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DAVIDE MONTELOENE/CONTRASTO
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Lo sceicco e lo shopping
rivoluzionario
Cresce l’offensiva economica del Qatar. Obiettivi in primo piano: banche,
infrastrutture e turismo (in particolare in Egitto, dove la moneta locale è in caduta
libera). Gli attori principali sono il fondo sovrano Qia e la Qatar National Bank.
Mentre l’Europa fatica a trovare spazio, alle prese con la crisi dell’euro.
di Antonio Barbangelo
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A
metà dicembre 2012 il gruppo francese
Société Générale ha deciso di vendere il
77,2% della sussidiaria egiziana National Socièté Générale Bank (Nsgb), alla Qatar National Bank (Qnb). Un’operazione da 1,97 miliardi di dollari, con la quale la Banca del Qatar
acquisisce la maggioranza del secondo gruppo
bancario privato egiziano. È l’ultima di una serie
di manovre della finanza dell’emirato nell’area
del Mediterraneo sud. Tra i paesi del Golfo Persico, il Qatar è stato, politicamente e finanzia-
riamente, uno dei più attivi nell’appoggiare la
Primavera araba. L’emittente televisiva di Doha,
Al Jazeera, si è contraddistinta nel raccontare al
mondo ciò che stava avvenendo durante i primi
mesi del 2011 a Tunisi, al Cairo e nelle altre capitali scosse dai nuovi movimenti.
Con un tasso di crescita annuo medio della
ricchezza del 10% e un Pil procapite vicino ai
95 mila dollari (primo in Asia e quarto nel
mondo), la monarchia sunnita, guidata dall’emiro Hamad bin Khalifa al Thani è il terzo
east european crossroads
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QATAR
paese al mondo per riserve di gas naturale non
associato al petrolio, e uno dei maggiori produttori di oro nero. Dagli anni Novanta è partito
un ambizioso programma di sviluppo economico per creare fonti di reddito alternative al
petrolio e al gas, che spaziano dal turismo all’industria, all’edilizia, fino alla produzione di
energie alternative.
Una trasformazione dell’economia ottenuta
con l’ausilio dei lavoratori stranieri che superano il 70% della popolazione residente (1,87
milioni); con l’apporto di grandi flussi di capitali
provenienti dall’estero (attratti anche da esenzioni fiscali), e grazie al dinamismo delle banche
nel Medio Oriente e in altre parti del globo.
Qualche mese prima di mettere la nuova bandierina sulle sponde del Nilo, Qatar National
Bank aveva acquisito il 49% della Banca Libica
del Commercio e dello Sviluppo, con sede a
Bengasi. La Qnb, fondata nel 1964, è il più
grande istituto creditizio dell’emirato, con 90
miliardi di dollari di asset; è controllato per il
50% da privati e per l’altra metà dal Qatar Investment Authority (Qia), il più importante fondo
sovrano dell’emirato, il vero grande protagonista
degli investimenti di Doha nel mondo. Il Qia è
nato nel 2005, e oggi detiene attività per 115
miliardi di dollari. Il timone del ‘fondo’ è saldamente nella mani della famiglia al Thani.
Politiche di espansione: finanza, infrastrutture
e turismo
“La strategia di investimento del fondo sovrano si è evoluta rapidamente e ha assunto un
connotato geopolitico evidente”, afferma Alessandro Santoni, responsabile area Pianificazione
Strategica Research & Investor del Monte Paschi
Siena. “Un’area di forte interesse politico ed
economico è rappresentata dal Nord Africa, ancora di più dopo i movimenti del 2011. L’approccio adottato dal Qia è solitamente morbido:
il Qatar non adotta strategie di intromissioni
politiche esplicite. Supporta l’economia locale
numero 46 marzo/aprile 2013
in due settori vitali: turismo e infrastrutture”.
Riguardo al turismo, Qia ha annunciato investimenti in Egitto per realizzare complessi con
hotel e resort a Sharm el Sheikh e Hurghada,
per 2 miliardi di dollari (il turismo in Egitto
rappresenta il 15% del Pil, ma è in forte crisi).
Il fondo del Qatar punta a investimenti nel settore turistico anche in Marocco e in Tunisia,
con progetti per 3 miliardi di dollari; e in altri
comparti dell’economia in Sudan e nello Stato
Palestinese. “Riguardo al paese africano, dopo
aver investito importanti somme per rilevare
quote in banche e aziende locali attive in agricoltura”, aggiunge il dirigente del Monte Paschi
Siena, “il Qia ha inviato propri funzionari a
Khartum per trattare l’acquisto di 2 miliardi
di dollari di obbligazioni che saranno emesse
dal governo Sudanese. L’obiettivo non dichiarato è fare del Sudan il maggior fornitore agricolo del Qatar”. Un esempio di investimento
dal carattere più strettamente politico è, invece, quello messo in atto in Palestina, dove
il Qia finanzia la costruzione di 5 mila appartamenti di edilizia popolare, per un controvalore di 350 milioni di dollari.
