Non solum propter tres canonizationes

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Non solum propter tres canonizationes
La Scuola e l’Uomo, nn. 1-2/ 2013
Editoriale
Di Anna Bisazza Madeo
Vice Presidente Nazionale vicaria
Coordinatrice Commissione “Per un nuovo umanesimo”
“CREDERE… E’ TOCCARE LA MANO DI DIO…..VEDERE L’AMORE”
“Ma io sono con te sempre:
tu mi hai preso per la mano destra.
Mi guiderai con il tuo consiglio”
(Salmo 73, 23s)
“UMILE SERVITORE NELLA VIGNA DEL SIGNORE”. Dalla loggia centrale della Basilica di S.
Pietro, con questa espressione Joseph Ratzinger,eletto Papa col nome di Benedetto XVI, traccia
le linee del suo pontificato. La piena coerenza a questa autodefinizione è chiaramente leggibile
in ogni espressione solenne del Suo Ministero petrino così come nei Suoi gesti semplici, paterni e
discreti. Chi ascolta, osserva, riflette, interpreta senza pregiudizi trova in Lui un testimone
autentico di umanità, sapienza, spiritualità.
La vicenda terrena di questo “Uomo”dei nostri giorni, che la Provvidenza divina ha donato
alla Chiesa, supera la misura ordinaria degli intellettuali, dei filosofi, dei teologi del tempo che
viviamo e il futuro certamente ne rivelerà il valore. Nella convinzione che nulla accade per caso
ma che ogni cosa è inscritta nel progetto di Dio, seguiamo alcuni passaggi della Sua vita.
E’ il 16 aprile 1927, un Sabato Santo, quando Joseph Aloisius viene alla luce a Marktl, piccolo
centro bavarese posto sull’Inn, in una natura ancora incontaminata,poco distante da Altötting,
"cuore cattolico" della Baviera. La mattina di Pasqua riceve il Battesimo, “vitae
spiritualisianua”, ed è il primo ad essere rigenerato con l’acqua appena benedetta nella Veglia
della Risurrezione. Nella Sua autobiografia scrive: “sono sempre stato grato, per il fatto che, in
questo modo, la mia vita sia stata fin dall’inizio immersa nel mistero pasquale … un segno di
benedizione.”
Presto la famiglia(1) si sposta in altre località della Bavaria: a Tittmoning sul Salzach,“il
paese dei sogni della mia infanzia”,Lui scrive;ad Aschau sull’Inn; a Traunstein, quando, nel
1937, il padre (gendarme insofferente degli eventi politici e, quindi, a rischio) giunge all’atteso
pensionamento ed acquista una vecchia casa contadina alla periferia del paese (Hufschlag), ove
la famiglia si trasferisce rendendo la nuova dimora accogliente e gioiosa. “Qui – scrive - dopo
tanto peregrinare,… ci sentivamo a casa nostra; qui la mia memoria torna spesso
riconoscente”(2). I tempi non sono facili per la crisi economica, per il clima e la mancanza di
stabilità politici, per l’esasperazione delle lotte di partito, per l’allarmante avvento del “Terzo
Reich”: avvenimenti sedimentati nella memoria del piccolo Joseph assieme alla percezione di
“tanta silenziosa povertà” e al ricordo di contrapposte figure di insegnanti, alcuni saldamente
fondati sulla fede cristiana e sulla cultura della tradizione, altri anticristiani propugnatori della
naturale religione germanica.
Joseph Ratzinger rammenta con particolari significativi l’attenzione per i tempi liturgici,
preparati e seguiti con l’aiuto dello “Schott”.(3) Scrive: “Era un’avventura avvincente entrare a
poco a poco nel misterioso mondo della liturgia, che si svolgeva là, sull’altare, davanti a noi e
per noi. … Ovviamente da bambino non capivo ogni singolo particolare, ma il mio cammino con
la liturgia era un processo di continua crescita in una grande realtà…… L’inesauribile realtà
della liturgia cattolica mi ha accompagnato attraverso tutte le fasi della mia vita….”.
Anche nel ginnasio di Traunstein, pur se più lentamente, arriva la “riforma” scolastica:
unificazione degli indirizzi classico e scientifico, niente greco, ridotto il latino, incremento delle
lingue moderne e delle scienze della natura. Qualche anno dopo: abolizione della religione,
sostituita dallo sport.
A dodici anni entra in seminario (è la Pasqua del 1939), è entusiasta di seguire il fratello
Georg, ma Gli manca la lunga passeggiata mattutina per raggiungere la scuola e si sente
costretto “per la vita in internato”, Gli pesano le obbligatorie attività sportive, “una vera
tortura”. Intanto le violenze della Germania nazista si acuiscono, raggiungono forme esasperate
come l’antisemitismo, l’occupazione di gran parte dell’Europa, la 2^ guerra mondiale.
Il Collegio viene requisito e adibito a lazzaretto, i seminaristi trovano una sistemazione
provvisoria in una scuola religiosa, avendole il nazismo chiuse tutte. Georg e Joseph rientrano a
casa e da lì si spostano per frequentare le lezioni: “una vita felice di ragazzi … un bel periodo.
…I classici latini e greci mi entusiasmavano, anche la matematica aveva intanto cominciato a
piacermi… ma soprattutto ora scoprivo la letteratura….iniziai io stesso entusiasticamente a
comporre delle poesie…”.
