la pazza gioia - Bresso a misura di
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la pazza gioia - Bresso a misura di
3 Novembre 2016 26aRASSEGNA Cineforum 2016-2017 BRESSO talia di oggi, ma lo sviluppo narrativo, con il passare dei minuti, diventa sempre più incerto e discontinuo, come dimostra l’affannosa ricerca del finale giusto. Molte intuizioni riuscite (l’ambientazione tra Livorno, Viareggio e Montecatini, la spensieratezza da road-movie alla ricerca di se stesse, la tenuta emotiva) ma anche parecchi scivoloni (la struttura fragile e frammentaria della seconda parte, l’approfondimento sul passato di Donatella condotto con flashback da fotoromanzo, la ricerca furbetta della lacrima). Una fiaba al femminile capace di far ridere ed emozionare, con pesanti lacune di sceneggiatura che compromettono il risultato finale. L’omaggio a Thelma & Louise (1991) c’è, ma passa abbastanza inosservato. Presentato alla Quinzaine des Réalisateurs del Festival di Cannes 2016. po su un disagio sociale che si traduce in un disagio psichico. Sarà anche perché si avverte l’attenzione partecipata ad ogni singolo dettaglio in un film in cui si capisce che anche l’ultima comparsa si è sentita parte di un progetto condiviso. Un progetto che vuole porre in evidenza la condizione di questo particolare tipo di donne condannate da una vita in cui hanno sbagliato trovandosi poi però dinanzi a terapeuti ed assistenti sociali che ogni giorno gli sono accanto e combattono con le loro patologie ma anche con visioni banalmente punitive che nulla hanno a che vedere con il recupero sociale. Riuscire a dire tutto ciò (e anche molto di più) in un on the road in cui si ride, si sorride e ci si commuove non era impresa facile. A Paolo Virzì è riuscita da maestro. (Giancarlo Zappoli, mymovies.it) (LongTake.it) Sarà forse perché sa scegliere le sue interpreti (Valeria Bruni Tedeschi e Micaela Ramazzotti sono entrambe straordinarie, ognuna a suo modo, nello scavare in personaggi non facili da rendere tenendo la retorica a dovuta distanza). Sarà perché nel film si sente la verità iniettata (questo è il termine giusto visto che di medicinali si tratta spesso) grazie a una lunga ricerca sul cam- per info 02.66502494 [email protected] facebook.com/CircoloCineBresso LA PAZZA GIOIA Regia: Paolo Virzì Sceneggiatura: Francesca Archibugi Fotografia: Vladan Radovic Montaggio: Cecilia Zanuso Musica: Carlo Virzì Interpreti: Valeria Bruni Tedeschi, Micaela Ramazzotti, Valentina Carnelutti, Tommaso Ragno, Bob Messini, Sergio Albelli, Anna Galiena, Marisa Borini, Origine: Italia (2016) Il regista: Paolo Virzì Livornese, nato il 4 marzo 1964, Paolo Virzì è sicuramente l’autore che ha meglio interpretato l’eredità della commedia all’italiana. Dopo aver frequentato a Roma il corso di sceneggiatura di Furio Scarpelli al Centro Sperimentale di Cinematografia, Virzì collabora alla stesura di numerosi script, lavorando con Montaldo, Salvatores, Farina e Giannarelli. L’esordio dietro la macchina da presa risale invece al 1994, con La bella vita, presentato con successo alla Mostra di Venezia. Il film, interpretato da Massimo Ghini e Sa- brina Ferilli, racconta di un complicato triangolo sentimentale e offre uno spaccato piuttosto realistico di vita quotidiana in un piccolo centro dell’Italia di oggi. L’anno successivo il regista toscano ripete il successo del film precedente con Ferie d’agosto, che guadagna il David di Donatello per il miglior film. Nel 1997, con un cast di giovanissimi attori tra cui spicca l’emergente Claudia Pandolfi, Paolo Virzì dirige Ovosodo, uno dei film italiani di maggior successo della stagione e Gran Premio Speciale della Giuria alla Mostra del Cinema di Venezia. Dopo Baci e abbracci (1999), Virzì torna al Lido ancora una volta nel 2002 con My name is Tanino. E’ la volta poi di una nuova commedia, ambientata a Roma, ormai patria adottiva di Virzi: Caterina va in città (2003). Nel 2006 Io e Napoleone, commedia in costume sull’esilio dell’imperatore nell’isola dell’arcipelago toscano. Nel 2008 gira invece la commedia di successo Tutta la vita davanti, sull’Italia dei call center. Galeotto il set, dove conosce la giovane attrice Micaela Ramazzotti, con la quale andrà all’altare nel gennaio del 2009. Seguono poi diverse altre pellicole fra le quali ricordiamo Il capitale