Un modo per ottenere un positivo ritorno
di immagine all’interno del mondo arabo. Il
ricco emirato guidato da al Tani sembra volersi ritagliare un ruolo di maggior peso sullo
scenario internazionale. Con un occhio attento
alla politica estera, influente all’interno della
Lega Araba e nel ruolo di buon alleato degli
Stati Uniti (in Qatar c’è la più grande base
dell'aeronautica Usa in Medio Oriente). Secondo alcuni osservatori “Doha sta facendo
leva sul soft power miscelato con il cash power a livello globale”, giocando molto a livello
di immagine e prestigio. Su più tavoli. A fine
2012 si è tenuta a Doha la 18° Conferenza
mondiale sui cambiamenti climatici, che ha
portato nella capitale dell’emirato 194 paesi.
Inoltre il Qatar si è già assicurato i Campionati
mondiali di calcio del 2022, e si prepara a
DOSSIER
DOSSIER
Y Doha, gli edifici
che ospitano il souq
vecchio della città.
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DOSSIER L’INVERNO ARABO
strada per la ricostruzione delle infrastrutture
(soprattutto in Libia, dopo la guerra civile che
ha distrutto il paese) si presenta in salita per il
Vecchio Continente. Le nazioni della Penisola
Arabica traggono vantaggio dalla crisi delle
banche europee. Nel 2010 il Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria ha posto limiti inderogabili cui le banche dei principali paesi
europei devono conformarsi per preservare il
patrimonio ed evitare altri onerosi salvataggi
da parte degli stati (dopo quelli effettuati nel
2009 in seguito al fallimento di Lehman Brothers). Sono i provvedimenti di “Basilea 3”:
estrema attenzione prima di fare investimenti
in paesi considerati non stabili, compresi quelli
della Primavera araba.
presentare la propria candidatura per ospitare
le Olimpiadi del 2024. L’ultimo significativo
step è stato l’acquisto da parte di Al Jazeera
di Current Tv, la rete co-fondata nel 2005
dall’ex vicepresidente Usa Al Gore: entro fine
anno verrà trasformata nel canale in inglese
Al Jazeera America, il punto di vista arabo
per il pubblico statunitense.
Banche europee con la palla al piede nell’area della
Primavera araba
Dal 2011 il focus della finanza e dell’economia si è spostato verso i paesi del Mediterraneo Sud. Qatar e Arabia Saudita sono i paesi
più attivi: secondo alcune fonti, nei mesi scorsi,
Doha e Riyadh hanno prestato 5 miliardi di
dollari all’Egitto. Più recentemente Doha ha
annunciato un altro prestito da 1 miliardo di
dollari al presidente Mohamed Morsi; negli ultimi mesi l’instabilità del paese ha portato la
sterlina egiziana in caduta libera. Intanto
l’Unione europea ha erogato nelle casse del
Cairo un prestito di soli 500 milioni di euro.
L’Europa, alle prese con la crisi della moneta
unica, si trova in netto svantaggio; anche la
Gli altri paesi del Golfo e gli obiettivi nel Mediterraneo sud
Alcuni osservatori sottolineano il fatto che
anche le ricche capitali del Golfo elargiscono
con una certa cautela nell’area del Nord Africa.
“I paesi del Golfo hanno fatto molte promesse,
ma finora di denaro ne è arrivato poco”, afferma
Rony Hamaui, Ceo di Mediofactoring e profes-
Qatar
Indicatori politici
AREA: 11.586 Km2
POPOLAZIONE: 1.951.591
massimo
rischio
Musulmani 77,5%, cristiani 8,5%,
altri 14% (censimento 2004)
50
FORMA DI GOVERNO: Emirato
SUFFRAGIO:
Universale (18 anni)
CAPO DI STATO:
Amir HAMAD bin Khalifa Al Thani
(Giugno 1995)
minimo
rischio
0
CAPO DI GOVERNO: HAMAD bin Jasim bin Jabir Al Thani
(Aprile 2007)
64
PIL:
$ 191 mld (nominale, stima 2013)
INFLAZIONE:
3,1% (stima 2013)
40
Il potere politico resta concentrato
nelle mani dell'Emiro. Le riforme
costituzionali in cantiere potrebbero
trasferire alcuni poteri ma anche gli
elementi più radicali sono limitati
da diverse misure di tutela che
assicurano all'Emiro di poter
mantenere il controllo generale
sul processo politico.
