Leggi della finanza e diritto dell`economia. Per un
Transcript
Leggi della finanza e diritto dell`economia. Per un
! Leggi della finanza e diritto dell’economia. Per un “ritorno dell’economia e della finanza ad un’etica in favore dell’essere umano”. Incontro delle Reti della Carità Milano, Casa della Carità “Angelo Abriani”, Martedì 5 maggio 2015 ! Niccolò Abriani ! ! ! ! ♥ 1. Tra gli insegnamenti del Cardinale Martini, come sempre illuminati e illuminanti, che Don Virginio ha evocato in apertura di questo nostro incontro, mi hanno particolarmente colpito i richiami all’ “eccesso di bene” sotteso al messaggio evangelico, ove l’uomo trova se stesso andando al di là dell’equilibrio, decampando dai confini angusti di una sanità ordinaria, eccedendo nel bene, porgendo l’altra guancia a chi ti ha colpito, pregando per i propri persecutori, sino al buon pastore che dà la propria la vita per le sue pecore e all’estremo sacrifico della Croce. Agli antipodi rispetto all’etica ispiratrice di questa prospettiva virtuosamente eccessiva si collocano gli eccessi negativi che hanno drammaticamente segnato le vicende dei mercati finanziari di questi ultimi lustri, la cui cifra è stata effettivamente rappresentata non soltanto dalla avidità, ma anche e soprattutto dall’avventatezza e dall’azzardo. Azzardo morale e azzardo intellettuale come elementi di rischio sistematico e concausa – sino a ieri poco avvertita, ma in realtà decisiva – dei traumatici tracolli che hanno caratterizzato questi ultimi anni, e in particolare della grave crisi che nel 2008 ha colpito il sistema finanziario globale, e che ancora interessa le economie di numerosi paesi del mondo. Fu quello l’approdo di una stagione di inedita – e inusitata – creatività finanziaria, accompagnata da una un’euforia da “fantasia al potere”, il cui frutto più pernicioso, e gravido di corollari, è rappresentato, come noto dai derivati, illusoriamente e decettivamente presentati ai risparmiatori come “prodotti finanziari”. La disastrosa crisi finanziaria dei primi anni Duemila ha disvelato la natura puramente metaforica di tale espressione. Qui l’elemento decettivo non risiede naturalmente nell’aggettivo: finanziario deriva da «finer, payer à la fin»; la prospettiva futura e aleatoria è dunque immediatamente percepibile ed anzi intrinseca al suo etimo. L’equivoco si annida piuttosto nel «dominio sorgente», nella parola prodotto: una parola che appartiene al lessico dell’economia industriale, designa la ricchezza prodotta, di cui ogni consumatore e ogni utilizzatore è reso partecipe. Come ha sottolinea, con la consueta eleganza, Francesco Galgano, l’economia della finanza ha attinto da quel lessico rassicurante e ha immesso sul mercato, destinandoli alla negoziazione, i derivati, in particolare le securities e gli swaps, presentandoli come «prodotti», sia pure finanziari. Dietro queste new properties si è celato, per gli operatori e soprattutto per gli investitori, un messaggio ingannevole, come un Cavallo di Troia. E qui il pensiero ritorna a chi ideò il più celebre degli inganni: non l’Odisseo omerico, ma l’Ulisse dantesco. E non già nella versione eroica della sfida per l’alto mare aperto alla foce stretta delle Colonne d’Ercole («Fatti non ♥ Ordinario di Diritto commerciale, Dipartimento di Diritto dell’economia, Università di Firenze, Via delle Pandette n. 9, Polo di Scienze Sociali, Novoli, 50127 – Firenze, e-mail: [email protected]. foste…»), ma in quella del consigliere fraudolento, «lo maggior corno della fiamma antica», che arde nel ventiseiesimo canto dell’Inferno: il canto che si apre con la celebre invettiva a Firenze («Godi, Fiorenza, poi che se’ sì grande, che per mare e per terra batti l’ali, e per lo ’nferno tuo nome si spande!») e nel quale il Sommo Poeta fulmina con i suoi insuperabili dardi il nascondimento della verità. Nel nostro caso la «bella menzogna» sta nell’alludere ai derivati come a un «prodotto», suscettibile di arricchire il patrimonio dei risparmiatori, mentre si tratta, tutt’al più, di una scommessa sull’avveramento di ricchezza futura. Gli investitori lo hanno scoperto troppo tardi, quando la speranza di ricchezza futura non si è avverata, rendendosi conto, sulla loro pelle, che, sotto il nome di «prodotti finanziari», avevano comperato solo metafore: non ricchezza presente, dunque, ma l’aspettativa inevitabilmente (e in alcuni casi, enormemente) aleatoria di ricchezza futura. ! 