Conclusioni della 24a KGZE a Brno / Repubblica ceca

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Conclusioni della 24a KGZE a Brno / Repubblica ceca
Conclusioni
della 24a KGZE a Brno / Repubblica ceca, 2012
Dal 21 al 24 giugno 2012 a Brno si è svolta la 24a conferenza per la cooperazione
sindacale in Europa (KGZE).
I 58 partecipanti appartenenti a organizzazioni sindacali e dei lavoratori di 15
paesi europei nel corso della conferenza si sono confrontati con il seguente
tema:
24a KZGE: L’Europa nella crisi del debito. Che impatto ha il debito
pubblico sui sistemi sociali e sul mercato del lavoro? Come si possono
creare spazi di manovra politica attraverso nuovi “sistemi fiscali”?
Dagli intensi dibattiti e dalle consultazioni nel corso della 24 a KGZE sono emerse
le seguenti conclusioni.
I. La crisi attuale
All’inizio del XXI secolo, dopo decenni di globalizzazione, l’economia è
interconnessa a livello mondiale. Per questo motivo, le “pratiche non ortodosse”
(citazione: Manuel Barroso, al vertice G20 nel giugno 2012) delle banche
statunitensi hanno condotto non solo al fallimento dei grandi istituti bancari
negli Stati Uniti (Lehman Brothers, ecc…), ma a una crisi mondiale che dura dal
2008. In Europa, molti Paesi sono stati costretti a salvare il loro sistema
bancario. Queste operazioni di salvataggio, costate molte centinaia di miliardi di
euro, hanno portato negli anni seguenti a un’impennata del debito pubblico. Di
conseguenza, in questo momento solo pochissimi Paesi dell’euro riescono a
rispettare i “parametri di Maastricht”. Per non continuare a subire speculazioni
sulle obbligazioni statali, con oneri derivanti dagli interessi (superiori al 7% e
oltre) ormai non più finanziabili per alcuni Paesi, e giungere a una nuova stabilità
economica, i 27 Paesi dell’UE, e fra questi i 17 Paesi della zona euro, si sono
impegnati a raggiungere un consolidamento del bilancio pubblico attraverso
“programmi di risparmio”. A questo scopo i Paesi dell’UE (ad eccezione del
Regno Unito e della Repubblica ceca) si sono accordati su un “Patto fiscale
europeo” che è stato firmato il 2 marzo 2012.
II. Effetti della crisi del debito
La crisi del debito, intanto, è diventata una prova di resistenza per l’UE. Alcuni
Paesi (Grecia, Irlanda e Portogallo) non sono riusciti ad adempiere agli obblighi
di pagamento derivanti dal loro indebitamento senza l’aiuto di terzi. In misura
minore, anche Italia e Spagna hanno problemi ad accendere crediti nel mercato
dei capitali e vengono perciò ugualmente considerati fra i Paesi in crisi. In tutti e
cinque i Paesi coinvolti si è giunti nel 2011 a un cambio di governo. In Irlanda,
Portogallo e Spagna si sono svolte elezioni anticipate, mentre in Italia e Grecia si
sono formati governi di transizione composti da esperti di economia. La Grecia
ha votato due volte nelle ultime settimane e intende ora formare un governo
eletto democraticamente. Caratteristico di questa crisi dei Paesi europei è
l’evidente calo del rendimento economico e il conseguente rapido aumento del
numero dei disoccupati. In particolare, in alcuni Paesi la disoccupazione
giovanile (15-24 anni) raggiunge una quota del 50%, pregiudicando fortemente
le future chance di lavoro e le opportunità di vita dei giovani, spesso nonostante
l’eccellente formazione e il titolo universitario. In alcuni Paesi, soprattutto in
Grecia, i “programmi di risparmio” hanno intaccato così profondamente il
sistema sociale da provocare un massiccio impoverimento di ampi strati della
popolazione. Di conseguenza, una quota sempre crescente di cittadini perde
fiducia nella capacità della politica di risolvere i problemi. Allo stesso tempo, di
fronte a questo scenario, l’economia frena i suoi investimenti con il risultato
complessivo di un fenomeno di recessione. Riassumendo: perdita di fiducia, calo
del rendimento economico e conseguente aumento della disoccupazione,
recessione.