46
Sicurezza
RELIGIONE:
Efficacia governativa
32,2 anni
100
Stabilità politica
ETÀ MEDIA:
Political Risk & Country Analysis - UniCredit
4
Corruzione
Indipendenza
della giustizia
27
10
su 176 Paesi
su 144 Paesi
Valori di riferimento: primo paese
Norvegia, ultimo paese Somalia
Qualità
della burocrazia
minimo
rischio
3
massimo
rischio
EIU, ONU, WB,WEF, Heritage Foundation, Transparency International, Global Peace Index
east european crossroads
BRUNO BARBEY/MAGNUM PHOTOS/CONTRASTO
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Disordini sociali
er
a
1°
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1°
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la
n
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1°
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di
a
Business Environment
la
n
Fin
1°
1°
No
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eg
ia
Indicatori sociali
3
minimo
rischio
0
40
massimo
rischio
Il rischio di disordini sociali è ridotto nonostante
l'assenza di un sistema democratico.
37
Popolazione in carcere
molto
basso
115
Facilità nel
concludere affari
su 185 Paesi
(1° Singapore, 185° Rep. Centrafricana)
Maggiori difficoltà:
accesso al credito,
rispetto dei contratti.
molto
alto
1
(ogni 100.000 abitanti)
\ In Qatar dagli anni
Novanta c’è un
programma di sviluppo
economico per creare
fonti di reddito
alternative al petrolio
e al gas, che spaziano
dal turismo, all’edilizia,
all’industria.
t Doha, un uomo
attende la preparazione
di una abito.
114
135° Yemen
145
144° Algeria
179° Eritrea
187° Congo
190° Qatar,
Arabia Saudita,
Vanuatu
Sviluppo umano
% di seggi
Libertà di stampa
occupati da donne
nei Parlamenti nazionali
Disparità di genere
Fuga di cervelli
numero 46 marzo/aprile 2013
Tasso di
alfabetizzazione
Abbonamenti
a telefoni cellulari
97%
123 (ogni 100 persone)
Saldo migratorio (netto)
Utenti di internet
857,090
86,2 (ogni 100 persone)
11
Competitività
globale
su 144 Paesi
(1° Svizzera, 144° Burundi )
25
Libertà
economica
su 179 Paesi
(1° Hong Kong, 179° Corea del Nord)
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DOSSIER L’INVERNO ARABO
mille francesi). Ma le capitali del
Golfo guardano con interesse a tutta
l’area del Mediterraneo Sud. Con
obiettivi politici, o più squisitamente
economici. E gli elementi di attrazione sono svariati: oltre ai settori
turistico e finanziario, al gas e al petrolio, ci sono le infrastrutture e le
nuove tecnologie che stanno diventando terreno fertile su cui investire.
Inoltre, dal punto dei potenti attori
di Doha o Riyadh, paesi come l’Algeria, la Libia o l’Egitto sono dei
ponti per avvicinarsi alle nazioni del
Vecchio Continente. Arabia Saudita
e Qatar, per esempio, hanno sviluppato una robusta industria per la produzione di energie alternative in vista della diminuzione delle risorse
del sottosuolo nel prossimo decennio: prodotti e tecnologie che intendono esportare al posto del gas e
dell’oro nero.
La spinta del Gulf Cooperation Council
La Penisola Arabica è inoltre avvantaggiata dalle intese stipulate all’interno del Gulf Cooperation Coun-
DAVIDE MONTELOENE/CONTRASTO
sore a contratto dell’Università Cattolica di Milano. “Perché gli elementi
di incertezza sono ancora molti. Questi paesi donatori aspettano che sia
prima il Fmi a muoversi. Soprattutto
in Egitto. Il denaro vero, finora, è arrivato solo nelle casse di altre due
monarchie sunnite: Giordania e Marocco”. Tra i paesi che si trovano in
una fase di transizione, il più strutturato dal punto di vista economico
è la Tunisia, la nazione africana che
ospita il maggior numero di imprese
europee (oltre 850 italiane e più di
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east european crossroads
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QATAR
numero 46 marzo/aprile 2013
 I soldi degli sceicchi
MATILDE GATTONI/REDUX/CONTRASTO
cil (Gcc), l’organismo creato nel
1981, di cui fanno parte oggi Bahrein, Kuwait, Oman, Qatar, Emirati
Arabi Uniti e Arabia Saudita; Giordania e Marocco sono stati invitati a
farne parte. Il Gcc opera a livello economico e politico, con l’obiettivo di
difendere le monarchie sunnite del
Golfo dall’espansionismo iraniano.
