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Singapore, Taiwan e Giappone. Che cosa è cambiato in questi dieci anni? Come si
presentano ora i mercati asiatici? È possibile che la crisi del 1997 si verifichi nuovamente? Studiosi e ricercatori hanno dirottato l’attenzione dai fattori determinanti la
crescita a un programma di riforme strutturali di ampia portata. Per cui…
Il Big Crash
dieci anni dopo
di Giovanni Ferri *
Quella asiatica è stata la più grossa crisi finanziaria sistemica internazionale dopo la Grande Depressione degli anni Trenta del
Novecento. A distanza di dieci anni è ancora ben presente non solo
nei Paesi dell’Estremo Oriente che ne furono colpiti, ma anche nell’immaginario collettivo a livello mondiale.
La crisi si avvita a partire dal luglio del 1997 con l’attacco speculativo al baht – la valuta tailandese, cfr. box CRONISTORIA
DELLA CRISI ASIATICA –, si aggrava nell’autunno, colpendo in
modo profondo Corea e Indonesia e coinvolgendo in minor misura
Malesia e Filippine, fino a scalfire le economie di Hong Kong,
Singapore e Taiwan e lambire tutti gli altri Paesi dell’area – con la
sola eccezione della Cina, protetta da stringenti vincoli ai movimenti dei capitali.
Per le economie più colpite si materializza in modo esemplare la
tipologia delle “crisi gemelle” – twin crises – crisi congiunte del
cambio e del sistema bancario, che si intersecano in un intreccio
perverso. Il fenomeno è stato studiato a partire da Kaminsky e
Reinhart (1999), le quali riscontrano che i problemi nel settore bancario di solito precedono la crisi di cambio. A sua volta, la crisi di
cambio accresce quella bancaria, attivando un circolo vizioso.
Inoltre, la liberalizzazione finanziaria spesso precede la crisi bancaria. L’anatomia delle crisi gemelle suggerisce che le crisi accadono
quando l’economia va in recessione, dopo boom economici prolungati alimentati da credito, afflussi di capitali e cambio sopravvalutato.
Un evento iniziale negativo – per esempio un rallentamento
imprevisto della crescita, l’emergere di forti sbilanci nei conti con
l’estero accompagnati da perdita di competitività, il manifestarsi di
difficoltà per qualche grosso operatore nazionale – fa da detonatore
di cariche esplosive che si erano andate accumulando nel tempo. E,
così, a turno, tutte le principali tigri asiatiche si trovano a cadere
dalle stelle – quando, poco prima, gli investitori internazionali consideravano un “must” detenere attività in quel Paese – alle stalle –
allorché, poco dopo, si riteneva che il rischio era talmente elevato da
suggerire di stare alla larga da quel Paese, come nel 1600 gli abitanti
Grazia Neri_AFP
Cronologia e storia di una crisi che, a dieci anni di distanza, può apparire solo un brutto ricordo. Ma i costi della crisi asiatica sono stati
ingenti. Oggi i mercati mondiali sono scossi dalla crisi dei mutui subprime. E tra elementi di comunanza e di differenza...
Contrasto_Reuters
DOSSIER
_Indonesia, Corea del Sud e Tailandia furono
i Paesi maggiormente colpiti dalla crisi finanziaria del periodo 1997-1998. Sopra, cinesi
residenti in Indonesia donano il proprio oro
alla banca centrale di Giacarta
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di Milano si tenevano dai monatti durante la peste manzoniana.
Essendo allora funzionario della Banca Mondiale, ho visto con i
miei occhi e udito con le mie orecchie la sfiducia, apparentemente
irreversibile, nelle economie in crisi che i principali investitori istituzionali di Wall Street rappresentavano ai primi di settembre del
1998, allorché alla crisi asiatica già esplosa e irrisolta per oltre un
anno si era venuta ad aggiungere la formidabile bordata del default
russo e le prospettive di crisi in Brasile. Ebbene, questi investitori,
che per molti anni – fino a poco prima incuranti degli ammonimenti che spesso erano stati lanciati – avevano fatto a gara in una sfrenata rincorsa a inviare i risparmi del mondo verso le tigri asiatiche,
venivano ora a implorare in ginocchio le istituzioni finanziarie
internazionali – prima considerate del tutto irrilevanti – di fare
qualcosa per ridare fiducia ai mercati internazionali, pena la loro
implosione. Quei primari investitori mi lasciavano incredulo affermando che non avrebbero comprato attività asiatiche neanche a
prezzi stracciati. E, in effetti, che cosa se non un break strutturale di
quelle proporzioni avrebbe potuto far (tecnicamente) fallire un
mostro sacro come il Long Term Capital Management (LTCM),
l’hedge fund creato con il coinvolgimento e le fini arti economicofinanziarie di due premi Nobel? Per la prima volta dalla Grande
Crisi degli anni Trenta, i market maker si inginocchiavano alle istituzioni.
