Effetti biologici su roditori esposti a campi magnetici.

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Effetti biologici su roditori esposti a campi magnetici.
RIASSUNTO
Effetti biologici su roditori esposti a campi magnetici.
Dalla prima metà dell’Ottocento l’utilizzo dei campi elettromagnetici è andato aumentando ed
oggi lo ritroviamo fortemente presente nel campo industriale e delle telecomunicazioni (telefoni
cellulari, radionavigazione, radar), ma anche nelle nostre case (elettrodomestici, computer) e nei
macchinari usati per scopi diagnostici e terapeutici. Di conseguenza è sorto il problema della
tollerabilità da parte dell’uomo e degli altri esseri viventi e della loro sicurezza. I campi
elettromagnetici, infatti, interagiscono con la materia vivente tramite molteplici meccanismi,
alcuni noti, come quello termico, altri tuttora poco chiari come le interazioni a bassa frequenza.
Alle frequenze più basse (50-60 Hz), infatti, prevalgono effetti non termici come l’orientamento
delle cellule e le modificazioni nel comportamento delle membrane eccitabili, come quelle di
nervi e muscoli. Questo tipo di campo elettromagnetico a bassa frequenza (ELF) ha come
sorgenti oggetti a noi molto vicini: impianti di trasformazione e linee di trasmissione elettrica,
trasmettitori radio (FM) e televisivi (UHF), stazioni radio base (GSM), elettrodomestici,
altiforni, fonderie, videoterminali, apparecchiature per il trattamento del legno, per la
marconiterapia e la radioterapia.
L’esposizione a campi magnetici “ELF” è stata correlata con l’incidenza del cancro, compreso
quello ai polmoni e al cervello, ma, soprattutto, della leucemia infantile e una maggior incidenza
di gravi malattie neurologiche, quali il morbo di Alzheimer, il morbo di Parkinson e la sclerosi
laterale amiotrofica, è stata riscontrata in lavoratori esposti. Alcune ricerche hanno anche
suggerito l'esistenza di una possibile associazione tra esposizione ai campi magnetici "ELF” ed
effetti non neoplastici, tra cui sindromi depressive, disturbi cardiaci, cefalee e tendenze al
suicidio. Per definire le proprietà genotossiche dei campi elettromagnetici sono stati analizzati
campi "ELF” a differenti frequenze e intensità, comprendendo le microonde e le radiofrequenze,
ma anche campi magnetici ed elettrici statici; sono stati fatti variare anche i tempi di esposizione,
da quelle puntiformi (poche ore) a esposizioni croniche (diversi giorni). Si sono condotti studi in
vitro a livello cellulare, molecolare e genetico, e in vivo su vertebrati, invertebrati, vegetali e
batteri e anche in sistemi acellulari. I meccanismi di interazione delle onde elettromagnetiche
con l'organismo vivente, però, non sono ancora stati chiariti. La mancanza di questo anello di
congiunzione tra causa ed effetto lascia aperto il campo a più approfondite ricerche.
Pertanto, obiettivo di questo lavoro è stato quello di analizzare, in popolazioni cellulari distinte,
gli eventuali danni genotossici dovuti all’esposizione a lungo termine, in vivo, a campi magnetici
di intensità 0,65 mT e frequenza 50 Hz vicine a quelle che si possono ritrovare in ambiente
domestico e lavorativo. Si è scelto di utilizzare il Comet assay per analizzare gli effetti biologici
su sangue periferico e tessuto cerebrale di topi di laboratorio. Il Comet è un test di genotossicità
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estremamente sensibile e in grado di analizzare il danno al DNA, indotto da sostanze mutagene,
a livello di singole cellule di qualunque tipo di tessuto pur se in piccole quantità. Si è esaminato
un danno di tipo genotossico perché esso potrebbe essere il primo stadio verso la trasformazione
della cellula danneggiata in cellula tumorale. Ciò risulta estremamente importante se si considera
quanto emerge da alcuni studi epidemiologici i cui risultati, come precedentemente accennato,
sembrano indicare una relazione causale fra l’esposizione a campi elettromagnetici ELF e
l’insorgere, nella popolazione esposta, di leucemie, soprattutto infantili, e tumori al cervello.
Topi Swiss CD1 sono stati esposti a campi magnetici prodotti da solenoidi. Maschi e femmine
gravide sono stati collocati all’interno di un solenoide ed esposti per 23 giorni e i neonati per le
successive 72 ore. I topi di controllo sono stati posti nello stesso ambiente in solenoidi non attivi.
Tail Moment (TM), percentuale di DNA nella coda (%DNA) e Tail Length (TL) sono stati scelti
come parametri per misurare il danno al DNA nel Comet assay. Dall’analisi dei risultati ottenuti
emerge che l’esposizione a campi magnetici induce un danno al DNA delle cellule del tessuto
cerebrale di topi adulti e neonati significativamente più elevato negli esposti rispetto ai controlli.
Inoltre il confronto fra i due gruppi mette in evidenza che, benché il danno sia sempre maggiore
negli adulti che nei neonati, in questi ultimi esso è quadruplicato in seguito all’esposizione,
mentre è raddoppiato negli adulti. Questo fa supporre una maggiore sensibilità agli effetti
dell’esposizione dei neonati rispetto agli adulti. I risultati ottenuti nel sangue mostrano che i
valori medi di TM, %DNA, e TL risultano sempre più elevati nel gruppo di controllo sia nei topi
neonati che negli adulti. La risposta ottenuta nel sangue è, quindi, di difficile interpretazione,
anche se un danno minore nel gruppo esposto rispetto al controllo è tipico, nel Comet assay,
quando siano presenti crosslinks nel DNA. Risultati di recenti studi spingono, inoltre, a ritenere
che lo ione Fe2+ giochi un ruolo importante nel meccanismo d’azione dei campi magnetici
catalizzando la reazione di Fenton e innescando una cascata di eventi che, in ultima analisi,
porterebbe alla formazione del radicale idrossilico, responsabile del danno al DNA rilevato a
seguito dell’esposizione. Nel sangue l’effetto dei campi magnetici sarebbe decisamente meno
forte che non in altri tessuti grazie alla proprietà antiossidante del plasma legata principalmente
alla presenza della transferrina, un potente chelante del ferro, e della ceruloplasmina, un suo
ossidante, il che potrebbe spiegare la risposta ottenuta nel sangue.
In conclusione, questo studio mette in evidenza un effetto dannoso dell’esposizione prolungata a
campi magnetici di intensità di 0,65 mT e frequenza 50 Hz in cellule di cervello di topi adulti e
neonati. Questi risultati richiedono successive conferme e sono in corso ulteriori studi per
approfondire le conseguenze dell’esposizione anche su altri organi bersaglio, in modo da poter
fornire uno spettro più ampio possibile di informazioni utili alla salvaguardia delle popolazioni
umane.
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