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Mann Paci Ricoeur. Letture della Montagna incantata.
di Emilio Renzi
1. In cima, "Neve"
Vi è nella Montagna incantata di Thomas Mann un capitolo che si intitola
"Schnee - Neve".
Perché Enzo Paci lo definisce uno dei due "momenti fondamentali"
dell'opera intera di Thomas Mann?1
Perché Paul Ricoeur ne fa uno dei "punti decisivi" della sua lettura
del romanzo manniano come uno dei tre esempi della sua interpretazione del
rapporto intrinseco e fecondo tra forme del raccontare ed esperienza del
tempo?2
"Neve" è presto riassunto così come la Montagna incantata stessa:
s'intende, l'uno e l'altra, se li assume solo in quanto tegumenti di multipli
significati e di artistici rapimenti3.
Hans Castorp fresco laureato in ingegneria si reca a far visita nel
sanatorio di Davos tra le alte montagne svizzere al cugino Joachim, militare,
affetto dalla tubercolosi detta per la sua invisibilità "mal sottile". Sottilmente
si lascia irretire dalla diagnosi dei medici: ha un inizio della terribile
malattia, si fermi per poche settimane. Sette saranno gli anni in cui
soggiornerà al Berghof. A tal punto si lascia vivere dalla dimensione "fuori
dal tempo" del sanatorio, da diventarne prigioniero volontario. Ama non
riamato la non bella Clawdia Chauchat, indolente e misteriosa signora russa,
esotica dunque ed elegante; il fracasso della porta lasciata sbattere segna il
suo ingresso nella sala da pranzo. Dopo una baracconesca Notte di Valpurga
i due - forse - si sono "chinati l'uno sull'altra".
L'indomani la giornata apre su una nevicata che avvolge la montagna
e sembra non voler finire; Hans Castorp esce per una camminata con gli sci.
E' anche l'indomani di una furibonda discussione tra i due intellettuali del
Berghof, Settembrini e Naphta. Il primo, italiano, democratico-mazziniano,
massone; l'altro, "piccolo gesuita", terrorista e comunista. I loro scontri di
1 E. Paci, Kierkegaard e Thomas Mann, Bompiani, Milano 1991, p. 235. Il saggio,
apparso nel n. 29 di "aut aut" (1955), si intitola appunto "Due momenti fondamentali
nell'opera di Mann". – Su Enzo Paci, A. Vigorelli, L'esistenzialismo positivo di
Enzo Paci. Una biografia intellettuale (1929-1950), Angeli, Milano 1987, e ora
Omaggio a Paci. I. Testimonianze – II. Incontri, a cura di E. Renzi e G. Scaramuzza,
Cuem, Milano 2006, che contiene al termine Strumenti bibliografici, a cura di A.
Sardi, pp. 303-322.
2 P. Ricoeur, Tempo e racconto. II. La configurazione nel racconto di finzione, trad.
it. di C. Grampa, Jaca Book, Milano 1985, p. 209. – Su Paul Ricoeur, D. Jervolino,
Introduzione a Ricoeur, Morcelliana, Brescia 2003, e ora E. Renzi, Caro Ricoeur,
mon cher Paci. Dialogo in cinque scene, Cuem, Milano 2006.
3 Th. Mann, La montagna incantata, trad. it. di E. Pocar, Corbaccio, Milano 1999. Il
capitolo "Neve" è alle pagg. 437-465. – Cfr. M. Poggi, Was ist die Zeit? Ein
Geheimnis, - wesenlos und allmächtig. Sulla relativizzazione del tempo nel capitolo
Schnee in Der Zauberger, in C. Sandrin e R. Morello, Thomas Mann: l'eco e la
grazia, Edizioni dell'Orso, Alessandria 2005, pp. 65-70.
2
idee e di parole contrappuntano il romanzo; per il giovane Castorp
rappresentano una pedagogia che trasmuta da affascinante a revulsiva; per il
lettore, una straordinaria ironica rassegna delle battaglie culturali tra
secondo Ottocento e primo Novecento. La discussione era terminata quella
sera con la più grande "confusione" - che lassù nella montagna diventa il
caos di una grande nevicata.