Che cosa era successo? Era accaduto che i mercati avevano perso
la bussola tra il 1997 e il 1998 e, con il beneficio dell’inventario, le
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istituzioni internazionali avevano contribuito involontariamente ad
aggravare i problemi, applicando ricette deflazionistiche in una
situazione di crisi generalizzata del debito. Così, la crisi iniziale della
Tailandia si era propagata per contagio alla Corea e all’Indonesia, in
minor misura alla Malesia e alle Filippine; aveva interessato persino
Hong Kong, Singapore e Taiwan, fino a lambire il Giappone e persino la Cina, al tempo ancora protetta da controlli a tenuta stagna ai
flussi di capitale. Quasi tutte le regolarità statistiche osservate in
precedenza nei prezzi delle attività dei Paesi emergenti erano saltate
per lo stampede che si era verificato. Fu così che gli algoritmi di
Merton e Scholes vennero gabbati e solo la liquidità di Greenspan
salvò l’LTCM e arginò l’incendio, poi domato qualche tempo dopo.
Tutto era cominciato pochi anni prima con la crisi del Messico.
Sospinto dalle prospettive della realizzazione del NAFTA – l’accordo di libero scambio commerciale che unisce Canada, Messico e
Stati Uniti – già dai primi anni ’90 il flusso di capitali verso il
Messico si era incredibilmente intensificato. Il venire a galla di
scricchiolii nella competitività esterna, con un problema di debiti
gemelli – debito pubblico e debito estero – aveva indotto i market
maker della finanza mondiale a girare i tacchi e rimpatriare i capitali in precedenza offerti in abbondanza. La crisi messicana è la prima
crisi sistemica del sistema finanziario globalizzato ed è ben diversa
dalle crisi debitorie dei Paesi latino-americani dei primi anni ’80. In
effetti, nei primi anni ’80 l’indebitamento dei quei Paesi era avvenuto mediante il ricorso a prestiti bancari sindacati ; nel caso messi-
_La crisi asiatica si aggravò nel luglio 1997
con l’attacco speculativo al baht, la valuta
tailandese. Nell’autunno colpì in modo
profondo Corea e Indonesia fino a scalfire le
economie di Hong Kong, Singapore e Taiwan.
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DOSSIER
cano, invece, a guidare la danza erano stati flussi privati di capitali.
La crisi messicana spinge ancor più i flussi verso l’Asia, benedetta dal concetto di “East Asian Miracle”, dal titolo del volume pubblicato dalla Banca Mondiale . È dopo poco che arriva la crisi asiatica. I cinque Paesi che saranno più colpiti dalla crisi nei dieci anni
precedenti avevano avuto una crescita reale prossima al 10%
annuo, con elevatissimi tassi di investimento – oltre il 30% in rapporto al PIL, conti pubblici in ordine, deficit pubblici inferiori al 2%
del PIL – e bassi tassi di inflazione – del 5% circa. Il verificarsi della
crisi sistemica progressivamente aggravatasi dalla metà del 1997
provoca, nel 1998, una caduta del PIL dell’ordine del 15% in
Indonesia, del 10% in Tailandia, del 7% in Corea e Malesia e
dell’1% nelle Filippine. Gli economisti si interrogano sulle ragioni
di questa crisi che non trova spiegazione né fra le teorie relative alle
crisi finanziarie di prima generazione, basate sull’eccesso di spesa
del settore pubblico , né fra quelle di seconda generazione, secondo
cui un attacco speculativo può nascere perché un Paese perde gli
incentivi a difendere il tasso di cambio prefissato. Si cercano spiegazioni alternative e si delineano due scuole di pensiero nettamente
opposte. Da un lato, alcuni propendono per una interpretazione
basata esclusivamente sul sussistere di fondamentali cattivi.
