Prefazione - Apogeonline
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Prefazione - Apogeonline
Prefazione Umbra futurorum 1. Cos’è la Comunicazione? Dai primi anni Settanta, da quando cioè ho cominciato a praticarla su un fronte professionale, fino ad oggi, che sono ormai decenni che la studio, io cosa sia davvero la Comunicazione ancora non l’ho capito. Mi sono convinto, viceversa, che sapere cosa sia non serva a molto, perché la Comunicazione, così almeno come si è sviluppata negli ultimi due secoli, appartiene a saperi, questi sì di nuova generazione, che stanno davanti a noi; che sono cioè ancora da inventare o, per riprendere una metafora cara al pensiero del Novecento, da costruire. Questo libro è una piccola riflessione inconclusa sulla comunicazione fra persone, fra gruppi, fra uomini e cose, res, fra macchine, persone e res. Tra idee e res, fra simbolico e fattuale, fra digitale informatico e digitale naturale. Insomma su quella forza immensa che lega e divide tutti e tutto creando la storia dell’umanità. Qui propongo alcune osservazioni su come ognuno di noi tenda a leggere il testo-mondo e leggendolo, agendolo, interpretandolo, inevitabilmente, finisca per riscriverlo. Un’attività che – come qualsiasi fatto in natura – di per sé non comporta nessuna qualità. Per questo è urgente che ci decidiamo ad entrare nel merito dei testi comunicativi e delle grammatiche e delle relazioni che legano i primi alle seconde. La comunicazione è componente essenziale della nostra condizione di uomini e di donne, rispetto alla quale un ruolo fondamentale, da sempre, lo hanno esercitato le macchine che, appunto, ci aiutano a leggere/scrivere la realtà: dall’aratro che incideva il terreno per la coltivazione, disegnando il paesaggio, fino al nostro ultimo smartphone. toschi generat.indb 7 27-12-2010 17:22:57 viii Prefazione Naturalmente le macchine nel tempo sono assai cambiate, ma continuano a non pensare, se pensare significa svolgere un’attività critica. Nemmeno oggi che ci piace descriverle giocando con parole come “intelligenza”, “identità”, “pensiero”, “scelte”: antropomorfismi che celano disagi sempre più profondi, malamente vissuti in solitudini affollate. Se è vero, però, che le macchine non pensano, è ancor più vero che sono state pensate, e che ci fanno pensare. Nel senso che condizionano, indirizzando, l’azione e le nostre idee, le nostre scelte generali e particolari, stabilendo nessi e gerarchie, obiettivi. Coinvolti, presi dalle sceneggiature implicite, procedure (script) che dobbiamo seguire per avvalerci di questa meravigliosa, affascinante concatenazione di effetti, di queste insostituibili, potenti connessioni meccaniche, ci scordiamo sempre più spesso che sono stati e sono gli uomini ad aver tessuto, a tessere questa trama, questi algoritmi del fare e del pensare. Che le macchine sono state programmate per proporci di costruire una storia ben precisa, in cui è dato a ciascun di noi un ruolo predefinito, programmato. Perché allora non cercare di capirne il linguaggio, ad iniziare da quello degli script, erroneamente ritenuto neutro, naturale, necessario? Perché non ricostruirne la trama? Perché non domandarci chi ne sono gli autori? Quali gli interessi che li muovono? Ci accorgeremmo che rispetto a questa specie di storia di tutte le storie del mondo, poco presente alla coscienza dei più, le narrazioni che crediamo di andare scrivendo non sono nemmeno delle glosse: sono dei dati, importantissimi sì, ma per i potenti autori delle grammatiche comunicative che ci consentono di agire. I nostri testi, ne consegue, non sono nemmeno testi, perché se lo fossero avrebbero la possibilità di retroagire sulle grammatiche. Il meccanismo, invece, è rigorosamente topdown anche quando il bottom-up è affollatissimo e indaffaratissimo a scrivere, a raccontarsi, a costruire alternative. 