Riguardo al carattere schivo, osserva: “Dovetti imparare ad adattarmi alla vita comune, a
uscire da me stesso e a formare una comunità insieme con gli altri, fatta di dare e di ricevere:
sono grato di questa esperienza, essa è stata importante per la mia vita”. Nell’imperversare
della guerra, il fratello è inviato in Italia, viene ferito e poi trasferito nell’ospedale di
Traunstein. Nel 1943 anche Joseph, sedicenne, assieme ai seminaristi suoi compagni, è chiamato
nei servizi di contraerea a Monaco; tre volte la settimana può seguire le lezioni al Maximilian
Gymnasium. Nel 1944 c’è “la chiamata al servizio lavorativo del Reich” di cui conserva “un
ricordo opprimente”; in particolare rammenta il rituale della vanga(4), oltre alle ferite
mostruose della guerra.
Tra molte difficoltà, torna a casa “felice”, ma sotto il vincolo del servizio militare. Con
l’arrivo degli americani è individuato tra i prigionieri di guerra e trasferito in un campo aperto
nei pressi di Ulma con circa 50.000 prigionieri, trascorre un periodo di stenti, ma la speranza non
vien meno poiché può intravvedere entro i limiti dell’orizzonte la più alta torre in pietra in stile
gotico del mondo, quella del Duomo di Ulma in Germania. Nel contempo non trascura di
annotare a matita gli eventi quotidiani su un quaderno gelosamente nascosto.
Il foglio di congedo (19 giugno 1945) gli riapre la via del ritorno a Traunstein. “I mesi
successivi ….ritrovata libertà …. tra i più bei ricordi della mia vita…” scrive; lavora per la
ricostruzione del seminario semidistrutto; inizia ad interessarsi di filosofia e teologia.
Dal 1946 al 1951, a Frisinga prima e successivamente a Monaco di Baviera, i giovani
seminaristi, riconoscenti alla Chiesa, considerata unico punto di riferimento e sola fonte di
speranza, hanno “fame di conoscenze”, acccresciutasi “negli anni della desolazione”, vogliono
recuperare e rinascere, mettendosi in ascolto anche dei contemporanei, al di là degli studi
teologici. Il giovane Ratzinger studia e si appassiona agli scritti di Romano Guardini, Josef
Pieper, Theodor Hacker, Peter Wust, Martin Buber; quest’ultimo Gli fa conoscere il
personalismo e ne segna “profondamente il cammino spirituale” che lega al pensiero di
Agostino. In particolare è attratto dalla Filosofia della libertà di Aloys Wenzel e da La svolta del
pensiero di Theodor Steinbuchel, i quali danno un’immagine aperta del mondo, una nuova
visione metafisica che si allontana dal determinismo storico e dal meccanicismo delle scienze,
dando spazio all’Ignoto ed a Dio. Sono tematiche riprese anche durante il Pontificato.
In relazione agli studi teologici di Monaco, in cui era dominante l’interesse intellettuale più
che quello pastorale, richiama alcune figure significative che allargano gli orizzonti culturali
della facoltà: Michael Schmaus, dogmatico distaccato dallo schema neoscolastico e orientato al
movimento liturgico, ai Padri e alla Scrittura; Josef Pascher, il teologo della pastorale; Klaus
Morsdorf, che vede il diritto canonico come disciplina teologica; Friedrich Wilhelm Maier,
esegetico del Nuovo Testamento, liberale contestato, ma che crea un approccio più diretto con i
testi, superando inutili cristallizzazioni. Egli scrive: “A distanza di quasi cinquant’anni posso
vedere anche il positivo: il porre in maniera aperta e sgombra da pregiudizi delle domande
…..una nuova immediatezza con le Sacre Scritture ……..l’equilibrio tra liberalismo e dogma
aveva una sua specifica fecondità.”
Nel duomo di Frisinga riceve l’ordinazione sacerdotale il 29 giugno 1951, festa dei Santi
Pietro e Paolo. Il Suo ricordo è toccante perché denota una sensibilità sconosciuta ai più, di
contro alla fredda intransigenza che talora Gli viene attribuita: “Non si deve essere
superstiziosi, ma nel momento in cui l’anziano arcivescovo impose le mani su di me, un
uccellino – forse un’allodola – si levò dall’altare maggiore della cattedrale e intonò un piccolo
canto gioioso; per me fu come se una voce dall’alto mi dicesse: va bene così, sei sulla strada
giusta.”Celebra la prima Messa nella parrocchia di Sant’Osvaldo a Traunstein tra la gioia di tutti
i Suoi cari.
Inizia il ministero a Monaco, come coadiutore di un instancabile parroco molto avanti negli
anni, con un notevole carico di compiti pastorali, 16 ore d’insegnamento di religione in 5 classi,
l’impegno forte del dottorato in teologia, che conclude nel luglio del 1953 discutendo, summa
cum laude, la tesi “Popolo e casa di Dio nella dottrina agostiniana della Chiesa”.
Successivamente si prepara all’abilitazione per la libera docenza affrontando un tema di
teologia fondamentale, il concetto di rivelazione con riferimenti a Bonaventura e a Gioacchino
da Fiore.
