Il “concept” italiano nel mondo

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Il “concept” italiano nel mondo
Il “concept” italiano nel mondo
Il cuore è radicato nel pieno centro di Faenza, ma la mente spazia in tutto
il mondo. Negli Stati Uniti, in Gran Bretagna, in Brasile, in Sud Africa, in
India: ovunque ci sia bisogno di un “concept” italiano anche per quanto
riguarda un brand impalpabile ma fondamentale come quello del design.
Cristiano Rossi ci riceve nello studio di progettazione che porta il suo
nome, a due passi da piazza del Popolo, ma le storie che ci racconta
hanno orizzonti molto più vasti, suggestivi, affascinanti. Perché ormai non
hanno confini: l’architetto faentino e i suoi collaboratori operano da tempo
come consulenti per il World Trade Center di New York, un network internazionale che vanta oltre
trecento sedi nel mondo (fra cui quella di Pescara, con cui Rossi collabora direttamente). Senza, per
questo, ripudiare la dimensione locale: dove lavorano ancora attivamente, soprattutto nella
progettazione di ville di lusso.
Architetto Rossi, cosa significa la collaborazione con il World Trade Center? Che stimoli offre, e
che cosa vi chiede?
La collaborazione è molto stimolante, com’è facile intuire. Anche perché ogni occasione – e ce ne sono
almeno un paio all’anno, in diverse parti del mondo – ci permette di conoscere decine di interlocutori di
aree diverse, di imprenditori, di personalità: e quindi da un lato di imparare cose nuove, dall’altro di
promuoverci. E il nostro impegno si concretizza prevalentemente come azione di una sorta di atelier del
design, quali consulenti con il compito di curare la composizione architettonica, l’allestimento d’interni,
la cura di dettagli, le piccole cose, gli accostamenti dei colori, la realizzazione delle finiture: tutti aspetti
dove il gusto italiano, il classico concetto del “Made in Italy”, vale davvero molto, anche nel concreto. E
quindi ci capita spesso di venire a contatto con strutture composte anche da centinaia di architetti o
ingegneri, laddove però il nostro contributo, il nostro parere – anche se lo studio è composto da poche
persone – quando richiesto, viene preso in altissima considerazione.
In sintesi, vuol dirci che in Italia lavoriamo meglio che all’estero, in termini di architettura e di
design?
Beh, non proprio….o quantomeno non sempre! Ci sono ambiti nei quali siamo ancora legati ad
approcci operativi obsoleti: ad esempio, da noi si lavora prevalentemente per progettare e costruire il
nuovo, anche a causa del disincentivo fornito dai numerosi vincoli a cui sono sottoposte le strutture più
datate. All’estero, invece, intervengono maggiormente nella riconversione, ed è un aspetto molto
stimolante; così come è stimolante il fatto che vi sia la possibilità di lavorare su progetti mediamente di
dimensioni superiori rispetto a quelli italiani. Pur avendo studi equiparabili per dimensione a piccole
boutiques, la nostra operatività quotidiana ci “costringe” a sviluppare doti che poi all’estero vengono
valutate molto positivamente: di solito un progettista italiano acquisisce l’abilità di risolvere problemi a
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360 gradi – deve essere un po’ avvocato, un po’ commercialista, un po’ creativo, un po’ direttore dei
lavori – e questa duttilità e visione olistica delle problematiche ci permette di risolvere situazioni
complesse molto più di quanto non accada ai nostri colleghi esteri, molto specializzati ma in ambiti ben
definiti.
Ci parli un po’ della vostra attività in Italia, e in particolare sul nostro territorio.
Quando siamo nati, nel 2000, ci occupavamo prevalentemente di grandi complessi immobiliari,
fornendo anche tutti i servizi del processo della produzione architettonico-edilizia. Oggi ci siamo
specializzati e sul territorio realizziamo prevalentemente ville di lusso, curando ogni dettaglio a livello
qualitativo e cercando i fornitori migliori sulla piazza: è questo il motivo per cui collaboriamo anche con
Edilpiù, ad esempio, perché trovo nell’azienda lughese un’ottima sensibilità nella ricerca di prodotti
innovativi, la possibilità di soluzioni interessanti per ogni fascia di clientela, e la capacità di essere
attenti al design contemporaneo.
Ma il futuro, su scala italiana, vi offre strade nuove?
Crediamo di sì, e stiamo muovendoci in questo senso. Come dicevo prima: se fino ad oggi abbiamo
sempre progettato architetture di nuova edificazione – che fossero in ambito residenziale, commerciale,
industriale – ora vorrei valutare un cambio di approccio, passando al recupero dell’esistente. E’ una
scelta che ritengo necessaria, perché ormai è stato costruito troppo: credo che ogni progettista
dovrebbe puntare a recuperare l’esistente, con grande attenzione nel mettere l’uomo al centro dei
progetti, e non facendo sì che l’uomo si “adatti” ai progetti, come è accaduto fino ad oggi. Le persone
hanno crescenti esigenze di ritorno alla socialità: servono progetti che ridiano vita a vecchi spazi
dimessi – come ad esempio le aree industriali, che hanno anche costituto vuoti sociali nelle città –
andandoli a ricucire con progetti sensati, che possano ridare memoria a spazi cittadini utilizzando
peraltro tecnologie nuove e sostenibili.
Ci faccia qualche esempio concreto…
Senza far nomi – anche perché il progetto deve ancora attuarsi – stiamo lavorando alla riconversione di
un’area industriale nel nord Italia, dismessa oramai da quindici anni. E qui riconversione significa anche
flessibilità: pensiamo alla possibilità di veloci cambi d’uso all’interno delle strutture, o alla possibilità di
avere usi diversi per una stessa struttura, perché oggi viviamo in una società “liquida”, in progress, e
servono tempi di reazione molto veloci a esigenze sociali che possono cambiare anche molto in fretta.
Questo è una sfida molto stimolante per chi fa il nostro mestiere, perché – almeno in Italia – fino ad
oggi si è sempre lavorato progettando strutture destinate ad una particolare funzione. Ma per cambiare
rotta occorrerà anche creare un dialogo nuovo con il legislatore, deroghe per alcuni fabbricati, perché
altrimenti sarà difficile e a volte economicamente non sostenibile poter riqualificare le strutture esistenti,
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senza inoltre snaturarne i caratteri e i tratti originari, soprattutto per quanto riguarda il raggiungimento
dei requisiti energetici prescritti dalla legge attuale.
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