Dall’altro, altri studiosi sottolineano il ruolo del contagio e l’irrazionalità dei mercati. Vi è poi una visione intermedia in cui vi è spazio
sia per i fondamentali cattivi che per il contagio, che in qualche
modo fa riferimento alla richiamata teoria delle “crisi gemelle”.
La crisi asiatica, che sembrava in via di risoluzione nella primavera del 1998, si aggrava di nuovo nei mesi successivi con il diffondersi di tensioni sulla Russia e sul Brasile. Le tensioni culminano ad
agosto del 1998 allorché la Russia entra in default. Il Brasile resiste
ancora, ma subisce comunque la sua crisi nel 1999. La sfilza di crisi
finanziarie sistemiche si chiude poi nel 2001, quando vengono al
pettine i nodi dell’Argentina e della Turchia.
Che cosa si può dire oggi di tali crisi sistemiche delle economie
emergenti? In altri termini, la stagione delle crisi sistemiche culminata nella crisi asiatica – con prodromi in Messico e propaggini fino
a Russia, Brasile, Argentina e Turchia – si è definitivamente chiusa
nel 2001 oppure no?
A un estremo, è possibile individuare una visione pessimistica
che le crisi sistemiche non sono finite e la loro assenza per almeno
un lustro andrebbe spiegata con il ricorrere di una serie di fattori
favorevoli ma eccezionali. In pratica, sarebbero i crescenti squilibri
macroeconomici statunitensi ad aver oliato l’economia mondiale
sostenendone la crescita protratta e dando fiducia ai mercati. Ma
l’eccesso di liquidità globale determinata da tale situazione starebbe
creando le condizioni per una crisi ancora più grave. All’estremo
opposto, vi è un’interpretazione ottimistica secondo cui le crisi
sistemiche sarebbero finite perché i mercati hanno sviluppato nuovi
strumenti di copertura dei rischi che permettono di eliminare le
cause di fondo delle crisi, connesse come erano all’accumularsi di
rischi di cambio non coperti.
Nel mezzo, vi è una posizione intermedia secondo la quale le
crisi sistemiche sono scomparse perché abbiamo imparato a evitarle,
ma la medicina impone costi significativi all’economia mondiale,
costringendola in una condizione sub-ottimale. Tali costi dipendono
dalle seguenti considerazioni. Se vi è stato un aggiustamento è stato
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solo dal lato dei Paesi emergenti mentre nulla – o poco – è stato
fatto da parte dei Paesi ricchi né, tantomeno, in termini di riforma
dell’architettura finanziaria internazionale. Infatti, per limitare l’esposizione ad attacchi speculativi, i Paesi emergenti hanno ridotto il
proprio gearing sui mercati finanziari globali, come mostrano vari
indicatori riferiti ai Paesi emergenti stessi: il deleveraging del loro
settore privato e il fatto che questi Paesi sono divenuti esportatori
netti di capitali e, in particolare, hanno accumulato enormi riserve
valutarie e sono rifuggiti dall’indebitarsi a breve termine sui mercati internazionali. Ma ciò ha un costo e si traduce in una minore crescita (e allocazione subottimale delle risorse) dei Paesi emergenti
che, data la crescente importanza di questi sullo scenario mondiale,
implica minore crescita globale.
A dieci anni di distanza, la crisi asiatica può apparire solo un
brutto ricordo. Ma i suoi costi sono stati ingenti. È vero che tutte le
economie colpite hanno, prima o poi, ripreso a crescere a ritmi elevati – tra i tre Paesi più colpiti, la Corea per prima, poi la Tailandia e
solo successivamente l’Indonesia – ma la crisi ha scosso profondamente la fiducia delle tigri asiatiche in quella che sembrava la loro
corsa inarrestabile. Sebbene l’attenzione si sia concentrata di più
sulle ricadute in termini di flussi di capitali, uno tra gli esempi più
emblematici delle conseguenze radicali della crisi asiatica è stato
l’impatto sui flussi migratori nella regione.