III. Emergono difetti di costruzione
Dal 2002 in alcuni Paesi dell’UE circola una moneta unica: l’euro. L’attuale crisi
sta inevitabilmente svelando gli squilibri presenti nella zona euro. Paesi che
erano tradizionalmente ancorati a una “politica monetaria forte” con una valuta
stabile (marco tedesco) si sono trovati all’interno di una moneta unica insieme a
Paesi che mettevano in conto tassi d’inflazione più alti e, prima dell’introduzione
dell’euro, avevano mantenuto la loro competitività grazie a continue svalutazioni
della moneta. Così, con l’introduzione dell’euro, si è venuto a creare un
importante spazio di manovra tra Paesi con una moneta “forte” e Paesi con una
moneta “debole”, influenzabile a livello nazionale. Inoltre, i trattati dell’UE
conosciuti come “parametri di Maastricht” (il deficit di bilancio non deve
superare il 3% del PIL e il debito pubblico non deve superare il 60% del PIL)
sono stati violati di continuo e senza conseguenze, mentre alcuni Stati non li
hanno neppure mai lontanamente raggiunti. Non da ultimo, a causa dei bassi
tassi d’interesse nella zona euro, in alcuni Paesi attori pubblici e privati si sono
lasciati indurre a un’eccessiva accensione di crediti che ha scatenato un boom
economico fittizio (finanziato mediante credito). Questo boom ha causato un
rapido aumento di prezzi e salari e ha portato a decisioni economiche errate (per
es., il boom edilizio in Spagna). Anche la produttività rappresenta un fattore
competitivo fondamentale in un’economia di mercato e il flusso delle merci dalle
economie nazionali produttive a quelle meno produttive ha come effetto ultimo
una diminuzione del potere d’acquisto nei paesi con produttività inferiore. Con
l’esplosione della bolla economica nei paesi della crisi la moneta unica europea è
caduta in una crisi strutturale.
Con il Patto fiscale europeo, ufficialmente Patto di stabilità, l’UE intende in futuro
imporre coordinazione e controllo all’unione economica e monetaria. Lo scopo è
un budget comune, una politica fiscale comune e una garanzia comune per il
debito pubblico nei paesi dell’UE. Insieme all’unione economica e monetaria
europea, il patto fiscale completerebbe lo spazio economico europeo. Il prezzo
politico è la rinuncia alla sovranità nazionale degli Stati.
IV. Il settore finanziario e bancario deve essere regolato
Non è sufficiente mettere continuamente a disposizione denaro per un settore
in crisi senza avviare misure per il suo risanamento. E’ necessario porre barriere
chiare e condivisibili al settore bancario e finanziario in modo da impedire nel
tempo eccessi speculativi e prassi poco serie. Per quanto giusto possa essere il
salvataggio delle banche che si sta mettendo in atto nell’EU, un
ridimensionamento del sistema bancario è assolutamente imprescindibile. E’
necessario attuare subito:
1) Una rigida separazione tra banche commerciali e banche d’investimento.
Il rischio deve essere evidente e, se necessario, deve poter essere limitato.
2) Le regole di bilancio devono essere stabilite in modo da essere più
trasparenti e severe.
3) Deve essere introdotto un diritto fallimentare sensato per le banche. E’
necessario fare in modo che le banche possano essere “dismesse” senza
che gli Stati si trovino in difficoltà.
4) Sul lungo periodo il settore finanziario deve restituire il denaro che è
stato impiegato per superare la crisi.
5) Se le banche ottengono un sostegno, lo Stato o la comunità internazionale
devono far valere i propri diritti di proprietà e
6) gli importi di bilancio non devono più superare un determinato ordine di
grandezza in rapporto al PIL.
Queste sono le richieste più importanti per un nuovo meccanismo di regolazione
che riconduca il sistema finanziario e delle banche alla sua funzione originaria
nell’ambito del sistema creditizio e del risparmio.
V. Regolare attraverso il fisco
Se i Paesi membri dell’UE armonizzeranno i loro sistemi fiscali e si orienteranno
in prospettiva verso una politica fiscale comune, allora si pone la questione dei
principi che dovrà seguire questa politica fiscale comune. Per i sindacati
d’ispirazione cattolica la dottrina sociale offre un orientamento a riguardo.
