primi appunti per una pastorale della carita
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primi appunti per una pastorale della carita
PRIMI APPUNTI PER UNA PASTORALE DELLA CARITA’ ( vivere da cristiani l’esperienza del bene ) Sottolineature ai lavori dell’ultimo convegno Caritas Benedetto XVI nella Lettera Apostolica di indizione dell’Anno della Fede ha ricordato l’intima connessione tra fede e carità sottolineando che “la fede che si rende operosa per mezzo della carità (Gal 5,6) diventa un nuovo criterio di intelligenza e di azione che cambia tutta la vita dell’uomo”. Indicazioni e prospettive che si collegano a quelle degli Orientamenti Pastorali CEI per il 20102020 “Educare alla vita buona del Vangelo”. “La carità – sottolinea il n. 39 degli Orientamenti - educa il cuore dei fedeli e svela agli occhi di tutti il volto di una comunità che testimonia la comunione, si apre al servizio, si mette alla scuola dei poveri e degli ultimi, impara a riconoscere la presenza di Dio nell’affamato e nell’assetato, nello straniero e nel carcerato, nell’ammalato e in ogni bisognoso…”. La carità dunque anima, forma la coscienza, plasma i vissuti, gli stili e le scelte di vita. È l’incontro del Vangelo di Gesù con la cultura dei contesti di vita in cui ciascuno verifica la propria fedeltà al Vangelo. Si traduce in atteggiamenti, attenzioni, azioni che, come un ponte, facilitano l’incontro tra l’uomo, la comunità, il territorio, la Chiesa e Dio. Si concretizza in opere che nascono nella comunità, dalle relazioni, dalla condivisione dei vissuti, dall’esperienza concreta di servizio e soprattutto tornano alla comunità restituendo e moltiplicando conoscenza, condivisione, accompagnamento. 1. La carità nella chiesa: tra il Magistero di papa Benedetto e i segni di papa Francesco Il richiamo alla carità concreta verso i bisognosi come esigenza della fede cristiana e al fatto che questo rappresenti uno dei compiti “strutturali” della Chiesa, è stato un argomento ricorrente nel Magistero di Benedetto XVI, dalla Sua prima Lettera Enciclica, Deus caritas est alla Caritas in Veritate, come abbiamo detto al Messaggio per la Quaresima 2013 e - sul piano pastorale e canonico - del Motu proprio Intima ecclesiae natura. Un Magistero che ci ha riportato alla radice teologica della carità, ancorandola saldamente all’azione pastorale della Chiesa. La Lettera apostolica in forma di Motu Proprio di Benedetto XVI sul servizio della carità pubblicata l’11 novembre 2012, contiene diversi elementi di grande importanza su cui è necessario che tutti, vescovi, preti, religiosi e laici abbiamo a soffermarsi, a cominciare dal richiamo posto all’inizio della Lettera che dice: «L'intima natura della Chiesa si esprime in un triplice compito: annuncio della Parola di Dio (kerygmamartyria), celebrazione dei Sacramenti (leiturgia), servizio della carità (diakonia). Sono compiti che si presuppongono a vicenda e non possono essere separati l’uno dall’altro» (Lett. enc. Deus caritas est, 25). Anche il servizio della carità è una dimensione costitutiva della missione della Chiesa ed è espressione irrinunciabile della sua stessa essenza». il Motu Proprio il Papa intende offrire un quadro normativo organico che aiuti ad ordinare le diverse forme organizzate del servizio della carità, che è strettamente collegato alla natura diaconale della Chiesa e del ministero episcopale. Tenendo presente che la attività caritativa non deve limitarsi alla raccolta e alla distribuzione dei fondi e dei beni, ma deve sempre avere una speciale attenzione per la persona che è nel bisogno, favorendo l’educazione alla condivisione, al rispetto e all’amore, secondo la logica del Vangelo di Cristo. Aggiunge ancora il Papa nel proemio della Lettera altre due osservazioni molto importanti: · Fra le iniziative organizzate nel settore della carità “in modo particolare, si è sviluppata a livello parrocchiale, diocesano, nazionale ed internazionale l'attività della «Caritas», istituzione promossa dalla Gerarchia ecclesiastica, che si è giustamente guadagnata l’apprezzamento e la fiducia dei fedeli e di tante altre persone in tutto il mondo per la generosa e coerente testimonianza di fede, come pure per la concretezza nel venire incontro alle richieste dei bisognosi. Accanto a 1 quest'ampia iniziativa, sostenuta ufficialmente dall'autorità della Chiesa, nei vari luoghi sono sorte molteplici altre iniziative, scaturite dal libero impegno di fedeli che, in forme differenti, vogliono contribuire col proprio sforzo a testimoniare concretamente la carità verso i bisognosi”. · “Nella misura in cui dette attività siano promosse dalla Gerarchia stessa, oppure siano esplicitamente sostenute dall'autorità dei Pastori, occorre garantire che la loro