Progetto “Bangladesh” le impronte digitali e la costruzione di una

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Progetto “Bangladesh” le impronte digitali e la costruzione di una
Progetto “Bangladesh” le impronte digitali e la
costruzione di una banca dati
di Chiara Arnaboldi
strumentista Istituto Europeo di Oncologia - Milano
Tesi master di I° livello per funzioni di coordinamento
delle professioni sanitarie Università Carlo Cattaneo
LIUC
Che cosa spinge un’infermiera a partire per
una missione?
È una domanda che mi sono posta io stessa più
volte e ogni volta che in settembre arriva la “chiamata alle armi” che mi dice che a gennaio partirò
ancora per il Bangladesh. Ogni volta mi chiedo
perché lo faccio, ma una volta giunta lì, mi dimentico delle domande iniziali e arrivano solo risposte: semplici, palesi, chiare. La risposta non si dà, si
vive sulla propria pelle.
Quando sono arrivata a Khulna per la prima volta
ho cercato di adattarmi ai ritmi dei miei colleghi
esperti, mi sono sentita a volte di troppo, spesso
inadeguata. Credevo servisse tanta esperienza per
gestire una realtà così diversa da quella dalla quale
provenivo. Poi ho capito: non serviva l’esperienza,
servivano le idee. Tutto era nuovo in quell’ospedale, a volte ostile a volte commovente. L’elettricità mancava un giorno sì e uno anche, delle volte
non tornava fino il giorno dopo. Nella piccola sala
operatoria aspettavamo al buio di sentire il rassicurante scoppiettio del generatore che, tossendo
e rumoreggiando, inondava il piccolo giardino
con il suo fumo maleodorante.
Sembrano storie dell’altro mondo, e forse lo sono,
ma sono reali e vanno affrontate con volontà e
caparbietà e non solo raccontate al nostro rientro
come buffi episodi. Un giorno mi trovavo in aula
durante una lezione di coordinamento dell’università Carlo Cattaneo-Liuc. I professori parlavano
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delle tesi e di come sfruttare l’occasione per dare
delle risposte ai problemi che affrontiamo tutti i
giorni nelle nostre realtà. Io ho visualizzato il mio
attrezzatissimo ospedale milanese, i macchinari
all’ultimo grido, l’organizzazione millimetrica dei
percorsi sanitari, gli uffici di gestione del rischio.
Che contributo potevo dare ad un ospedale che
sembrava avere già tutto? Non era lì che dovevo
cercare soluzioni.
In contrapposizione, la mia mente è corsa al piccolo ospedale in Bangladesh, ai lettini con le zanzariere negli stanzoni pieni di genitori e bambini
che dormono insieme, alla minuscola sala operatoria con il tubo di scarico dei gas anestetici che
esce da una finestra direttamente nel giardino,
all’ambulatorio umido e pieno di gente, un crocevia di razze e religioni, di parole dette in quattro
lingue diverse, di occhi stanchi e speranzosi che ti
guardano come fossi il “salvatore”. Quell’ambulatorio è diventato il mio chiodo fisso, il mio problema da risolvere, la tesi da scrivere. Che cosa avevo
imparato? Che il tempo è una risorsa, che le risorse sono importanti, che le risorse in Bangladesh
salvano le vite.
L’IDEA
L’ambulatorio è veramente un caos, nonostante
tutta la buona volontà delle persone che ci lavorano dentro. Troppe persone, troppe lingue, poco
materiale a disposizione e, soprattutto, sempre
troppo poco tempo. Se avessi trovato il modo
di risparmiare quel tempo prezioso, magari semplicemente organizzando meglio il lavoro, avrei
dato la possibilità ai sanitari di occuparsi di più
della parte medico-assistenziale. Ecco com’è nato
il progetto: gestire il tempo, liberare delle risorse.
Al momento non esistono, e non potranno esistere ancora per diversi anni, rilevamenti e censimenti della popolazione attendibili. In particolar
modo è quasi impossibile andare a calcolare su
tutto il territorio bengalese quale sia l’ammontare delle persone che vivono tutt’oggi nelle zone
rurali del paese. In questo paese non esiste una
regola in merito all’attribuzione del nome e del
cognome.
Solo chi può, vale a dire ha le conoscenze ed i
mezzi per farlo, registra la propria prole presso
gli uffici amministrativi locali. Infatti, si tende ad
attribuire un nome in base al significato e non è
importante trasmettere parte del nome di uno
dei genitori ai propri figli. Bisogna aggiungere che
nell’usanza del Bangladesh la distinzione tra nome
e cognome è molto relativa e quindi la scelta, se
necessaria, viene lasciata agli interessati.
LE IMPRONTE DIGITALI
Perché la necessità di costruire
una banca dati sulla base delle
impronte digitali?
Alla luce di quanto detto sulla
situazione anagrafica del Paese,
nasce spontaneo comprendere
quanto sia difficile il riconoscimento dell’utenza che affluisce al Centro nel corso dell’anno.