2. Un bruttissimo sistema dove ciò che scriviamo non sono storie ma dati, appunto, che inseriamo secondo precise sceneggiature fisiche, mentali, spirituali (i già ricordati script): dai vari social network cui aderiamo ai telepass quotidiani, dalle nostre varie card ai tracciamenti dei GPS, ai tanti usi dei nostri smartphone ecc. ecc. Le rotte seguite nel mare di questa Rete sociale (da considerare non solo nella sua fisicità informatica, va ricordato), più che essere testi scritti da noi, sono testi che scrivono di noi. Intendiamoci, ogni lettura è una riscrittura; lo è sempre stata. Il punto è che noi stiamo perdendo la literacy sociale, la cultura, cioè, toschi generat.indb 8 27-12-2010 17:22:57 Umbra fUtUrorUm ix necessaria per capire cosa oggi è lettura e cosa scrittura, per riconoscere il testo individuale e quello sociale, il testo-mondo in cui siamo immersi e che concorriamo a scrivere. Tendiamo a ignorare, prima ancora di che cosa e come scriviamo, quando stiamo leggendo, assimilando, rafforzando a nostra insaputa modelli e comportamenti, ideologie. Panottici moderni? No, peggio: non ci sono mura, si tratta d’ignoranza di ultima generazione, di classismo, cioè, nella sua versione più moderna. Il vero controllo, infatti, di cui si dovrebbe parlare è quello che noi abbiamo perso su noi stessi; la comprensione che dovrebbe permetterci di collocare in qualsiasi momento il nostro essere individuale e collettivo nel contesto storico, sociale, economico, culturale in cui ci troviamo. Senza questa capacità d’analisi e di critica, delegando questa libertà creatrice a qualcuno, magari perché rappresentante della stessa tifoseria politica, rinunciamo a conoscere e a valutare l’educazione implicita, la comunicazione formativa invisibile in cui ci muoviamo e che tanto ci condiziona. Non è vero che manca l’educazione: siamo in una società educante come non mai ad ignorare le ragioni profonde, le trame che ne ispirano la logica, la sua ragion d’essere. La scuola, l’università non è più là dove eravamo abituati a vederla, la stanno spostando giorno dopo giorno nell’organizzazione dei nostri gesti più quotidiani, nel nostro fare più normale. Il trionfo della privatizzazione si sta esprimendo nel divide et impera ripensato da un punto di vista di personalizzazione sì, ma di massa. Il punto è che questa vita, così come questa comunicazione la sta generando, ci appartiene sempre meno, giorno dopo giorno, generazione dopo generazione, schiacciati da routine, processi ripetitivi che promettono, in cambio di un’accettazione di questa organizzazione sociale, un benessere che, al contrario, le ragioni di un’emergenza continua rinviano continuamente. Si sta azzerando la percezione stessa del disagio, e quando affiora, anche nelle sue manifestazioni più violente, ha tutte le caratteristiche di un sintomo per ridurre il quale la risposta starebbe proprio nel rafforzamento delle caratteristiche strutturali del sistema che lo causa. L’attuale valore simbolico del denaro, i parametri usati per valutare la qualità della vita di una determinata società, lo confermano senza veli. Chi vuol vedere vede. 3. La Rete – Internet come parola nasce ai primi degli anni Ottanta – fu progettata in quegli anni Sessanta che avevano urlato la necessità di un cambiamento epocale, radicale che permettesse alla toschi generat.indb 9 27-12-2010 17:22:57 x Prefazione nostra umanità di uscire dalla Preistoria, in cui fino ad allora si era mossa, e di avviare finalmente una Storia degna di questo nome. Vedere, nell’estate del 1969, la Terra dalla Luna, grazie all’equipaggio dell’Apollo 11, scoprirci laggiù, piccoli piccoli, con i nostri missili nucleari che proliferavano su tutta la superficie del mondo, sospesi in quello spazio dove le stelle saranno anche infinite ma sono niente, proprio niente, in confronto a tutto quel vuoto immenso che è l’universo, ci fece sentire, prima che capire, la necessità che la società tutta, ad iniziare dalla nostra interiorità, doveva essere letta in una maniera completamente differente, e scritta come mai era stato possibile. Risultò chiaro – per parafrasare una celebre frase di Gandhi, un idealista assai concreto – che era necessario trovare metodi di comunicazione diversi da quelli usati dai nemici del nuovo umanesimo che stava nascendo. La storia ufficiale della digitalizzazione della società iniziò allora, nel pensare di poter dividere quello che era stato unito da sempre e di mettere insieme ciò che fino allora era stato sempre frammentato. Dall’infinitamente piccolo all’infinitamente grande si avvertì l’urgenza, in tutti i campi del sapere e del fare, dalla dimensione