Oggi, dopo dieci anni da quella asiatica, i mercati mondiali sono
scossi da un’altra crisi, quella dei mutui sub-prime, la cui gravità
sfugge ancora a una quantificazione precisa. Stavolta, la crisi si è
_A dieci anni dal crash asiatico, i mercati
mondiali sono oggi scossi dalla crisi dei mutui sub-prime materializzatasi negli Stati Uniti, con conseguenze notevolmente ramificate
nell’economia globale (sopra, Alan Greenspan, ex capo della Federal Reserve)
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_La crisi sistemica delle economie asiatiche
nel 1998 ha provocato una caduta del Pil
dell’ordine del 15% in Indonesia e del 10%
in Tailandia (sopra, l’allora ministro delle Finanze, Tarrin Nimmanahaeminda)
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DOSSIER
materializzata negli Stati Uniti, non in Asia, ma le conseguenze
sembrano essere notevolmente ramificate nell’economia globale. Vi
sono elementi di comunanza tra le due crisi? Sì e no. Tra le differenze si deve menzionare che la crisi origina dall’economia più sviluppata anziché da quelle emergenti, come nel caso asiatico. Quindi
è una crisi che si irradia dal centro e non una che nasce alla periferia. Inoltre, diversamente da quella dei mutui sub-prime, la crisi
asiatica non aveva un significativo contenuto di innovazione finanziaria. Ma vi sono anche due similitudini rimarchevoli. In primo
luogo, sia in quella asiatica che nella crisi dei mutui sub-prime si è
avuta la concessione di credito a soggetti che non avrebbero dovuto
riceverlo (almeno nella misura in cui l’hanno ricevuto): i NINJA
loan – No verification of INcome Job status or Assets – della crisi
sub-prime fanno il paio con l’eccessiva prodigalità con cui i principali istituti creditizi dei Paesi industrializzati avevano elargito credito alle tigri asiatiche alla vigilia del patatrac del 1997-98. In secondo
luogo, così come allora lo scoppio della crisi asiatica atrofizzò i mercati emergenti, oggi la crisi sub-prime ha essiccato il mercato degli
Special Investment Vehicles (SIV).
Allora come oggi, il principale problema per uscire dalla crisi
sistemica è quello di riprezzare il rischio del comparto interessato.
Infatti, quella che può essere percepita come una questione di
assenza di liquidità discende, in realtà, dall’estrema difficoltà a valutare il rischio di controparte. Lo si è visto in occasione delle ingenti
iniezioni di liquidità operate dalla Fed, dalla BCE e dalla BoE nel
corso dell’estate. Esse non hanno prodotto un abbassamento dei
tassi interbancari nella stessa misura in cui lo avrebbero conseguito
in condizioni normali. Ciò perché, nel tourbillon della crisi, ciascuna
banca creditrice non è in grado di stabilire con relativa certezza l’esposizione della controparte debitrice alle perdite da sub-prime. E,
allora, è meglio tenersi la liquidità, sia nella forma del contante sia
in quella dei titoli di Stato, divenuti ora preziosissimi, così come
accadde nel 1998, quando l’apprezzamento dei titoli di Stato fu una
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delle principali cause della débâcle dell’LTCM. Un altro indicatore
che fa percepire le difficoltà è l’aprirsi di uno spread insolitamente
ampio tra il tasso sulle operazioni pronti/termine e quello overnight. In effetti, ciò pare dipendere dal fatto che le banche cercano di
usare Asset Baked Securities (ABS) in quelle operazioni. Gli ABS
venivano usati come collaterali anche prima delle turbolenze, ma in
quel periodo avevano un mercato e quotazioni più regolari. Ora,
invece, a giudizio di un tesoriere, “sul mercato le ABS vengono
viste come fumo negli occhi, anche quelle con rating superiori, nel
timore che nei pacchetti sottostanti siano finiti anche strumenti di
credito ad alto rischio, tipo quelli dei mutui sub-prime… gli spread
su questi titoli si sono infatti massicciamente allargati oltre al fatto
che non si riescono più a negoziare in alcun modo, l'unico utilizzo è
quello di collaterale ai p/t” .