E’ un lavoro intenso e complesso, tribolato; la tesi dal titolo “La teologia della storia di san
Bonaventura”corre il rischio di essere ricusata perché viziata da eccessivo modernismo rispetto
ai criteri normalmente adottati.(5)Finalmente l’11 febbraio 1957 la tesi viene accettata, il 21
viene discussa e la libera docenza assicurata, ma “non riuscii quasi a provare gioia, tanto si
faceva sentire ancora l’incubo di quel che avevo passato…”.
Riceve subito la nomina di libero docente all’università di Monaco, il 1° gennaio 1958 quella
di professore di teologia fondamentale e dogmatica presso il seminario filosofico-teologico di
Frisinga, è invitato alla cattedra di teologia fondamentale all’università di Bonn, “quasi un
sogno”, ove inizia con entusiasmo le lezioni il 15 aprile 1959, in un clima ricco di stimoli e di
opportunità. Tra i rapporti positivi instaurati, quello con il cardinal Frings è il più rilevante
perché Gli consentirà di prendere parte attiva al Concilio. Nel 1963, dietro varie insistenze, opta
per l’insegnamento di dogmatica presso l’università di Munster.
La nostalgia del Sud lo induce a spostarsi ancora e va a Tubinga, ove in brevissimo tempo
dilaga una politicizzazione esasperata da ideologie marxiste; è allora che attiva un corso rivolto
a studenti di tutte le facoltà, le cui lezioni sono state successivamente raccolte e pubblicate in
un volume dal titolo “Introduzione al cristianesimo”. Conteso da molte università, malgrado sia
stanco di spostarsi, accetta la cattedra di dogmatica presso la nuova sede accademica di
Ratisbona, sia per poter lavorare in un ambiente più tranquillo, sia per avvicinarsi al fratello
Georg, maestro della cappella del duomo e direttore dei “Piccoli Cantori della Cattedrale di
Ratisbona”. Nello stesso periodo è chiamato da Paolo VI a far parte della Pontificia Commissione
Teologica Internazionale ed è tra i co-fondatori della rivista Concilium ritenuta ‘progressista’.
Nel 1972, insieme con Hans Urs von Balthasar, Henri de Lubac, Walter Kasper e altri, fonda la
più importante rivista teologica contemporanea, Communion,oggi pubblicata in diciassette
lingue, e ad essa collabora alacremente fino alla Sua elezione al soglio pontificio. Nella
primavera del 1977 riceve a Ratisbona la visita del nunzio Del Mestri che Gli consegna una busta
contenente la nomina, assolutamente inaspettata, ad Arcivescovo di Monaco e Frisinga. E’
confuso, interdetto, titubante ma accetta. Alla vigilia della Pentecoste, nella ricostruita
cattedrale di Monaco, la consacrazione episcopale cambia il cammino della sua vita. Il 27 giugno
dello stesso anno, Paolo VI lo nomina cardinale, definendolo “insigne maestro di teologia”.
Al compimento dei suoi settant’anni Egli scrive: “Per me quello che è cominciato con
l’imposizione delle mani durante la consacrazione episcopale… è ancora l’adesso della mia
vita”. Altrove confessa: “… mi sentivo chiamato a una vita di studioso e non avevo mai avuto in
mente niente di diverso…” e,come segno di continuità col passato, si dichiara anche nel nuovo
compito “collaboratore della verità”. Facendo un parallelo con Agostino che “aveva scelto la
vita dell’uomo di studio e Dio lo aveva destinato a fare l’<animale da tiro>, il bravo bue che
tira il carro di Dio in questo mondo”, sente lo stesso volere di Dio: “…sono divenuto la tua
bestia da soma e proprio così io sono vicino a te”.
Degli onori/oneri del suo Ministero parleremo più avanti, quanto fin qui riportato, sia pure
per brevi tratti, penso faccia comprendere l’umanità di questo Papa, l’umiltà nel raccontare di
sé, l’incommensurabile spirito di servizio a Cristo, alla Chiesa, al mondo, a ciascuno di noi, la
responsabilità con cui si è fatto carico dei più gravosi e diversi problemi, la crisi di coscienza che
lo ha condotto alla scelta sofferta e coraggiosa di lasciare la funzione ministeriale per
accompagnare, con serena ed incrollabile fede, la Chiesa in questo passaggio epocale.
Il Concilio Vaticano II
La frequentazione romana inizia con l’avvio del Concilio Vaticano II, annunciato da Giovanni
XXIII poco dopo la Sua elezione e convocato l’11 ottobre 1962.L’evento desta incontenibile
entusiasmo e grande speranza per il rinnovamento della Chiesa, nasce l’attesa di una nuova
Pentecoste. Il cardinale di Colonia, Joseph Frings, che aveva avuto modo di conoscere il giovane
studioso e di apprezzarlo in diverse occasioni, lo vuole con sé come consulente teologico(6), ma
già al termine della prima sessione Joseph Ratzinger riceve la nomina ufficiale di perito del
Concilio. E’ il tempo in cui conosce personalità influenti ed instaura relazioni a livello
ecclesiastico mondiale.
Avendo a disposizione le “Schemate”(7) sui temi da affrontare, la ricerca del giovane teologo
è profonda ed appassionata. Già dal primo giorno appare chiaro come i Padri conciliari si
sentano soggetto attivo e responsabile e non presenze passive. La discussione su“Chiesa ad
intra” e “Chiesa ad extra”, riforma della liturgia, ecumenismo procede con l’approfondimento
di principi basilari da condividere. Non mancano tensioni e scontri di vedute specie circa“le fonti
della rivelazione”, tematica già oggetto degli studi ratzingeriani su San Bonaventura.