più spirituale a quella più pratica, dall’economia alla politica, di destrutturare e ristrutturare persone, idee, res. La Rete telematica diventò il linguaggio per eccellenza di questa rivoluzionaria visione della condizione umana, un linguaggio che aveva la peculiarità inedita rispetto a tutti gli altri “sistemi di simulazione secondaria” (avrebbe detto, intorno a quegli stessi anni, Lotman), di progettare e di rendere contemporaneamente – ecco il senso nuovo di tempo reale – fattuale il progetto, di far vivere quello che si “ragionava”, di far esistere quello che s’immaginava, sollecitandoci a scoprire relazioni, creare nessi altrimenti ritenuti impossibili. Cominciarono così ad esistere, sempre più numerose, identità pubbliche e private nuove, legami che permettevano di vedere e di agire la realtà come nessuno avrebbe mai pensato. Con il passare del tempo, però – le dinamiche sono ben note – la storia della Rete ha segnato una progressiva perdita di fiducia nelle possibilità di mutare la struttura culturale, economica, sociale, politica tradizionale. Portare le persone e le res dentro la Rete ha significato farle entrare in una realtà parallela e non antagonistica agli assetti consueti, sempre meno fattivamente conflittuale con l’esistente, favorendo grandi profitti da parte di chi riusciva a vedere tempe- toschi generat.indb 10 27-12-2010 17:22:58 Umbra fUtUrorUm xi stivamente in questo nuovo continente da colonizzare la possibilità di riprodurre la logica economica e sociale consueta. Tornare alla Rete dei pionieri che volevano costruire un mondo che non c’era mai stato, recuperando la centralità della progettazione sociale e dei rispettivi contenuti, primo fra tutti quello della Rete stessa, può essere un’ipotesi da valutare attentamente per ritrovare l’audacity of hope di poter cambiare questo mondo. 4. Comunque la si pensi, l’importante è sapere che il mondo intanto, piaccia o non piaccia, continua a cambiare. Ma non nella modalità con cui lo ha sempre fatto. Come ci ha spiegato Einstein, la velocità è un salto di sistema, e la velocità del divenire della nostra realtà, mai sperimentata prima nella storia dell’umanità, è un dato d’importanza sistemica rivoluzionaria cui nessuno e niente sfugge. La comunicazione, infatti, è la forza meravigliosa che genera senza sosta società e individui. Energia ininterrotta, irrefrenabile, in controtendenza rispetto al Big Bang originario cui nessuno può sottrarsi, e che sta imprimendo un’accelerazione epocale. Le nuove tecnologie della comunicazione, con i loro automatismi, con i loro algoritmi autogenerativi, autopoietici, stanno affiancando la forza generatrice dell’immaginario umano contribuendo a creare fantasmi di cose e persone concreti e reali come i loro effetti. Una forma di testualità nuova (la realtà aumentata ne è una pallida e primitiva espressione) sta ormai avvolgendoci. La domanda è: sappiamo pensare in questo nuovo habitat comunicativo? Ne conosciamo la grammatica? Gli effetti sul piano politico? E su quello economico? Siamo consapevoli che tutto il sistema produttivo dovrebbe essere ripensato? Che il senso profondo della “polis” dovrebbe essere ridisegnato? Che l’identità comunicativa, individuale e collettiva, aspetta di essere riscritta? Che le storiche parole “libertà, uguaglianza, fraternità” stanno parlando un linguaggio nuovo? Ma non meno rivoluzionario? Se le risposte le abbiamo, dobbiamo avere chiaro che il tempo che viviamo è quello degli script, delle sceneggiature definite ma infinite per numero, delle storie per scrivere una storia pressoché unica. La quale ha poco o niente a che fare con l’uomo planetario o con il fenomeno auspicabile della mondializzazione. Procedure facilitatrici, seduttive, ci danno l’illusione di essere creativi. L’importante è esserci. Per esserci, benvenuti nel più grande magazzino della lettura e della scrittura che si sia mai immaginato. Le macchine e i loro processi creativi sono stati architettati per indebolire il più possibile il toschi generat.indb 11 27-12-2010 17:22:58 xii Prefazione processo generativo che univa da sempre le grammatiche ai testi, in una reciprocità conflittuale ma pur sempre possibile. Il medium non è il messaggio; piuttosto è la grammatica