La tipologia di interventi eseguiti sui pazienti in
età pediatrica, richiede che gli stessi siano operati più volte. La problematica del riconoscimento
nasce proprio dalla possibilità di riconoscere il paziente di anno in anno, attualmente affidata solo
all’esperienza ed alle capacità mnemoniche del
personale italiano che assiste il bambino, possibilità solo empirica e facilmente preda di errori e
scambi di persona. L’esigua documentazione rilasciata in sede di prima visita viene soventemente
smarrita dai genitori dei piccoli oppure si deteriora a causa dell’usura e della cattiva conservazione
che ne viene fatta.
Ricordiamo che le famiglie bengalesi spesso vivono in capanne con pavimenti di fango, aggredite
ogni anno dall’arrivo dei monsoni e delle piogge.
In queste condizioni risulta chiaro che la documentazione cartacea, tanto in uso nei paesi sviluppati,
diventa qui utile, ma spesso fallace. I registri operatori sono degradati dal tempo e dall’umidità, il
personale che ruota attorno alla missione spesso
cambia d’anno con anno, la comprensione linguistica con l’utenza lascia sempre un po’ a desiderare nonostante la buona volontà dei traduttori.
L’idea nasce dalla ricerca di ottimizzare il lavoro e
la gestione dell’utenza in ambulatorio nel corso
delle visite. Gli accessi, soprattutto nei primi giorni,
arrivano ad essere anche cento al giorno, creando
un notevole disagio agli operatori già oberati di
lavoro.
Quale sistema migliore della possibilità di leggere le impronte digitali ed associarle ad un programma informatico che le facesse diventare una
porta d’accesso ad un archivio medico. Inoltre,
all’impronta digitale poteva essere utile affiancare
un’ immagine fotografica come rafforzativo, utilizzando una webcam esterna che scattasse la foto
in fase di registrazione. Il presupposto era quello
che il sistema potesse essere utilizzato da tutte le
equipe che si susseguivano nel corso dell’anno,
indipendentemente dalla specialità.
Utilizzando Access, un programma di Data Base
Management System di Microsoft, ho realizzato, attraverso la collaborazione di un informatico, quattro schede nelle quali raggruppare le informazioni
che ritenni più salienti:
• anagrafica;
• anamnesi;
• anestesia;
• assistenza.
All’interno di queste cartelle, è possibile inserire
i dati riguardanti il bambino che permettono di
inquadrarlo da più punti di vista.
Progettare le cartelle ha richiesto di mettere in
campo l’esperienza di più operatori impegnati
nella missione.
Non era sufficiente immettere dei dati, bisognava
fare in modo che l’uso del programma fosse facile
e intuitivo e soprattutto richiedesse una velocità
d’uso legata al poco tempo a disposizione da impiegare nella raccolta.
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VANTAGGI
Quali sono i vantaggi di utilizzare questo programma?
• la possibilità di raccogliere dei dati che vengano
salvati su un hard disk e che rimangano inalterati
nel tempo;
• recuperare queste informazioni ogni volta che si
ritiene necessario;
• avere un’identificazione prossima al cento per
cento dei pazienti, qualora sorgano dubbi sulla
loro identità o sia avvenuto un cambio di nome
nel tempo;
• velocizzare il lavoro di raccolta dati, una volta
superato il periodo di apprendimento d’uso del
programma;
• la strutturazione dei dati con tutti i vantaggi che
essa comporta nella costruzione di analisi, ricerca,
statistiche ad uso scientifico e divulgativo in campo sanitario.
SVANTAGGI
Come ogni progetto pilota, il programma richiede del tempo perché sia rodato e corretto.
La raccolta dati può avvenire solo una volta
l’anno, nel mese di gennaio, quando l’equipe di
chirurgia pediatrica si riunisce per la missione.
Il tempo esiguo e la quantità d’obiettivi che ci
si pone rendono la sperimentazione di nuove
metodiche una “spina nel fianco” degli operatori.
Purtroppo, la difficoltà di gestione dei tempi
non lascia molto spazio all’innovazione, soprattutto su sequenze di lavoro ben collaudate.
Il personale, che da anni segue la missione, conosce perfettamente il proprio ruolo e le attività a lui assegnato da svolgere nel più breve
tempo possibile.
Ogni anno, all’equipe collaudata, si aggiunge
qualche figura sanitaria in supporto che non
ha mai partecipato alla missione e che richiede
un inserimento ed il giusto addestramento.
Il tempo è una risorsa preziosa e la raccolta dati
informatica richiede del personale dedicato,
con un minimo di conoscenze sull’utilizzo di
un personal computer.
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LA PRIVACY
Per quanto riguarda l’utilizzo dell’impronta digitale in strutture sanitarie in Bangladesh, vista la
situazione politica, è difficile stabilire se esistano
delle regole precise in merito di tutela della privacy. L’impressione è che, oltre a non avere una
banca dati anagrafica, non ci sia la possibilità di
gestire i dati personali e quindi di trattarli anche
a fini terapeutici. Al Santa Maria Sick Assistance
Hospital a nessuno degli operatori viene il dubbio
di come gestire i dati personali oppure di come
proteggere la privacy del paziente.