umano del 2013, ambientato in Brianza e liberamente ispirato dal romanzo omonimo di Stephen Amidon, è interpretato da Fabrizio Bentivoglio, Valeria Bruni Tedeschi, Fabrizio Gifuni e Valeria Golino. La critica: L’imperfezione del mondo e della natura umana: lo dice lui, Paolo Virzì, che è questa una delle costanti del suo cinema, e una delle cose che gli stava a cuore raccontare con La pazza gioia. Queste imperfezioni, questo tumulto che è la vita, fatta di gioie e dolori, di altruismi e di violenza, di sbagli e redenzioni, il livornese lo racconta con una passione totale, più sfrenata che mai: perché qui può permettersi quello che altrove non poteva permettersi fino in fondo, perché solo i matti superano determinati limiti, o solo chi supera certi limiti è (è considerato) matto. Ma quanto bene gli vuole, Paolo Virzì, alle sue due matte? Alle due donne interrotte interpretate benissimo, e con altrettanti amore e passione, da Valeria Bruni Tedeschi e Micaela Ramazzotti? Gli vuole tanto più bene quanto più non le scrive e non le racconta né come vittime né come matte angelicate, ma anzi non si tira indietro quando arriva – eccome, se arriva – il momento di farne emergere i lati oscuri, le macchie anche grandi nel passato, perfino le sgradevolezze. Tutto questo affetto, tutto questo amore, danno a La pazza gioia la capacità di trascinare, di coinvolgere, far ridere e commuovere, in un tumulto di vicende e emozioni che sono ben più complesse di quelle di una fuga on the road di due squinternate qualunque. Tutto questo affetto, e questo amore, è quello che Beatrice e Donatella hanno cercato, inseguito, elemosinato per tutta la vita, e non hanno mai ricevuto, e che ancora vanno sperando, fino a trovarlo nell’amicizia e nell’accoppiata più improbabile, e per questo migliore, anche al cinema: la loro. Mai così profondamente calato nell’universo femminile, Paolo Virzì gira un film niente affatto rosa, ma coloratissimo e intenso, dove la grande questione della maternità e del rapporto con la madre sono raccontati in tutta la loro dirompente e drammatica centralità, ma senza essere mammone, o sdolcinato. Mentre gli uomini, nel migliore dei casi, stanno a guardare, si lavano la coscienza con un pugno di euro, una menzogna mai confessata e carica di vergogna. E allora, via, attraverso la Toscana e la Versilia, lontanissima oramai da quella di Gino Paoli, eppure sempre la stessa, come il cinema di Virzì cambia sempre rimanendo sempre attaccato a una precisa visione del mondo e delle persone. Via, senza fine, senza un attimo di respiro, per imparare finalmente a essere madri e a essere figlie, fino a quell’attimo senza f ine su una spiaggia viareggina, dove una mamma sbagliata può avere finalmente l’occasione per iniziare a rimediare ai propri errori, dove La pazza gioia sospende la sua giostra per farci piangere con due inquadrature, due sguardi, due silenzi. Dalle protagoniste al direttore del- la fotografia, dai volti di contorno alla co-sceneggiatrice, Virzì si circonda delle persone giuste per un viaggio tanto vario e ricco di scossoni e deviazioni. Lui, alla guida, procede sicuro, ansioso di macinare strada senza perdersi nemmeno uno dei paesaggi umani che vede dal finestrino, e che racconta. E se prende qualche buca, o se a volte corre un po’, o rallenta un pelo troppo, chi se ne importa: è l’imperfezione, bellezza. (Federico Gironi, ComingSoon.it) Paolo Virzì, regista e sceneggiatore insieme a Francesca Archibugi, realizza un ritratto di umana fragilità in cui le due protagoniste devono fare i conti con le proprie idiosincrasie e con le loro (molteplici) difficoltà a rapportarsi con il mondo. Un quadro di sana follia in cui la pazzia assume contorni sfumati e i sentimenti più profondi vincono sulle meschinità. Un film stratificato, che però spesso fatica a far convivere tutte le proprie anime: parte come una commedia sul desiderio di evasione e giunge nelle secche del quadro sentimentale un po’ banalotto. Straordinaria l’alchimia tra le due interpreti principali, con una elegantissima Valeria Bruni Tedeschi perfetta nelle sue strampalate (ma spesso calibrate) esternazioni e una Micaela Ramazzotti ben calata in un ruolo tutt’altro che semplice. La scrittura puntuale dei personaggi non lesina in dettagli e acute osservazioni su usi e costumi dell’I-