invisibile ma efficacissima che influenza e condiziona i nostri testi. Gli script, facilitando l’interazione fra idee e strumenti per leggere/scrivere la realtà sociale, stanno riuscendo a cancellare nella mente di chi se ne avvale la consapevolezza che da qualche parte ci possano essere delle grammatiche che li ispirano, delle logiche di potere che li guidano e che dovremmo conoscere e giudicare. Questo sistema ha fatto sì che l’idea stessa di grammatica sia stata indebolita in ogni individuo, al punto che si legge e si scrive (si parla) come si vuole: il correttore automatico del sistema interviene e normalizza per elaborare i nostri dati in ingresso e preparare i dati in uscita di cui avremo “certamente” bisogno. Del resto per cambiare dovremmo maturare a livello di idee, di pratiche, di realizzazioni, la consapevolezza che siamo entrati in un mondo in cui sono necessari progetti di grande respiro, ispirati da scelte etiche e politiche assai forti, che tengano conto delle onde lunghe della storia: progetti che, nondimeno, devono poter essere cambiati via via che dal fare affiorano nuovi dati di conoscenza: perché la realtà si presenta come una dimensione nuova, tutta da costruire ancora. E come si fa a progettare ciò che non conosciamo? E se in corso d’opera interveniamo sul progetto in maniera significativa, cosa resta del progetto stesso? Cosa resta quando si cambia? Teorie e pratiche del progettare devono essere trasformate nel loro senso più profondo, ad iniziare dal rapporto che il fare ha con il pensare, immaginare, con la nostra interiorità. A questo punto Ricerca e Conoscenza diventano elementi fondamentali dell’intero problema, e la posizione rispetto ad esse della Comunicazione si presenta come una questione strategica. Nel senso che il processo comunicativo può essere stato progettato per generare conoscenza oppure no; può essere il risultato di una visione della conoscenza che pone la ricerca al centro della conoscenza stessa oppure no. Il linguaggio della propaganda e della pubblicità non a caso la fa da padrone nel nostro tempo, trasversalmente ai campi politici e culturali che tendono a comunicare tutti allo stesso modo. E le nuove tecnologie della comunicazione che ruolo giocano in tutto questo? Dato per assodato che nessuna interpretazione di tipo provvidenzialistico delle loro potenzialità, pur indubbiamente eccezionali, le ha finora agevolate nell’assumere un indirizzo innovativo. toschi generat.indb 12 27-12-2010 17:22:58 Umbra fUtUrorUm xiii 5. Ma prima di ogni considerazione è fondamentale affermare che per ben comprendere la crisi che stiamo attraversando, per trasformarla in un’incredibile risorsa, è necessario riappropriarci del senso di millenni di storia che ci hanno preceduto, base indispensabile per qualsiasi progettazione di un futuro in cui la condizione umana trovi la base su cui avviare il processo di una sua piena realizzazione. Per la quale è preliminarmente necessario rinunciare all’idea conservativa e cioè mortuaria che oggi si ha di possibilità, di realtà, di realismo, di concretezza. La visione digitale della realtà – da non confondersi semplicisticamente con la sua dimensione informatica -, la nuova testualità che essa rappresenta, può essere uno strumento indispensabile per costruire questo futuro, al punto da legittimare l’ipotesi che essa ne sia un’anticipazione e che quanto sta accadendo rischi di ricacciarla nella Preistoria. Le conquiste passate dell’uomo hanno fatto sì che ci si possa accostare alla deriva cosmica, rafforzandone o contrastandone il processo naturale, per sfruttarne l’energia a nostro uso. L’uomo è nella condizione storicamente inedita di poter utilizzare questa immensa forza che lo avvolge, questi avatar stupendi di persone e res – fisici e simbolici –, che lui stesso ha contribuito a creare con la sua Storia. E ritornano le domande: ne è consapevole? Ne ha la capacità? L’educazione che oggi è offerta va nella direzione di rendere l’uomo progettista e realizzatore di mondi, di società, di umanità nuovi? Sappiamo ancora leggere e scrivere questo testo-mondo, ora che la sua testualità è così rivoluzionaria nei fatti? L’uomo ha delegato per millenni ai poeti la capacità di generare realtà inedite: saprà raccogliere