L’esperta dell’Accademia sociale cattolica d’Austria (ksoe), la dott.ssa Lieselotte
Wohlgenannt, scrive in un intervento dal titolo “Le tasse devono orientare”: “Non
è importante soltanto per quali scopi vengono impiegate tasse e imposte, ma anche
dove e come vengono ricosse. Le tasse condizionano l’agire dei “soggetti
economici”: individui e famiglie, imprenditori e unioni d’imprese, prendono
decisioni anche in vista delle tasse e degli oneri che ne derivano. Le tasse possono
favorire o frenare investimenti nelle tecnologie del futuro, possono facilitare o
ostacolare la creazione di posti di lavoro, possono contribuire con la promozione
della ricerca e dell’istruzione a sostenere la necessità di uno sviluppo continuo e il
cambiamento strutturale dell’economia. Tasse e imposte devono essere ideate in
modo che possano essere sentite (in qualche misura) come giuste. A questo scopo
servirebbero delle regole chiare con poche eccezioni. Se si crea un clima sociale in
cui le tasse sono considerate ingiuste per principio e aggirarle diventa un delitto di
poco conto, allora si spalancano le porte alla corruzione e la solidarietà sociale è
minacciata alle radici.” Ai sensi della dottrina sociale cattolica, la finanza pubblica
è orientata al bene comune soltanto se si attiene ad alcuni principi essenziali: il
pagamento delle tasse come aspetto dell’obbligo di solidarietà; razionalità ed
equità nell’imposizione delle tasse; rigore e integrità nell’amministrazione e
nell’utilizzo delle risorse pubbliche. Nella redistribuzione delle risorse la finanza
pubblica deve seguire i principi della solidarietà, dell’uguaglianza e dell’impiego
dei talenti, dedicando grande attenzione e risorse adeguate al sostegno alle
famiglie. (Compendio della dottrina sociale della Chiesa, 355)
VI. Cause della crisi
Oltre agli aspetti tecnici della crisi finanziaria ed economica, si pone la questione
se sia necessario riflettere sul nostro “way of life”, cioè il nostro modo di vivere e
di fare economia. Già nel 1998 Richard Sennett, uno dei teorici più famosi del
nostro tempo, a New York nel suo libro “L’uomo flessibile” (che nell’originale
inglese porta l’avvincente titolo di “The Corrosion of Charachter”) formulava
domande cruciali sulla “profondità della crisi”, cioè: Come si possono perseguire
mete sul lungo periodo se si è immersi in un’economia del tutto orientata al breve
periodo? Come si possono mantenere lealtà e impegni in istituzioni che crollano
continuamente o vengono costantemente ristrutturate? Come possiamo
determinare ciò che per noi ha un valore duraturo se viviamo in una società
impaziente, concentrata soltanto sull’immediatezza del momento? Queste
domande mostrano che la “crisi” attuale potrebbe essere molto di più di una
semplice falla nella crescita economica, per cui potremmo aspettarci di tornare
presto a fare economia come prima della crisi. E’ probabile che all’inizio del XXI
secolo ci troviamo di fronte a cambiamenti sociali di profondità simile a quelli
avvenuti alla fine del XVIII secolo con la rivoluzione francese e gli slogan di allora
“Libertà, uguaglianza e fratellanza”. Nell’ultima enciclica sociale “Caritas in
veritatae” (sullo sviluppo integrale dell’uomo nell’amore e nella verità) Papa
Benedetto descrive il fenomeno paradossale della globalizzazione come
un’”esplosione dell’interdipendenza mondiale”. Paradossale nel senso che,
nonostante le possibilità smisurate, un numero sempre crescente di persone,
soprattutto giovani, ha apparentemente perso la fede nel fatto che siamo noi in
prima persona a determinare le nostre condizioni di vita e possiamo perciò
anche cambiare la nostra società.
La crisi economica e finanziaria non è avvenuta per caso. Dovrebbe essere
piuttosto uno stimolo a riflettere a fondo sul nostro modo di vivere e di fare
economia. Uno stimolo a sviluppare un “modello europeo” cui partecipino tutti
gli stati membri dell’UE e che mostri una prospettiva anche a livello mondiale. Se
i principi della dottrina sociale vengono realizzati nella politica, allora l’economia
sociale di mercato si può estendere ad un’”economia di mercato eco-sociale”
globale.
