Eruzioni particolari

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Eruzioni particolari
I VULCANI E LA CIVILTA’ DELL’UOMO
Santorini
Nel secondo millennio a.C. l'Isola di Santorini era l’avamposto settentrionale
della splendida civiltà minoica che rifioriva nell'isola di Creta.
Ma nel XV secolo a.C.
la potenza navale e commerciale e la raffinata cultura minoica
declinarono bruscamente.
La civiltà micenea vide intorno al 1450 a C., il definitivo declino minoico.
L’antica isola di Santorini era un vulcano esplosivo
ed entrò in attività nel 1623 a.C. (datazione radiometrica su ceneri).
L'eruzione parossistica di tipo pliniano, con cui si risvegliò,
lanciò in aria oltre 30 milioni di m3 di materiali,
che, ricadendo, formarono una coltre di ceneri e di pomici alta fino a 30 metri.
Per effetto del maremoto (o tsunami) che seguì l'esplosione,
onde alte qualche decina di metri e con velocità di trecento kilometri all'ora
si abbatterono su Creta.
Il rapido svuotamento della camera magmatica del vulcano
ebbe come conseguenza lo sprofondamento della parte sommitale dell'edificio.
Si formò così una depressione circolare, invasa dal mare,
che oggi forma una profonda laguna.
Le città di Santorini rimasero sepolte sotto decine di metri di pomici e ceneri
(come la minoica Akrotiri, ritrovata nel 1966).
Le città di Creta, con palazzi a più piani e raffinate decorazioni,
furono gravemente danneggiate o distrutte
e non riuscirono più a tornare all’antico splendore.
Molti studiosi vedono proprio in quell’evento
l’origine del mito di Atlantide, riportato da Platone
“ […] della più nobile razza di uomini che mai sia vissuta,
[voi Greci] non siete che un seme[…].
Il vulcano che ha distrutto una civiltà, ne ha conservato, però, alcune preziose tracce:
dalla coltre di ceneri riemergono, su dipinti murali intatti, figure e immagini
Eruzione del Tambora 1815
Era il 10 aprile del 1815 quando il vulcano indonesiamo Tambora eruttò,
cancellando un'intera tribù, abbassando la temperatura terrestre di alcuni gradi,
e causando fame ed epidemie in tutto il mondo.
Quell'eruzione rimane a tutt'oggi la più vasta eruzione documentata storicamente:
più di quella del Krakatoa del 1883,
e circa venti volte maggiore di quella del Vesuvio che seppellì Pompei.
Se un evento così catastrofico si ripresentasse oggi, affermano gli esperti,
le conseguenze sarebbero anche maggiori.
"Sarebbe assolutamente devastante",
Ceneri e solfuri lanciati nell'alta atmosfera terrestre dall'eruzione del Tambora
resero più fioca la luce del sole,
e ciò fece scendere le temperature globali di circa 1,7 °C.
Si stima che il numero di vittime causate dal Tambora
vada dalle 71.000 alle 121.000.
Ma oggi il mondo è molto più popolato;
un'eruzione come quella del Tambora metterebbe in pericolo molte più persone.
Gran parte delle vittime del Tambora furono causate
dai flussi piroclastici - valanghe di gas surriscaldati, ceneri e detriti.
Una tribù che viveva a 25 chilometri dal vulcano venne sterminata.
Altre morti nel mondo furono causate da
tsunami, carestia e malattie (come il tifo), piogge incessanti,
scarsa igiene e organismi indeboliti.
Krakatoa 1883:
Un esempio di esplosione freatica.
Si parla di esplosione freatica quando l'attività vulcanica consiste nell'emissione
violenta di enormi quantità di vapore:
in seguito al contatto con una massa magmatica calda, l’acqua presente nel sottosuolo
si trasforma in vapore, che viene espulso attraverso un'esplosione violenta.
Se il vapore fuoriesce insieme a del magma,
si parla di esplosione freato-magmatica.
Si tratta di esplosioni improvvise,
difficilmente prevedibili e non controllabili,
che causano sempre danni enormi.
L'esplosione freatica del Krakatoa, avvenuta nel 1883,
è uno degli esempi più significativi.
Krakatoa era una piccola isola (lunga appena 9 km) situata nello stretto della Sonda,
tra Giava e Sumatra, formata da un antico stratovulcano.