Un accecante silenzio totale ferma ogni cosa. Lo spazio e il tempo
sono uniti da un'unica simbolica – il Silenzio primordiale ed eterno. La neve
alta e piena, l'incessante sfarfallio monotono, fanno che il giovane si
smarrisca. In verità quel che Hans Castorp cerca è perdersi - per perdere lei,
M.me Chauchat.
Una stanchezza mortale lo estenua; si rifugia in una baita; una
residua volontà di vita gli fa capire che deve muoversi. La visione di
un'arcadia paradisiaca lo accoglie quando esce; vede il mare in un golfo;
"ricorda" il Mediterraneo che non ha mai visto. Giovinette e pastorelli
immersi in una solare luminosità bucolica gli danno una inebriante visione
della vita. Presto però la felicità si trasforma nella visione di due figure
femminili - madre e figlia in un gruppo marmoreo che da dolenti diventano
infine scarmigliate Erinni che sbranano un bambinello. "Lo sapevo che era
un sogno." Vita e morte, morte e vita: il risveglio è anche la fine della
tormenta di neve. La sera cenerà con un appetito da lupo: "quanto aveva
sognato stava impallidendo. Quanto aveva pensato, già quella sera non gli
appariva del tutto chiaro"4.
In un certo senso del termine niente è successo. La vita al Berghof
continuerà come prima. Ma: sarà esattamente "come prima"? E che cosa
vuol dire "prima"? e cosa "dopo" tra "quelli di su", i malati del sanatorio e
persino i loro medici? Sul Berghof sembra svaniscano ogni traccia del
passato così come ogni adombramento del futuro. Può persino svanire il
divenire del tempo.
L a Montagna incantata chiude con il più tragico dei soprassalti: le
vampe e i rombi dei cannoni dell'agosto 1914. Irrompe il ruvido irreversibile
risveglio della Grande Storia e quindi anche della "nostra" piccola storia.
Hans viene scorto per l'ultima volta; sta correndo all'assalto, con elmetto e
baionetta; la scena è in dissolvenza. Il libro chiude con queste parole:
"Addio, Hans Castorp, schietto beniamino della vita!"5.
Paci in "Neve" vede il punto di radunata in cui confluiscono e da cui
si dipartono tutti i temi della "complessa e organica struttura polifonica"
manniana: la Montagna incantata riprende l'intero Mann precedente e a sua
volta annuncia e contiene l'essenziale del Mann che seguirà.
Ricoeur nella Montagna incantata vede una "favola sul tempo, nella
misura in cui l'esperienza stessa del tempo è la posta in gioco delle
trasformazioni strutturali"6.
Per Paci, ad Hans Castorp Mann fa ritrovare negli occhi di Clawdia
4 Ibid., p. 465.
5 Ibid., p. 676.
6 P. Ricoeur, Tempo e racconto, cit., p. 169.
3
Chauchat lo sguardo di Tonio Kröger. Come dire il tema delle sue prime
opere: l'"artista da giovane" e il dolore precoce inferto alla giovinezza dalla
scissione tra vita e spirito7. Hans Castorp è infatti un giovane della buona
borghesia; ha l'aspetto, l'abito e le formali abitudini squisite del nonno
grande borghese; è cioè ideale membro della famiglia protagonista del primo
romanzo di Mann, Buddenbrook. La parabola dalle fortune commerciali alle
malattie mortali di tre generazioni dei Buddenbrook mercanti amburghesi è
la metafora del decadimento della grande borghesia tedesca per eccesso di
febbrilità verso l'arte e per difetto di concretezza verso la vita8.
Ricoeur in "Neve" sottolinea l'importanza che il tempo abbia come
"cornice" la "fantasmagoria dello spazio nevoso". Che non è solo un
elemento decorativo per quanto rapinosamente suggestionante: "La
montagna devastata dalla neve è l'equivalente spaziale della stessa
esperienza temporale. Il 'Silenzio eterno' unisce lo spazio e il tempo entro
un'unica simbolica"9. Dunque, tempo ed eternità.
Configurazione del tempo, referenza dello spazio, costruzione
formale tramite il simbolo e la metafora "viva" (id est, innovativa) e le altre
figure della costruzione narrativa: queste le categorie con cui Paul Ricoeur
indaga e ricostruisce la teoria del racconto. In essa quello che succede e
funge e risulta efficace è il duplice scambio tra strumenti linguistici e vissuti
temporali.
