. I soldati restarono inquadrati in attesa del mio discorso. Circa ottocento LARVE di uomini mi stavano davanti. Il mio occhio clinico scorse da un capo all’altro lo schieramento di quelle debolezze viventi. Un senso di smarrimento e di disperata compassione dette un tono patetico alla mia voce. Quella voce che aveva cominciato a tremare si rifiutò di uscire ancora. Lacrime fluirono dai miei occhi, e come fiumi vertiginosi inondarono le mie guance. Lo spettacolo era troppo tragico per poterlo frenare.Anche quel giorno ottocento soldati mangiarono la solita fetida sbobba di acque e rape. A sera una fisarmonica e un clarinetto riproposero le note di vecchie canzoni d’Italia. Una rosa rossa in un elmo tedesco, che faceva da vaso, brillava come stella cometa su un tavolo , in fondo." Niente da aggiungere. Giulio De Monaco GIORNATA della gennaio 2012 MEMORIA 27