Nel 1883 venne completamente distrutta da un'esplosione di intensità tale
da poter essere comparata con una bomba atomica.
Probabilmente l'acqua marina era penetrata attraverso fratture dell'edificio vulcanico
nel bacino magmatico, causando la formazione di enormi quantità di vapore d'acqua
caldo.
L'eruzione cominciò nel mese di maggio
e proseguì con fasi esplosive alternate a fasi di quiete per più di tre mesi.
L'isola sparì completamente e un volume pari a 23 km3 di detriti
fu disperso nello spazio circostante per un raggio di oltre 500 km.
Le polveri si alzarono fino a un'altezza di 11 km
e alterarono in parte il comportamento dell'atmosfera,
tanto da causare negli anni seguenti
una lieve riduzione della temperatura media e tramonti di un. rosso intenso.
Le esplosioni innescarono anche una serie di tsunami,
maremoti con onde alte anche 40 m che si abbatterono sulle coste vicine,
causando la distruzione di gran parte degli insediamenti.
L'eruzione del Krakatoa provocò la morte di più di. 35000 persone.
Oggi nella caldera prodottasi in seguito all'esplosione
si è formata una nuova isola vulcanica
Monte La Pelée
Il vulcano La Pelée è situato nell'isola della Martinica nel Mar dei Caraibi.
Il suo nome è tristemente associato a un tipo di eruzione esplosiva,
con eiezione di materiali piroclastici e formazione di nubi ardenti.
Nel caso dell'eruzione verificatasi nel 1902,
l'esplosione fu preceduta da emissione di cenere, piccole scosse di terremoto
e dalla formazione di una cupola di ristagno.
Le autorità sottovalutarono l'importanza di questi segnali premonitori
e invitarono la popolazione a trattenersi sull'isola.
Invece 1'8 maggio 1902 dalla base della cupola fuoriuscì una nube ardente
che espandendosi lateralmente raggiunse in pochi minuti la città di St. Pierre
e causò la morte dell'intera popolazione.
La nube conteneva prevalentemente anidride carbonica, polveri e vetri vulcanici,
aveva una temperatura di circa 800 °C e si muoveva alla velocità di 160 km/h.
Nei mesi successivi si verificarono altri episodi simili,
che portarono alla fuoriuscita completa dei gas dal condotto.
Infine nel cratere comparve un'estrusione solida simile a una guglia
che in pochi giorni raggiunse l'altezza di. circa 300 m.
La guglia era costituita di lava estremamente acida e viscosa,
parzialmente consolidata.
Monte St. Helens
Il St. Helens in California è uno stratovulcano
che fa parte della Catena delle Cascate, situata nella cintura di fuoco circumpacifica.
Il 18 maggio 1980, dopo 123 anni di inattività,
si verificò un'eruzione catastrofica.
Nei mesi precedenti, l'eruzione era stata, per cosi dire, preannunciata
da una serie di eventi:
microsismi, provocati probabilmente dal magma in movimento,
apertura di nuove fenditure e crateri,
emissione di gas, vapore e ceneri.
Infine, si formò un rigonfiamento che crebbe velocemente
fin o a raggiungere in alcuni punti l’altezza di 80 m.
Improvvisamente il 18 maggio, senza che si verificasse un aumento d'intensità
dell'attività preparatoria, in seguito a una scossa sismica di magnitudo 5,1
dal rigonfiamento si staccò una frana, che aprì un varco verso l'esterno al magma,
e il vulcano fa sventrato lateralmente da un'esplosione di potenza immane.
Durante l'esplosione si formò un cratere di 2 km di diametro
e l'altezza del monte si ridusse di 350 m.
Gas e vapori esplosero orizzontalmente,
mentre una colonna di gas e ceneri si alzò verticalmente,
raggiungendo un'altezza di 25 km e si disperse nell'atmosfera.
Le foreste entro un raggio di 27 km vennero interamente distrutte
e gli alberi abbattuti per la violenza dell'esplosione.
Infine, una colata di fango formata dai materiali piroclastici
mescolati all'acqua dei torrenti e dei ghiacciai si riversò a valle.