la sfida che ha davanti, per cui ogni uomo potrà, diventerà poeta – lo voglia o non – ridefinendo così il paradigma di poesia? La rivoluzione – ripetiamolo – è oggettiva: la forza generativa del processo comunicativo che l’uomo ha messo in moto con secoli e secoli di storia è evidente quanto inarrestabile. Sta aspettando di essere riconosciuta, progettata, governata… nella consapevolezza della sua inedita potenza. Abbiamo una cultura adeguata a questo compito che è soltanto nel nostro interesse, sia chiaro, assolvere? O le lancette dell’orologio stanno ritornando indietro? Il secolo scorso, ma si potrebbe risalire ai tempi di Cristo, è la storia di grandi idee rivoluzionarie che sono degenerate in incubi. C’è una diffusa paura ad affrontare la cultura dei grandi numeri, cui, pubblicamente e privatamente, tendiamo a relazionarci secon- toschi generat.indb 13 27-12-2010 17:22:58 xiv Prefazione do la solita, noiosa cultura dei piccoli numeri. Viceversa, GRANDE è immensamente bello se sappiamo immaginarlo, idearlo, generarlo secondo un progetto d’umanità radicalmente diverso da quello che ha dominato nel nostro passato, e che ci ha portato al tanto di bene ma anche di male del secolo scorso. I nostri giovani, le grandi migrazioni che ci attraversano, i poveri, i perdenti, i ribelli, i piantagrane, tutti coloro che hanno bisogno di una vita diversa, che sono ontologicamente contro lo status quo ce lo stanno dicendo. Come sanno, come noi permettiamo loro di dircelo. E quello che dicono con le loro vite non riguarda soltanto quel miliardo e passa di esseri umani che ogni sera si addormentano con la fame addosso. Riguarda anche il malessere che i privilegiati si portano dentro e che si ostinano a curare isolandosi sempre più dal flusso vitale e caotico della Storia. Ma come si fa ad ignorare la loro sofferenza e la nostra? A vivere facendo finta di non sapere? La Rete è causa ed effetto di questa condizione: e lo sarà sempre più. Il libro della realtà ha cessato di essere il libro eterno che consentiva sì interpretazioni ma che era immutabile per le generazioni che si susseguivano: l’ingegneria della realtà, da quella fisica a quella simbolica, oggi è talmente potente che nell’arco della sua vita una persona riesce a “sentire” chiaramente che il testo della realtà è in continua riscrittura. Curiosità, desiderio, paura, prudenza, arroganza, coraggio si alternano come sempre, più di sempre, in maniera diversa da sempre. L’analfabetismo comunicativo in cui ci muoviamo non aiuta a capire e a interpretare il nuovo che abbiamo davanti. Anche perché oltre un certo limite, se alla consapevolezza non subentra la conoscenza e la libertà di essere, l’ignoranza e la rinuncia diventano medicine necessarie. Che nell’aria ci sia un certo totalitarismo non di ritorno ma di nuova generazione è un’idea dopo tutto non così peregrina. Certo da approfondire, ma segnali in questa direzione non mancano. E prima di tutto si riscontrano proprio nella negazione, cui stiamo abituandoci – il totalitarismo ha bisogno della complicità delle masse –, degli importanti traguardi che l’uomo ha raggiunto con secoli e secoli di storia, pagando prezzi altissimi, a cominciare dal baratro degli orrori scavato dal secolo passato. Difendere la storia non è un atto archivistico, documentale, oppure una premessa noiosa, forse necessaria, per nobilitare quanto stiamo per fare o dire. La storia, la filologia rappresentano il metodo toschi generat.indb 14 27-12-2010 17:22:58 Umbra fUtUrorUm xv che ci permette di vivere il presente e di progettare il futuro favorendo l’indispensabile disposizione critica. 