Negli Stati Uniti, nelle scorse settimane, sotto la spinta del
Tesoro, è stata prospettata la formazione di un super-fondo di 75
miliardi USD (Master Liquidity Enhancement Conduit, M-LEC)
con cui le grandi banche si proporrebbero di ridare liquidità ai SIV
che, a causa della crisi, non riescono a emettere commercial paper
con cui finanziarsi temporaneamente in attesa di piazzare i titoli
cartolarizzati. Un articolo dal titolo emblematico (The end of sivilisation – un gioco di parole tra “fine della civiltà” e “fine dell’era dei
SIV”) ammonisce che M-LEC può essere insufficiente a fronteggiare un volume di cartolarizzazioni non completate di circa 400
miliardi USD.
Al di là del fatto che il ripetersi di una grave crisi sistemica a dieci
anni esatti dalla crisi asiatica potrebbe far pensare a una sorta di ciclo
Juglar, la lezione che forse dobbiamo trarne è che le crisi sistemiche
sono le inevitabili spine sul fusto della rosa della liberalizzazione
finanziaria. Si tratta di un fiore bello e dall’odore inebriante, ma, se
non lo si maneggia con i guanti, qualche volta ci si punge.
* Università di Bari
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DOSSIER
CRONOLOGIA DELLA CRISI ASIATICA, MARZO 1997–LUGLIO 1998
1997
3 marzo
marzo–giugno
aprile
29 giugno
2 luglio
primi di luglio
8–14 luglio
11 luglio
11 luglio
13 luglio
24 luglio
5 agosto
14 agosto
20 agosto
25 agosto
14 ottobre
24 ottobre
31 ottobre
5 novembre
19 novembre
Metà novembre
novembre
4 dicembre
8 dicembre
Metà dicembre
18 dicembre
24 dicembre
29 dicembre
31 dicembre
Dicembre
Tailandia Primo annuncio ufficiale di problemi in due società finanziarie anonime,
e programma di ricapitalizzazione.
Tailandia Sessantasei società finanziarie ricevono segretamente un notevole sostegno di liquidità
da Bank of Thailand. Notevole deflusso di capitali.
Malesia Bank Negara Malaysia impone limiti ai prestiti bancari per il settore immobiliare
e per l’acquisto di titoli.
Tailandia Le operazioni di 16 società finanziarie vengono sospese e viene annunciata una garanzia
per i fondi di detentori di depositi e creditori nelle restanti società finanziarie.
Tailandia Il baht viene lasciato fluttuare e viene svalutato del 15–20 percento.
Indonesia Pressione sulla rupiah.
Malesia Bank Negara Malaysia interviene aggressivamente per difendere il ringgit: gli sforzi di difesa
del ringgit vengono abbandonati e il ringgit viene lasciato fluttuare.
Indonesia Allargamento della banda della rupiah.
Filippine Maggiore flessibilità viene accordata al peso.
Corea
Molte banche coreane ricevono una valutazione creditizia negativa dalle agenzie di rating.
Tutti
“Tracollo valutario” – pesanti pressioni su rupiah, baht, ringgit, e peso.
Tailandia Adottate misure per rafforzare il settore finanziario. Sospese le operazioni di 42 società finanziarie.
Indonesia Le autorità aboliscono la banda per la rupiah, che crolla immediatamente.
Tailandia Approvato un accordo con l’FMI per tre anni di stand-by.
Corea
Il governo garantisce le passività esterne delle banche; continua il ritiro delle linee di credito.
Tailandia Viene annunciata una strategia per la ristrutturazione del settore finanziario; vengono istituiti
un’agenzia per la ristrutturazione del settore finanziario e una società per la gestione dei capitali;
viene rafforzata la garanzia globale e vengono pianificati nuovi poteri di intervento sulle banche.
Tailandia Decreti di emergenza per facilitare la ristrutturazione del settore finanziario.
Indonesia Viene annunciate un pacchetto per lo scioglimento delle banche; 16 banche commerciali vengono
chiuse; in altre banche viene limitata l’assicurazione sui depositi per i detentori di depositi;
viene pianificata la chiusura di altre banche.
Indonesia Approvato un accordo con l’FMI per tre anni di stand-by.
Corea
Allargata la banda del tasso di cambio. Il won crolla.
Tailandia Cambio di governo. Notevole rafforzamento del programma di riforme economiche.
