La storia come memoria collettiva può e deve portare l
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La storia come memoria collettiva può e deve portare l
27/01/2011 La storia come memoria collettiva può e deve portare l'umanità verso un mondo migliore. 27 gennaio 1945. Le truppe sovietiche dell'Armata Rossa entrano ad Auschwitz, liberando i pochi superstiti. In una data così importante e così densa di significati, il Parlamento Italiano (così come altri europei) ha deciso di celebrare il Giorno della Memoria, "al fine di ricordare la Shoah, le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, e a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati". Nei campi di sterminio morirono milioni di persone: la maggior parte ebrei, ma anche zingari, handicappati, religiosi, omosessuali, oppositori politici e militari prigionieri. Milioni di persone i cui diritti sono stati calpestati da altri uomini. Chiare, dirette, intense sono a questo proposito le parole di Primo Levi, che in pochi versi racchiude tutta la sofferenza e l'angoscia della tragedia a cui ha preso parte: Voi che vivete sicuri Nelle vostre tiepide case, Voi che trovate tornando la sera Il cibo caldo e visi amici: Considerate se questo è un uomo Che lavora nel fango Che non conosce la pace Che lotta per mezzo pane... E pensando alle parole di Primo Levi, uomo che ha fatto dei "diritti umani" la fonte della propria ispirazione, corrono alla mente anche quelle del Dalai Lama che anni dopo, al ricevimento del premio Nobel per la pace, esortò alla creazione di un grande senso comune: "Via via che gli individui e le nazioni diventano sempre più interdipendenti, non abbiamo altra scelta che quella di sviluppare un senso di responsabilità universale". Una responsabilità che faccia da filo conduttore tra la Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo e gli otto Obiettivi del Millennio, nati per sradicare la povertà, con un unico, comune obiettivo: preservare e proteggere la dignità umana attraverso il raggiungimento di una vasta gamma di diritti civili, culturali, economici politici e sociali. La povertà, infatti, non è semplicemente l'assenza di beni materiali, ma comprende anche la mancanza di beni "sociali" come salute, libertà dalla paura e dalla violenza, integrazione sociale, identità culturale e politica nonchè possibilità di vivere con dignità e rispetto. E al 60° anniversario della Dichiarazione, celebrato proprio lo scorso dicembre, è bene quindi ricordare che lo sviluppo non deve essere un privilegio di pochi, ma un diritto di tutti. Come ha teorizzato Norberto Bobbio, "i diritti umani nascono proprio quando l'aumento del potere dell'uomo sull'uomo, che segue inevitabilmente al progresso tecnico, cioè al progresso della capacità dell'uomo di dominare la natura e gli altri uomini, crea nuove minacce alla libertà dell'individuo oppure consente nuovi rimedi alla sua indigenza". E ancora: "diritti dell'uomo, democrazia e pace sono tre momenti necessari dello stesso movimento storico: senza diritti dell'uomo riconosciuti o protetti non c'è democrazia e senza democrazia non ci sono le condizioni minime per la soluzione pacifica dei conflitti". Sembra semplice e chiaro, eppure... Diritto alla libertà individuale, diritto alla vita, diritto all'autodeterminazione, diritto a un giusto processo, diritto a un'esistenza dignitosa, diritto alla libertà religiosa... Possiamo davvero dire che questi principi siano rispettati in ogni parte del Mondo? La memoria del passato dovrebbe aiutarci a costruire il futuro. Primo Levi scriveva i suoi versi nel 1947, ma anche oggi, come allora, è bene tenerli a mente. Perché, sempre e ovunque, un uomo abbia il diritto di essere davvero tale.