6. Le mie proposte sulla comunicazione generativa si basano sulla convinzione – di per sé niente di nuovo – che l’attuale sistema comunicativo abbia rafforzato la dimensione trasmissiva, gerarchica, emulativa, che sia cioè espressione di una cultura che non vuole far emergere la conoscenza implicita ed esplicita di cui siamo sempre e comunque portatori. In questa prospettiva la comunicazione si pone come un ambiente generativo di conoscenza, di esperienza, di saperi nella misura in cui riesce a far maturare, nei soggetti coinvolti nel suo processo, la consapevolezza dell’esistenza di conoscenze ignorate, negate, inibite dalla cultura dominante, dall’organizzazione oggi vincente. La conoscenza non è un capitale che semplicemente s’incrementa, e che può essere più o meno equamente distribuito. Ogni più piccolo cambiamento la trasforma. Andare oltre l’alternanza fra processi comunicativi improntati ora a modelli top-down ora bottomup è l’obiettivo della comunicazione generativa, che vede nel rafforzamento del conflitto fra queste due correnti comunicative la forza originaria con cui poter generare realtà in direzione di quell’Umanesimo che pone al proprio centro Conoscenza e Ricerca. Un mondo in fase di costruzione di cui il Web 3.0, l’Internet of Things, la crisi attuale della tanto celebrata convergenza, sono solo timide, goffe anticipazioni. Ne consegue che il comunicatore, lungi dall’essere il signore degli effetti speciali, la figura carismatica che convince e guida, si pone come colui che governa questo processo. All’inizio con un ruolo forte d’indirizzo, poi, mentre il processo generativo prende campo, ritraendosi sempre più su posizioni secondarie, perché è indispensabile che contestualmente al rafforzarsi del processo generativo si affermi anche la consapevolezza da parte di tutti i soggetti che costituiscono una comunità (indipendentemente dalla natura di quest’ultima) di essere loro i veri comunicatori. La “comunicazione generativa” è impegnata ad individuare, intercettare le immense forze in atto che generano senza sosta realtà oltre le nostre conoscenze e consapevolezze; ad analizzarle, valutarle e valorizzarle secondo un progetto ben definito – non ultimo ponendosi come un incubatore delle loro componenti più contrastive, antagonistiche – indirizzando così l’energia che attraversa, investe la nostra società, noi stessi, verso obiettivi chiaramente definiti e toschi generat.indb 15 27-12-2010 17:22:58 xvi Prefazione condivisi. La comunicazione generativa, quindi, è l’ambiente dove far convergere, purtroppo nei limiti ancora assai ristretti del nostro orizzonte culturale, un flusso generativo immenso, che l’uomo con la sua storia di millenni ha reso possibile. Un’energia creatrice per lo più fuori controllo (la deriva), tutta da scoprire, da interpretare, in funzione di un preciso progetto. In questo senso la comunicazione generativa è terribilmente di parte. 7. Questo libro è stato scritto lungo una ventina di anni, durante i quali ho soprattutto sperimentato la comunicazione nelle modalità più diverse, sempre ponendomi la domanda su come utilizzare al massimo le ultime innovazioni tecnologiche nella prospettiva appena accennata: dalla critique génétique degli amici del francese Centre National de la Recherche Scientifique fino all’augented reality, con cui sto cercando di portare, all’interno delle celebrazioni istituzionali per i 150 anni dello Stato italiano, i racconti di come gli italiani vedono, partendo dalla realtà territoriale in cui vivono, il passato, il presente e il futuro della nostra Italia. Un’Italia, così planetaria per vocazione, così provinciale per scelta, ad iniziare da quell’esterofilia che si considera l’unica risposta sostenibile al dilagante localismo. La società nostra della complessità non ha ancora trovato la narrazione che la possa rappresentare con gioia, speranza. È successo così che fino ad oggi abbia avuto la meglio una frammentazione narrativa priva di visione, cronache di ordinaria solitudine celebrate come eccezionalità. Non si può costruire un nuovo tessuto sociale sul malessere, per quanto vero. È tempo, viceversa, che il racconto, forte della ritrovata dignità narrativa della vita di ognuno di noi, della voglia di vivere pienamente la nostra condizione di donne e di uomini, torni a intrecciare le nostre infinite storie, tutte diverse, in una narrazione epica comune. Indagine empirica e riflessione teorica sono andate di pari passo, l’una indispensabile per l’altra. Gli appunti, con cui cercavo di fissare alcune considerazioni emerse dal lavoro concreto, risultavano regolarmente superati, messi in discussione dai progetti nuovi. I capitoli che seguono altro non sono che tentativi di proporre il senso che questo percorso di ricerca ha finora avuto. Li ho pubblicati in ordine inverso rispetto a quando li ho elaborati. Vanno, cioè, dal presente