VII. Economia eco-sociale di mercato
Mentre nella libera economia di mercato dominano gli interessi economici e
nell’economia di mercato capitalistica si punta alla massimizzazione delle
rendite da capitale, lo scopo dell’economia eco-sociale di mercato è l’equilibrio
tra un’economia che premia il rendimento, la solidarietà sociale e la difesa
dell’ambiente sulla base del principio della responsabilità e della verità dei
costi.
I sindacati d’ispirazione cattolica in Austria hanno avviato un progetto pilota di
ecologia sociale. Prodotti e servizi eco-sociali sono caratterizzati dal fatto che
nella loro produzione ed erogazione trovano la stessa considerazione criteri
sociali, ecologici ed economici. Anche il principio della sostenibilità è di primaria
importanza. In un progetto pilota, finanziato dall’UE e dalla regione
Niederösterreich, la sezione dei sindacati cattolici austriaci ha creato un
“mercato eco-sociale”. Grazie ad un programma transfrontaliero è stato
sviluppato uno schema di valutazione che serve da orientamento per le aziende
che desiderano evolversi in direzione di una maggiore responsabilità ecologica o
sociale oppure hanno già compiuto questo passo. Nella regione del progetto ci
sono già molte imprese che fanno economia secondo criteri eco-sociali. Queste
aziende si presentano su una homepage dedicata e hanno così la possibilità di
proporsi a potenziali clienti anche oltrefrontiera. Grazie a questa idea, imprese,
organizzazioni no-profit e aziende agricole hanno la possibilità di sfruttare
nuove opportunità di commercializzazione e di ampliare le loro reti. Grazie al
“mercato eco-sociale” i consumatori hanno la possibilità di prendere decisioni
più consapevoli sui consumi nella regione e di configurare il loro consumo in
modo sostenibile.
Economia eco-sociale: promozione
Imprese, aziende agricole e organizzazioni no-profit che operano nel territorio
del progetto (Austria e Repubblica ceca) e producono beni o erogano servizi ecosociali ottengono visibilità grazie ad una homepage bilingue. Scopo del mercato
eco-sociale è di creare fra i consumatori una consapevolezza per i prodotti e i
servizi sostenibili.
Economia eco-sociale: utilità per l’impresa
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Misure sostenibili nella produzione e nello sviluppo creano vantaggi
competitivi.
Misure sostenibili nella promozione portano a una maggiore
fidelizzazione della clientela.
La sostenibilità nella cultura d’impresa apporta un beneficio di fiducia e
d’immagine fra i fornitori, i soci in affari e i clienti e una crescita della
soddisfazione e della motivazione fra i dipendenti.
Economia eco-sociale: esempi pratici
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Concentrazione sullo sviluppo ecologico e sostenibile del prodotto.
Utilizzo di prodotti alimentari biologici e regionali.
Misure a favore delle famiglie e delle donne (asili nido aziendali, ecc…)
Misure per la formazione e l’aggiornamento dei dipendenti, misure a
favore degli anziani, formazione degli apprendisti, misure a favore dei
disabili, ecc…
Processi produttivi adeguati e rispettosi dell’ambiente (prodotti
alimentari biologici, ecc…)
Riduzione dei rifiuti e smaltimento senza rischi per l’ambiente, ecc…
Economia eco-sociale: utilità per la regione
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L’utilizzo di materie prime regionali contribuisce a ridurre le vie di
trasporto e a rispettare l’ambiente.
Creazione di posti di lavoro nella regione.
La creazione di plusvalore resta nella regione.
Maggiori informazioni sull’homepage: www.oekosozialer-marktplatz.at
In sinergia con la strategia di Lisbona per la crescita e l’occupazione e la strategia
di Göteborg per la sostenibilità, alcuni elementi dell’economia eco-sociale di
mercato sono già ancorati nell’UE. Tuttavia, i nostri sistemi sociali in Europa
sentono sempre più la pressione di una globalizzazione senza un corretto quadro
normativo. Concorrenza illimitata e libero commercio in condizioni
assolutamente non confrontabili fra loro hanno un effetto distruttivo, conducono
a un crescente impoverimento e all’aumento della disoccupazione. Dopo la crisi
abbiamo bisogno di nuove vie!
Con queste conclusioni della 24a KGZE a Brno i partecipanti intendono
mostrare che esistono delle vie per uscire dalla crisi e, seguendo
l’orientamento della dottrina sociale, siamo tenuti ad attuare insieme
queste nuove vie attraverso la politica.