Nei giorni che seguirono, le polveri vennero trasportate a grande distanza,
si depositarono in coltri spesse danneggiando coltivazioni a più di 2.500 km di
distanza dal vulcano e per settimane furono osservate dai satelliti artificiali
negli strati alti dell’atmosfera
Pinatubo
L'eruzione pliniana del 1991
Fino al 1991 la montagna appariva fortemente coperta da una densa foresta
in grado di sostenere una popolazione indigena costituita da migliaia di individui
che avevano abbandonato la pianura sottostante già all'epoca della conquista spagnola
delle Filippine nel 1565.
Pinatubo potrebbe anche indicare un luogo fertile in cui sia facile avere grossi
raccolti.
Le previsioni dell'inizio dell'attività eruttiva si rivelarono esatte
e decine di migliaia di persone furono evacuate dall'area circostante il vulcano
salvando molte vite.
l'area subì numerosi danni a seguito delle colate piroclastiche, il deposito delle
ceneri, e in seguito dei Lahar, frane di cenere causate dalle piogge che rimuovevano
le ceneri depositatesi.
Migliaia di abitazioni furono distrutte.
Gli effetti dell'eruzione furono avvertiti a livello planetario:
nella stratosfera venne immessa un'enorme quantità di gas.
L'aerosol atmosferico prodotto formò uno strato oscurante di acido solforico,
la temperatura globale diminuì di mezzo grado Celsius e il buco dell'ozono
crebbe sostanzialmente.
Il Pinatubo fa parte di una catena vulcanica
posta lungo il margine Ovest dell'isola di Luzón.
E’ un vulcano sottomarino formato dalla placca Euroasiatica che scivola lungo
quella Filippina, lungo la faglia di Manila verso ovest.
Prima della catastrofica eruzione del 1991,
il Pinatubo era un vulcano informe, sconosciuto alla maggior parte dei locali.
La cima era di 1745 metri sul livello del mare ma di soli 600 metri
sull'altopiano circostante e di 200 metri sui picchi che lo circondavano
oscurandone la vista.
Gli Aeta vivevano sui pendii e sugli altopiani circostanti da molti secoli.
Erano cacciatori-raccoglitori che vivevano nelle dense e fiorenti giungle dell'area.
Circa 30.000 persone vivevano sui fianchi del vulcano in "villaggi"
o altri piccoli insediamenti.
Una giungla densa copriva la montagna e i picchi che sfamavano gli Aeta,
mentre le pianure circostanti di fertile terreno vulcanico coperte da circa 4 metri
di acqua dai monsoni erano ideali per l'agricoltura ed in molti coltivavano riso
e altri vegetali basilari.
Circa mezzo milione di persone vivevano entro 40 km dal vulcano.
Numerosi fiumi nascono sul Pinatubo.
Prima dell'eruzione questi fiumi ospitavano importanti ecosistemi
ma l'eruzione riempì numerose valli con profondi depositi piroclastici.
Dal 1991 i fiumi intasati dai sedimenti hanno causato frequenti lahar.
Studi dimostrano che numerosi anni saranno necessari
a restaurare la situazione precedente all'eruzione.
Storia geologica
Il Pinatubo era un'area vulcanica riconosciuta già prima dell'eruzione
e piccoli geiser di vapore erano abbastanza frequenti nella zona.
Le eruzioni del Pinatubo possono essere ricondotte a due ere maggiori.
Pinatubo ancestrale e Pinatubo moderno
Pinatubo ancestrale
Molto del terreno accidentato che circonda il vulcano attuale
è il resto del Pinatubo "ancestrale".
L’attività di questo vulcano sembra sia iniziata 1 milione di anni fa.
Il Pinatubo ancestrale può aver raggiunto altezze di 2300 metri
L'attività eruttiva del Pinatubo ancestrale
era molto meno esplosiva del moderno Pinatubo
e terminò probabilmente 45.000 anni fa.
Dopo un lungo periodo di inattività
nacque il moderno Pinatubo con eruzioni iniziate circa 35000 anni fa.
Pinatubo moderno
La nascita del Pinatubo moderno
coincise con la maggiore eruzione esplosiva della storia
che depositò materiale piroclastico spesso fino a 100 metri
lungo tutti i versanti della montagna.
Il volume del materiale espulso è superiore a 25 chilometri cubici
e il materiale rimosso dalla camera magmatica portò alla formazione
di una grande caldera vulcanica.