verso il passato: è una specie di rewind, di storia alla rovescia. Questo per sottolineare nel modo di comunicare del libro stesso la funzione toschi generat.indb 16 27-12-2010 17:22:58 Umbra fUtUrorUm xvii esclusivamente progettuale e operativa della scrittura/memoria che qui propongo del mio fare e pensare. I capitoli, quando non sono inediti sono profondamente rielaborati rispetto alla versione che avevano quando sono comparsi la prima volta (si rinvia in proposito alla Bibliografia, www.comunicazionegenerativa.org). Un lavoro che mi è servito per precisare un aspetto fondamentale della comunicazione generativa: il potere maieutico della comunicazione. A cominciare dal linguaggio più astratto di tutti, e per questo più di ogni altro utile per le elaborazioni concettuali: quello alfabetico. Con un’importante distinzione fra il parlato e lo scritto. C’è un sapere che sta davanti a noi, oltre il muro delle nostre certezze. Le parole spesso lo intuiscono: sta alla pazienza di un metodo analitico, storico, filologico il compito di verificare se si tratti di pericolose sirene, da cui è facile restare incantati (sarà questo il caso della comunicazione generativa?), oppure di un futuro che già vive in noi. L’editoria è stato l’ambito naturale da cui è iniziato il lungo viaggio che mi ha portato dalla filologia, dalla teoria e tecnica del testo alla comunicazione, come oggi è intesa. Partito da un’esperienza fondamentale di ricerca presso l’University of California di Los Angeles (UCLA), nel 1971, sono passato attraverso le prime sperimentazioni di editoria elettronica degli inizi degli anni Ottanta, trovando nell’IBM un punto d’appoggio essenziale. Né posso dimenticare la preziosa collaborazione in questa direzione con il Gruppo Bassilichi, con editori come il gruppo Rizzoli, Marsilio, Laterza. Il percorso poi è continuato attraverso la cultura della pace (ECP e Amnesty International), quella cooperativa, la comunicazione sanitaria, la comunicazione istituzionale, la comunicazione dei beni culturali, la comunicazione come identità territoriale. Un capitolo a sé spetta all’esperienza per me fondamentale che sto facendo da anni presso Istituto Nazionale di Documentazione per l’Innovazione e la Ricerca Educativa (INDIRE) oggi Agenzia Nazionale per lo Sviluppo dell’Autonomia Scolastica (ANSAS), afferente al MIUR: devo a questa collaborazione lo studio delle strategie di comunicazione in ambienti formativi on line e on site. Qui è nata l’idea di comunicazione formativa. Gran parte del mio tempo l’ho passato nel mio laboratorio, prima denominato Centro Ricerche e Applicazioni dell’Informatica all’Analisi dei Testi poi Communication Strategies Lab (CSL) dell’Università di Firenze, in compagnia delle tante persone – studenti e allievi com- toschi generat.indb 17 27-12-2010 17:22:58 xviii Prefazione presi – coinvolte a vario titolo nei progetti di ricerca. Forse, troppi e dispersivi; ma sempre molto appassionanti. Probabilmente, come qualche sincero amico più volte mi ha fatto notare (ultimo Donald Norman), ho finito con l’isolarmi, perdendo il contatto diretto con i colleghi. Il fatto è che ho preferito fare i conti con la mia coscienza, nei limiti almeno in cui è possibile farlo, la quale mi ha sempre detto e ripetuto – colpa di Scuola Città “Pestalozzi” – che non si può studiare quello che non si sa fare. Ancor meno lo si può insegnare. Ma questo è un filone di riflessione che mi porterebbe troppo nel privato e non è proprio il caso. Questo libro solleva problemi nati dal fare comunicazione, cercando di rivisitare le teorizzazioni più avanzate attraverso azioni comunicative piccoli e grandi, ma sempre concrete. Solo problemi? Essenzialmente sì. Per questo può sembrare attraversato da un sottile filo di malinconia: chi scrive pensa invece che mettere in fila i problemi strategici del fare comunicazione sia il modo migliore per dare spessore ad una scienza la cui forza negli ultimi decenni sembra essersi identificata con il semplificare, il banalizzare, il rendere accettabile ai più: leggi traghettare l’idea che la semplicità non è alla fine di un lungo e faticoso percorso, ma è il punto di partenza (verso il niente). Negli attrezzi dei vecchi contadini che ancora lavorano nelle vigne