E’ invitato a stendere uno schema sul rapporto Scrittura e Tradizione; la questione, a lungo
discussa e rielaborata, è il documento base della Costituzione “Dei Verbum”, ancora non del
tutto recepita. Il Suo contributo è notevole anche nella stesura della “Sacrosanctum Concilium”
sulla Liturgia e della “Lumen Gentium” su natura e organizzazione della Chiesa, definita da
Paolo VI la «magna charta» del Vaticano II, così anche nell’elaborazione dei Decreti.
La seconda parte dei lavori conciliari è ancora più impegnativa, dovendo affrontare i
problemi del rapporto Chiesa-mondo moderno, escatologia cristiana e progresso secolare,
dialogo interreligioso: tutte questioni da dirimere dal punto di vista teologico ma anche
strutturale,che, in qualche caso, giungono a definizione per l’intervento illuminato di Paolo VI.
Le Dichiarazioni “Nostra Aetate” sulle relazioni con le religioni non cristiane e “Dignitatis
Humanae” sulla libertà religiosa, insieme alla Costituzione “Gaudium et spes”, costituiscono una
trilogia a cui il teologo Ratzinger dà un contributo rilevante.
Questi temi per altro Egli riprende nei suoi scritti successivi e su di essi poggia il Suo
Magistero. La notorietà acquisita durante il Concilio ha ormai carattere internazionale: da alcuni
è considerato‘progressista’, da altri ‘conservatore’, forse per la Sua percezione del rischio che il
processo di riforma conciliare possa ridursi ad esteriore ‘ammodernamento’.
Oggi osserva come il Concilio non sia stato correttamente interpretato e i documenti emanati
siano stati banalizzati anche all’interno della Chiesa stessa. Dice: “… c’era il Concilio dei Padri –
il vero Concilio -, ma c’era anche il Concilio dei ‘media’. Era quasi un Concilio a sé, e il mondo
ha percepito il Concilio tramite questi ………e mentre il Concilio dei Padri si realizzava
all’interno della fede,……….che cerca di comprendere i segni di Dio, …….il Concilio dei
giornalisti ….si è realizzato all’interno delle categorie dei ‘media’ di oggi, cioè fuori dalla
fede, con un’ermeneutica diversa. Era un’ermeneutica politica: … lotta politica, …lotta di
potere tra diverse correnti nella Chiesa ………..quella parte … più confacente con il loro
mondo.. Il Concilio virtuale era più forte del Concilio reale …”.
Per i cinquant’anni del Vaticano II, con la Lettera apostolica “Porta fidei”, Benedetto XVI
indice l’Anno della fede(11.10.2012/24.11.2013) invitando ad una conversione autentica per
orientare con un nuovo criterio d’intelligenza la nostra vita, esortando a “lavorare perché il
vero Concilio, con la sua forza dello Spirito Santo, si realizzi e sia realmente rinnovata la
Chiesa”.
Il Magistero romano
Arcivescovo e subito dopo cardinale (1977) con titolarità della parrocchia romanaSanta Maria
Consolatrice al Tiburtino(8), per nomina di Paolo VI, del quale gode forte apprezzamento ed al
quale può essere accostato per diverse affinità, è tra i membri del Conclave alla improvvisa
morte di papa Montini (Castelgandolfo, 6 agosto 1978).
L’elezione di Albino Luciani, papa Giovanni Paolo I, ed il suo brevissimo pontificato inducono
il Sacro Collegio ad una presa di coscienza: “Che cosa vuole da noi Dio in questo
momento?........Dio intendeva comunicarci qualcosa”. Si temono pressioni delle forze di sinistra
e dell’URSS sull’Europa occidentale; di fronte a ciò emerge la necessità di una guida forte per la
Chiesa, senza “….nessun compromesso storico”,e “si profila l’identikit di un Papa proveniente
d’Oltrecortina”. Karol Wojtyla, eletto il 16 ottobre 1978, al secondo giorno di votazioni, prende
il nome di Giovanni Paolo II.
La stima precedentemente manifestata dal cardinale di Cracovia nei confronti del ‘Collega’
di Monaco, l’impegno condiviso per “una rinnovata e corroborante meditazione sulla natura e
sulla funzione, sul modo di essere e di operare della Chiesa” prendono forma con gli incarichi
che il nuovo Papa gli conferisce: Prefetto della Congregazione per l’Educazione Cattolica, che
Egli rifiuta per non abbandonare la sua Diocesi, come aveva rifiutato un altro incarico che Papa
Luciani Gli aveva proposto ‘il giorno stesso della sua intronizzazione’; relatore del Sinodo
speciale sulla famiglia (Roma, 1980); Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede,
l’ex Sant’Uffizio riformato da Paolo VI con motu proprio l’ultimo giorno del Concilio.
A seguito della nomina (21 novembre 1981), Ratzinger si trasferisce a Roma in Piazza della
Città Leonina nel febbraio 1982 ed ha inizio una frequenza costante ed una collaborazione
ininterrotta con Giovanni Paolo II. La scelta di un teologo della statura intellettuale di Ratzinger
segna una svolta nella tradizione secolare che assegnava tale incarico ad un prelato della Curia:
Wojtyla vuole promuovere un vero rinnovamento teologico. Il nuovo Prefetto veglierà
sull’ortodossia cattolica per tutto il pontificato, permanendo a capo del Dicastero per un periodo
più lungo di chiunque altro. Lo stile del servizio di custode della dottrina è finalizzato a
proteggere la fede dei semplici: ciò potrebbe essere causa delle critiche circa la sua
intransigenza.