gestione sia realizzata in accordo con le esigenze dell'insegnamento della Chiesa e con le intenzioni dei fedeli, e che rispettino anche le legittime norme date dall'autorità civile”. I Vescovi italiani nella recente sessione invernale del Consiglio Permanente della CEI, hanno approfondito i contenuti del Motu Proprio indicando i loro orientamenti operativi che si possono riassumere in questi termini. Occorre insistere perché in tutte le Comunità si prenda coscienza rinnovata della centralità del ministero e del servizio della carità, in rapporto costante con l’ascolto della Parola e la celebrazione dei sacramenti, tenendo presente che l’attività caritativa non deve limitarsi alla raccolta e alla distribuzione dei beni ma, deve avere l’attenzione alla persona indicata dal Motu Proprio nel clima di condivisione e di amore giustamente richiamati. · A partire dal Motu Proprio e superando qualche precedente lacuna giuridica, è necessario che ciascun Vescovo si senta investito di personale responsabilità nella promozione e nella salvaguardia del ministero della carità, sia nei confronti delle realtà strettamente diocesane che nei confronti delle realtà cattoliche di iniziativa dei fedeli.( questo mandato costituisce , di fatto, il mansionario del delegato vescovile alle opere di carità che il nostro vescovo ha voluto ex novo istituire)· Si abbia attenzione alla recente tradizione della Chiesa italiana che con la istituzione di “Caritas Italiana” da parte di Papa Paolo VI, chiede la promozione di questo Organismo pastorale in tutte le Parrocchie, riconoscendo e incoraggiando il suo impegno di coordinamento di tutte le realtà ecclesiali o di ispirazione cristiana presenti sul territorio attraverso, ad esempio, le Consulte ecclesiali degli Organismi socio-assistenziali. · Si prevedano nelle sedi opportune, occasioni di verifica per assicurarsi che Statuti, Regolamenti, prassi abitudinarie, siano coerenti con le indicazioni del Motu Proprio, anche per evitare che l’esercizio concreto del ministero o la destinazione delle risorse non rispettino l’insegnamento della Chiesa. · La verifica dovrà naturalmente partire dai percorsi di formazione e di accompagnamento delle persone impegnate a tutti i livelli nell’esercizio del ministero di carità, per garantirne per quanto possibile coerenza evangelica e testimonianza credibile. ( questa formazione permanente è ciò che mi impegnerò a proporre al più presto) · l’attenzione per l’identità cattolica delle iniziative e il coordinamento di cui sopra, aiutino a monitorare costantemente le iniziative di “gestione” delle attività con rispetto rigoroso della legislazione canonica e di quella civile. In questo contesto citiamo volentieri i primi passi di Papa Francesco con il caloroso invito a camminare verso le periferie umane, spirituali e geografiche di questo tempo. I suoi gesti di Papa sono apparsi immediatamente essi stessi come Magistero vissuto: ci indicano uno stile di chiesa semplice, povera e aperta agli altri, che non ostenta né potere né ricchezza, una orto prassi coerente di gesti di umanità e di fraternità, che attraversano la quotidianità del vissuto ecclesiale e che danno una forma al suo agire mostrando, appunto, che la carità è l’intima natura della chiesa. Una intimità che non indica solo un fondamento, ma una sua intrinseca necessità che si esplica in ogni sua manifestazione, atto, movimento, scelta che modella nel confronto continuo con le sfide, i bisogni, le attese del tempo in cui siamo chiamati a vivere - la presenza della Chiesa nel mondo. 2 2. Lo sguardo Caritas: una povertà che si trasforma e cambia aspetto In base all’esperienza di ascolto delle Caritas diocesane spiccano alcune tendenze dei fenomeni di povertà ed esclusione sociale: − crescono le persone che si rivolgono ai Centri di Ascolto e ai servizi socio-assistenziali gestiti dalle Caritas diocesane e cresce la percentuale di italiani che si rivolgono a noi; − cresce la multi-problematicità delle persone prese in carico: soprattutto nel caso degli italiani, le storie di vita sono sempre più complesse e si caratterizzano spesso per la presenza di patologie socio-sanitarie di non facile risoluzione; − la fragilità occupazionale è evidente: cassa integrazione, occupazioni saltuarie, disoccupazione spesso giovanile, lavoro nero, rendono difficile per molte famiglie coprire le necessità, anche più elementari, del quotidiano; − aumentano gli anziani e le persone in età matura che si affacciano ai servizi Caritas; − coerentemente con le tendenze sopra evidenziate, diminuiscono i “senza reddito” e i “senzatetto”: ormai dal 2010 calano infatti in modo vistoso coloro che si dichiarano a “reddito zero” e vivono sulla strada; − anche se si assiste ad una “normalizzazione sociale” nel profilo dell’utenza Caritas, si registra un peggioramento di chi stava già male: aumentano in percentuale le situazioni di povertà estrema, che coesistono tuttavia con una vita apparentemente normale, magari vissuta all’interno di un’abitazione di proprietà. 