e negli uliveti del Chianti, interessati moltissimo alle macchine ma non al punto da sentirsi costretti ad usarle nel fare certi lavoretti che solo l’uomo può riuscire a sbrigare, c’è un interaction design che vorrei ci fosse nella comunicazione. E a proposito d’interazione reale, nell’uso delle pagine che seguono, che non invito a leggere in sequenza, perché risulterebbero ripetitive, contraddittorie come accade quando si cerca qualcosa e a volte si crede, anche erroneamente, di averla trovata, consiglio di usare l’indice tematico del volume (Augmentation #1) che due giovani studiosi, Gianluca Torrini e Gianluca Simonetta, hanno realizzato. Sono stati i primi ed unici lettori, oltre naturalmente all’editore. Il libro lo hanno letto e lo hanno riscritto in questa maniera. A rileggermi lì, in quelle pagine strutturate per concetti e luoghi notevoli, mi viene voglia di riscrivere tutto quanto. Ecco perché l’editore me lo ha fatto vedere solo al momento di andare in stampa. I progetti che sono alla base del volume si possono conoscere e approfondire dettagliatamente online, nel sito www.comunicazionegenerativa.org, toschi generat.indb 18 27-12-2010 17:22:58 Umbra fUtUrorUm xix dove continua la costruzione di queste terre di mezzo fra fare comunicazione e pensare comunicazione. Cercando di andare oltre, si spera, quanto fin qui pubblicato. Ringraziamenti Questo lavoro ha debiti scientifici con amici, conoscenti, persone incontrate unicamente attraverso le loro opere. Elencarle tutte, oltre che impossibile, sarebbe di scarso significato, eccetto che per me. Rinvio quindi alla bibliografia (www.comunicazionegenerativa.org). Ma nell’esistenza di ogni studioso ci sono presenze quotidiane che incidono profondamente sul suo lavoro, proprio perché il loro contributo ha travalicato la semplice dimensione scientifica. Ricordarle qui ha il valore di segnare momenti fondanti del percorso da cui scaturisce questo libro: padre Ernesto Balducci, Giulio Bollati, padre Roberto Busa, Franco Cambi, Giancarlo Mazzacurati, Mario Ricciardi, Marcello Tarchi, Sebastiano Timpanaro. I tanti progetti di ricerca che ho sviluppato, e che hanno fatto e stanno facendo da fondamento empirico alla Comunicazione generativa, mi hanno portato a frequentare persone d’indubbio valore, seppure con ruoli diversissimi. Anche a loro devo moltissimo. Ma soprattutto devo alla ricerca l’occasione di aver incontrato amici fraterni: Giovanni Biondi, Sergio Costalli, Michele Gesualdi ed Enrico Mannari. In quegli stessi progetti sono stato affiancato da bravissimi allievi di prim’ordine per generosità e preparazione. Sono certo di aver ricevuto assai più da loro di quanto sia stato capace di dare: anche questo mi è servito ad approfondire il concetto di Comunicazione generativa. Dei tanti giovani che mi sono stati vicino, cui va ora più che mai un sincero e affettuoso grazie, ritengo opportuno ricordare coloro che continuano a collaborare al Communication Strategies Lab nonostante le tante considerazioni che dovrebbero indurli ad andarsene da questa università che chiede tantissimo e restituisce poco: Stefania Chipa, Camilla Lastrucci, Lorenza Orlandini, Gianluca Simonetta e Gianluca Torrini. Un ringraziamento anche a Marco Sbardella. A Virginio Sala devo l’idea di questo libro. Il rigore di Alberto Kratter Thaler, le punture di spillo di Stefano Fabiano, la cura di Patrizia Villani mi hanno sostenuto nel realizzarlo. Le idee generative del libro devono, infine, moltissimo alle sorelle Toschi: Emma, Caterina, Camilla. toschi generat.indb 19 27-12-2010 17:22:58 xx Prefazione E a mia madre, la quale mi ha comunicato con la sua vita che quanto più si ama una persona tanto più bisogna lasciarla libera di essere. Se ne è andata da pochi mesi, invitandomi, fino alla fine, ad essere “saggio”. Un consiglio importante, che continuerò a non seguire, sapendo di interpretare così le sue reali intenzioni. A lei offro questo libro. Con Alessandra Anichini ho scoperto un territorio che non è semplicemente inesplorato ma è tutto da costruire: le terre di mezzo di cui tanto si scrive in questo volume. Insieme lo abbiamo studiato e continuiamo a studiarlo. Luca Toschi www.comunicazionegenerativa.org toschi generat.indb 20 27-12-2010 17:22:58