I confini tra pubblico e privato sembrano essere
molto labili o comunque legati a condizioni culturali che a noi sfuggono.
Credo che il problema di gestire i dati possa essere semplicemente risolto chiedendo ai genitori o
a chi tutela la patria podestà il consenso alla rilevazione dell’impronta e dell’immagine del paziente per fini esclusivamente terapeutici o statistici.
I RISULTATI
Il programma è stato testato su 58 pazienti per un
periodo di dieci giorni (dall’8 gennaio al 18 gennaio 2008).
Si può ritenere che la maggior parte delle cartelle
sono state completate con successo, almeno per
quanto riguarda il funzionamento del programma
e la sua interazione con il software di rilevazione
delle impronte digitali. Questo ci dice che, con i
corretti miglioramenti, è possibile creare ed utilizzare un programma che permetta di salvare i dati
riguardanti il lavoro svolto ed archiviarli in modo
che perdurino nelle missioni successive.
La facilità di impiego ha consentito che venissero “schedati” un buon numero di pazienti, se si
considera il tempo relativamente breve sfruttato
dall’operatore. Come ogni progetto sperimentale,
la teoria si scontra con la pratica di tutti i giorni.
La mia idea di miglioramento della raccolta dati
si è scontrata spesso con i problemi legati alla sua
messa in pratica. La mia inesperienza con l’informatica non mi ha aiutato a trovare delle soluzioni
a breve termine agli errori connessi al programma
ed è difficile trovare delle persone in grado di aiutarti e che abbiano anche il tempo di seguirti in
un impresa dai tratti spesso utopici.
UN PROGETTO AD AMPIO RESPIRO
Questo progetto pilota, unico nel suo genere, potrebbe divenire un giorno uno strumento utile e
importante per tutte quelle missioni sanitarie che
si trovino ad operare in condizioni similari, in paesi con gravi carenze a livello di censimenti della
popolazione e comunque dove sia richiesta una
facile identificazione dell’utenza da parte del personale, mal supportata da altri tipi di documentazione. Il progetto comprende anche la possibilità, in futuro, che le cartelle vengano compilate
anche in lingua inglese in modo da poter essere
lette da chiunque.
Le cartelle dovrebbero contenere la descrizione
dettagliata dell’intervento. Alcune voci potrebbero essere eliminate quali: il numero del letto, la
terapia antibiotica, praticata ad ogni paziente, e la
patologia concomitante.
Potenzialmente, all’interno di questo tipo di cartelle potrebbe essere segnato tutto ciò che si
ritiene importante, ma la possibilità di un reale
arricchimento del programma può avvenire solo
attraverso la collaborazione del personale sanitario, mediante un confronto diretto sulle reali esigenze legate al lavoro svolto e testando il progetto-pilota più volte nel corso delle missioni.
Quando parlo a qualcuno della tesi, inizialmente colpisce la semplicità e l’originalità della cosa,
sono soprattutto le motivazioni etiche che lascia-
no sbalorditi. Io stessa mi sono domandata come
mai nessuno avesse pensato a realizzarlo prima.
In effetti, è sufficiente avere un rilevatore di impronte, un computer, un programma e una rete
elettrica alla quale allacciarsi per trasformare un
posto sperduto in una futuristica stazione di raccolta dati. Eppure le cose non vanno mai come ci
aspettiamo. Ed ecco comparire tutte le difficoltà
da affrontare per giungere alla meta, una meta
che si sposta man mano che si pensa di aver centrato l’obiettivo.
Ma c’è una mano invisibile che accompagna tutti i
temerari, la mia si chiama speranza e ottimismo e
sono fermamente convinta che le mie non siano
solo delle idee sulla carta, che l’esperimento fatto
sul campo abbia dimostrato che in fondo “si può
fare” e che sia veramente uno strumento utile e
pratico per risolvere tanti piccoli problemi legati
all’archiviazione dei dati.
La missione in Bangladesh non è un fatto isolato,
tante organizzazioni lavorano su altrettanti territori tutto l’anno con situazioni simili se non peggiori
in fatto di strutture di accoglienza, risorse e strumenti di lavoro. Se quello che ho costruito ha un
senso per l’ospedale di Khulna può averlo anche
per tutti gli altri ospedali che si destreggiano ogni
giorno tra difficoltà linguistiche e registri cartacei.
Io stessa ho vissuto negli ospedali italiani il passaggio negli anni novanta dalla totale registrazione dei pazienti su carta all’uso sempre più massivo dei sistemi informatizzati.
Come operatore ho dovuto adattarmi all’uso del
personal computer per fare il mio lavoro e l’utenza si è pian piano abituata a vedere la propria vita
scorrere su un monitor, inserita in apposite caselle. Non ho l’ambizione di credere che il mio progetto sarà il futuro delle missioni nei paesi in via di
sviluppo, ma è la chiave che apre una porta e altre
potrebbero aprirsene sulla scia dell’associazione
di idee.
I problemi tecnici si possono correggere, le difficoltà si possono appianare e ciò che sembra innovativo oggi potrebbe essere la routine domani.
Questo progetto non ha conclusioni, ma solo un
inizio.
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