3. PARTIAMO sempre DAI VANGELI Nel Vangelo di Marco, per esempio, l’itinerario di conoscenza del Signore proposto vuole essere performativo, tale cioè da indurre l’ascoltatore a decidere della sua stessa vita davanti a Gesù, il Figlio di Dio. Dall’incontro con questo racconto non si esce indenni: chi ne fa una lettura di fede, ne è segnato in maniera profonda. In esso tutto nasce dall’amore del Dio che si rivela e da cui il narratore è stato toccato e trasformato e tutto ha per scopo di suscitare nei cuori questo amore. Si può dedurre da questo che nell’educazione alla fede tutto nasca dall’amore e tenda all’amore. È per amore che Dio si è rivelato agli uomini col desiderio di farli partecipi della Sua vita. È per amore che chi crede - al pari degli Evangelisti - vorrebbe trasmettere il dono ricevuto agli altri, introducendoli nell’esperienza della carità di Dio. È per un profondo bisogno di amore che ci si mette alla ricerca del Volto divino. Alle sorgenti di ogni educazione alla fede c’è l’amore. Non di rado si tratta di un amore ferito, come, ad esempio, dei genitori credenti che vedono i loro figli allontanarsi dalla vita di fede o quello di chi ha responsabilità pastorali e sperimenta quanto sia difficile a volte trasmettere il dono della fede agli altri, specialmente ai giovani, nella complessità del tempo che viviamo. Il desiderio di comunicare la bellezza della fede sfida, però, quest’amore ferito e lo spinge a non arrendersi. Spesso, chi si allontana da Dio lo fa perché non ha mai veramente sperimentato la grandezza del Suo dono. Non si esagera nel pensare che tante volte l’amore divino è più ignorato che consapevolmente rifiutato! Educare alla fede vorrà dire, allora, far conoscere quest’amore in maniera credibile, e cioè con la testimonianza della parola e della vita, in modo tale da attrarre ad esso e comunicarlo con l’eloquenza silenziosa di chi ne fa esperienza e ne irradia la bellezza in maniera convincente e contagiosa. Educarsi allafede, a sua volta, significherà accettare la sfida di mettersi alla ricerca dell’infinito amore, aprendosi a tutti gli aiuti possibili sulla via dell’incontro sempre più profondo con Dio. …il dono di sé: oro, incenso e mirra La tradizione cristiana ha letto nell’oro, nell’incenso e nella mirra, offerti dai Magi al Bambino e alla Madre, i simboli del triplice riconoscimento di cui vive la fede nel Figlio di Dio fatto uomo per 3 noi: “La mirra, perché in quanto uomo era destinato a morire ed essere sepolto; l’oro, poiché era il re, il cui regno non avrà fine; e l’incenso, poiché era Dio, che si è fatto conoscere in Giudea”13. In realtà, i doni dei Magi sono simbolo del totale coinvolgimento dell’uomo nella risposta all’amore di Dio, che dona tutto e chiede tutto, chiamando la creatura a divenire a sua volta dono per gli altri. In questo senso, i doni dei Magi sono metafora del necessario sfociare della fede nei pensieri e nei gesti della carità: come dice Paolo, “la fede si rende operosa per mezzo della carità” (Gal 5,6). In questa luce, i tre doni possono essere interpretati come le tre condizioni dell’amore al prossimo che nasce dalla fede in Dio: l’oro sta a dire che nell’amore a Bambino e all’altro, di cui Egli è figura - piccolo, povero e bisognoso in ogni senso -, va dato quanto di più prezioso noi possediamo. Dare il superfluo non cambia il cuore e la vita: dare ciò che vale veramente per noi, questo è l’amore che il Signore ci chiede, per sé e per gli altri. L’incenso, poi, sta a significare che nel compiere questo dono si vive inseparabilmente un atto di lode e di adorazione a Dio: un messaggio, questo, che ritorna in innumerevoli testimonianze della tradizione della fede. “Chi ha pietà del povero - dice il libro dei Proverbi (19,17) - fa un prestito al Signore”. E Gesù afferma: “Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40). Francesco, a sua volta, intuisce che baciando il lebbroso, bacia lo stesso Signore e Cristo. La mirra, infine, usata nel mondo antico come profumo e unguento per i corpi dei defunti amati, sta a dire che l’amore vero comporta anche il dono della propria vita, il sacrificio di sé, spinto fino all’esodo da sé senza ritorno: è così che ci ha amato e ci ha insegnato ad amare il Figlio di Dio venuto fra noi, che non ha voluto salvare la propria vita, ma l’ha consegnata per tutti noi. Così dovrà fare chi crede in Lui e ama dell’amore che Egli accende in noi: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà” (Mc 8,34s). Nei doni dei Magi è allora simboleggiata la carità che scaturisce dalla fede umile e adorante: è l’amore di chi dà quanto ha di più prezioso, di chi vive questo dono al povero come atto di lode a Dio ed è pronto a dare anche la propria vita, sull’esempio e con la forza che gli vengono dal Maestro, cui nella fede ha consegnato se stesso. È quanto fa capire Paolo nell’inno alla carità della sua prima lettera ai Corinzi(13,1-11. 13): Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sarei come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita .E se avessi il dono della profezia, se conoscessi tutti i misteri e avessi tutta la conoscenza, se possedessi tanta fede da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sarei nulla .E se anche dessi in cibo tutti i miei beni e consegnassi il mio corpo per averne vanto, ma non avessi l carità, a nulla mi servirebbe.La carità è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio,non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto,non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità.Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno, il dono delle lingue cesserà e la conoscenza svanirà. Infatti, in modo imperfetto noi conosciamo e in modo imperfetto profetizziamo. Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà… Ora dunque rimangono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità. Ma la più grande di tutte è la carità! 4. TRA LE PRIORITA’ Accogliere la persona povera Ancora, sentirci pienamente nel solco della vita ecclesiale, onde essere propositivi ed incisivi nel tessuto sociale. Non sembri banale quanto appena affermato. Spesso incorriamo in un duplice pericolo: da una parte quello di sentirci quasi soprafatti dai molteplici stimoli che provengono dal 4 magistero a tutti i livelli e dall’altra di rincorrere piste e idee che, al contrario, esulano completamente dal contesto ecclesiale che la comunità si è data da vivere. Da una analisi aggiornata del disagio sociale emerge che: 1. Scenari e bisogni nuovi appaiono sempre più tra loro trasversali, quasi a indurvi a trovare collegamenti tra le storie e i volti, al di la delle categorizzazioni standardizzate. 2. Un tema che percorre scenari e bisogni è la riduzione, lo sfilacciamento o l’assenza dei legami intorno alle persone singole, ma sempre più intorno al soggetto famiglia. 3. legami fragili che richiamano una certa centralità dei bisogni relazionali”. Perciò non ci stancheremo mai di affermare e sottolineare a grandi lettere la centralità della persona. Questo significa che la persona, prima ancora che oggetto di studio, di rilevazione ecc. è e rimane il soggetto della nostra attenzione e in quanto tale va amata e quindi incontrata e messa in relazione (con gli altri, con la comunità, con Dio). Quindi mi sentirei di riaffermare ‐ qualora ce ne fosse ancora bisogno‐ che la prima e principale pista su cui lavorare sia la persona, a partire dai più poveri ( materiali e/o morali) Non tanto in quanto abbiamo osservato che il collasso economico, la crisi che ne è derivata ecc. sono il risultato della supervalorizzazione delle cose e degli strumenti a scapito delle persone e della costruzione dei rapporti in vista sia del progresso personale come anche sociale e più ampio della civiltà… certo anche questo ma non primariamente. La persona è depositaria dell’amore di Dio, è destinata all’eternità di Dio. Essa è posta nei solchi del tempo, come momento di passaggio essenziale e cruciale. In questo luogo si gioca tutta la partita; La storia, i nostri giorni sono il terreno favorevole dell’incontro dell’uomo con Dio tramite la condivisione di tutta l’umanità che, ricordiamo, è stata assunta e redenta dal Figlio di Dio, ed attende da chi lo ha accolto che possa produrre frutti di redenzione, tramite appunto la condivisione del medesimo amore. Tutto questo per noi ha un nome specifico: la carità. Carità che andrebbe meglio declinata sui bisogni relazionali, sull’orizzonte dei legami tra le persone e sulla ricerca del senso. Nella ricerca dei bisogni più profondi, che sempre sono nascosti e necessitanti di attenzione e di emersione verso un’attenzione multidimensionale della persona. Nella risposta ed orientamento ad un bisogno identitario, più che economico, ecc. leggendo il territorio nella potenzialità che esso esprime e restituendolo rinnovato in questa prospettiva. Monsignor Nervo, a chi gli chiedeva quale fosse stato il più grande insegnamento dei suoi quaranta anni di servizio in Caritas, rispondeva: “Sono convinto che la prima carità è il vangelo, perché la povertà maggiore è la mancanza di fede e per molti, che forse crederanno di non essersi mai incontrate con Gesù Cristo, la Carità sarà l’ottavo sacramento che li salva.” 5