I problemi che questo Ministero gli pone sono complessi: il dialogo anglicano-cattolico; l’uso
del nucleare; i rapporti tra cattolici e massoneria, la cui condanna suscita ostilità e accanimento
dei media contro la Sua persona e contro la Chiesa; ‘la teologia della liberazione’ che ha
adottato ‘l’opzione fondamentale marxista’ e “pretende di dare una nuova interpretazione
globale del cristianesimo ….
La radicalità della Teologia della Liberazione fa sì che ne venga spesso sottovalutata la
gravità…”, la Sua posizione lo fa considerare un ‘conservatore’, “al contrario - Ratzinger
dichiara - … le gravi deviazioni ideologiche denunciate finiscono ineluttabilmente per tradire la
causa dei poveri…. la promozione dei diritti dell’uomo…”; l’etica sociale di contro all’idea di
coscienza intesa come soggettività deificata; la pastorale delle persone omosessuali; la
bioetica; lo scisma lefebvriano; il nuovo Catechismo della Chiesa cattolica; l’ecclesiologia di
comunione.
Svariati sono gli incarichi ricoperti nella Curia Romana. Il 30 novembre 2002 è eletto Decano
del Collegio cardinalizio. E’ Accademico onorario della Pontificia Accademia delle Scienze,
riceve numerosi dottorati honoris causa da università di Paesi diversi. Abbondante è la serie
delle sue pubblicazioni nel corso degli anni, punto di riferimento per i teologi ma anche per
credenti e non credenti in ricerca della Verità. Il Suo pensiero ed i suoi interventi sono tutti
incardinati nei documenti conciliari.
Il Ministero petrino
“Quanta sporcizia c'è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio,
dovrebbero appartenere completamente a Lui!“
"Signore, spesso la tua Chiesa ci sembra una barca che sta per affondare, una barca che fa
acqua da tutte le parti. E anche nel tuo campo di grano vediamo più zizzania che grano…. Abbi
pietà della Tua Chiesa…”.
Sono parole di riflessione e di preghiera del Cardinal Ratzinger nella Via Crucis del Venerdì
Santo, poco prima della Sua elezione a successore di Pietro.
Questo fardello di responsabilità Egli assume con la fumata bianca nel pomeriggio del 19
aprile 2005. Estirpare la zizzania da “umile servitore nella vigna del Signore” è il motto del Suo
Pontificato.
Le scelte iniziali ne tracciano un programma: Il nome“evoca la straordinaria figura del
grande ‘Patriarca del monachesimo occidentale’, san Benedetto da Norcia, compatrono
d’Europa,… molto venerato anche in Germania ……un fondamentale punto di riferimento per
l’unità dell’Europa e un forte richiamo alle irrinunciabili radici cristiane della sua cultura e
della sua civiltà………… la raccomandazione lasciata ai monaci nella sua Regola: ‘Nulla
assolutamente antepongano a Cristo’”.(9)
Lo stemma, senza motto, conserva i simboli adottati da vescovo e da cardinale: una
conchiglia, un orso carico di soma, la testa di un moro, le chiavi d’oro e d’argento e, in basso, il
pallio;la tiara papale che sovrasta lo scudo è sostituita da una più semplice mitra.(10)
Le urgenze per un nuovo Papa sono già contenute nell’omelia del Decano Ratzinger“Pro
eligendo romano pontifice”. Seguiamone qualche passaggio con le Sue parole: ”Quanti venti di
dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, quante correnti ideologiche, quante
mode del pensiero…dal marxismo al liberalismo, fino al libertinismo; dal collettivismo
all'individualismo radicale; dall'ateismo ad un vago misticismo religioso; dall'agnosticismo al
sincretismo e così via….una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e
che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie. Noi, invece, abbiamo un'altra
misura: il Figlio di Dio, il vero uomo. É lui la misura del vero umanesimo….una fede
profondamente radicata nell'amicizia con Cristo. Questa fede adulta dobbiamo maturare...”.
L’Anno della fede,a conclusione del suo ministero petrino e nel 50° dell’apertura del
Concilio, è l’eredità più coinvolgente che affida oggi alla Chiesa: “La ‘porta della fede’che
introduce alla vita di comunione con Dio.. è sempre aperta per noi... Attraversare quella porta
comporta immettersi in un cammino che dura tutta la vita.…mettersi in cammino verso il luogo
della vita…Riscoprire i contenuti della fede professata, celebrata, vissuta e pregata, e
riflettere sullo stesso atto con cui si crede, è un impegno che ogni credente deve fare proprio…
mettersi in cammino per trovare Colui che non cercheremmo se non ci fosse già venuto
incontro…”(11).