L’alleanza del Gcc si è fatta sentire
anche nell’ultima riunione annuale,
tenutasi in dicembre a Manama, nel
Bahrein, quando i sei partner hanno
concordato di creare un comando
militare congiunto. A livello economico, il Gcc è un’area di libero scambio commerciale; le banche dei sei
paesi sono tra la più ricche nel perimetro dei circa 300 attori finanziari
operanti nei paesi della Lega Araba,
riuniti nell’Union of Arab Banks, associazione presieduta da Adnan Ahmad Yousif, presidente e Ceo di AlBaraka Banking Group - Bahrain.
Secondo la classifica del Sovereign Wealth Funds Institute, organizzazione con sede negli Usa che
studia le strategie dei fondi sovrani
di ogni continente, tra i primi 16
fondi del mondo, ben sette appartengono a paesi del Golfo Persico. Il
fondo Abu Dhabi Investment Authority è al secondo posto con 627 miliardi di dollari di asset, il primo
fondo sovrano dell’Arabia Saudita è
in quarta posizione con 532 miliardi,
il fondo del Kuwait (settimo) ha in
dotazione 296 miliardi. Non sfigura
nemmeno il dinamico Qatar Investment Authority, con i suoi 115 miliardi di dollari di attività (al 12° posto). Una conferma delle posizioni
che Doha sta consolidando.
DOSSIER
Lo shopping di Doha in Europa
In sette anni di attività il fondo sovrano
Qatar Investment Authority (Qia) ha fatto
investimenti in vari settori e in diverse aree
del globo. Nel 2012 il Qia ha acquisito una
partecipazione del 3% in Royal Dutch Shell
e ha acquisito la squadra di calcio Paris
Saint-Germain FC, un deal valutato in circa
130 milioni di dollari. Il fondo, inoltre,
possiede il 6% del Credit Suisse, e
attraverso la controllata Qatar Holding nel
2010 ha acquistato i prestigiosi magazzini
Harrods di Londra da Mohamed Al-Fayed,
oltre a catene di hotel di lusso in Francia e
in Usa. Qatar Holding è il secondo
azionista (con una quota del 12%) del
colosso minerario anglo-elvetico Xstrata:
nel novembre scorso Doha ha posto le sue
condizioni e ha dato il via libera per la
mega-fusione, da 67 miliardi di dollari, con
la svizzera Glencore, leader mondiale nel
trading delle materie prime. Qatar Holding
è arrivata anche in Italia, firmando pochi
mesi fa un accordo con il Fondo Strategico
Italiano Spa, holding controllata da Cassa
Depositi e Prestiti, per 2 miliardi di euro da
investire in società italiane che operano in
settori del Made in Italy.
Paesi del Golfo e finanza islamica
L’attivismo dei paesi della Penisola Arabica
ha riportato alla ribalta il tema della
presenza della ‘finanza islamica’ nel Nord
Africa, che fino alla caduta dei regimi nel
2011 ha avuto scarsa diffusione. La finanza
islamica (o Sharia compliant) segue i
principi della Sharia, la legge islamica, che
in materia di credito si basa su alcuni
pilastri, come il divieto di chiedere
interessi (considerati usura), o la
condivisione dei rischi e dei profitti tra
creditore e debitore. “Oggi in Egitto solo il
4,9% degli attivi finanziari sono legati alla
finanza islamica”, spiega Alessandro
Santoni, del Monte Paschi Siena. “Il 2,2%
in Tunisia e l’1,1% in Algeria; a differenza di
stati come l’Iran, dove invece la totalità del
settore è costituito da banche islamiche, o
i paesi del Golfo in cui questa tipologia di
attività è circa del 68%. Solo nel 2007
Marocco e Tunisia hanno autorizzato le
prime istituzioni di finanza islamica per
incentivare i flussi di investimenti
provenienti dai paesi del Golfo”. Aggiunge
Hamaui, dell’università Cattolica di Milano:
“La finanza islamica sta crescendo e sta
contribuendo a cambiare gli equilibri nei
paesi del Nord Africa, e più in generale in
tutta l’area del Medio Oriente. La Turchia,
per esempio, ha emesso da poco il suo
primo sukuk (titoli di debito Sharia
compliant), mentre la Giordania sta
varando una nuova legislazione che
favorirà la finanza islamica”. A livello
mondiale le attività della finanza Sharia
compliant sono passate da 982 miliardi di
dollari di fine 2010 a 1.166 miliardi a fine
2011. L’economia “occidentale” è sempre
più interessata alla finanza islamica:
qualche anno fa in Francia Société
Générale è stata la prima banca europea a
creare un hedge fund regolato dalla Sharia;
e successivamente Goldman Sacs ha
emesso dei sukuk.
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