Corea
Viene istituto un fondo sui capitali non produttivi per la Korea Asset Management
Corporation (KAMCO).
Corea
L’FMI approva un accordo di stand-by di tre anni, ma il rinnovamento del debito
a breve termine continua a diminuire.
Tailandia Cinquantasei società finanziarie sospese vengono chiuse definitivamente.
Indonesia Corse agli sportelli bancari per un valore pari a metà dei capitali del sistema bancario.
Corea
Eletto un nuovo governo; rafforzato l’impegno verso il programma.
Corea
I creditori delle banche straniere private acconsentono a mantenere temporaneamente l’esposizione.
Corea
Approvata una legge che rafforza l’indipendenza della Bank of Korea e crea una Commissione
di vigilanza finanziaria.
Tailandia Bank of Thailand interviene su una banca commerciale; eliminate le partecipazioni
degli azionisti.
Corea
Quattordici banche d’affari vengono sospese e due grandi banche commerciali vengono
acquisite dal governo.
1998
1 gennaio
15 gennaio
20 gennaio
23 gennaio
26 gennaio
28 gennaio
gennaio
15 febbraio
febbraio
11 marzo
25 marzo
31 marzo
marzo
4 aprile
Fine aprile
18 maggio
Metà maggio
21 maggio
29 maggio
5 giugno
29 giugno
30 giugno
Malesia Annunciate misure per il rafforzamento delle norme prudenziali.
Indonesia Viene annunciato il secondo programma di sostegno dell’FMI. Viene istituita l’Agenzia
di ristrutturazione della Banca di Indonesia (IBRA) e viene annunciata una garanzia globale.
Malesia Bank Negara Malaysia annuncia garanzie globali per tutti i detentori di depositi.
Tailandia Bank of Thailand interviene su due banche commerciali; eliminati gli azionisti.
Indonesia Viene istituita l’agenzia di ristrutturazione (IBRA) e vengono annunciate garanzie globali.
Corea
Accordo con creditori privati esterni per rinegoziazione del debito a breve termine.
Corea
Dieci su 14 banche d’affari sospese vengono chiuse; a 20 restanti banche d’affari
vengono richiesti piani di riabilitazione.
Corea
Il nuovo presidente e il governo entrano in carica.
Indonesia Il presidente Suharto viene rieletto. Si rafforzano i dubbi sul futuro del settore finanziario
in un clima di incertezza politica. La rupiah viene svalutata ulteriormente e il currency board
viene messo in discussione.
Tailandia Una banca commerciale viene acquistata da un investitore strategico straniero.
Malesia Viene annunciato un programma per il consolidamento delle società finanziarie e per la
ricapitalizzazione delle banche commerciali.
Tailandia Vengono introdotte una nuova classificazione dei prestiti e nuove norme sulle perdite su prestiti.
Filippine Approvato un accordo con l’FMI per tre anni di stand-by.
Indonesia IBRA chiude sette banche e ne acquisisce altre sette.
Corea
Piani di riabilitazione di 4 su 20 banche d’affari vengono respinti; le banche vengono chiuse.
Tailandia Bank of Thailand interviene in sette società finanziarie; eliminati gli azionisti.
Indonesia Tumulti diffusi. La rupiah si svaluta, si intensificano le corse agli sportelli e Bank Indonesia
deve fornire liquidità.
Indonesia Il presidente Suharto si dimette.
Indonesia Importante banca privata viene acquisita da IBRA.
Indonesia Leader internazionali e società indonesiane si accordano per la rinegoziazione del debito aziendale.
Corea
Per la prima volta, il governo chiude banche commerciali (cinque piccole).
Due banche d’affari vengono chiuse e due fuse con banche commerciali.
Corea
Vengono introdotte una nuova classificazione dei prestiti e nuove norme sulle perdite su prestiti.
Fonti: Carl-Johan Lindgren,Tomás J.T. Baliño, Charles Enoch, Anne-Marie Gulde, Marc Quintyn, e Leslie Teo,
Financial Sector Crisis and Restructuring: Lessons from Asia (Crisi del settore finanziario e ristrutturazione: lezioni
dall’Asia), FMI, Washington DC, Box 1, p. 2, 1999