Egli pone l’attenzione sul “Catechismo della Chiesa Cattolica”, sussidio necessario per
conoscere i contenuti della fede, e richiama l’importanza dei Sacramenti, senza la cui grazia
nulla è efficace. Nell’ultima Udienza generale, il 27 febbraio 2013, sottolinea: “Siamo nell’Anno
della fede, che ho voluto per rafforzare proprio la nostra fede in Dio in un contesto che sembra
metterlo sempre più in secondo piano. Vorrei invitare tutti a rinnovare la ferma fiducia nel
Signore, ad affidarci come bambini nelle braccia di Dio, certi che quelle braccia ci sostengono
sempre e sono ciò che ci permette di camminare ogni giorno, anche nella fatica..”Rivolgendosi
ai giovani, il 16 novembre 2012, richiama il dono della fede: “un valore inestimabile, perché
frutto dell’amore di Dio…Cari amici, volgete gli occhi e guardate intorno a voi: tanti giovani
hanno perduto il senso della loro esistenza. Andate! Cristo ha bisogno anche di voi. Lasciatevi
coinvolgere dal suo amore, siate strumenti di questo amore immenso, perché giunga a tutti,
specialmente ai «lontani» ”. E indica, per l’azione missionaria, due ambiti ai giovani
particolarmente congeniali: le comunicazioni sociali, in particolare il mondo di internet, e la
mobilità.
“Credere non è altro che, nell’oscurità del mondo, toccare la mano di Dio e così, nel
silenzio, ascoltare la Parola, vedere l’Amore”. Ma, tra l’inizio e la conclusione del Pontificato di
Benedetto XVI, c’è una miriade di impegni e di operosità, di problemi e di difficoltà, di
realizzazioni e di contrarietà, di gioia e di sofferenza, tutto affrontato sempre col coraggio di
una fede incrollabile che è LUI, il Maestro, Cristo Salvatore a governare “la barca di Pietro”
perché non venga sopraffatta dai marosi, perché le acque si plachino e tornino“tanti giorni di
sole e di brezza leggera”, giorni di pesca abbondante:tutto vissuto nella speranza chela
"bellezza" annienti la sporcizia e sveli la "verità". “…verità e bellezza vanno insieme: la bellezza
è il sigillo della verità”.
Da autentico pontifex (etimologicamente da pontem facere), Papa Ratzinger è stato
costruttore di ponti: tra credenti e non credenti, tra i giovani e la Chiesa, tra cattolici e
ortodossi, tra cristiani ed ebrei, tra occidente ed oriente,tra Chiesa e mondo, tra i diversi
continenti, tra varie religioni, tra fede e ragione, tra liturgia e religiosità popolare, tra
ortodossia ed eresia, tra innovazione e tradizione, tra l’audacia della denuncia e la misericordia
del perdono, tra la tensione missionaria e la contemplazione teologica, tra la libertà e il
servizio, …
Per trattarne, così come per dire dei suoi scritti, servirebbero “fiumi d’inchiostro”, tempi
dilatati e spazi non consentiti. Questo è solo un intervento per flash, ma è doveroso almeno
citare i documenti universalmente apprezzati, che passeranno alla storia di questo Pontificato e
che andrebbero approfonditi nell’Anno della fede.
Le Encicliche
“Deus caritas est” non a caso è datata 25 dicembre 2005, Natale del 1° anno di Pontificato.
“Dio è amore” e noi abbiamo creduto in Lui perché Lo abbiamo incontrato. Scopo dell’Enciclica
è suscitare nell’uomo una risposta all’amore di Dio. Questo termine (amore), così frainteso e
banalizzato, è analizzato attraverso l’esperienza umana, la cultura classica, biblica, filosofica e
teologica, per giungere al “realismo inaudito” dell’incarnazione dell’Amore di Dio in Cristo. La
risposta dell’uomo a Dio e l’adesione alla Sua volontà rendono possibile l’amore del prossimo,
che va praticato nella comunità ecclesiale ed allargato alla comunità sociale. I cristiani,
sull’esempio di Maria, donna di speranza, di fede e di amore, possono “essere sorgenti di acqua
viva in mezzo a un mondo assetato”.
“Spe salvifactisumus”(30 novembre 2007) richiama un’espressione di san Paolo ai Romani,
secondo cui è nella speranza che troviamo salvezza, in una speranza radicata nella certezza di
una meta da raggiungere, “una prova delle cose che ancora non si vedono”. L’uomo si pone
domande esistenziali, sperimenta che tante ideologie e costrutti umani deludono le attese e
inesorabilmente falliscono, si smarrisce in contraddizioni, perché “ha bisogno di una realtà che
vada oltre”, fino a che non incontra Cristo che svela l’uomo a se stesso, immettendolo nella via
della Verità e della Vita in cui procedere con la sua libertà sostenuta dalla speranza. La
preghiera e la sofferenza sono scuola di speranza, purificano i desideri e allontanano le
menzogne. “Un mondo senza Dio è un mondo senza speranza”.
“Caritas in veritate” (29 giugno 2009) è espressione esplicita della continuità del Magistero
dei Papi. Alla dichiarazione che “la carità è la via maestra della dottrina sociale della Chiesa”
vengono recuperati concetti ed insegnamenti di precedenti documenti, in particolare della
“Populorum progressio” (1967)di Paolo VI, che rappresenta un messaggio forte per lo sviluppo
dell’uomo e della società dei nostri tempi. L’Enciclica è di eccezionale attualità, esaustiva,
puntuale, lucida nelle argomentazioni: dovrebbe essere considerata la ‘magna charta’ per
l’interdipendenza degli Stati nel mondo globalizzato, ai fini della giustizia e della pace tra i
popoli. Senza il riconoscimento della centralità della persona e della sua dignità, senza
solidarietà e sussidiarietà, senza etica nell’economia come in ogni altro settore, non può esserci
cooperazione né sviluppo; ci sarà sfruttamento, sperpero di ricchezza, povertà e distruzione del
creato. Il Papa invoca “una nuova sintesi umanistica” con la collaborazione dell’intera famiglia
umana. La Chiesa e i cristiani potranno contribuire ad umanizzare la globalizzazione “solo se Dio
trova un posto anche nella sfera pubblica”.