2. A distanza di anni lo spirito con il quale ci rivolgiamo a quella stagione è l’animo di «quei che con lena affannata, uscito fuor del pelago a la riva, si volge a l’acqua perigliosa e guata». Per i traumi, i disastri, le vittime (vere non solo figurate) che ha determinato la crisi, forte è tuttavia il rischio di avere un atteggiamento emotivo o moralistico che può velare la comprensione delle cause degli eventi, ai meccanismi che li hanno determinati e superando definitivamente l’emozione dello scandalo. Occorre riportare l’analisi su un piano oggettivo, seguendo l’esortazione di Paolo VI ad avere una «sempre vigile capacità di studiare i segni dei tempi», ripresa da Papa Francesco nell’incipit del secondo capitolo della Evangelii Gaudium. Sull’azzardo morale (il moral hazard), esiste già un’ampia letteratura che ha esaminato la diffusa inclinazione ad assumere un rischio più alto di quello che si dovrebbe, ritenendo di avere comunque le spalle coperte (da terzi). Assai meno noto e studiato è invece l’azzardo intellettuale, cioè il rischio di conoscenza che connota le organizzazioni complesse e che induce ad assumere decisioni non pienamente consapevoli (in assenza di “un’adeguata istruttoria”, direbbero gli amici amministrativisti); e ciò nonostante la perfetta consapevolezza dell’inconsapevolezza (di qui appunto l’azzardo). Non si intende qui demonizzare la propensione al rischio, che è d’altro canto connaturata alla natura spiccatamente mercantile del genere umano, di cui rappresenta un primo elemento ancestrale: basti pensare a quella suggestiva pagina di Masse und Macht (Masse e potere) di Elias Canetti, dove l’attività di scambio del mercante viene ricollegata al movimento oscillatorio tra i rami degli alberi, caratteristico dei nostri più antichi progenitori durante la loro vita arboricola, reso possibile da una mano prensile. Le doti del mercante (e oggi dell’operatore finanziario), di passare da un bene a un altro discenderebbero da quelle nostre ancestrali capacità di muoversi con perizia e agilità da un ramo a un altro (der Handel). Da allora il cervello umano è naturalmente portato ad afferrare la liana che gli viene offerta. Ma anche a prendere delle scorciatoie. Il problema è quando si incomincia a tagliare la strada agli altri. E qui scatta un altro meccanismo: di fronte a un comportamento negativo tendiamo a sovrastimare quanto il nostro somigli a quello degli altri. È il meccanismo del “così fan tutti”; per la verità, assai poco mozartiano: in quanto, guarda caso, scatta anche quando ad imbrogliare, a fregare abbiamo cominciato “noi”; e scatta per giustificarci a posteriori. Ma non è soltanto una questione di natura: l’imbroglio diventa infatti un approdo (ma prima ancora, un mezzo) quasi inevitabile in una società in cui chi vince prende tutto. È dato ampiamente condiviso – ed ormai acquisito da sociologi ed economisti – che più crescono le disparità, più cresce il ricorso all’irregolarità, alla scorciatoia; in un quadro in cui la mano invisibile di Adamo Smith tende a diventare l’uncino visibile dei tanti Capitan Hook che hanno dominato la scena di questi ultimi lustri. ! 3. Il termine inglese con cui si è soliti indicare la crisi – default – è in realtà un termine polisenso, che affonda le sue radici nel défaut francese e, prima ancora, nel deficere latino; inteso dunque non soltanto come insuccesso, ma appunto come mancanza, difetto. Ed invero è ad un clamoroso deficit culturale e antropologico che può farsi risalire la causa ultima della crisi. La crisi mondiale che ha investito la finanza e l’economia ha ulteriormente accentuato i propri squilibri e, soprattutto, la grave mancanza di un orientamento antropologico che riduce l’essere umano ad uno solo dei suoi bisogni: il consumo. Una crisi che è innanzi tutto culturale ed etica, come magistralmente scolpito dal Santo Padre nella Evangelii Gaudium: “Una delle cause di questa situazione si trova nella relazione che abbiamo stabilito con il denaro, poiché accettiamo pacificamente il suo predomino su di noi e sulle nostre società. La crisi finanziaria che attraversiamo ci fa dimenticare che alla sua origine vi è una profonda crisi antropologica: la negazione del primato dell’essere umano”. Come ancora sottolinea il Santo Padre, l’adorazione dell’antico vitello d’oro “ha trovato una nuova e spietata versione nel feticismo del denaro e nella dittatura di una economia senza volto e senza uno scopo veramente umano”. Di qui l’esigenza di un rinascimento etico, in assenza del quale nessuna disciplina di settore – e nessuna disposizione sanzionatrice, sia essa, come dicono i tecnici, di corporate governance o di corporate finance – può risultare davvero efficace. Un rinascimento etico, che deve partire dalla esortazione “alla solidarietà disinteressata e ad un ritorno dell’economia e della finanza ad un’etica in favore dell’essere umano” e dai due “NO” che Papa Francesco scandisce in quelle stesse, magistrali, pagine della Evangelii Gaudium: “No alla nuova idolatria del denaro”, “No a un denaro che governa invece di servire”. Un ritorno dunque ad una visione etica degli affari – un’etica non ideologizzata – che riconduca il denaro alla sua funzione servente (“il denaro deve servire e non governare”) e consenta di «creare un equilibrio e un ordine sociale più umano», nella consapevolezza che «non condividere i propri beni con i poveri significa derubarli e privarli della vita. I beni che possediamo non sono nostri, ma loro» (san Giovanni Crisostomo, De Lazaro Concio II, 6: PG 48, 992). ! !