In "Neve" per Ricoeur quel che avviene ad Hans Castorp - e nel
lettore – è uno "scontro tra lo sforzo umano da un lato e la natura e gli
ostacoli dall'altro"; ma questa sfida, quella tensione, quella visione dapprima
splendidamente azzurra poi orribilmente terrorizzante, indicano
simbolicamente "il cambiamento di registro del rapporto tra tempo ed
eternità". Come dire, tra la vita e la morte. Castorp comprende alla fine che
"per riguardo alla bontà e all'amore, l'uomo non deve concedere alla morte la
7 E. Paci, Kierkegaard e Thomas Mann, cit., p. 235.
8 Su Mann, oltre ai classici scritti di Ladislao Mittner e di Claudio Magris che ci
permettiamo di non citare, si vedano ora H. Goldman, Max Weber e Thomas Mann.
trad. it. di U. Livini, il Mulino, Bologna 1992 e M. Fieschi, Thomas Mann, il
Mulino, Bologna 2005. Inutile invece il biografismo di Hermann Kurzke, Thomas
Mann. La vita come opera d'arte, trad. it. di I. Mauto e A. Ruchat, Mondadori,
Milano 2005, a cominciare dal sottotitolo: "vita come opera d'arte" fu (e forse)
quella di un Gabriele D'Annunzio, non quella di un Mann definibile semmai come
"professione etica". – Recentemente la studiosa americana Victoria De Grazie, ne
L'impero irresistibile (Einaudi, Torino 2006), avanza un interessante paragone tra
Mann e il romanziere americano Sinclair Lewis: mentre l'uno nei Buddenbrook
descrive la decadenza e fine di una dinastia europea, l'altro in Babbitt (1922, quindi
coevo) tratteggia l'ascesa e trionfo dell'uomo medio americano, esponente di un
sistema economico-sociale in cui la produzione trova la propria cifra valoriale nel
consumo di ognuno e di tutti ("di massa"). L'uno dunque è il passato finito di un
mercato nazionale, l'altro è il presente e per quel che se ne sa il futuro del mondo
globale.
9 P. Ricoeur, Tempo e racconto, cit., p. 209.
4
signoria sui propri pensieri"10.
Paci scrive che il Mann che scrive La montagna incantata non sa
ancora che la malattia porterà via la Germania intera nell'inferno del
totalitarismo nazista. Non lo sa "esattamente", perché com'è ovvio non può
prevederlo. Ma lo intuisce: il "patto col diavolo" del Doctor Faustus è la
pantografia del "mal sottile" e dell'amore sottilmente crescente di Castorp
per la morte.
Tuttavia Mann non è cupo ma ironico; il dialogo della sua intera vita
non è solo con Wagner, è con Goethe soprattutto. La stessa domanda finale
della Montagna incantata – "Chi sa se anche da questa mondiale sagra della
morte, anche dalla febbre maligna che incendia tutt'intorno il cielo piovoso
di questa sera, sorgerà un giorno l'amore?" – è a una tempo chiusura e
apertura. E ' a Mann che Paci scriverà nel dopoguerra ed è la risposta di
Mann che apre il primo numero di "aut aut"11.
Infine: Thomas Mann stesso "legge" la Montagna incantata – la
espone quindici anni dopo in una conferenza agli studenti dell'Università di
Princeton12.
Agli studenti Mann dice: ciò che la Montagna racconta, è "il mistero
del tempo". Dice: leggete il capitolo "Neve", perché "vi troverete cosa sia il
Graal, il sapere, l'iniziazione, quel 'supremo' che non solo l'ingenuo
protagonista, ma anche il libro stesso vanno cercando… In "Neve" Castorp,
smarrito in altitudini mortali, sogna il suo onirico poema dell'uomo. Il Graal
è - nel suo sogno quasi mortale - l'idea dell'uomo, la concezione di
un'umanità futura, passata attraverso la più profonda conoscenza della
malattia e della morte"13.
2. Il saldo di due
Qual è per Enzo Paci il secondo dei due "momenti fondamentali"
dell'opera di Thomas Mann?