Gli scienziati stimano che l'eruzione più recente prima di quella del 1991
avvenne 500 anni fa e dopo questa il vulcano sia stato inattivo,
tanto che anche gli esperti credevano che il vulcano non fosse più attivo.
I suoi versanti erano stati coperti completamente da una densa foresta pluviale
e erosi trasformandosi in gole e precipizi.
Risveglio del 1991
Il 16 luglio 1990 un terremoto di magnitudo 7,8 Richter
(di potenza equivalente al terremoto di San Francisco del 1906)
colpì il centro di Luzón.
Due settimane dopo il terremoto, gli abitanti scoprirono che del vapore fuoriusciva
dal vulcano ma gli scienziati inviati sul monte credettero che fossero responsabili
delle piccole frane, non un'attività eruttiva.
Il 15 marzo 1991 uno sciame sismico fu avvertito dagli abitanti
della zona nord-est del vulcano.
Ulteriori terremoti di intensità crescente furono avvertiti nelle settimane successive
e fu chiaro che una qualche attività vulcanica fosse imminente.
Il 2 aprile il vulcano si svegliò con un'eruzione freatica .
Nelle successive settimane continuarono delle piccole eruzioni
depositando ceneri nelle vicinanze.
I sismografi registrarono centinaia di piccoli terremoti ogni giorno.
Gli scienziati installarono immediatamente strumenti
per monitorare ed analizzare gli indizi di precedenti storie eruttive.
La datazione col carbonio 14 rivelò le tre maggiori eruzioni negli ultimi millenni,
circa 5500, 3500 e 500 anni fa.
La mappatura geologica mostrò che molta dell'area circostante
era formata dai lahar successivi alle eruzioni.
L'attività crebbe lungo aprile e maggio.
Misurazioni delle emissioni di diossido di zolfo (SO2) mostravano una crescita
dalle 500 tonnellate al giorno del 13 maggio alle 5000 del 28 maggio.
Ciò implicava una colonna di nuovo magma sotto il vulcano.
Dopo il 28 maggio la quantità di SO2 emesso diminuì sostanzialmente
accrescendo il timore che il magma fosse bloccato,
a causa dell’aumento della pressione interna della camera magmatica,
che quasi sicuramente avrebbe scatenato una eruzione esplosiva.
La prima eruzione magmatica avvenne il 3 giugno
e la prima grande esplosione del 7 giugno creò una colonna di ceneri alta 7 km.
L'istituto di vulcanologia e sismologia filippino
emise un'allerta indicando una probabile grande eruzione entro 2 settimane.
Dando tutti i segnali che una fortissima eruzione fosse imminente,
l’istituto di vulcanologia lavorò per convincere i residenti ad abbandonare
le aree a maggior rischio.
Un falso allarme avrebbe potuto causare una forte insensibilità agli allarmi
successivi, mentre un allarme troppo tardivo avrebbe messo in pericolo la vita
di migliaia di persone, quindi i geologi furono costretti a vagliare accuratamente
il rischio di un'eruzione affinché l'allerta fosse tempestiva e accurata.
Tre evacuazioni furono pianificate,
la prima per l'area entro 10 km dalla vetta,
la seconda entro 20 km,
la terza entro 40 km.
Le prime due zone avevano una popolazione di circa 40.000 persone
mentre circa 300.000 vivevano nella zona compresa tra 20 e 40 km dalla vetta.
Erano emesse allerte giornaliere, indicando livello e zona di pericolo,
su giornali radio e televisione, e direttamente agli abitanti in pericolo .
Molti degli Aeta che vivevano nei versanti del vulcano
lasciarono volontariamente i loro villaggi
immediatamente dopo l'eruzione di aprile
riunendosi in un villaggio a 12 km dalla cima.
Si spostarono verso villaggi più distanti con l'accrescere delle eruzioni,
alcuni di loro dovettero allontanarsi nove volte nei due mesi precedenti il cataclisma.
La prima evacuazione ufficiale fu ordinata dalla zona 1 il 7 aprile,
l’evacuazione dalla zona 2 (compresa tra i 10 e i 20 km) fu ordinata il 7 giugno
Il 14 giugno fu evacuata l'ultima zona
e il giorno successivo almeno 60.000 persone
avevano già lasciato l'area a 30 km dal vulcano.
In 30.000 furono ospitati nello stadio Amaranto di Quezon
trasformato in un centro d'accoglienza.