Non avremo più l’annunciata enciclica sulla fede di Papa Benedetto, ma le Sue riflessioni ed i
Suoi studi, condotti nella preghiera e nel silenzio, credo non deluderanno l’attesa privandoci di
un ulteriore insegnamento prezioso.
L’ultima opzione
Della rinuncia al Pontificato sono pieni i giornali, le televisioni, i siti web, i network di tutto
il mondo. Sorpresa, stupore, smarrimento, interrogativi, commenti qualche volta malevoli per
voglia di scoop da parte di giornalisti che, pur dichiarando dilettantesca familiarità con certi
argomenti, si ritengono autorizzati a sentenziare. Soprattutto universale vicinanza al S. Padre,
innumerevoli e multiformi espressioni d’affetto, di solidarietà, di prossimità spirituale e di
presenza sensibile e reale.
Dalle 11,46 dell’11 febbraio, ogni gesto, ogni parola proveniente dalla Sala stampa vaticana,
ogni immagine di piazza S. Pietro, ogni trasmissione televisiva, le notizie dei quotidiani, sono
stati attesi e seguiti con interesse e commozione. All’Udienza generale del 27 febbraio erano
rappresentati parecchi Paesi del mondo, simbolo dell’universalità della Chiesa ma anche di stima
e riverenza per questo piccolo e delicato ‘grande Uomo’ che, con coraggio e determinazione, ha
retto il timone della ‘barca di Pietro’. Egli ritorna al 19 aprile 2005: accetta nella certezza che
la vita della Chiesa è sostenuta dalla Parola di Dio ma nel Suo cuore risuona una domanda,
“Signore, perché mi chiedi questo e che cosa mi chiedi? E’ un peso grande quello che mi poni
sulle spalle, ma se Tu me lo chiedi, sulla tua parola getterò le reti, sicuro che Tu mi guiderai,
anche con tutte le mie debolezze.” E, in questi otto anni, il Signore Lo ha guidato, facendosi
sentire presente quotidianamente. “La barca della Chiesa non è mia, non è nostra, ma è sua e il
Signore non la lascia affondare; è Lui che la conduce, certamente anche attraverso gli uomini
che ha scelto………”.
Quel 19 aprile ha assunto un impegno “per sempre…. uno riceve la propria vita proprio
quando la dona…”, quindi la rinuncia al servizio attivo non è un abbandono, ecco perché “…non
ritorno alla vita privata …non abbandono la Croce, … ma nel servizio della preghiera resto, per
così dire, nel recinto di S. Pietro….Amare la Chiesa significa anche avere il coraggio di fare
scelte difficili, sofferte, avendo sempre davanti il bene della Chiesa e non se stessi.”
Questa sofferenza traspariva da qualche tempo sul viso, l’essere provato si leggeva nella
fragile incertezza dell’andatura appesantita per la “consapevolezza della gravità e anche
novità… del passo.” Ritornano le parole essenziali che ci lascia come eredità di Pastore:
“fede”, “carità”, “Chiesa viva, corpo di Gesù Cristo”, “gioiosa certezza che il Signore è vicino,
che non ci abbandona”.
Benedetto XVI, da vero educatore, non ha mai attratto su di sé lo sguardo, ha indicato la
Verità spingendoci a guardare più in alto, ha distolto l’attenzione dalla Sua persona ed ha
additato il cammino della Chiesa. Non dimenticheremo i tratti della Sua singolare personalità: la
saggezza, il distacco intellettuale sinonimo di razionalità e rigore, la capacità di ascolto e di
attenzione per l’altro, il mettersi in discussione, la totale disponibilità al servizio-di Dio, della
Chiesa, dell’umanità, del pensiero- ,la pacatezza, l’umiltà, la tenerezza paterna,…
Gli siamo grati per averci chiamati spesso “amici”e per avere spiegato il senso di questo
appellativo: “… il Signore ci chiama amici…Non ci sono segreti tra amici: Cristo ci dice tutto
quanto ascolta dal Padre; ci dona la sua piena fiducia e, con la fiducia, anche la conoscenza. Ci
rivela il suo volto, il suo cuore. Ci mostra la sua tenerezza per noi, il suo amore appassionato
che va fino alla follia della croce. .. Il secondo elemento, con cui Gesù definisce l'amicizia, è la
comunione delle volontà. ‘Idem velle– idem nolle’… L'amicizia con Cristo coincide con quanto
esprime la terza domanda del Padre nostro: “Sia fatta la tua volontà come in cielo così in
terra”.
Il portone del Palazzo pontificio di Castel Gandolfo è ormai chiuso, Benedetto ha iniziato
“l’ultima tappa del suo pellegrinaggio in questa terra”. “Cuore”, “amore”, “preghiera”,
“riflessione”, “tutte le forze interiori” sono orientate “al bene della Chiesa e dell’Umanità”.
GRAZIE, PADRE SANTO!
Nel luogo del silenzio, “sul monte”, vivi la Tua trasfigurazione!