E poiché per Paul Ricoeur la Montagna incantata è una delle tre
"favole sul tempo" che egli sceglie per illustrare la tesi di Tempo e racconto quali sono le altre due?
Per Paci l'altro momento fondamentale di Mann è il capitolo di
Giuseppe il nutritore intitolato Il pergolato cretese.
Per Ricoeur le altre due "favole" messe sotto lettura sono La signora
Dalloway di Virginia Woolf e Alla ricerca del tempo perduto di Marcel
Proust.
Giuseppe il nutritore è l'ultimo romanzo della tetralogia Giuseppe e i
10 Ibid., p. 210.
11 Gennaio 1951. Altre lettere da Mann a Paci in Th. Mann, Lettere a italiani, a cura
di L. Mazzucchetti, il Saggiatore, Milano 1962, pp. 80-86. Mann ringrazia per l'invio
d i Esistenza e immagine (1947), che riproduce due saggi su Mann: Musica mito e
psicologia in Th. Mann e Th. Mann e la filosofia.
12 Th. Mann, "La montagna incantata". Lezione per gli studenti dell'università di
Princeton, in appendice alla traduzione italiana, (maggio 1939), pp. 679-689.
13 Ibid., p. 685 e 689.
5
suoi fratelli e non è facilmente riassumibile. Diciamo che Giuseppe
primogenito di Giacobbe subisce le angherie dei fratelli e le traversie degli
ebrei in Egitto; sa interpretare i sogni e lo fa col Faraone sotto un "pergolato
cretese" (che sta per la cultura ellenica); grazie a questa sua "arte" è colui
che alla fine salverà egiziani ed ebrei dalla carestia. La riconciliazione
generale chiude la storia: ispirata dalla Bibbia, scritta tra il 1934 e il 1943,
interpretabile come esplorazione di un passato mitologico diverso e
deliberatamente contrapposto alla mitologia ariana dei razzisti fonte dei
nazisti14.
Giuseppe è l'uomo che sa e che sa operare; è colui che insegna a far
nascere il grano; che addita i frutti portati dall'accoppiamento tra la terra
fecondata dal Nilo e il lavoro dell'uomo. Paci lo definisce come l'uomo della
trasformazione del possibile; colui che sta per la metamorfosi nella
significazione goethiana del termine; che è la resurrezione e la rinascita.
Arte e vita si possono insomma ricongiungere. Ecco altrettanti leitmotiv
paciani: li abbiamo corsivati nel testo.
In Giuseppe – scrive Paci – "la rinascita non è soltanto visione
estetica, ma lavoro umano e trasformazione sociale". E conclude: "dal sogno
di Hans Castorp", dal suo invito a non lasciare che la morte e il male
diventino "signori" dei pensieri dell'uomo e che si sostituiscano ai suoi
valori, "nasce la figura di Giuseppe il nutritore"15.
Quanto alla Signora Dalloway della Woolf, il romanzo concentra
com'è noto tutti gli avvenimenti – grandi e minuti, intimistici e tragici – della
apparentemente semplice trama, tra il mattino e la sera di un giorno di
giugno, nella Londra del primo dopoguerra. La scansione degli eventi è
affidata ai rintocchi possenti del Big Ben e delle altre campane della città.
Ora per Ricoeur i colpi del Big Ben hanno certamente una loro
funzione nell'esperienza viva che i personaggi hanno delle singole vicende e
del loro intreccio; ma non sono l'essenza del racconto, ciò che ne fa un libro
bello e istruttivo. La configurazione dell'opera è affidata alle "estensioni" dei
pensieri dei protagonisti nei tempi passati e nel futuro che sta per arrivare.
Queste "ampie volute" della tecnica narrativa fanno sì che la "risonanza" di
un flusso di coscienza in un altro (e viceversa), conferisca al racconto - che
stando al tempo cronologico è "breve" - la "ricchezza" di una "immensità
implicata"16.