L'eruzione"
La pioggia di cenere
Agli inizi di giugno, gli strumenti di misura indicavano una forte espansione
del vulcano, probabilmente a causa della lava che andava riempiendo la camera
sotto il cratere.
Allo stesso tempo l'attività sismica, precedentemente concentrata in profondità
a circa 5 km nord-ovest dalla cima, si mosse a profondità inferiori
appena sotto la cima.
Il 7 giugno, la prima eruzione magmatica ebbe luogo con la creazione di una volta
lavica in cima al vulcano, che crebbe sostanziosamente nei 5 giorni successivi
raggiungendo un diametro massimo di 200 m ed un'altezza di 40.
Con la piccola esplosione delle 3:41 del 12 giugno
iniziò una nuova e più violenta fase dell'eruzione.
Alcune ore dopo una grande esplosione di mezz'ora
creò una colonna eruttiva che raggiunse i 19 chilometri con flussi piroclastici
vasti fino 4 km dalla vetta atterrati sulle valli di alcuni fiumi.
14 ore dopo un'ulteriore eruzione scagliò ceneri a 24 km di altezza.
L'attrito tra le ceneri generò numerosi fulmini.
L' ERUZIONE DEL PINATUBO
CONSEGUENZE
INVERNI DI GELO
Teoria avanzata dai ricercatori dell'Istituto ricerca del Cnr.
Il grande freddo è in arrivo in tutto il mondo.
Gli scienziati avanzano l' ipotesi
che si tratti degli effetti delle eruzioni del vulcano filippino, il grande "gigante
d' oriente", avvenuta nel giugno del 1991.
E' questa la teoria avanzata dai ricercatori dell'Istituto ricerca del CNR.
Le grandi eruzioni vulcaniche, con la dispersione in alta quota di migliaia
di tonnellate di polveri sono ritenute responsabili dell'avvento di inverni più freddi.
Le terribili eruzioni del vulcano Pinatubo, oltre ad aver provocato notevoli danni
al momento, non rimarranno senza conseguenze.
Le rilevazioni hanno evidenziato valori anomali nelle alte quote sopra l'Antartide
con la presenza di una fortissima concentrazione di aerosol stratosferici.
La quantità di polveri sarebbe superiore fino a 400 volte i valori normali.
Questa concentrazione formerebbe una specie di "barriera" tale
da rallentare l'irradiazione solare.
Ma c' è un altro pericolo.
Questa concentrazione di aerosol potrebbe avere conseguenze non ancora valutabili
sulle reazioni chimiche eterogenee che sono le cause principali dei processi riduttivi
dell' ozono.
Mentre i ricercatori del CNR si sono dichiarati particolarmente preoccupati
per le mutazioni climatiche ed atmosferiche in Antartide, ora la loro attenzione si sta
spostando sull' Artide: una terra decisamente più vicina a territori popolati,
e prossima al continente europeo.
In questa ottica è stata decisa la partecipazione italiana alla campagna di misure di
parametri atmosferici, promossa dalla Comunità Europea.
Gli scienziati vogliono cercare di stabilire se anche sull' Artide vi siano o meno
processi riduttivi dell' ozono in stratosfera di origine chimica ed imputabili
all' inquinamento umano.
I risultati delle rilevazioni, ottenute attraverso sofisticate strumentazioni laser,
saranno disponibili e solo allora sapremo se anche sulla calotta artica ci sono danni
all' ozono oppure se esiste ancora un margine di sicurezza.
Effetti devastanti
Nel 1991, l'eruzione del Monte Pinatubo,
nelle Filippine, rese più freddo il pianeta di circa 0,5 °C.
Cambiamenti climatici di questa portata possono far fallire i raccolti.
Persino con tutta la tecnologia di cui disponiamo oggi,
si potrebbe far poco per mitigare una crisi climatica come quella.
"Dovremmo solo soffrire finché non è finita".
La scienza non è ancora in grado di predire
quando e dove un'eruzione altrettanto catastrofica potrebbe ripetersi.
Monitorare i vulcani attivi, specialmente quelli più rischiosi e che potrebbero
minacciare un numero maggiore di persone potrebbe offrire ai ricercatori
un quadro più chiaro di ciò che potrebbe accadere in futuro,
e ciò potrebbe contribuire a salvare delle vite.