So che veglierai in preghiera davanti al Maestro, tra la Legge e i Profeti. ……. E Tu sentirai di
non essere solo.
NOTE
La famiglia: il padre Joseph, la madre Maria, la sorella Maria, il fratello Georg ed il più piccolo
Joseph.
(2) Non posso non ricordare la visita fatta con tre amiche UCIIM a Traunstein. Era la fine di luglio
2005, eravamo in viaggio in Austria. Papa Ratzinger, da poco al soglio pontificio, destava in noi
interesse ed ammirazione particolari sia per la vicinanza a Giovanni Paolo II che per averne
raccolto l’eredità morale quale successore di Pietro. Non resistemmo al desiderio di conoscere i
luoghi in cui il nuovo Papa aveva vissuto: ci avrebbero rivelato qualcosa di Lui. Dedicammo,
quindi, una giornata a Traunstein: la modesta casa in campagna (fienile e stalle sotto un unico
tetto) circondata da un prato e più in là da boschi, il Seminario sede degli studi frequentati, la
chiesa di Sant’ Osvaldo, ove aveva celebrato la prima Messa, … i luoghi della sua giovinezza. Una
visita che ce lo fece sentire da subito più “familiare”.
(3) Lo “Schott” era la traduzione del Messale in lingua tedesca ad opera di AnselmSchott, abate
benedettino di Beuron di fine ‘800. La traduzione tedesca a volte era accompagnata dal latino.
C’era un’edizione domenicale e persino uno Schott per bambini.
(4) Il culto della vanga, che simboleggiava il lavoro come forza liberatrice, era strumento importante
nelle cerimonie militari: andava portata a spalla, doveva essere lucidata alla perfezione e
custodita come cosa sacra. La stessa vanga fu indice della capitolazione della Germania, quando la
si vide appoggiata al muro, sporca di argilla, non più oggetto di culto ma restituita alla funzione di
strumento d’uso quotidiano.
(5) Il lungo studio sul rapporto tra il concetto di storia della salvezza e l’idea di rivelazione sarà, per il
perito Joseph Ratzinger, base portante nella stesura dei documenti conciliari.
(6) Dell’esperienza vissuta durante il Concilio Benedetto XVI ha parlato nell’incontro quaresimale con
il clero di Roma lo scorso 14 febbraio 2013. Racconta un aneddoto: “Io ero stato nominato nel ’59
professore all’Università di Bonn, dove studiano gli studenti, i seminaristi della diocesi di Colonia e
di altre diocesi circostanti. Così, sono venuto in contatto con il Cardinale di Colonia, il Cardinale
Frings. Il Cardinale Siri, di Genova – mi sembra nel ’61 - aveva organizzato una serie di conferenze
di diversi Cardinali europei sul Concilio e aveva invitato anche l’Arcivescovo di Colonia a tenere
una delle conferenze con il titolo: Il Concilio e il mondo del pensiero moderno.
Il Cardinale mi ha invitato – il più giovane dei professori – a scrivergli un progetto; il progetto gli è
piaciuto e ha proposto alla gente, a Genova, il testo come io l’avevo scritto. Poco dopo, Papa
Giovanni lo invita ad andare da lui e il Cardinale era pieno di timore di avere forse detto qualcosa
(1)
di non corretto, di falso, e di venire citato per un rimprovero, forse anche per togliergli la
porpora.
Sì, quando il suo segretario lo ha vestito per l’udienza, il Cardinale ha detto: “Forse adesso porto
per l’ultima volta questo abito”. Poi è entrato, Papa Giovanni gli va incontro, lo abbraccia, e dice:
“Grazie, Eminenza, lei ha detto le cose che io volevo dire, ma non avevo trovato le parole.”
(Trascritto da una “chiacchierata” a braccio.)
Così il Cardinale sapeva di essere sulla strada giusta e mi ha invitato ad andare con lui al Concilio,
prima come suo esperto personale; poi, nel corso del primo periodo - mi pare nel novembre ’62 –
sono stato nominato anche perito ufficiale del Concilio.
(7) Documenti preparatori sulle tematiche da discutere e approvare, incentrate principalmente sulla
Chiesa, avendo il concilio Vaticano I lasciato in sospeso molte questioni, per l’interruzione dei
lavori a causa della guerra franco-prussiana nel 1870.
(8) Da Giovanni Paolo II gli fu assegnata la sede suburbicaria di Velletri – Segni (5 aprile 1993) e
successivamente la sede suburbicaria di Ostia (20 novembre 2002).
(9) Discorso alla sua prima Udienza generale di mercoledì 27 aprile 2005.
(10) La conchiglia è simbolo del pellegrino; l’orso ricorda la leggenda di San Corbiniano, primo vescovo
di Frisinga; il moro è emblema dell’universalità della Chiesa, le chiavi incrociate simbolo di S.
Pietro, il pallio da Lui introdotto è un riferimento alla collegialità ed all’unità della Chiesa. La
tiara o triregno simboleggia il potere del Capo della Chiesa, la mitria o mitra è il copricapo usato
dai vescovi nelle celebrazioni solenni. Attualmente la tiara papale continua ad essere
rappresentata sulla Bandiera vaticana e nello stemma della Santa Sede.
(11)
Lettera apostolica “Porta fidei” con cui Benedetto XVI indice l’Anno della fede” dall’11 ottobre 2012
al 24 novembre 2013, solennità di Cristo Re.