Infine, che Alla ricerca del tempo perduto di Marcel Proust sia uno
Zeitroman è una monumentale ovvietà. Ricoeur accoglie la tesi che la
Ricerca abbia a tema e obiettivo non la ricerca del tempo che è trascorso
bensì l'apprendimento della verità attraverso l'apprendimento dei "segni":
della mondanità, dell'amore, dell'arte e così via. La Ricerca, scrive Ricoeur,
può essere descritta come una ellisse a due "fuochi": quello del tempo
"perduto" e quello della incorporazione del tempo "ritrovato", ossia il
14 Th. Mann, Giuseppe e i suoi fratelli, a c. di F. Cambi, trad. it. di B. Arzeni,
Meridiani Mondadori, Milano 2001.
15 E. Paci, Kierkegaard e Thomas Mann, cit., p. 245.
16 P. Ricoeur, Tempo e racconto, cit., p. 172.
6
riconoscimento della vita nonostante la malattia, la morte, l'oblio. La
dimensione del tempo è allora il tempo della scrittura, che è "una distanza
che congiunge".
Tempo e racconto è nella lunga marcia ermeneutica di Paul Ricoeur
un approfondimento del linguaggio, delle sue leggi e figure retoriche, della
grande categoria filosofica del tempo. Ricoeur sostiene che il racconto
raccoglie ed esprime nella parola (scritta, raccontata) la dimensione del
tempo. E' un reciproco configurarsi; la mimesi apporta gli elementi cui la
mise-en-intrigue, la trama e gli intrecci, provvedono a dare un senso anzi più
sensi. Il grande interrogativo agostiniano sulla indefinibilità del tempo e le
analisi di Husserl sulla coscienza interna del tempo e di Heidegger
sull'ontologia del tempo, trovano nel racconto di finzione, strutturalmente
configurato, una traduzione in termini di intelligibilità e ricchezza di
interpretazioni. Tempo e racconto è insomma una interpretazione di
interpretazioni. Fa seguito a Della interpretazione. Saggio su Freud; lo
seguiranno Dal testo all'azione e Sé come un altro, è a dire le opere sulla
prassi e sulla intersoggettività eticamente intesa; chiuderanno le sintesi de La
memoria, la storia, l'oblio e di Percorsi del riconoscimento. In queste opere
finali riappare largamente la riflessione sul tempo e in special modo sui
relativi scritti di Husserl: una riflessione durata un sessantennio.
Mann è per Paci il principale volto letterario di una vita di filosofo
non astretto in una filosofia che sia solo filosofia sola. Una vita di passioni:
per la grande letteratura europea (Proust, Valéry, Goethe. Dostoevskij,
Rilke), per la musica (Wagner), per l'architettura, per la pedagogia non
teorizzata ma praticata in aula e fuori, per la scrittura. Perciò Paci non è un
estetologo, non vi è nella sua opera un corpus di scritti di estetica 17. Paci si
muove a metà tra il filosofo della cultura e il rabdomante, il critico del gusto
e il musicomane. Quando scrive di Mann usa in continuazione i termini
"tema", "tono", "polifonia": ed è il lessico del musicologo. Gli scritti di Paci
su Mann si estendono dalla giovinezza anteguerra alla maturità piena negli
anni Sessanta; in filigrana sono rintracciabili anche nelle pagine ultime.
E Mann - quando scrive di Mann stesso, quando interpreta la sua
stessa Montagna incantata? Bene, si sa che Mann era un mago; così lo
chiamavano in famiglia; con questo appellativo i figli bambini venivano
comandati a far silenzio in casa quando "il Mago" lavorava, ché la sera
avrebbe letto loro qualcosa delle storie che aveva scritto nel silenzioso tempo
del suo spazio borghese18.
E così noi pure ascoltiamo e ascoltiamo e continuiamo ad ascoltare
l'incanto delle sue storie; solo, ogni tanto, ci permettiamo di dar voce ad altri
ascoltatori: quelli che hanno saputo star bene all'ascolto. Perché se è vero che
non esistono solo interpretazioni è anche vero che la comprensione - e i
conseguenti piaceri - è necessariamente interpretazione.
17 Coglie il punto G. Scaramuzza, Paci legge Kafka, in Omaggio a Paci, cit., pp.
48-49.
18 Lo racconta la moglie di Mann, Katia: Memorie non scritte, trad. it. di A.
Pandolfi, Mondadori, Milano 1975, p. 62.